In futuro la RV verrà applicata alla psicoterapia

In futuro la RV verrà applicata alla psicoterapia

Costo: 70 euro/ Durata: 1 oraDr. Walter La Gatta

Dal momento in cui il mago della tecnologia, Jaron Lanier, rese popolare la realtà virtuale negli anni ’90, sono state dette molte cose riguardo ai suoi possibili utilizzi. Nel suo nuovo libro, VR: Experience On Demand, Jeremy Bailenson, direttore e fondatore del Virtual Human Interactive Lab presso la Stanford University, sostiene che la realtà virtuale è finalmente diventata maggiorenne, e che può essere molto utile, ad esempio, per il trattamento del disturbo post traumatico da stress.

La prima cosa da ricordare è che la RV è un mezzo di comunicazione: proprio come la parola scritta, o come i video, e tutto dipende da come la utilizziamo. Un esempiopositivo: gli avatar possono sicuramente aiutare a rendere le persone più collaborative, a ridurre i pregiudizi e aumentare la produttività.

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La RV offre alle persone un’opportunità attiva, non passiva, di esplorare uno spazio per apprendere ciò che le persone hanno imparato vivendo in spazi simili per centinaia di migliaia di anni.

Ci sono naturalmente anche degli svantaggi, specialmente per i giovani, come ad esempio la perdita di contatto con il mondo fisico, il porno troppo coinvolgente e i videogiochi ultravioletti.

Il suggerimento è quello di usare la RV solo per le cose che non è possibile fare nel mondo reale, come andare sulla luna, o provare a diventare qualcun altro. Non si dovrebbero, in ogni caso, fare nel virtuale le cose che non si farebbero nel mondo reale. 

Il cervello tende infatti a trattare un evento RV in modo simile a un evento reale. La realtà virtuale, a differenza di un normale videogioco, attiva la corteccia motoria e il sistema percettivo in modo simile alle esperienze della vita reale.

Quindi c’è una differenza fondamentale tra l’esecuzione di un evento in un videogioco tradizionale o la visione di un film all’interno della realtà virtuale.

 

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Un altro aspetto preoccupante è la desensibilizzazione che si verifica osservando media violenti.  La RV è stata molto utilizzata dalle forze armate americane per simulare scenari di guerra e il problema è che ora alcuni di questi prodotti circolano liberamente, anche fra persone che non dovrebbero avere un addestramento militare, e questo è sicuramente un pericolo.

La RV può risolvere inoltre i problemi informatici causati dal computer. Uno dei problemi tecnologici fondamentali ancora da risolvere è quello del contatto visivo. Se si guarda la fotocamera sulla parte superiore del laptop infatti, non si vede l’altra persona. Al contrario, se si guarda l’immagine dell’altra persona sullo schermo non guarda la telecamera, e l’altra persona non percepisce il contatto oculare. Attraverso l’uso di avatar questo problema può essere ovviato.

Un’altra applicazione positiva per la RV potrebbe essere il trattamento del DPTS.

Uno dei modi per trattare il DPTS è quello della “esposizione cognitiva” in cui il paziente viene riportato a vivere l’evento traumatico. Ciò avviene di solito facendo provare la persona ad immaginare l’evento. Il problema tuttavia è che spesso le persone che hanno subito un trauma non vogliono tornare a quei ricordi: è un percorso troppo doloroso. Quindi c’è una naturale resistenza a recuperare il ricordo, che può essere minimizzata dalla RV.

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Per esempio, i veterani, attraverso la RV possono tornare in Iraq, rivivere i momenti sulla loro jeep, sentire le vibrazioni delle esplosioni, annusare gli odori dell’Iraq.

Molti dei primi soccorritori dopo l’11 settembre hanno avuto complicazioni psicologiche con il DPTS e sono stati curati con la realtà virtuale, ma essa può essere utilizzata in tutte le professioni, per formare le persone a vivere determinati aspetti del lavoro.

I sostenitori della RV sostengono che essa cambi completamente il proprio modo di interagire con il mondo (reale) e con le altre persone. La RV è diversa perché permette di usare  il corpo in modo molto più simile alla realtà.

In Afghanistan inoltre, la RV è stata usata per dare sostegno ai soldati attraverso una terapeuta virtuale: il suo avatar si chiamava Ellie ed era programmato per curare il disturbo post traumatico da stress nei soldati.

Attraverso un sensore di movimento Microsoft Kinect, Ellie annuiva nei momenti giusti e incoraggiava gli utenti a parlare attraverso la comunicazione paraverbale, fermandosi al momento opportuno. Uno studio condotto su questo programma ha scoperto che i pazienti si aprivano più volentieri con Ellie che con un terapeuta umano, soprattutto perché non si sentivano giudicati dal programma elettronico (in realtà, sul piano della privacy questo aspetto è molto discutibile, ma chiaramente la percezione è quella di avere a che fare con una innocua finzione).

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Ellie non è stata studiata infatti per eliminare la categoria dei terapeuti umani: il programma su cui si basa, chiamato SimSensei, è nato per fornire aiuto a quei pazienti che non hanno l’opportunità di vedere un terapeuta “vero”, come ad esempio i soldati.

Come ogni bravo terapeuta, anche quella virtuale ascolta molto e parla poco. Secondo il citato studio, le persone riescono a confidarle le cose più intime, perché sanno che dietro lo schermo non c’è nessuna persona reale. Ellie inoltre non si stanca mai, è sempre disponibile, ma ovviamente non ha una formazione ed una esperienza con la quale rispondere appropriatamente ai racconti dei pazienti e consigliarli.

Un’altra novità è l’utilizzo della RV per i disturbi d’ansia e della paranoia. La terapia. basata sulla realtà virtuale, combinata con un trattamento standard, ha ridotto la paranoia e l’ansia in persone con disturbi psicotici.

I pensieri paranoici portano infatti a percepire minacce laddove non ce ne sono. Di conseguenza, molti psicotici evitano luoghi pubblici e contatti con le persone, trascorrendo molto tempo da soli. In studi clinici condotti su 116 pazienti nei Paesi Bassi, gli esercizi di realtà virtuale hanno portato i pazienti a vivere interazioni sociali meno complesse.

Il trattamento consisteva in 16 sessioni di un’ora per 8-12 settimane, in cui i partecipanti venivano esposti, tramite avatar, a segnali sociali capaci di scatenare la paura e la paranoia in quattro ambienti virtuali: una strada, un autobus, un bar e un supermercato.

I terapeuti hanno potuto istruire i partecipanti, aiutandoli a esplorare e sfidare i propri sentimenti, in diverse situazioni sociali, invitandoli a resistere ai comuni “comportamenti di sicurezza”, come evitare il contatto visivo.

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I partecipanti sono stati valutati all’inizio della sperimentazione, tre e sei mesi dopo.

Risultati: meno paranoia e ansia nei contatti sociali. L’esposizione alla realtà virtuale non ha aumentato il tempo trascorso successivamente dai partecipanti con altre persone, ma ha influenzato positivamente la qualità delle loro interazioni.

Dobbiamo dunque pensare che in futuro la psicoterapia non potrà fare a meno della RV, così come la RV non potrà fare a meno degli psicologi in carne ed ossa.

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Fonte:

How Virtual Therapy Could Help the Military Fight PTSD, NBC News
How Virtual Reality Affects Actual Reality, National Geographic
Avatar Therapy Eases Psychosis-Related Paranoia, Anxiety, Medscape

Immagine:
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