Andersen e l’allegoria pessimista della vita

Andersen e l’allegoria pessimista della vita

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Il racconto quasi-autobiografico della Sirenetta dal 19° secolo è ancora fonte di ispirazione per migliaia di bambini che si trovano ad affrontare lo stesso problema: cambiare la loro natura. L’oggetto del loro desiderio rimane inaccessibile. Poi leggono La Sirenetta, perché questa storia parla del loro malessere con parole … senza speranza. Senza soluzioni. Senza rimedi.

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Questa è la storia di un uomo che vorrebbe diventare una bellissima sirena … Si mette le sue più belle mutandine di pizzo nero, si epila, in modo da avere il corpo liscio di una ninfa e si inietta la sua dose giornaliera di ormoni … prima di sprofondare in un incubo di 60 minuti. E’ così difficile cambiare identità. Il regista, Kim Kyung-Mook lo sa.

Quando fece il suo primo film a 19 anni (Me and doll playing), egli raccontò come da bambino indossava scarpe e abiti di sua madre per somigliare ad una bambola Barbie … era felice perché tutto sembrava possibile. Nell’adolescenza però… capì che i suoi desideri erano impossibili. Realizzò così A Cheonggyecheon dog,, la storia della sirenetta (1) implementato nella città di Seul, sul fiume Cheonggyecheon: fino al 2005, il fiume era solo una fogna a cielo aperto. Trasportava solo  residui fecali e carcasse di cani morti.

Ora lungo le sue rive si possono vedere i marchi del lusso internazionale: Gucci, Prada e Swatch, che attirano mezzo milione di escursionisti ogni giorno … La città riesce nel suo cambiamento, ma non l’uomo. Alla fine del film, l’eroe si ritrova come la sirenetta di fronte alla schiuma bianca del fiume in cui si dissolvono le sue lacrime. “Tu non potrai mai diventare la bellezza dei tuoi sogni”.

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Invitato al Black Movie Festival di Ginevra, Kim Kyung-Mook ha detto: “Quando ho fatto il film, ero abbastanza disperato. La favola di Andersen, La Sirenetta, ha parlato al mio cuore perché descrive perfettamente la mia situazione, quella di un ragazzo che sogna il    principe azzurro, ma a cui il suo corpo impedisce di amare liberamente. Ho avuto l’impressione di essere come questa sirena che vorrebbe avere le gambe al posto della coda di pesce e avrebbe sofferto mille morti pur di essere in grado di cambiare la propria natura… Ella si amputa e soffre invano “. Il Principe non la guarda nemmeno. Lui è interessato solo agli esseri umani reali. Il sacrificio doloroso della sirena si dissolve in una canzone d’amore dalla musica sciropposa che finisce male. Per Kim Kyung-Mook ecco dove finisce la favola di Andersen. In un pozzo senza fondo di tristezza impossibile da risolvere. “Ora sto meglio”, ha detto. Come a scusarsi per aver fatto un film che finisce male: “Ora sto meglio”


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Certo, Hans Christian Andersen non ha scritto storie molto felici. Forse non ha scritto neanche storie per bambini … ma per aspiranti suicidi. O per persone in difficoltà. Quando non stai bene, diventa quasi un conforto leggere che il mondo è cattivo, che anche i ricchi e famosi possono sprofondare nella depressione e che nessuna storia d’amore finisce lontano dal fallimento. Quando non si sta bene, le canzoni strappalacrime, i drammi all’acqua di rose e i messaggi compassionevoli danno un certo sollievo … Diventa allora facile identificarsi nell’eroe sfortunato: la sirenetta (2), la piccola fiammiferaia, Cristo, o altri. “Non sei solo nella sofferenza”. “Asciugati le lacrime, perché in un’altra vita …”. False promesse. Dolci illusioni. Ci si aggrappa a qualsiasi cosa, quando non va bene. Compresa l’idea, così rassicurante, che qui il mondo è fottuto, ma altrove, in un altro mondo, la tua sofferenza sarà premiata.

Hans Christian Andersen sembra non aver mai fatto altro in vita sua che essere infelice e trasformare questa sfortuna in una pia lezione di abnegazione. La docente di Filosofia della Sorbona, Céline-Albin Faivre, lo descrive come una vera vittima del destino: “romantico e dunque infelice, Andersen lo è integralmente, dice. Quando Andersen padre, un povero calzolaio, si sposò, comprò la bara di un morto, e poi ne fece il suo letto nuziale, dove nacque il futuro orfano Hans Christian. Quale miglior inizio per uno scrittore di fiabe? ” Céline-Albin sembra provare tenerezza verso questo “genio malinconico” dalla figura sgraziata e dal viso allungato.

Hans Christian Andersen era brutto. Era di umili origini. Era omosessuale. Era innamorato del figlio del suo benefattore (3). E il figlio del suo benefattore, al quale scrisse lettere a volte attraversate da confessioni non era interessato a lui … Non potendo vivere liberamente la sua omosessualità, Hans Christian Andersen si masturbava e si divertiva a scrivere racconti crudeli impregnati di morale cristiana. “Ci sono vite la cui storia fa parte del lavoro letterario che seguirà, dice Céline-Albin Faivre. (…) Andersen non fa eccezione a questo principio letterario, spesso misconosciuto. E così ha scritto la sua autobiografia, più volte, sotto diverse forme, intrisa di orgoglio e commovente, malgrado tutto. Era solito dire che la sua vita era stata una favola. Tutti i bambini tristi trovano in questa credenza una consolazione”.

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Per consolarsi di essere così infelice, Hans Christian Andersen ha fatto della sua vita un modello da seguire: ha rifiutato i piaceri della carne, non ha conosciuto l’amore e ha vissuto solo nell’amore dell’infinito sublime che è la fede. “La storia della mia vita, ha scritto, dice al mondo quello che mi ha insegnato: c’è un Dio amorevole che organizza tutto per il meglio.”

Andersen quindi non comunica altro messaggio, se non quello della rassegnazione. Una rassegnazione bella, commovente e soprattutto … Assoluta. Assolutamente fatale. “I racconti di Andersen sono senza moralina dice Céline-Albin Faivre, non c’è niente lì, se non un cuore puro che si restringe gradualmente, sempre di più, ma continua a lottare per un altrove”. Questo è Andersen, si tratta di una miscela intima di dolore e di estasi che è l’essenza della vita, dice Krotchka nel suo blog d’arte. Il racconto illustra non tanto un discorso morale (purezza e perseveranza premiate) ma un’allegoria pessimista della vita.

Pessimistico? E’ dire poco. Le storie di Andersen, spesso prive dell’happy end, finiscono male come le leggende dei martiri e descrivono con la stessa gioia sadica, le peggiori torture possibili inflitte a degli innocenti: morsi, ustioni, stanchezza, fame, solitudine, freddo, paura, abusi, disprezzo, abbandono … Mentre nella maggior parte dei racconti popolari, gli eroi riescono a superare le difficoltà affrontate con coraggio, nei racconti di Andersen i protagonisti soffrono “per niente”. I loro sforzi sono vani. Inutile essere coraggiosi o ambiziosi. Condannate ad attraversare ogni girone di questo inferno che è la vita, le vittime di Andersen quasi sempre finiscono per morire, con gli occhi ancora immersi nei loro sogni. Alzando lo sguardo a quel cielo che Andersen descriveva con le parole di un predicatore, come l’unico posto desiderabile in questo mondo. Lassù, dove non si soffre più. Lassù, dove dunque deve essere il paradiso.

Bella lezione di disperazione, davvero. Alla quale si aggrappano migliaia di bambini e adolescenti che considerano il loro corpo come una prigione e come fonte di ogni sofferenza. “Non avrò mai le gambe dei miei sogni” … Mentre se leggessero la storia del brutto anatroccolo, essi saprebbero che … Non è una fatalità.

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Nota 1 / Storia della Sirenetta: La Sirenetta, orfana di madre, vive nelle profondità del mare, con il padre (il re del Mare) e le sue cinque sorelle. La notte dei suoi quindici anni, sale in superficie dell’acqua e si innamora perdutamente di un giovane principe che salva da un naufragio. Per trovarlo, la sirenetta si rivolge ad una strega: ciò che desidera è avere un paio di gambe. La strega impone tre condizioni: in primo luogo, la sirenetta deve accettare di tagliarsi la lingua e diventare muta. In secondo luogo, ad ogni passo, dovrà avere la sensazione di camminare su aghi e lame taglienti. Ultima condizione: se mai il principe si innamorasse di un’altra donna e la sposasse, la sirenetta si trasformerebbe in schiuma. La sirenetta è disposta a fare questi sacrifici e accetta l’offerta. Trova il principe, ma lui non la riconosce. Lui cerca il volto sconosciuto che lo ha salvato dal naufragio. Ma la sirenetta, priva di voce, non può rivelare la sua identità, e il principe finisce per sposare un’ altra. La sirenetta si trasforma in schiuma. Le figlie dell’aria vengono a prenderla in modo che diventi una di loro. Condannata per un certo periodo a diffondere il bene intorno a lei, vive nella speranza di acquisire un’anima eterna e di partecipare, così, alla felicità del genere umano …

Nota 2 / “La Sirenetta è uno dei 166 racconti di Hans Christian Andersen che furono pubblicati nel 1837, nella terza sezione della prima raccolta di storie raccontate ai bambini. Se Andersen ha dedicato molta energia ai suoi racconti, è perché non li considerava solo come mero intrattenimento per i bambini: essi incarnavano le sue teorie estetiche e poetiche, e soprattutto, parlavano della sua anima. “(source : Dossier pédagogique, espace des arts)

Nota 3 / “Ti desidero, come se fossi una bella ragazza calabrese. I miei sentimenti per te sono quelli di una donna. Ma la femminilità della mia natura e il nostro amore deve rimanere segreto”. Nel 1835,  Andersen aveva 30 anni quando scrisse queste parole a Edward Collin, che le riportò nelle sue memorie pubblicate dopo la morte dello scrittore: ” Non ero in grado di rispondere a questo amore, e questo fece molto soffrire Andersen “. (Fonte: Homosexuels et bisexuels célèbres).

Agnès Giard

Articolo originale:
Les contes sexuellement suicidaires d’Andersen, Les 400 culs
Traduzione a cura di Psicolinea.it

Immagine:
Bertall, Wikimedia

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