Federico Fellini, regista surreale, poetico e visionario

Federico Fellini, regista surreale, poetico e visionario


Federico Fellini è una delle figure più interessanti del cinema italiano. Nella sua opera riuscì a portare, con grande intensità, i suoi ricordi autobiografici, trasformandoli in arte surreale, poetica e visionaria. Il suo stile, satirico, malinconico e onirico, si esprime oggi con una sola parola: ‘felliniano’…

Nacque a Rimini, il 20 Gennaio del 1920, da Ida Barbiani, casalinga, e da Urbano Fellini, rappresentante di commercio nel settore del caffè e delle conserve alimentari. Il padre era romagnolo, di Gambettola, la madre romana: non a caso Roma e la Romagna divennero i due punti cardinali della sua vita.

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Federico fu il primogenito dei Fellini: nel 1921 infatti nacque suo fratello Riccardo, e nel 1929 la sorella Maddalena. Fu un bambino tranquillo, interessato agli studi, soprattutto al disegno e alla lettura dei fumetti del ‘Corriere dei Piccoli’. Ricevette una rigida educazione cattolica, sia in famiglia che in Parrocchia, che poi influenzerà non poco i suoi film.

A dodici anni si racconta che scappò di casa per seguire il circo, ma fu subito riportato a casa dai suoi genitori. L’attrazione per il circo tuttavia gli rimase per tutta la vita.

Come scuola superiore scelse il Liceo Classico, dove strinse amicizia con Luigi Benzi, detto Titta, che resterà suo amico per tutta la vita.

A 17 anni pubblicò i suoi primi disegni, firmati: ‘Avanguardista Federico Fellini’. Sono delle caricature dei partecipanti ad un campeggio organizzato dal Partito Nazionale Fascista. La sua propensione per il disegno e la caricatura era nota nella zona, tanto che il gestore del cinema Fulgor di Rimini gli chiese di disegnare i ritratti degli attori partecipanti ai film in programmazione, per farne delle locandine.

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In seguito Fellini, con il suo amico Demos Bovini (sotto l’insegna FEBO, iniziali dei loro nomi), aprì una bottega di ritratti per i turisti che in quel periodo cominciavano ad affollare la riviera. Dopo la licenza liceale pubblicò ancora vignette per La Domenica del Corriere e cominciò a collaborare con un giornale satirico fiorentino, 420, per la pubblicazione di disegni e di brevi racconti.

A 19 anni si trasferì a Roma con la madre e la sorella, presso i parenti della madre e si iscrisse all’Università. Il padre aveva desiderato per Federico una carriera da avvocato. Federico si iscrisse infatti alla Facoltà di Giurisprudenza: non conseguì mai la laurea e neanche frequentò mai le lezioni, ma il suo status di studente, se non altro, gli permise di evitare l’arruolamento nell’esercito di un’Italia che si apprestava ad entrare in guerra. Fu anche un modo per tentare la carriera del giornalismo.

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Dopo un anno di permanenza a Roma la madre e la sorella tornarono a Rimini, dove era rimasto il padre. Federico cominciò a collaborare con giornali importanti, come il Marc’Aurelio, edito dalla Rizzoli, un bisettimanale di grande successo (una delle poche voci di satira al tempo del regime) e con la radio, per la scrittura di scenette e gags. Conobbe il mondo dello spettacolo attraverso l’amicizia con Aldo Fabrizi, comico romano, per il quale Federico cominciò a scrivere copioni per spettacoli, varietà e film.

Nel 1942 incontrò la donna della sua vita: Giulietta Masina, giovane attrice di prosa che interpretava alla Radio alcune delle storie scritte da Federico nella trasmissione Terziglio. Fece la sua prima esperienza di regia in Africa, a Tripoli, per Gli ultimi Tuareg o I cavalieri del deserto, ma la troupe dovette rientrare precipitosamente a Roma, dove l’esercito inglese stava per occupare la città.

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Nel 1943 fu tra gli sceneggiatori del film Campo de’ fiori diretto da Mario Bonnard con Aldo Fabrizi e Anna Magnani; lavorò poi per Apparizione diretto da Jean De Limur con Alida Valli e Amedeo Nazzari; L’ultima Carrozzella diretto da Mario Mattioli, con Aldo Fabrizi e Anna Magnani; Chi l’ha visto? diretto da Goffredo Alessandrini,con Virgilio Riento e Valentina Cortese.

Il 30 Ottobre del ‘43 sposò Giulietta Masina in una cerimonia privata, con pochi invitati, sicuramente per amore, ma anche per evitare la chiamata alla leva. Nel 1944 aprì a Roma, da poco liberata, un negozio di ritratti e caricature insieme con altri amici caricaturisti, per i soldati americani, che potevano così mandare a casa i loro ritratti. Si chiamava The Funny Face Shop: fu un successo. Nel negozio entrò un giorno Roberto Rossellini e dopo questo incontro i due cominciarono a collaborare nel cinema.

Scrisse la sceneggiatura del film Roma città aperta di Rossellini, lavorando in particolare al personaggio interpretato dall’amico Aldo Fabrizi. Il 22 Marzo 1945 gli nacque l’unico figlio, che visse solo due settimane, morendo per insufficienza respiratoria. In compenso, la sua carriera si avviava a raggiungere il massimo livello: Roma città aperta venne giudicato un capolavoro e Fellini divenne aiuto-regista di Rossellini, partecipando alla sceneggiatura e alla realizzazione del film Paisà. Era nato il neorealismo italiano, cui contribuirono anche registi quali Vittorio De Sica e Luchino Visconti.

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Nel 1947 fu tra gli sceneggiatori dei film: Il passatore diretto da Duilio Coletti; de Il delitto di Giovanni Episcopo diretto da Alberto Lattuada con Aldo Fabrizi; Senza pietà diretto da Alberto Lattuada con Giulietta Masina e L’ebreo errante diretto da Alfredo Alessandrini.

Nel 1948 debuttò anche come attore, con la barba ed i capelli biondi, nella parte di un vagabondo creduto San Giuseppe ne Il miracolo ed in una delle due parti del film L’amore diretto da Roberto Rossellini, con Anna Magnani. Partecipò alle sceneggiature dei film In nome della legge diretto da Pietro Germi; Il mulino del Po diretto da Alberto Lattuada; Città dolente diretto da Mario Bonnard.

Nel 1949 fu tra gli sceneggiatori del film Francesco giullare di Dio di Roberto Rossellini. Qui fece i conti con il suo ambiguo rapporto con la religione e la spiritualità; nel 1950 fu tra gli sceneggiatori dei film Il cammino della speranza diretto da Pietro Germi e Persiane chiuse diretto da Luigi Comencini con Giulietta Masina.

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Nel 1950 diresse, in coppia con Alberto Lattuada, il film Luci del varietà (tra gli interpreti Giulietta Masina). In questo film fuse magistralmente l’esperienza neorealistica con l’arte surrealista che lo caratterizzerà nei film successivi. Il film ricevette buone recensioni, ma fu un flop e, poiché era stato prodotto con i soldi dei due registi, questo portò i due  una debacle finanziaria che contribuì a raffreddare definitivamente i rapporti tra i due.

Nel 1951 collaborò all’ideazione del film Europa ’51 diretto da Roberto Rossellini, protagonista Ingrid Bergman. Fu tra gli sceneggiatori dei film La città si difende diretto da Pietro Germi, Cameriera bella presenza offresi diretto da Giorgio Pastina, Il brigante di Tacca del Lupo diretto da Pietro Germi.

Finalmente arrivò il suo primo film, nel 1952: Lo sceicco bianco, protagonista Alberto Sordi, da un soggetto di Michelangelo Antonioni e Ennio Flaiano coautore della sceneggiatura. Comincia con questo film anche la collaborazione con il musicista Nino Rota, che lo accompagnò anche nelle produzioni successive. Anche questo film fu un disastro al botteghino e l’autorevole rivista cinematografica “il Bianco e il Nero” ne parlò in questi termini: “…un film talmente scadente per grossolanità di gusto, per deficienze narrative e per convenzionalità di costruzione da rendere legittimo il dubbio se tale prova di Fellini regista debba considerarsi senza appello”

Nel 1952-53 diresse I vitelloni, che parlava della vita di provincia di un gruppo di ragazzi del riminese: fu il suo primo film ad avere una distribuzione estera, francese per la precisione. Era arrivato finalmente il successo: il film è campione di incassi.

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Fellini proseguiva nel frattempo anche la carriera di sceneggiatore, nel film Cinque poveri in automobile diretto da Mario Mattioli, protagonisti Aldo Fabrizi, Eduardo de Filippo, Walter Chiari.

ll primo Leone d’Argento arrivò per I vitelloni alla Mostra del Cinema di Venezia, il quale però in questa occasione ricevetti non solo applausi, ma anche molte critiche. Nel 1954 vinse un Leone d’Argento alla Mostra di Venezia per il film La strada, suo primo film di vastissima risonanza internazionale che riceverà oltre cinquanta premi. In questo film unì ancora, con il suo personalissimo stile, grottesco e sublime. Il film racconta lo strano rapporto fra Gelsomina (Giulietta Masina) e Zampanò (Anthony Quinn), due artisti girovaghi.

Nel 1955 diresse Il bidone, un nuovo insuccesso; nel 1956 Le notti di Cabiria, sempre con Giulietta Masina, un film che piacque moltissimo a pubblico e critica, sempre ambientato nel mondo degli umili. Lo stesso anno vinse il primo Oscar per La strada, miglior film in lingua non inglese, facendo di sua moglie una star internazionale. Purtroppo nello stesso periodo perse il padre Urbano, morto a Rimini per un attacco cardiaco.

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Nel 1957 Fellini fece il suo primo viaggio negli Stati Uniti, per ritirare l’Oscar vinto con La strada, al quale seguì un secondo Oscar per Le notti di Cabiria, miglior film in lingua non inglese. Fu in questo periodo tra gli sceneggiatori del film Fortunella diretto da Eduardo De Filippo, protagonista Giulietta Masina.

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Nel 1958 scrisse con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli la sceneggiatura de La dolce vita e conobbe Marcello Mastroianni, che diventerà il suo maggior interprete e alter-ego. Nel 1959 iniziò a girare La dolce vita: quando il film venne presentato a Milano, l’anno successivo, Fellini ricevette fischi, insulti, proteste e perfino sputi.

Il film, che abbandonava nettamente gli schemi narrativi tradizionali, destò scalpore e polemiche perché, oltre a illustrare situazioni fortemente erotiche, con la protagonista svedese Anita Ekberg (famosa la scena del bagno nella Fontana di Trevi), descriveva in modo sardonico una certa decadenza morale che strideva con il benessere economico ormai acquisito dalla società italiana. Il film vinse la Palma d’Oro al festival di Cannes e divenne una pietra miliare nella storia del cinema, anche se la Chiesa Cattolica inizialmente non lo gradì.

Nel 1962 diresse 8 ½, forse il suo film più importante, ambientato nel mondo del cinema e autobiografico: è la storia di un regista che non ricorda più quale film voleva girare. Nel 1963, al Festival di Mosca, vinse all’unanimità il Gran Premio per 8 ½, cui seguirà l’anno successivo il terzo Oscar per il miglior film in lingua non inglese.

Nel 1965 diresse Giulietta degli spiriti, protagonista la moglie, suo primo lungometraggio a colori. Ancora un successo piuttosto tiepido, definito dalla critica cattolica “sgradevole impasto fra sacro e profano”. Lo scarso successo del film fu la causa della rottura fra Fellini e Flaiano.

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La depressione di cui aveva sempre sofferto, portò Fellini a sperimentare, sotto controllo medico, l’LSD. Nasce in questo periodo anche l’interesse per il soprannaturale, la magia, la parapsicologia.

Nel 1966-67 preparò Il viaggio di G. Mastorna, film il cui cammino fu segnato da straordinarie difficoltà, dissensi con i produttori, indisponibilità di attori, contese giudiziarie, ostacoli; per ‘esaurimento nervoso’ il regista venne ricoverato in clinica e molti pensarono che si trattasse di una malattia diplomatica per evitare di girare il film, al quale poi infatti rinunciò, pagando costose penali. Nel 1968-69 diresse Fellini: a Director’s Notebook (Block-notes di un regista), special televisivo di un’ora e il Satyricon, altro film con scarso successo.

Nel 1970 diresse I clown per la RAI e nel 1971 Roma, cui seguì, nel 1972-73 Amarcord: questi film rappresentano una ricerca delle origini della propria poetica, nel ricordo e nell’esplorazione delle sue tre città dell’anima: il Circo, la Capitale e Rimini.  Amarcord («mi ricordo» in dialetto romagnolo) vinse nel 1974 il quarto Oscar di Fellini come miglior film in lingua non inglese. Non mancarono le critiche: a molti Fellini sembrava diventato troppo eccentrico ed anche troppo indulgente con se stesso, con un eccesso di autocitazioni ed autobiografia.

Fellini comparve, nella parte di se stesso, nel film C’eravamo tanto amati di Ettore Scola. Nel 1975-76 diresse Casanova: il film piacque in realtà solo ai giapponesi. Nel 1977-79 girò La città delle donne e Prova d’orchestra, film di scarso successo. Nel 1980 pubblicò Fare un film, raccolta di note sul proprio lavoro e appunti autobiografici, edito da Einaudi. Nel 1982-83 diresse E la nave va. Ma anche questo film non andò. Divenne difficile addirittura trovare i finanziamenti per fare nuovi film.

Nel 1984 debuttò nella pubblicità per Campari; lo stesso anno perse l’anziana madre.

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Nel 1985 diresse Ginger e Fred e ricevette il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia. Nel 1988 pubblicò il libro Un regista a Cinecittà; nel 1989 diresse La voce della luna, il suo ultimo film completo, il più visionario di tutti, con Roberto Benigni e Paolo Villaggio fra gli interpreti. Questo fu il suo testamento artistico

Nei primi anni ’90 si battè pubblicamente e appassionatamente contro le interruzioni pubblicitarie dei film mandati in onda dalle televisioni; perse in quell’anno anche il fratello Riccardo. Nel 1993 ricevette il quinto Oscar, alla carriera: a Los Angeles lo affiancarono Sophia Loren e Marcello Mastroianni, mentre Giulietta Masina era tra gli spettatori.

A giugno del ’93 il regista si sottopose a tre interventi chirurgici a Zurigo per ridurre un aneurisma dell’aorta addominale. Tuttavia vi furono delle complicanze post-operatorie e ad agosto venne ricoverato d’urgenza in ospedale per un ictus cerebrale destro con un’emiparesi sinistra. Ad ottobre Fellini si concesse un pranzo domenicale fuori dall’ospedale, ma a causa della disfagia indottagli dai pregressi ictus, un frammento di mozzarella gli ostruì la trachea causandogli danni irreparabili al cervello.

Il 28 ottobre Fellini si aggrava ulteriormente: il suo encefalogramma è piatto. Il 31 ottobre del 1993, alle 12, il grande regista cessa di vivere. Il giorno prima aveva compiuto 50 anni di matrimonio con Giulietta Masina.

Lo ricordiamo oggi, a 25 anni dalla morte.

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Fellini e Jung

Fellini fu un grande estimatore di Jung. Vi riportiamo di seguito alcune sue considerazioni sullo psicoanalista svizzero.

  • La lettura di qualche libro di Jung, la scoperta della sua visione della vita, ha avuto per me un carattere di una gioiosa rivelazione, una entusiasmante, inattesa, straordinaria conferma di qualcosa che mi sembrava di avere in piccola parte immaginato.[…]
  • Jung è un compagno di viaggio, un fratello più grande, un saggio, uno scienziato veggente […]
  • L’umiltà scientifica di Jung [rispetto a Freud] di fronte al mistero della vita mi sembra più simpatica.
  • I suoi pensieri , le sue idee, non pretendono di diventare dottrina, ma solo di suggerire un nuovo punto di vista, un diverso atteggiamento che potrà arricchire ed evolvere la personalità, guidandoti verso un comportamento più consapevole, più aperto, e riconciliandoti con le parti rimosse, frustrate, mortificate, malate di te stesso.
  • Indubbiamente Jung è più congeniale, più amico, più nutriente per chi crede di dover realizzarsi nella dimensione di una fantasia creativa.
  • Freud con le sue teorie ci obbliga a pensare; Jung invece ci permette di immaginare, di sognare, e ti sembra, addentrandoti nell’oscuro labirinto del tuo essere, di avvertire la sua presenza vigile e protettrice.

Federico Fellini , 1983 – tratto da Jung e la cultura del XX secolo, di Aldo Carotenuto)

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