All’origine del… Pene Prof. Giorgio Rifelli

All’origine del… Pene Prof. Giorgio Rifelli

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Pene è parola che evoca meste riflessioni, non tanto per la sua consonanza con il plurale di pena (nel senso di sofferenze o castighi) dal quale si differenzia per la diversa etimologia (pena deriva da poena, pene da penis) ma per altri motivi, che comunque non sappiamo ben precisare. Forse si tratta di motivi fonetici o etimologici: Cicerone usava “penis” per indicare la “coda” e penis è venuto a rappresentare il membro virile proprio per il suo pendere.

Origine questa che giustificherebbe la mestizia dichiarata. Così il nostro stesso vocabolario rimane al livello della “coda”, definisce il pene: “appendice cilindrica inserita nella parte anteriore del perineo” e per rispettare la successione alfabetica fa precedere la parola da “pendaglio”, “pendente” e “pendulo” richiamando temute patologie.

A33/A12

In verità l’uso di pene è piuttosto recente (1775) gli anatomisti in precedenza preferivano asta, membro, fallo, ma con il 700 il linguaggio tecnico-scientifico è stato poco disponibile a simbolismi e complicanze semantiche per cui ha cercato di ricondurre le cose a quello che sono e il pene, in effetti, pende.

Un recupero potrebbe essere tentato immaginando un collegamento con penologia che indica una scienza e penetrazione a cui la nostra lingua riconosce accezioni militaresche: “come tecnica di combattimento è la fase corrispondente all’addentramento della fanteria nel sistema difensivo nemico”. Probabilmente per riabilitare il pene, non dispiacerà a molti associare ad esso il nome di una nuova scienza e l’immagine guerresca della relazione sessuale.

Ma penologia è tutt’altro, appartiene infatti alla criminologia e si occupa del recupero psicologico e sociale del criminale, mentre penetrazione non ha nulla a che vedere con pene a meno che non la si consideri una parola composta: “pene-trazione”. La qual cosa tuttavia riconducendo ad una operazione che avvalendosi di un qualche marchingegno è capace di risolvere, attraverso opportune “trazioni”, particolari debolezze, rinnova l’avvilimento.

Se qualche nostalgico volesse evocare con sinonimi non volgari oramai sfortunate fantasie maschiliste, dovrebbe recuperare “asta”, “verga”, “gurgulio” e “mentula” oppure tornare al “phallos” dei greci o addirittura al “fascinus” dei latini. Ma quel senso di forza che queste parole portano con sé deriva dal fatto che rappresentano il pene eretto. Realtà ci auguriamo per molti, aspirazione forse per qualcuno, comunque condizione particolare che non esaurisce la caratteristica anatomica del genitale. Dunque pene è oggi il termine dotto che indica il membro maschile e il fatto di avere nel suo passato linguistico un collegamento con il pendere non è poi così umiliante.

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A quel verbo vanno ricondotti non solo pendaglio, pendolo e pendulo, pendente e pendenza, pennello e penero (lembo non tessuto dell’ordito della tela) e penerata (insieme di peneri), ma anche il latino penis cerebri (la “pendente” ghiandola pineale considerata da Cartesio la sede dell’anima), la preziosa penicillina, la sospirata pensione (dal latino pensionem “pesatura” poi “pagamento”) e il nobile pensare (dal latino pensare “pesare con cura” quindi “ponderare” intensivo di pendere “pesare”).

Insomma ci sarebbe di che consolarsi, ma rimane il fatto che nel secolo dei grandi ideali e delle grandi battaglie, nel secolo virile quale è stato l’800, lo si chiamava asta o verga, mentre nel secolo successivo che ha saputo far trionfare la tecnologia, ma che ha da subito abbattuto certezze ed ideali, lo si è miseramente chiamato pene.

Per il XXI secolo non siamo in grado di prevedere nulla, sembra dover essere il secolo delle multietnie, delle diversità… forse verrà definitivamente alienato e lo si chiamerà semplicemente lui, il diverso.

Giorgio Rifelli

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