Fabrizio de André

Biografia di Fabrizio De André, a cura di Lanfranco Bruzzesi

Fabrizio De André può essere considerato, senza ombra di dubbio, come il massimo rappresentante della musica d’autore in Italia e, volendo fare un paragone per niente ardito con Bob Dylan, possiamo constatare che l’arte e la vita del nostro è stata contraddistinta da una medesima, se non addirittura maggiore, coerenza, che lo ha portato lontano dallo show business, dalla spettacolarità, per cantare le solitudini e le inquietudini della piccola gente e per questo entrambi sono stati sottoposti spesso a feroci critiche da parte della stampa ufficiale.

Il cantautore nasce il 18 febbraio 1940 a Genova e precisamente a Pegli, la zona occidentale della città. Scoppiata la guerra, la sua famiglia, madre e fratello maggiore di tre anni e otto mesi, si rifugia nella campagna di Revignano d’Asti, mentre il padre, antifascista, si dà alla macchia.

Il ritorno a Genova avviene solo nel 1945 e qui Fabrizio comincia a frequentare le elementari poi le medie e quindi, per sua precisa scelta, il liceo comunale Cristoforo Colombo, per non incorrere a confronti con il fratello iscritto invece all’Andrea Doria che “prendeva 10 anche in educazione fisica oltre che in filosofia e in italiano”.

Poi frequenta per un po’ Medicina, quindi Lettere per poi iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza, dove dà 18 esami ma, la passione e l’interesse per la musica lo portano a impegnarsi poco allo studio e quindi ad abbandonare tutto. Intanto nel 1962 si sposa con Enrica, “Puny”, dalla quale ha il suo primo figlio, Cristiano, e per campare accetta di lavorare negli istituti privati di indirizzo professionale per ragionieri e geometri del padre.

Fabrizio de Andre'

Suona la chitarra e il violino e scrive le prime ballate ispirandosi a George Brassens, “La guerra di Piero”, “Carlo Martello”, “La ballata del Michè”, “Il testamento” tutte canzoni che vengono più o meno censurate dalla burocrazia radiotelevisiva. Poi…

…poi nel 1965 gli capita di scrivere “La canzone di Marinella”:

Questa di Marinella è la storia vera/ che scivolò nel fiume a primavera/ ma il vento che la vide così bella/ dal fiume la portò sopra una stella – Sola senza il ricordo di un dolore/ vivevi senza il sogno di un amore/ ma un re senza corona e senza scorta/ bussò tre volte un giorno alla tua porta…

Grazie all’interpretazione di Mina arrivano “un sacco di soldi”, seicentomila lire in un semestre, e allora si licenzia dal lavoro e con la moglie si trasferisce in Corso Italia, quartiere chic di Genova e si dedica a quella che ha capito essere forse la sua arte: la poesia in musica.

Nello stesso anno viene pubblicato in un album la prima raccolta di ballate. Nel 1967 è la volta di “Volume 1” dove il brano “Preghiera in gennaio” si ispira alla tragica vicenda di Luigi Tenco: …signori benpensanti/ spero non vi dispiaccia/ se in cielo, in mezzo ai Santi/ Dio, fra le sue braccia/ soffocherà il singhiozzo/ di quelle labbra smorte/ che all’odio e all’ignoranza/ preferiscono la morte…

Comincia a ricevere già qualche critica dai “benpensanti” che non vedono di buon occhio la presenza nei suoi testi di riferimenti biblici, di Gesù e della Madonna trattati in maniera “pasoliniana”. Nel brano “Si chiamava Gesù” canta: E morì come tutti si muore/ come tutti cambiando colore/ non si può dire che sia servito a molto/ perché il male dalla terra non fu tolto/ Ebbe forse un po’ troppe virtù/ ebbe un volto ed un nome: Gesù./ Di Maria dicono fosse il figlio/ sulla croce sbiancò come un giglio.

Nel 1967 è la volta di “Tutti morimmo a stento” dove i brani si susseguono senza pause di silenzio. Cambia la struttura ma non il contenuto sempre riguardante gli eroi al contrario: drogati, prostitute, criminali e possiamo dire che fino alla morte saranno questi i temi che prevarranno nelle canzoni di De André, gli emarginati dalla società, cioè quelli appartenenti a minoranze etniche, sessuali etc.

Dopo il “Volume III”, che è una sorta di antologia con alcuni brani nuovi, veniamo all’album che il cantautore considera forse il migliore della sua produzione, “La Buona Novella” basato sui testi dei vangeli apocrifi, cioè quegli scritti non riconosciuti dalla Chiesa come veritieri e in cui sono privilegiati più gli aspetti umani che quelli divini di Gesù e della Madonna. Ci mette sei mesi per finirlo e musicalmente contiene in nuce l’interesse verso sonorità orientaleggianti che poi saranno il punto di forza dell’ album “Creuza de Ma”. Ne “Il testamento di Tito” il cantautore, per bocca di uno dei due ladroni crocifissi con Gesù, per l’appunto Tito, dice: “ Non avrai altro Dio all’infuori di me – spesso mi ha fatto pensare:/ genti diverse venute dall’est/ dicevan che in fondo era uguale./ Credevano a un altro diverso da Te/ e non mi hanno fatto del male/ …Il quinto (comandamento) dice: – Non devi rubare – / e forse io l’ho rispettato/ vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie/ di quelli che avevan rubato:/ ma io, senza legge, rubai in nome mio,/ quegli altri, nel nome di Dio…

A questo album ne segue un altro per certi versi simile, nel senso che si tratta di un concept album tratto liberamente dallo “Spoon river Anthology” di Edgar Lee Masters i cui pezzi hanno tutti un comune filo conduttore: sono alcuni personaggi di questo paese che, morti, si esprimono con estrema sincerità perché non hanno più da aspettarsi niente e quindi parlano come da vivi non sono stati mai capaci di fare. Due i sentimenti sottesi ai racconti che fanno questi personaggi: l’invidia e la scienza. Bellissimo è il pezzo “Un malato di cuore”, vera poesia in musica. Del 1973 è l’album “Storia di un impiegato” in cui forse non viene raggiunto un equilibrio armonioso fra parole e musica per il fatto che è troppo evidente la smania di prendere un posizione assai critica nei confronti di certa contestazione dell’epoca, ma gli avvenimenti degli anni successivi gli daranno ragione su tante considerazioni.

L’anno successivo De André pubblica “Canzoni” in cui rende omaggio ai suoi guru musicali di sempre: Brassens, Dylan, Cohen interpretando in maniera del tutto personale i loro pezzi. Nel 1975, dalla collaborazione con Francesco De Gregori, nasce l’album “Volume VIII” i cui pezzi sono eseguiti con poca strumentazione e rivelano un ermetismo  che caratterizza più la poesia del cantautore romano che non quella del nostro.

In un pezzo da lui molto amato che è “Amico fragile”, sembra usare la tecnica del flusso di coscienza (stream of consciousness) di certa letteratura anglosassone, come Virgina Woolf o James Joyce.

Intanto per quanto riguarda la vita privata, per la quale il cantautore ha sempre preteso una certa privacy, decide di trasferirsi, con la nuova compagna Dori Ghezzi, in Sardegna e precisamente nella tenuta dell’Agnata vicino a Tempio Pausania dove vuole dedicarsi al lavoro della terra.

Nel 1977 nasce Luisa Vittoria detta “Luvi” e nel 1978 esce l’album “Rimini”, ricco di nuove sonorità e contenente notevoli canzoni come “Sally”, “Andrea”, la stessa “Rimini”. Del resto ogni album sembra un gioiellino, tanta è la cura che ne fa il cantautore anche dal punto di vista musicale avvalendosi di musicisti di alto spessore.

Nell’agosto del 1979 Fabrizio De André e Dori Ghezzi vengono sequestrati da una banda di “Cherokee” come li definisce più tardi lo stesso cantautore, “ che prima ancora di volere i soldi volevano dimostrare di avere il coraggio di rapire una persona”. La prigionia dura quattro mesi e alla fine della vicenda i suoi rapitori vengono tutti catturati. Il sequestro ispira l’album senza titolo denominato “L’indiano” che vede la luce nel 1981 e per il quale si avvale della collaborazione di Massimo Bubola, grande cantautore rocker, che meriterebbe maggiore fortuna in questo panorama musicale italiano odierno veramente scarso di valide alternative ai cantautori “classici”.

Ma è nel 1984 che De André mette d’accordo tutti, critici musicali e non, realizzando l’album “Creuza de Mà” con l’aiuto di Mauro Pagani, ex Pfm. I pezzi sono cantati in genovese, incomprensibili al grande pubblico, che deve ricorrere alle traduzioni riportate nell’album; ma la voce è musica e quando si ascolta non si può non rimanere affascinati dalla magia che essa emana. Gli arrangiamenti musicali evocano suoni ed emozioni “mediterranei” con l’utilizzo di strumenti quali l’oud arabo, il bouzouki greco, lo shannaj turco. Significativo il pezzo “Sidun” in cui viene raccontata la tragedia palestinese attraverso la morte di un bambino nel Libano.

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Nel 1989 Fabrizio De André sposa la compagna Dori Grezzi. Nel 1990 pubblica “Le nuvole” avvalendosi anche in questo lavoro del prezioso aiuto di Mauro Pagani. L’album viene accolto con un consenso inusuale sia dalla critica che dal pubblico malgrado in esso si privilegi maggiormente il contenuto, le parole, di carattere prettamente satirico, piuttosto che la musica.

Arriviamo alla ultima sua opera datata 1996 “Anime salve”. L’album è un capolavoro di bellezza e rappresenta senza dubbio la “summa” di tutta l’opera del cantautore genovese. La musica e le parole sono un tutt’uno ben amalgamato. Ci partecipa Ivano Fossati che canta anche in due pezzi.

All’album segue un tour che porta il cantautore in diversi palasport d’Italia dove fa sempre il tutto esaurito.

Ormai è un mito, una leggenda, ma lui è sempre sé stesso, come agli esordi ed è lì a ribadire, ad ogni suo concerto, la poca attenzione che rivolgiamo noi tutti a queste “anime salve” cioè agli zingari rom, alle prostitute, ai travestiti, ai poveracci, in generale agli emarginati.

La società ci ha anzi insegnato a provare fastidio, sdegno nei loro confronti perché sono genti che non si sono fatte sottomettere che hanno conosciuto, come i rom, anche un olocausto silenzioso (perché nessuno se ne è curato) fatto di mezzo milione di vittime durante la II guerra mondiale; vivono la loro diversità in maniera dignitosa, quasi con orgoglio e ciò paradossalmente consente loro di sentirsi più liberi. In questi concerti vengono impiegati anche dei mimi che con una scenografia curata nei minimi particolari introducono alcuni pezzi e sono presenti il figlio Cristiano che si esibisce con diversi strumenti​ e l’altra figlia, Luvi​ che fa da terza corista​.

L’ 11 gennaio 1999 Fabrizio De André, malato già da diverso tempo, muore all’Istituto dei Tumori di Milano e ai suoi funerali, che si svolgono a Genova, partecipano oltre 10.000 persone.

(n.d.a.) De André non voleva raccontarsi tanto, non amava il pettegolezzo ed è questo il motivo per cui non mi sono soffermato tanto su certi particolari della sua vita che non avrebbero aiutato a capire l’artista. Meglio senza dubbio i testi delle canzoni che stanno lì a spiegarci tante cose.

SIDONE ( trad.di Sidun da “Creuza De Ma)
Il mio bambino il mio / il mio / labbra grasse al sole / di miele di miele /Tumore dolce benigno / di tua madre / spremuto nell’afa umida / dell’ estate dell’ estate /E ora grumo di sangue orecchie / e denti di latte / e gli occhi dei soldati cani arrabbiati /Con la schiuma alla bocca / cacciatori di agnelli / a inseguire la gente come selvaggina /Finché il sangue selvatico / non gli ha spento la voglia / e dopo il ferro in gola i ferri della prigione /E nelle ferite il seme velenoso della deportazione / perché di nostro dalla pianura al modo /Non possa più crescere albero né spiga né figlio / ciao bambino mio l’eredità / è nascosta /In questa città / che brucia che brucia / nella sera che scende /E in questa grande luce di fuoco / per la tua piccola morte.

UN MALATO DI CUORE ( da “Non al denaro non all’amore né al cielo”)

Cominciai a sognare anch’io insieme a loro / poi l’anima d’improvviso prese il volo-Da ragazzo spiare i ragazzi giocare / al ritmo del tuo cuore malato /E ti viene la voglia di uscire e provare / che cosa ti manca per correre al prato, /E ti tieni la voglia, e rimani a pensare / come diavolo fanno a riprendere il fiato. /Da uomo avvertire il tempo sprecato / a farti narrare la vita dagli occhi /E mai poter bere alla coppa d’un fiato / ma a piccoli sorsi interrotti, /E mai poter bere alla coppa d’un fiato / ma a piccoli sorsi interrotti.Eppure un sorriso io l’ho regalato / e ancora ritorna in ogni sua estate /Quando io la guidai o forse fui guidato / a contarle i capelli con le mani sudate. /Non credo che chiesi promesse al suo sguardo, / non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce, /Quando il cuore stordì e ora no, non ricordo / se fu troppo sgomento o troppo felice, /E il cuore impazzì e ora no, non ricordo, / da quale orizzonte sfumasse la luce /E fra lo spettacolo dolce dell’erba, / fra lunghe carezze finite sul volto, /Quelle sue cosce color madreperla / rimasero forse un fiore non colto. /Ma che la baciai, questo sì, lo ricordo, /col cuore ormai sulle labbra, /Ma che la baciai, per dio sì, lo ricordo, / e il mio cuore le restò sulle labbra /E l’anima d’improvviso prese il volo / ma non mi sento di sognare con loro, /No non mi riesce di sognare con loro.

Lanfranco Bruzzesi

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