Migliorare i rapporti con gli altri

Come migliorare i rapporti con gli altri

I rapporti importanti della nostra vita sono per noi fonte di gioia e dolore. Costituiscono fonte di gioia e risorse insostituibili in quanto ci permettono di esprimere le nostre emozioni, di avere e fornire sostegno e comprensione, di provare il piacere della collaborazione, dello scambio di idee, di crescere. Ma spesso questi stessi rapporti (siano essi di amicizia, di parentela, di lavoro) diventano per noi fonte di tormento e sofferenza continua: ci sentiamo incompresi, feriti, finiamo per provare rabbia e risentimento nei confronti di persone per cui in passato abbiamo provato sentimenti positivi. Cosa possiamo fare per evitare che ciò accada o per migliorare le cose?

Dobbiamo, innanzitutto, imparare ad accedere ad una forma di ragionamento di ordine superiore. E’ quella che usiamo quando ci accorgiamo di aver commesso un errore e lo correggiamo. Può accadere che il nostro pensiero sia offuscato da significati simbolici distorti, da ragionamenti illogici e interpretazioni sbagliate; in questo caso è fondamentale riuscire a “pensare sui nostri pensieri”, per ritrovare chiarezza e comportarci nel modo migliore per noi stessi e per gli altri.

Di solito, però, succede che proprio nelle relazioni importanti per noi, quelle in cui ci sentiamo coinvolti emotivamente, abbiamo difficoltà ad avvertire con chiarezza i nostri pensieri, commettiamo continuamente errori sia nel giudicare che nel comunicare, non riusciamo ad accorgerci di tali errori e, di conseguenza, non riusciamo a porvi rimedio. A lungo andare, le interpretazioni sbagliate, l’incomunicabilità, la rabbia e il risentimento che ne derivano, trasformano l’altro in un avversario da combattere, anziché il compagno, collaboratore, amico, che avevamo conosciuto.

Ciò si verifica perché la nostra mente in risposta ad una delusione, per una sorta di meccanismo di auto-protezione, tende ad interpretare erroneamente il comportamento di chi ci ha deluso o ad esagerare il suo significato, a spiegarlo in senso malevolo e a proiettare su di lui immagini negative. Agiamo allora proprio in base a questi errori di interpretazione e muoviamo all’attacco proprio dell’immagine negativa che noi stessi abbiamo costruito.

Ovviamente, mentre ciò accade, difficilmente riusciamo a renderci conto che il nostro giudizio negativo potrebbe essere sbagliato e che potremmo stare attaccando un’immagine distorta. Divenire consapevoli di alcuni principi cognitivi può aiutarci a riflettere sulla “giustificatezza” dei nostri giudizi e dei nostri comportamenti, e quindi migliorare i nostri rapporti con gli altri. Ecco quali sono i principi cognitivi da tenere a mente:

Anche se a volte ci sembrano ‘così evidenti’, in realtà non possiamo mai conoscere lo stato d’animo, i pensieri, i sentimenti degli altri. In altre parole, nessuno di noi è in grado di leggere nel pensiero.

I segnali su cui ci basiamo per farci un’idea dei desideri e sentimenti degli altri (parole, tono di voce, espressioni del volto, azioni) sono spesso ambigui. Posti di fronte al medesimo comportamento, due diversi osservatori potrebbero dare un significato addirittura opposto.

Questi segnali vengono decifrati da un nostro sistema di decodifica, il quale non è infallibile. Esso si basa su un insieme di credenze, ipotesi, preconcetti e formule (del tipo se… allora vuol dire che…), legati alla nostra esperienza quotidiana e alla nostra storia personale. Possiamo operare delle “distorsioni cognitive”. Le più comuni di tali distorsioni sono:

1. Visione tunnel e astrazione selettiva. Ci può capitare di vedere solo ciò che collima con il nostro atteggiamento o stato mentale. Ad esempio possiamo basare la nostra interpretazione di un comportamento su un unico elemento che ci ha colpito, astrarlo selettivamente dal contesto, e trascurare o ignorare tutti gli altri dati che non confermerebbero la nostra interpretazione.

2. Inferenza arbitraria. Possiamo essere talmente prevenuti nei confronti di un’altra persona da attribuirle intenzioni malevole senza che ce ne sia motivo. Ad es. possiamo pensare che se un collega un giorno arriva in ritardo è perché vuole che svolgiamo anche la sua parte di lavoro; il collega invece ha forato e ha perso del tempo per questo incidente non previsto.

3. Ipergeneralizzazione. Da un comportamento singolo, o da pochi episodi, possiamo trarre delle conclusioni rispetto al comportamento tipico della persona che ci è di fronte. I termini che usiamo di solito quando operiamo delle ipergeneralizzazioni sono: “mai, sempre, tutto, ogni, nessuno”

4. Pensiero polarizzato. Possiamo percepire solo due alternative estreme: se una persona non è buona deve essere per forza cattiva; se non mi ama allora mi odia; o mi sottometto completamente al mio capo o dovrò lasciare il lavoro; se dico di sì non potrò più dire di no, etc.

5. Esagerazione. Possiamo attribuire un’importanza esagerata alle caratteristiche dell’altra persona, buone o cattive che siano.

6. Catastrofizzazione. Possiamo prevedere conseguenze catastrofiche per determinati eventi (ad es. se il mio capo non troverà buono questo lavoro, mi licenzierà).

7. Etichette negative. In seguito alle inferenze arbitrarie, possiamo attribuire all’altro un ‘etichetta’ critica (è un bullo, è cattivo, è egocentrico) e reagire a queste etichette come se fossero qualcosa di reale, giustificando in questo modo la stessa etichettatura.

8. Personalizzazione. Possiamo pensare che le azioni degli altri siano, in genere, dirette contro di noi (es., se mio marito ritarda, è per farmi un dispetto).

9. Lettura del pensiero e chiaroveggenza. Riteniamo di poter comprendere quali siano i pensieri e le motivazioni latenti ai comportamenti degli altri e nello stesso tempo crediamo che gli altri debbano essere in grado di ‘leggere’ le motivazioni nascoste dietro i nostri gesti e le nostre parole

Il nostro stato d’animo del momento influisce sul nostro sistema di decodifica.

Il grado di certezza che sperimentiamo rispetto alle motivazioni e atteggiamenti altrui non è affatto in relazione con l’esattezza delle nostre opinioni.

Cosa fare, una volta divenuti consapevoli di questi principi?

Quando siamo delusi, frustrati, arrabbiati, prima di attaccare il nostro partner, amico, collega di lavoro, chiediamoci se l’incomprensione che ci ha portato a questo stato d’animo possa essere dovuta a comunicazioni sbagliate o ad interpretazioni prevenute del comportamento dell’altro. Per limitare al massimo le incomprensioni, siamo diretti. Spesso riteniamo che l’altro debba comprendere (e sia in grado di farlo) ciò che vogliamo comunicare anche se noi ci giriamo intorno e affrontiamo l’argomento che ci sta a cuore in modo vago e indiretto. Ciò potrebbe verificarsi oppure no, anche se ci conosciamo bene. La nostra pretesa di essere compresi comunque può spianare la strada a malintesi e rancori. Se è il nostro interlocutore ad essere indiretto e ci rendiamo conto di non essere capaci di capire il suo messaggio, non esitiamo a fare domande che ci permettano di chiarire il suo pensiero (“mi potresti spiegare….”, “c’è qualche difficoltà che….”)

Ricordiamoci che l’incomprensione è un processo attivo: se io ho un’immagine distorta dell’altra persona, interpreto quanto essa fa o dice in maniera errata, attribuendogli cattive intenzioni. Ovviamente non tutte le persone con cui veniamo a contatto sono benintenzionate nei nostri confronti. Ma se si tratta di persone a cui teniamo (il coniuge, un collega di lavoro con cui ci siamo sempre trovati bene, un amico), vale la pena di “controllare” le nostre interpretazioni e preoccuparci della chiarezza delle nostre comunicazioni, prima di agire di conseguenza e innescare pericolosi circoli viziosi.

Se riusciamo a sintonizzarci sulle riflessioni che facciamo automaticamente (sul nostro monologo interiore), possiamo capire in che modo interpretiamo le azioni di chi ci è vicino e reagiamo ad esse. Una volta resici conto di ciò possiamo correggere le interpretazioni che scopriamo erronee. I pensieri automatici possono assumere la forma di parole o immagini o entrambi. Di solito si può individuare un pensiero automatico con la tecnica dello ‘spazio vuoto’: si prende nota della nostra reazione ad una frase o comportamento dell’altro e si riflette a posteriori su quanto ci è passato per la mente nell’intervallo compreso fra l’evento innescante e la nostra reazione. All’inizio non sarà semplice ricostruire quanto è accaduto, ma con il dovuto allenamento diventeremo sempre più bravi e veloci nell’individuare i nostri pensieri nascosti. Una volta individuati i pensieri automatici proviamo a stabilirne la validità. Per fare ciò possiamo porci una serie di domande e trovare per ognuna di esse delle risposte razionali, cioè delle possibili alternative ai pensieri automatici (Beck, 1990):

Che prove ci sono a favore della mia interpretazione?

Che prove ci sono contro la mia interpretazione?

Dalle azioni del mio partner (amico, collega) consegue logicamente che i motivi che attribuisco al suo modo di comportarsi sono fondati?

C’è una spiegazione alternativa per il suo modo di agire?

Concentriamoci sui problemi reali. Spesso mettiamo al primo posto la colpa e il biasimo. Ciò non fa altro che aumentare il rancore e la rabbia, distogliendoci da quello che è l’obiettivo principale: risolvere il problema, l’incomprensione che ci fa soffrire e non ci permette di ottenere dall’altro ciò che desideriamo.
Spesso le azioni della persona cara che attribuiamo a qualche tratto malevolo (egoismo, odio, bisogno di tenerci sotto controllo) possono essere spiegate più correttamente se consideriamo le sue motivazioni benevole (benché mal dirette), quali l’autoprotezione o tentativi di non essere abbandonato.

Le relazioni soddisfacenti non nascono dal nulla, occorre impegnarsi, essere attenti alle esigenze dell’altro, solleciti, leali, responsabili, anche generosi. Bisogna saper cooperare, scendere a compromessi, avere una certa duttilità, una buona disposizione ad accettare e perdonare, a tollerare errori, difetti, bizzarrie. Queste sono virtù che vanno coltivate, con sforzo e consapevolezza. Assumiamoci la piena responsabilità del miglioramento dei nostri rapporti importanti. Spesso i nostri cambiamenti possono cambiare in misura notevole anche le persone che ci sono vicine.

Dott. LUIGI MASTRONARDI

50 anni, Laureato in FILOSOFIA (indirizzo Psicologico) ed in PSICOLOGIA (indirizzo applicativo), Autore di oltre 50 Pubblicazioni scientifiche inerenti la psicologia e la psicoterapia e di n° 4 testi sulla psicologia applicata:

LE TECNICHE DELLA PSICOTERAPIA (1984) Edizioni Kappa,libro consigliato nel Corso di Laurea in Psicologia,Univ.di Roma
LA PSICOLOGIA DEI PROVERBI (1998) Edizioni Scientifiche Magi,Roma
IO GUARIRO’,Autoterapie psicologiche (2001) Edizioni Tecniche Nuove, Milano
LA PSICOLOGIA DEL BENESSERE in corso di stampa,Tecniche Nuove,Milano

Docente nel Corso di Perfezionamento in Psicoimmunologia, Facoltà di Medicina e Chirurgia,Università La Sapienza,Roma –Psicoterapeuta (indirizzo dinamico) da oltre 26 anni(soprattutto psicoterapeuta di malattie oncologiche) -Direttore della Scuola di Specializzazione in PSICOTERAPIA DINAMICA BREVE autorizzata dal MIUR –Direttore della Scuola triennale di NATUROPATIA, dello IAF,Roma(www.iaform.it) -Direttore scientifico dei Corsi(oltre 20) sulla SALUTE NATURALE, dello IAF(www.iaform.it) -Relatore di conferenze sull’Autoguarigione (negli anni migliaia di partecipanti)-Vice-presidente della Società Italiana di Medicina del Benessere (www.simben.it)

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