Franco Basaglia e la fine del manicomio: Trieste 1971-1979 – Parte II

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Franco Basaglia e la fine del manicomio, da un articolo di John Foot.

Leggi la prima parte dell’articolo

PARTE SECONDA

La fine del manicomio: Trieste 1971-1979

Trieste non aveva più un ospedale psichiatrico. Nel gennaio 1977 Basaglia tenne una conferenza stampa nella città. La notizia era un semplice annuncio: l’ospedale psichiatrico San Giovanni sarebbe stato chiuso entro la fine dell’anno. Presto ci furono così pochi pazienti all’interno del complesso che, anche chiamare tale istituzione un ‘ospedale’, era chiaramente fuori luogo. Dopo soli sei anni come direttore, Basaglia aveva raggiunto l’impossibile. L’istituzione non era semplicemente ‘negata’, era stato cancellata. Il movimento Basagliano raggiunse il suo momento di maggior fama a Trieste nel corso degli anni settanta, dopo che il San Giovanni fu il primo manicomio al mondo ad essere chiuso per motivi politici: perché coloro che lo gestivano lo consideravano un campo di concentramento. Gli eventi di Trieste portarono ad una legge nazionale – la legge 180 (la ‘legge Basaglia),’ che prevedeva la chiusura di tutti i manicomi italiani. Come è accaduta questa rivoluzione e che cosa ci ha lasciato?

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Fasi della chiusura

Trieste non era Gorizia, e il 1971 non era uguale al 1961. Un vasto movimento era in pieno svolgimento in tutto il mondo e l”anti-psichiatria’ era una parte fondamentale di questa concezione ideologica. Una volta in carica a Trieste, Basaglia e la sua squadra si mossero con grande velocità. Il piano era semplice: chiudere l’ospedale psichiatrico, dall’alto, e in fretta. Tutto sembrava possibile. L’utopia goriziana divenne una realtà concreta a Trieste. Era come se il comando fosse stato puntato su: “avanzamento veloce”.

Tra il 1971 e il 1974, l’ospedale psichiatrico attraversò molti dei cambiamenti che avevano avuto luogo a Gorizia, ma si fece tutto in metà del tempo. Ai pazienti furono restituiti i loro diritti umani fondamentali e furono aperti i reparti. Le rigide divisioni di genere nel manicomio furono abolite (portando i pazienti a vivere in intimità). L’ospedale fu diviso in settori (corrispondenti a diverse zone della città e provincia), in preparazione per la sua chiusura, un’idea presa in prestito dai riformatori francesi. Basaglia era interessato soprattutto al cambiamento pratico e non era dogmatico. Era disposto a prendere in prestito idee da una varietà di fonti, purché funzionassero.

Furono istituite le cooperative. Questa fu un’altra nuova tattica, che consentì ai pazienti di entrare direttamente nel mondo del lavoro. Le cooperative sarebbero state ampiamente utilizzate in tutta Italia nei decenni successivi per ‘re-integrare’ i pazienti con problemi di salute mentale.

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Questo periodo ha visto anche la creazione di un team che manteneva contatti anche con il territorio, attraverso incontri con la popolazione. Il periodo era quello che si era venuto determinando dopo il 1968, con le occupazioni (di strutture pubbliche non utilizzate) e la spinta verso i centri territoriali permanenti in varie aree e all’interno dell’ospedale della città. Durante gli anni settanta gli spazi dell’ospedale psichiatrico di Trieste furono trasformati in uno spazio sperimentale, che ospitava arte e progetti teatrali, mostre, spettacoli, conferenze, concerti, numerosi dibattiti e incontri e congressi internazionali. I militanti, studenti, intellettuali e professionisti si davano tutti appuntamento a Trieste. Fu un momento di straordinario fermento.

Mentre in alcuni luoghi le istituzioni sono state sostituite con altre forme alternative di istituzione (un processo determinato da denominazioni diverse, come deistituzionalizzazione e anti-istituzione), Trieste fu uno dei luoghi dove il 1968 fu messo in pratica. Gli slogan che giravano nell’ospedale erano quelli del movimento: ‘La libertà e terapeutica’  o ‘La Verità e Rivoluzionaria’.

Furono aperte le prime case-famiglia, all’inizio all’interno dell’ospedale, dove una volta c’erano i reparti, ora chiusi. L’esperienza di Trieste mobilitò migliaia di persone. Si stabilirono legami profondi con la città e con studenti attivisti in tutta Italia, e anche all’estero. Molti volontari cominciarono ad arrivare nella speranza di lavorare presso l’ospedale, alcuni da scuole locali e università, altri provenienti dall’estero, così come alcuni psichiatri e medici influenzati dal pensiero di Basaglia. Come ha detto uno di questi visitatori: Trieste esercitava una “attrazione magnetica” per gli psichiatri radicali e li entusiasmava. ‘Tutti andavano a Trieste.‘ (Crossley, 2006) ‘

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Come a Gorizia e altrove, la cosiddetta deistituzionalizzazione del manicomio di Trieste negli anni settanta fu una lotta costante contro:

– la magistratura locale;
– l’opinione pubblica;
– la stampa locale (che era estremamente ostile a Basaglia e al suo team);
– i partiti di opposizione (il partito neo-fascista era molto forte a Trieste).

Tuttavia, la provincia di Trieste offrì la protezione politica. Il protagonista, Michele Zanetti, si prese su di sé la maggior parte delle responsabilità e dunque le critiche legate a queste riforme. Questo lasciava Basaglia e i suoi collaboratori relativamente liberi da quelle interferenze costanti che avevano sperimentato (in vari modi) a Gorizia e Parma.

C’erano anche costanti dibattiti politici interni, che diventano sempre più intensi. Trieste ebbe anche un famoso ‘incidente’ nel 1972 (in realtà, c’era stata tutta una serie di questi incidenti, ma solo uno ottenne lo status di notizia nazionale): un paziente in semilibertà aveva ucciso la moglie a Gorizia nel settembre 1968 (evento definito appunto come un ‘incidente’), e questo mise in discussione il progetto basagliano.

Nel 1972, un ex-paziente uccise i suoi genitori a Trieste. Questo secondo ‘incidente’ ebbe meno effetto sugli psichiatri di Trieste che erano molto più preparati ad affrontare le conseguenze giuridiche e politiche che seguirono.

Questi “incidenti” fanno comprendere i rischi che Basaglia e la sua squadra si stavano prendendo. Essi si sono assunti la piena responsabilità di ciò che era accaduto, sostenendo però (in entrambe le occasioni) che il vero problema non erano questi malati, ma il sistema stesso.

Basaglia e Zanetti inserirono presso l’ospedale di Trieste medici, volontari, psicologi, sociologi, militanti, artisti e musicisti, e lo svuotarono dei pazienti. Ben 122 persone furono assunte in manicomio sotto la direzione Basaglia. A Gorizia, c’erano solo sei medici. Gli ex-pazienti ricevevano prestazioni in denaro e abitazioni. Altri pazienti, anche privati, facevano i volontari. Paradossalmente, il numero dei pazienti diminuiva e il numero degli ‘operatori’ basagliani  aumentava in maniera massiccia. Alla fine, c’erano più operatori che pazienti.

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Basaglia fu il leader indiscusso in tutta questa esperienza, molto più di quanto lo fosse stato in passato.  Franca Ongaro tuttavia, sebbene fosse spesso a Trieste, era rimasta a vivere a Venezia. ll suo ruolo a Gorizia era stato molto più centrale rispetto a quello assunto negli anni successivi. La coppia lavorava ancora insieme su una serie di libri e progetti, ma Basaglia a questo punto collaborava anche con altri. A Gorizia la famiglia Basaglia era stata una parte integrante dell’esperienza della riforma del manicomio; a Trieste, il protagonista indiscusso e capo di tutto era Franco Basaglia.

A cura di Dr. Giuliana Proietti

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Fonte:

Foot J. Franco Basaglia and the radical psychiatry movement in Italy, 1961–78.Critical and radical social work. 2014;2(2):235-249. doi:10.1332/204986014X14002292074708.

FINE SECONDA PARTE

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