Competizione femminile: esiste davvero?

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La maggior parte dei crimini violenti è commessa da uomini contro altri uomini: ciò nonostante, quando si parla di competizione all’interno del medesimo genere sessuale, si parla di competizione fra donne: della loro incapacità di provare vera amicizia verso  le congeneri e dell’uso del pettegolezzo come arma letale per distruggerle.

A questo proposito, il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1851),  dichiarò che il sentimento tra estranei o conoscenti era fra gli uomini di “mera indifferenza”; fra le donne assumeva invece la valenza di “vera inimicizia”.

Allo stesso modo, lo scrittore William Rounseville Alger, in L’amicizia fra donne (1868), concluse: “Sono stato spesso colpito sia dal piccolo numero di esempi registrati di affetto tra le donne […] sia dalla comune convinzione espressa, che forti ostacoli naturali rendono l’amicizia un’esperienza relativamente debole e rara fra loro”.

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Cesare Lombroso, antropologo criminale, sostenne invece ne “La donna criminale, la prostituta e la donna normale”, del 1893, che “a causa della latente antipatia delle donne l’una per l’altra, eventi banali provocano feroci rancori; e per l’irascibilità delle donne, queste occasioni portano rapidamente all’insolenza e agli assalti. […] Le donne di alta classe sociale fanno la stessa cosa, ma le loro forme più raffinate di insulto non le portano in tribunale”.

Si è sempre ritenuto che la principale ragione per cui le donne non riescono ad avere una vera “sorellanza” fra loro sia la competizione sessuale per l’accoppiamento. Si è detto che questa competizione fosse di origine biologica,  essendo un istinto necessario per assicurarsi le cure genitoriali da parte del partner, per garantire la sopravvivenza della prole.

Lo stesso Lombroso fu uno dei primi a sposare questa visione darwiniana della vita e delle relazioni femminili, affermando che la competizione per la conquista del maschio portava ad un odio istintivo tra femmine, sia del genere umano, sia nel mondo animale.

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Tutte queste teorie non sono ancora state ancora realmente dimostrate sul piano scientifico, ma sono ancora molto diffuse. Le stesse ricerche sono fatte in modo da confermare vecchi stereotipi, che prendono sempre a modello gli aspetti biologici dell’esistenza, trascurando i fattori culturali.

Un esempio: in uno studio del 2013, i ricercatori della McMaster University dell’Ontario hanno invitato coppie di studentesse in un laboratorio, con la scusa di discutere di amicizia femminile. Il vero esperimento tuttavia era quello di osservare queste studentesse nel momento in cui entrava in stanza una terza donna, che i ricercatori hanno descritto come “basso rapporto vita-fianchi, pelle chiara e grande seno”.La ragazza entrava in stanza per cercare il suo professore.

Risultati: se la terza donna indossava maglietta e jeans non vi erano commenti negativi da parte delle altre donne; se invece indossava un top aderente e una gonna ultra corta, questa visione generava una reazione molto diversa, categorizzata dai ricercatori come “ostile e aggressiva”, da parte delle ignare partecipanti all’esperimento, che fissavano l’intrusa, roteando gli occhi e facendo smorfie di disapprovazione.

Questo studio si proponeva di offrire ulteriori prove sulla competizione sessuale femminile, che ha lo scopo  biologico di “eliminare la concorrenza” per la conquista del maschio dominante. I risultati volevano anche offrire prove aggiuntive dell’idea che più una donna è attraente, più è probabile che lei diventi un bersaglio per il disprezzo delle altre donne.

In realtà questo studio, come altri similari, non dimostra affatto che le donne siano fra loro naturalmente nemiche: dimostra che le due ragazze hanno semplicemente assistito ad una scena ridicola, in cui una persona si è presentata vestita in un modo assolutamente inappropriato alla situazione. Sarebbe sicuramente accaduta la stessa cosa se un ragazzo palestrato si fosse presentato in canottiera a cercare la sua Prof, nelle stanze dell’Università, mentre lei stava parlando con altri ragazzi di amicizia maschile.

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Le donne, inoltre, grazie all’emancipazione femminile, dovrebbero ormai  sentirsi finalmente liberate dal fare affidamento sul soggetto maschile per badare alla progenie: sono argomenti che non convincono più e forse non dovrebbero essere più queste la basi di partenza dell’ indagine scientifica moderna.

Gli studi femministi sull’argomento sono fatti con altri criteri. Ad esempio, essi sottolineano che la competizione femminile sia stata promossa da una struttura di potere patriarcale, che beneficiava di una divisione tra le donne. La natura può aver creato disuguaglianza e ingiustizia tra i sessi, per cui è plausibile che nel passato vi sia stata la competizione femminile per permettere la selezione sessuale e la sopravvivenza.

Le femministe sostengono tuttavia che l’ambiente sociale oggi svolge un ruolo molto più importante, nel plasmare le persone, rispetto a quello biologico… Allo stato attuale  sembra dunque inopportuno richiamarsi alle leggi naturali, dal momento che un ragionamento cognitivamente complesso è in grado di educare gli individui a superare le differenze di genere: una vera parità fra i sessi eliminerebbe in partenza ogni forma di competizione femminile, e forse anche maschile.

Dr. Giuliana Proietti

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