Bellezza e Nostalgia a Sanremo non fanno dimenticare la crisi

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Il festival quest’anno non sta andando bene e, dopo ogni serata, l’ imprevisto calo degli ascolti produce raffiche di statistiche, discussioni e confronti sullo share delle varie annate e delle varie conduzioni precedenti. Ogni volta si cerca di comprendere le ragioni del crescente insuccesso di questo tipo di spettacolo: Pippo Baudo troppo scontato? La Carrà inadatta alla conduzione sanremese? Fazio troppo buonista? Una ragione vera non si è capita, probabilmente perché le ragioni sono tante ed hanno molto a che fare con i tanti cambiamenti sociali e culturali degli ultimi decenni.

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Quest’anno, oltre tutto, si celebrano i 60 anni della Rai e questo Festival di Sanremo è stato volutamente costruito (almeno per quello che abbiamo fin qui potuto vedere) utilizzando il paradigma della nostalgia.

In questa operazione è evidente l’intento di rievocare i tempi d’oro della televisione italiana e dei suoi straordinari personaggi (quando cioè la tv nazionale era ancora uno strumento al servizio della cultura, del giornalismo e dell’arte e non era stata ancora contaminata, fiaccata e involgarita dalle mode lanciate dalla tv commerciale), ma i risultati mostrano che l’emozione della nostalgia va maneggiata con molta cura e che una sua sollecitazione in un momento sbagliato può dare addirittura risultati controproducenti rispetto alle aspettative.

Il termine “nostalgia” letteralmente significa “sofferenza per la lontananza dalla propria terra natale” (il termine viene infatti da “nòstos“, cioè “tornare a casa, o alla propria terra natale” e “algos“, che si riferisce invece al “dolore, alla sofferenza” dello stare lontani) ma viene piuttosto utilizzato per indicare la preferenza e il rimpianto per persone luoghi e oggetti che erano comuni in un’epoca passata, in genere quando si era giovani (o almeno più giovani).

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Power (1999) l’ha felicemente descritta come il punto di incontro fra due emozioni molto diverse: quelle della tristezza e della gioia, dove però la tristezza è legata al disagio nei confronti del presente e del futuro, mentre la gioia è legata al passato.

Il medico svizzero Johannes Hofer, che coniò il termine “nostalgia” nel XVII secolo, la considerava una vera e propria malattia, individuabile in seguito all’osservazione di una sintomatologia ben precisa: insonnia, battito cardiaco irregolare e disturbi dell’alimentazione. Recenti ricerche hanno provato a rivalutare questa emozione, poiché si è accertato che essa può essere utile per migliorare il tono dell’umore, in quanto limita il senso di solitudine, riduce lo stress, aumenta l’autostima delle persone, così come la loro percezione del significato e dello scopo della vita (diminuendo di conseguenza lo sconforto nei confronti della morte).

In questo senso la nostalgia agirebbe dunque come una sorta di riserva omeostatica, che porta l’individuo a concentrarsi su situazioni positive vissute in precedenza, permettendogli di viaggiare mentalmente verso condizioni preferibili rispetto a quelle sperimentate nel presente. Questi studi hanno dimostrato inoltre che le maggiori nostalgie si provano per gli eventi più significativi della propria vita e per le persone con le quali li si è condivisi (amici, parenti, partners). I ricordi nostalgici più citati riguardano le vacanze trascorse in famiglia, i viaggi fatti con gli amici, il giorno della laurea e delle nozze, le migliori feste di compleanno.

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Per indurre l’emozione della nostalgia nei partecipanti agli esperimenti psicologici condotti in laboratorio, i ricercatori usano in particolare la musica, anche se molte altre esperienze sensoriali possono avere un effetto similare. Per fare un esempio letterario, Proust raccontò il suo forte stato di nostalgia immergendo un biscotto madeleine in una tazza di te, ma vi sono innumerevoli altri racconti di nostalgie scatenate da un odore, un sapore, una somiglianza trovata in una persona, una situazione, una cosa.

La musica tuttavia è, fra questi, lo strumento sicuramente più efficace, anche perché ha effetti potenti sulla maggior parte delle persone. Schulkind, Hennis e Rubin (1999) hanno a questo proposito documentato il potere delle canzoni nel riportare alla mente momenti ed eventi precedenti e, più recentemente, Janata, Tomic e Rakowski (2007) hanno verificato che una delle risposte emozionali più frequentemente riportate dopo l’ascolto della musica, anche da parte di studenti universitari, è proprio la nostalgia, dimostrando che non occorre essere vecchi per essere nostalgici.

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Perché allora, stando ai dati di ascolto del Festival di Sanremo, i giovani si sono disinteressati della kermesse e gli anziani hanno comunque subito un forte calo, soprattutto fra il pubblico di sesso maschile e nelle fasce culturalmente più elevate?

Una spiegazione potrebbe essere questa: il “si stava meglio nel passato” funziona, paradossalmente, se il presente non è poi così male: se tutto va bene, o abbastanza bene, è più facile per le persone scavalcare i limiti della propria coscienza ed il senso della realtà e lasciarsi andare al sogno, al ricordo, alla fantasia… Quando invece la realtà che si vive è fonte di preoccupazioni e di ansie, il ricordo e la nostalgia potrebbero apparire come dei pensieri negativi, interferenti e disturbanti, che impediscono alle persone di concentrarsi sul presente, per far fronte alle difficoltà.

Lo psicologo umanista Abraham Maslow teorizzò negli anni quaranta del secolo scorso la sua famosa piramide, in cui mostrava che, prima di arrivare ad essere ciò che veramente si desidera essere (autorealizzazione) occorre soddisfare una serie di altri bisogni, che sono anzitutto fisiologici (fame, sete, ecc.), di sicurezza e di protezione, di appartenenza (affetti, relazioni), di successo personale (nel lavoro o in altre attività).

Ed ecco allora che la bellezza, l’etica che si ricongiunge all’estetica e tutti gli altri stupendi temi che Fazio e il suo team autorale hanno deciso di trattare in questo festival fanno pensare ai musicisti che cercano di allietare i passeggeri del Titanic, mentre la nave sta affondando.

Dr. Giuliana Proietti

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Pubblicato anche su Huffington Post

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