Le donne psicologhe: uno studio sul sex ratio

Le donne psicologhe: uno studio sul sex ratio

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La psicologia è una professione relativamente giovane. Cominciò a svilupparsi come disciplina accademica indipendente solo nella seconda metà del diciannovesimo secolo in paesi europei quali la Germania, la Gran Bretagna e la Francia, e a svilupparsi come professione al di là degli ambiti d’influenza delle università ancora più tardi, nella seconda decade del secolo ventesimo. Diversamente da altre professioni già consolidate come la medicina, coi loro tradizionali meccanismi di sbarramento verso le donne, la psicologia fu accessibile ad entrambi i sessi fin dai suoi esordi.

A35/A15

L’obiettivo di questo breve saggio è quello di mettere a confronto la situazione attuale della professione e la disparità fra i sessi verificatasi nei vari paesi d’Europa e di illustrare più in dettaglio i mutamenti particolarmente rapidi di tale disparità nel campo psicologico europeo nel corso degli ultimi decenni del ventesimo secolo. Per introdurre l’argomento, cominceremo col descrivere l’evoluzione della sex ratio nella professione psicologica a livello mondiale.

Donne psicologhe nel mondo

Uno dei primi studi trans-nazionali condotti sulla situazione delle donne psicologhe (Denmark, 1979) indicava che solo il 29% dei 49.000 membri dell’APA, negli Stati Uniti, era costituito da donne, e che solo il 25% dei titolari di specializzazioni post lauream in psicologia era di sesso femminile. Si trattava di chiare indicazioni di barriere, sia orizzontali che verticali, del mercato del lavoro. La percentuale di donne appartenenti alla Canadian Psychological Association (CPA) era anch’essa limitata al 22%. Diversamente dall’America del Nord, la psicologia si presentò in America Latina come professione “tipicamente femminile” fin dai suoi primi passi. Nei tardi anni Settanta, in molti dei suoi paesi circa l’85% degli psicologi era costituito da donne. In rapporto al loro elevato numero, tuttavia, le donne erano sottorappresentate ai livelli più elevati ed autorevoli.

Dieci anni dopo, uno studio a livello mondiale, condotto da Ribarich e Sexton (1988) indicò anch’esso significative differenze territoriali nel rapporto numerico fra i sessi. Nei paesi dell’America del Sud e dei Caraibi, le donne costituivano mediamente il 70% della professione, contro il 53% dell’Europa e il 25% dell’Asia. Alcuni anni dopo, Sexton e Hogan constatarono che “la psicologia tende ovunque nel mondo ad essere un lavoro da donne” (1992, p. 469). Per esempio, nel 1988 la percentuale di donne psicologhe era aumentata fino al 37% di membri dell’APA e al 48% di membri del CPA.


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La percentuale complessiva delle donne appartenenti alla professione costituiva più del 50% in 35 dei 45 paesi esaminati. Perfino in paesi con una proporzione maschile lievemente più elevata fra gli psicologi professionisti, si presentava già una preponderanza femminile fra gli studenti, ragion per cui si poteva prevedere un futuro incremento del numero delle donne nella professione. Si potevano anche rilevare, nel mercato del lavoro transnazionale, tendenze specificamente discriminanti rispetto al sesso.

Le donne erano più frequentemente occupate degli uomini nei campi della psicologia clinica e psicopedagogica, oppure nell’insegnamento in istituti universitari, ma più di rado nei campi della ricerca, delle conferenze accademiche nelle università, nella pratica della psicologia del lavoro e dell’organizzazione aziendale.

Nel 1988 Denmark condusse un’indagine, servendosi di esperti provenienti da 40 nazioni, sul livello di preparazione e sulla posizione sociale delle donne nella professione psicologica. Le sue conclusioni appaiono ambigue. Afferma infatti che la posizione sociale delle professioniste della psicologia sarebbe generalmente migliorata, ma che “la maggioranza numerica non sempre si traduce in un aumento di prestigio sociale” (Denmark, 1988, p. 472).

Questa evoluzione “al femminile” suscitò, negli Stati Uniti, un dibattito sulla “femminilizzazione“, ovvero sulle cause e sulle conseguenze dell’incremento della presenza delle donne nella professione. Già nel 1979 Denmark aveva sostenuto l’ipotesi che il costante aumento della percentuale di donne potesse portare ad un calo di prestigio della professione. Il termine “femminilizzazione”, usato in tale contesto (Howard, 1987) scatenò, comunque, forti reazioni critiche (ad esempio Grady, 1987; Ostertag e Mc Namara, 1981). Una ricerca condotta in risposta a tali controversie (APA Task Force, 1995) evidenziò che i timori suscitati dal fenomeno della femminilizzazione erano totalmente infondati, e che “il prestigio della disciplina e della professione non era minimamente intaccato dalla presenza delle donne” (Martin, 1995, p. 9).

 

Sex ratio nella psicologia europea

Nessuno studio specifico è stato invece finora effettuato sull’evoluzione e sullo stato attuale della sex ratio nella professione psicologica in Europa. Possiamo desumere le informazioni qui di seguito riportate solo da studi psicologici svolti in campo internazionale. All’inizio degli anni Novanta, circa il 55% dei membri della professione nelle varie nazioni europee1 esaminate da Sexton e Hogan (1992) era di sesso femminile. Le donne erano in maggioranza numerica ovunque, tranne che in Norvegia e nei Paesi Bassi. Il loro livello di preparazione corrispondeva a quello di specializzazione post lauream. La maggior parte delle donne era occupata nei settori della psicologia clinica, della consulenza e della psicopedagogia. La presenza maschile era decisamente maggiore nei settori più redditizi e nei gradi più elevati. Dati cronologici sull’evoluzione della sex ratio negli attestati di studio della psicologia e nella sua pratica professionale in Danimarca, Paesi Bassi e Spagna sono contenuti in un’antologia pubblicata da Schorr e Saari (1995), sulla quale ci siamo basati per la carrellata panoramica che segue; il libro contiene anche dei dati sulle barriere sesso-specifiche del mercato del lavoro.

Il gruppo internazionale di esperti intervistato da Denmark nel 1988 comprendeva diversi psicologi europei, che riferirono l’esistenza di una disuguaglianza fra i sessi, in particolare nel mondo accademico e nell’insegnamento di grado più elevato. Fu segnalato, per esempio, il fatto che raramente una donna veniva nominata titolare di cattedra (per esempio in Francia, Irlanda, Austria e Svezia), attribuendo in parte l’origine del fenomeno ai processi di selezione gestiti da uomini.

Per quanto riguardava la Francia e la Repubblica Federale Tedesca, fu sottolineato l’eccesso di presenza maschile nelle società accademiche (cfr. anche Dettmer, Grote, Hoff e Hohner, 1999). Infine, gli esperti fecero presente come, in tutti i paesi, le donne avessero retribuzioni inferiori, e fossero assunte a condizioni inadeguate al loro livello di preparazione, più spesso di quanto non accadesse agli uomini.

Tali affermazioni da parte degli esperti erano in parte basate su stime, ragion per cui non fu possibile comparare in modo sistematico le dichiarazioni riguardanti la situazione nei vari paesi. Nel capitolo sulle prospettive future, Denmark (1988) sottolineò anche l’importanza di studi sistematici, comparati a livello internazionale, sull’evoluzione della professione e della sex ratio al suo interno. I risultati di uno studio del genere sulla disparità fra i sessi nella professione psicologica in Europa sono l’oggetto di questo articolo.

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Metodologia di ricerca

La raccolta dei dati si svolse nel 2000-2001 e si basava sui seguenti metodi:

ricerca attraverso la saggistica di settore e individuazione dei dati statistici già esistenti;
verifica della corrispondenza intercorsa fra tutte le associazioni professionali nazionali aderenti alla European Federation of Psychologists’ Association (EFPA), riguardante la disparità fra i sessi negli attestati di studio della psicologia, nella professione e all’interno delle associazioni professionali nazionali. Abbiamo ottenuto informazioni, che abbiamo poi potuto utilizzare, solo da parte di 9 associazioni professionali nazionali (su 32: Croazia, Germania, Gran Bretagna, Liechtenstein, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Svezia e Svizzera);
interviste da parte di esperti ad 11 rappresentanti delle associazioni nazionali professionali di 8 paesi europei (Danimarca, Estonia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Ungheria, Norvegia e Svezia). Tali interviste guidate erano incentrate sul tema della disparità fra i sessi e su quello delle barriere del mercato del lavoro nei rispettivi paesi.

Per la valutazione dei dati furono usati i seguenti metodi:

analisi statistiche secondarie sull’evoluzione della sex ratio in 20 paesi europei2;
valutazione analitica del materiale delle interviste, quali fonti complementari ed esplicative di dati informativi;
elaborazione dei dati per la formazione di uno schema descrittivo del confronto fra i vari paesi.

Come già fatto da Sexton e Hogan (1992) e da Denmark (1998), dobbiamo innanzitutto anche noi menzionare la penuria dei dati. Solo in pochissimi paesi gli annuari statistici elencano il numero degli studenti di psicologia specificandone il sesso. Di regola, la psicologia è inclusa nel gruppo delle “scienze sociali” o in quello ancor più generale delle “discipline umanistiche”. Sono pochissime le associazioni professionali che raccolgono dati documentari – distinti per sesso – sull’incremento a lungo termine del loro numero di iscritti. Il nostro periodo di confronto non può quindi che limitarsi agli anni dal 1980 al 2000.

Sono anche scarse le informazioni riguardo al rapporto fra i sessi nei singoli campi della pratica professionale, come pure è raramente documentata la distribuzione numerica di uomini e donne nelle posizioni più elevate.

Alcuni fra i paesi esaminati non sono stati inseriti nel contesto di alcuni argomenti della trattazione che seguirà a causa della mancanza di dati, all’epoca della nostra ricerca, sugli argomenti stessi. Molte delle affermazioni qui di seguito riportate si basano su valutazioni di stima, i cui diversi criteri sono specificati di volta in volta. È per questo motivo che non siamo in grado di fornire, nell’ambito di questo studio, un’analisi più approfondita. In questo articolo non possiamo che limitarci a tracciare una mappa dei dati disponibili e delle varie tendenze che ne emergono.

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1 Austria, Belgio, Cecoslovacchia, Finlandia, Francia, Gran Bretagna, Repubblica Democratica Tedesca, Repubblica Federale Tedesca, Grecia, Ungheria, Irlanda, Israele, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Romania, Spagna, Svizzera, Turchia, Unione Sovietica e Jugoslavia.

2 Austria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Ungheria, Italia, Liechtenstein, Lituania, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Romania, Spagna, Svezia e Svizzera.

Gli psicologi in Europa

In figura 1 è riportata la densità di psicologi per nazione, cioè il numero degli appartenenti alla professione3 su 100.000 abitanti di un paese e, in specifico, la densità delle psicologhe. Abbiamo acquisito dati relativi a 16 paesi; tali dati sono comunque confrontabili solo per il 2000, mentre i dati disponibili riguardo ad anni più recenti sono molto scarsi.

La frequenza delle prestazioni psicologiche è estremamente varia a seconda dei vari paesi europei considerati. La densità più elevata di psicologi (circa 130 su 100.000 abitanti) si registra nei Paesi Bassi. Seguono i paesi scandinavi, con circa 75-85 su 100.000; è questo un segnale dell’alto livello d’impegno dei regimi socialdemocratici nel campo della salute e della previdenza sociale. In questi paesi gli psicologi sono prevalentemente occupati nel settore pubblico (per esempio, in Svezia solo il 10% circa degli psicologi esercita la libera professione, o è occupato in istituzioni private: fonte: Sveriges Akademikers Centralorganisation, 1999).

Una tale alta concentrazione di psicologi nei paesi scandinavi è accompagnata da livelli minimi di disoccupazione (2.5% in Svezia), quando non dalla piena occupazione di tutta la categoria professionale (in Danimarca e in Norvegia: cfr. Olos, 2001). Anche la concentrazione più alta di psicologhe si riscontra nei Paesi Bassi e nei paesi nordici. Sono questi i paesi che offrono le più favorevoli condizioni generali di lavoro per le psicologhe: lavoro garantito, con un tasso di occupazione part-time della categoria inferiore al tasso globale di occupazione part-time femminile nei rispettivi paesi.

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Figura 1

Paesi come la Francia, la Germania e l’Austria si collocano nella fascia media, con all’incirca 40-60 psicologi su 100.000 abitanti. In questi paesi, gli psicologi che hanno la possibilità di ottenere contratti a tempo indeterminato nel settore del pubblico impiego sono meno che in Scandinavia; per esempio, il tasso di lavoro autonomo in Germania (32%), come pure il tasso di disoccupazione (10%) e quello dell’occupazione part-time (40%) è molto più elevato di quanto non sia nei paesi nordici (cfr. Olos e Hoff, 2001).

In questi paesi, nei quali lo stato non si è impegnato a fondo nella promozione del lavoro femminile e nel finanziamento di strutture dedicate alla cura dell’infanzia, il tasso di occupazione femminile è relativamente basso. In più, sono molte le donne che lavorano part-time; per esempio, in Germania, solo la metà circa delle psicologhe risultavano occupate a tempo pieno (cfr. Olos, 2001). La concentrazione di psicologi è ancora minore in Gran Bretagna, con una proporzione relativamente inferiore di donne psicologhe4. I liberi professionisti, fra gli psicologi, costituiscono ancora una rarità in Gran Bretagna; la maggioranza è occupata nel settore clinico o psicopedagogico (cfr. Lunt, 1995).

In alcuni dei paesi ex-socialisti, quali la Romania, la Cechia, la Lituania e l’Ungheria, la densità di psicologi è particolarmente scarsa: dai 10 ai 30 psicologi circa su 100.000 abitanti. L’origine di tale fenomeno può essere ricercata nella tarda affermazione della psicologia come professione. Solo in Croazia e in Estonia la densità è lievemente più elevata.

Prima del cambiamento di regime, occupazioni sicure a tempo pieno erano garantite, per l’intero arco della vita, sia agli uomini che alle donne. I lavori part-time erano rari, e non necessariamente destinati alle donne; esistevano meccanismi istituzionali che assicuravano ampio sostegno alle famiglie. All’inizio del processo di trasformazione, tuttavia, si è verificato un relativamente elevato rialzo del tasso di disoccupazione ed un incremento del lavoro part-time. Nel frattempo, gli schemi dell’organizzazione lavorativa si sono sempre più orientati verso quelli in uso nell’Europa occidentale. Ciononostante, il tasso di occupazione femminile resta elevato e le barriere sesso-specifiche del mercato del lavoro sono ancora le minori d’Europa (cfr. Olos, 2001).

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Un’altrettanto scarsa densità di psicologi si trova in Grecia, paese nel quale la psicologia, come disciplina accademica a sé stante, si è distaccata molto tardi dalla filosofia, affermandosi come professione al di fuori delle università solo all’inizio degli anni Ottanta (Georgas, 1995).
Questi dati concordano, fra l’altro, con le ipotesi sui fattori economici e politico-culturali che avrebbero determinato lo sviluppo della psicologia (Jing, 2000). Innanzitutto, Jing parte dal presupposto che lo sviluppo della psicologia come professione sia collegata al livello generale di sviluppo di un paese (calcolato sulla base del prodotto interno lordo).

La concentrazione di psicologi dovrà essere, dunque, significativamente più elevata nei paesi più altamente sviluppati del Primo Mondo, piuttosto che in quelli del Secondo e del Terzo. Il secondo presupposto è che lo sviluppo della psicologia dipenda da fattori politico-culturali, nonché dal livello di libertà intellettuale di un paese. Tale teoria trova conferma nell’estremamente bassa concentrazione di psicologi nei paesi dell’ex blocco orientale, nei quali sono state in vigore restrizioni governative sulla libertà accademica fino al 1990.

3 Seguendo Lunt (1999), definiamo “psicologi professionisti” sia coloro che esercitano nei vari campi d’applicazione della disciplina sia coloro che si dedicano alla ricerca. Nei nostri conteggi, sono state usate le definizioni locali del termine psicologo, il che significa che nelle cifre sono compresi tutti coloro che, nei vari paesi, sono qualificati come tali.

4 In queste stime sono compresi non solo gli psicologi riconosciuti dalla British Psychological Society (psicologi ufficialmente autorizzati), ma tutti gli psicologi che esercitano la professione in Gran Bretagna.

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Sex ratio nella professione psicologica in Europa

I dati5 relativi alla sex ratio per il 2000 sono stati raccolti in 19 paesi europei (cfr. fig. 2). Ci sono, fra gli psicologi, molte più donne che uomini, in tutti i paesi esaminati. La percentuale delle studentesse è, solitamente, più elevata di quella riscontrabile sul mercato del lavoro, il che condurrà in futuro ad un ulteriore aumento della percentuale femminile nella professione attiva. Nella maggior parte dei paesi la percentuale di donne raggiunge e supera il 70%: la psicologia appare, in tali paesi, come una professione tipicamente femminile. Le percentuali più alte (75-90%) si registrano nei paesi dell’area mediterranea e nelle ex repubbliche socialiste. I paesi scandinavi non possono essere presi in considerazione come blocco omogeneo: la percentuale di donne fra gli psicologi professionisti ricade infatti tra l’80% in Finlandia (psicologia come professione prevalentemente femminile) e il 59% in Norvegia (psicologia come professione a distribuzione indifferenziata). Nei Paesi Bassi, in Germania, in Svizzera e in Gran Bretagna la percentuale di donne si colloca al di sotto del 70%, ragion per cui la psicologia si presenta in tali paesi come una professione a distribuzione indifferenziata.

Figura 2

È stato possibile studiare l’evoluzione della sex ratio nei titoli di studio in discipline psicologiche (statistiche sui laureati) e nel mercato del lavoro (numero degli psicologi professionisti) soltanto in 8 paesi, cioè in quelli per i quali abbiamo potuto acquisire dati particolareggiati.

La preparazione per il conseguimento di titoli di studio in tali paesi è comparabile e la durata del periodo di studi è all’incirca di 5 anni (fanno eccezione i Paesi Bassi, con una durata di 4 anni, come pure la Lituania, con una laurea di primo livello della durata di 3 anni: Pulverich, 1997). Il numero di studenti che ha iniziato e proseguito un percorso di studi e che ha ottenuto un titolo di studio in psicologia è cresciuto, in tutti i paesi, dagli anni Ottanta al 2000. Per descrivere l’evoluzione della sex ratio è sufficiente analizzare le statistiche sui laureati (cfr. tab. 1).

È attribuibile alle donne l’incremento del numero di studenti di psicologia nei Paesi Bassi e in Germania, con permanenza relativamente costante del numero degli iscritti maschi. Nonostante che la proporzione fra i sessi, nei titoli di studio in psicologia, rimanesse abbastanza equilibrata nei primi anni Ottanta, il numero di donne laureate è aumentato in questi paesi, nel corso degli ultimi anni, di più del 70%. In Danimarca e in Spagna, la proporzione di donne che conseguono lauree in psicologia è aumentata allo stesso modo che in Germania e nei Paesi Bassi, ma con un incremento ancora maggiore (circa il 65-75%). In Svezia il numero di laureati in psicologia ha avuto un incremento irrilevante, a causa dei regolamenti restrittivi imposti dagli statuti interni delle università, ma l’aumento numerico ha riguardato in egual modo entrambi i sessi. Dato che la percentuale di donne era stata fin dall’inizio elevata, la proporzione fra i sessi è rimasta pressoché immutata dal 1980, e permane ad un livello costante del 70% di donne contro il 30% di uomini.

Le donne sono state, dunque, capaci di sfuggire ai meccanismi di sbarramento nelle discipline accademiche connesse alla medicina. Per quanto riguarda il gruppo dei paesi ex socialisti, come la Croazia o la Lituania6, frequenze assolute sono molto piccole e, per la Polonia, non sono disponibili che stime. Anche la proporzione di donne fra la popolazione studentesca si è mantenuta costante in questi paesi, a un livello molto elevato fin dall’inizio (80% e oltre).

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Per concludere, possiamo notare che – relativamente alla sex ratio – vi sono state in origine grandi differenze fra gli studenti di psicologia dei paesi esaminati. Tali differenze stanno, tuttavia, scomparendo, e le percentuali di studentesse nei paesi europei si stanno allineando su un livello da alto a molto alto. Tutti i paesi esaminati hanno in comune i seguenti elementi: il fatto che in quest’ultimo decennio la proporzione di donne laureate abbia superato il 70%, e che la percentuale di donne che intraprendono corsi di laurea in psicologia sia ulteriormente aumentata nel corso degli ultimi tre anni. I corsi di laurea a indirizzo psicologico si possono dunque definire come campo di studio prevalentemente femminile nei paesi europei.

Tabella 1

5 Nei casi in cui non erano disponibili dei dati precisi, abbiamo usato la percentuale di donne appartenenti alle rispettive organizzazioni professionali nazionali come dato estimatorio della reale proporzione delle donne fra i professionisti della psicologia in ciascun paese (cfr. Sexton e Hogan, 1992).

6 Prima della caduta del regime comunista in Lituania si poteva conseguire in psicologia solo la laurea di primo livello.

Per quanto concerne l’evoluzione della figura dello psicologo nel mercato del lavoro, abbiamo acquisito sia dati che stime provenienti da paesi diversi da quelli precedentemente citati. In conseguenza della continua e costante crescita del numero dei laureati, anche il numero degli psicologi professionisti è aumentato in tutti i paesi presi in esame. La sex ratio degli psicologi professionisti (cfr. tab. 2) mostra un’evoluzione simile a quella degli studenti di psicologia, ma lievemente posticipata. Possiamo, pertanto, dedurre che quasi tutte le donne laureate in psicologia si siano dedicate alla professione.

In nazioni come la Germania7 e i Paesi Bassi l’esigua proporzione iniziale delle donne ha continuato a crescere fino a valori di oltre il 65% durante il periodo preso in esame, confermando così le previsioni di Sexton e Hogan (1992). Un’evoluzione simile ha avuto luogo, a un livello più elevato, in Croazia. In Svezia, la percentuale di donne si è mantenuta costante ad un livello relativamente alto (70%), come per le statistiche sugli studenti, mentre si è stabilita a un livello ancor più elevato (80%) nei paesi ex socialisti (Polonia e Lituania). È sorprendente la diversa evoluzione della Norvegia, in confronto a quella della Svezia: mentre le donne arrivavano fino al 70% in Svezia negli anni Ottanta, il loro numero ammontava a meno del 40% degli psicologi professionisti in Norvegia. Tale discrepanza ha continuato da allora a ridursi, ma rimane poco chiaro il motivo per cui la differenza di sex ratio fosse in origine così marcata in due paesi caratterizzati da un analogo retroterra sociale e da un analogo mercato del lavoro.

Tabella 2

Non abbiamo ottenuto alcun altro dato in ordine cronologico per altri paesi. Possiamo, tuttavia, tracciare un quadro estimatorio dell’evoluzione verificatasi dall’epoca dello studio condotto da Sexton e e Hogan (1992), all’interno di vari paesi (cfr. fig. 3). Anche in tutti questi paesi la percentuale di donne occupate in campo psicologico è aumentata dal 1990 al 2000. In Finlandia, Italia, Austria e Svizzera, paesi nei quali la cifra iniziale oscillava tra il 50% e il 60%, l’incremento è stato forte, mentre in Grecia e in Ungheria la percentuale di donne era già elevata nei primi anni Novanta e non è aumentata che di stretta misura. La sex ratio si è mantenuta pressoché identica in Gran Bretagna, a un livello relativamente equilibrato. In media, la componente femminile nella professione della psicologia in Europa è aumentata in dieci anni dal 53% al 71%.

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Figura 3

Sulla base dei dati in nostro possesso, possiamo individuare due tipi diversi di evoluzione della disparità fra i sessi nell’ambito della professione psicologica in Europa:

Tipo A: L’evoluzione della psicologia da professione a distribuzione indifferenziata a professione prevalentemente femminile ha avuto luogo in Germania, nei Paesi Bassi, in Austria, Croazia, Finlandia, Norvegia e Italia. Un incremento nella percentuale di donne, occupate ai livelli meno elevati, si può notare anche in Svizzera. Tale evoluzione è simile a quella verificatasi negli Stati Uniti e in Canada, descritta precedentemente (Denmark, 1998).
Tipo B: La percentuale di donne permane relativamente costante a livelli elevati (70%) e a livelli massimi (75-85%). La psicologia si presenta come professione prevalentemente femminile in Svezia, nei paesi ex socialisti di Polonia, Lituania e Ungheria e, nell’area mediterranea, in Grecia. Possiamo tracciare dei paralleli, entro tale contesto, con la situazione della psicologia nei paesi dell’America Latina (Sexton e Hogan, 1992).

In generale, tuttavia, le sex ratio nel contesto della partecipazione attiva alla professione si stanno sempre più omologando in tutti i paesi europei.

7 Le statistiche fino al 1992 si riferiscono alla Repubblica Federale Tedesca; dal 1993 in poi sono compresi anche gli psicologi dell’ex Repubblica Democratica Tedesca. La proporzione fra i sessi in campo psicologico era diversa nelle due Germanie; sono comunque molto scarse le informazioni precise disponibili. Nel 1991 la percentuale di donne fra gli psicologi professionisti nella Germania Est era di circa il 70%, molto più elevata che nella Germania Ovest (50%; Schorr, 1995).

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Barriere di genere nel mercato del lavoro della psicologia

I risultati degli studi finora svolti sulla condizione degli psicologi professionisti sono stati ottenuti col metodo del “conteggio delle teste”, il che significa aver semplicemente contato il numero totale di psicologhe professioniste, senza distinguere tra le situazioni di impiego a tempo pieno o a tempo parziale. Tale metodo presenta lo svantaggio di occultare la dimensione reale del volume dell’occupazione, ovvero la presenza effettiva dei professionisti sul mercato del lavoro. Gli studi sulle barriere connesse al sesso del mercato del lavoro dovrebbero, comunque, basarsi esclusivamente su statistiche riconvertite su valori equivalenti di impiego a tempo pieno (metodo del “volume dell’occupazione”: Hakim, 1995).

Sarà necessario, dunque, considerare su un piano relativo i risultati sopra esposti sulla partecipazione delle psicologhe europee al mercato del lavoro. Non si può semplicemente ipotizzarne un’autentica presenza più forte nella vita professionale solo in base alle percentuali numeriche delle donne occupate in campo psicologico. Anche se il numero delle psicologhe è alquanto più elevato di quello degli psicologi, le donne occupano spesso posizioni part-time, oppure lavorano in proprio come psicoterapeute, con compenso su base oraria. Purtroppo, non abbiamo avuto a disposizione dati confrontabili sul tasso dell’occupazione part-time in campo psicologico nei paesi esaminati. Non possiamo che formulare delle ipotesi, sulla base dei tassi generali dell’impiego part-time delle donne in ogni singolo paese.

Nei paesi con un’alta percentuale di donne occupate in psicologia, come la Spagna, la Grecia, l’Italia e la Finlandia (circa il 75-80%, cfr. fig. 2) si registra un basso livello di impiego part-time (circa il 5-20%: fonte: Eurostat, 2001). Possiamo, dunque, affermare che la psicologia si presenta in questi paesi come professione prevalentemente femminile, anche con la riconversione dei dati su valori di impiego a tempo pieno. Al contrario, paesi con percentuali di donne nelle professioni psicologiche in confronto più basse, come la Gran Bretagna, la Germania e i Paesi Bassi (circa il 55-65%: cfr. fig. 2), sono caratterizzati da un tasso generalmente più elevato dell’impiego femminile part-time (circa il 40-70%: fonte: Eurostat, 2001). In questi paesi dobbiamo, pertanto, considerare la psicologia come professione ancora integrativa di altre fonti di reddito.

Come notato da Denmark (1998), la maggioranza numerica delle donne non comporta automaticamente una condizione paritaria, per non parlare di prevalenza femminile nei posti di maggior importanza professionale. Abbiamo anche rilevato segnali di chiusura, sia orizzontale che verticale, nel mercato del lavoro della psicologia.

Per esempio, molte più donne che uomini sono occupate nei settori meno retribuiti e meno prestigiosi, e sono più di rado degli uomini promosse alle posizioni più elevate.

Dati informativi, e dichiarazioni sull’argomento espresse in interviste, sono disponibili per quanto riguarda la Germania (fonti: Berufsverband der deutschen Psychologinnen und Psychologen, 1999; Deutsche Gesellschaft für Psychologie, 1999; Statistisches Budensamt, 2000; Dettmer et al., 1999), la Grecia (fonte: J. Georgas, dichiarazione personale, 25 luglio 2000), la Gran Bretagna (fonte: membri appartenenti a varie divisioni della British Psychological Society), l’Italia (fonte: ISTAT, 2000), la Norvegia (fonte: T. Odland, dichiarazione personale, 26 luglio 2000), la Svezia (fonti: M. Bengtson, dichiarazione personale, 31 luglio 2000; C. Edlund, dichiarazione personale, 6 dicembre 2000; S. Jern, dichiarazione personale, 11 dicembre 2000), la Svizzera (Schneeberger, 2000), e l’Ungheria (fonti: Hungarian Psychological Association; E.Banyai, dichiarazione personale, 27 luglio 2000).

Appare evidente che in molti paesi il numero degli uomini oltrepassa ampiamente quello delle donne negli ambienti accademici più prestigiosi, mentre le donne costituiscono la maggioranza in quasi tutti i settori non universitari. In Svezia si possono osservare processi congiunti di barriere orizzontali e verticali, specialmente in campo accademico. Per esempio, all’università di Lund, nel 1999, tutte e sei le cattedre di psicologia erano rette da uomini8, il 62% degli associati alla ricerca e il 63% degli studenti dei corsi post lauream era pure costituito da uomini (con una quota totale del 30% di uomini rispetto all’insieme degli appartenenti alla professione: fonte: calcoli eseguiti dall’Università di Lund sul proprio catalogo di nomi e indirizzi). Nello stesso anno, l’83% delle cattedre universitarie di psicologia in Germania era tenuto da uomini (mentre la quota maschile degli psicologi professionisti era del 36%). In Svizzera, 40 su 52 cattedre erano assegnate ad uomini (77%).

Simile la situazione in Italia, con il 72% di cattedratici uomini. La Division of Teachers and Researches in Psychology della British Psychological Society registrava la più elevata proporzione di iscritti di sesso maschile (59%), rispetto a tutte le altre divisioni connesse alla pratica professionale (media maschile: 45%). È esigua la percentuale di donne anche fra i membri delle associazioni accademiche in Germania e in Svizzera. La Deutsche Gesellshaft für Psychologie contava nel 2000 il 72% di iscritti di sesso maschile, la Swiss Psychological Society ne contava il 59%.

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Ci sono, comunque, segnali di miglioramento sulla situazione delle donne psicologhe nel campo della ricerca. Per esempio, in Germania la percentuale di donne docenti universitarie è aumentata dal 10% al 17%, e quella delle titolari di specializzazioni post lauream dal 39% al 54%, tra il 1990 e il 1999. Un unico paese, l’Ungheria, presenta una proporzione fra i sessi nella ricerca e nell’insegnamento analoga a quella della pratica professionale generale.

Per quanto riguarda paesi come la Germania, la Grecia, la Gran Bretagna, la Norvegia, la Svezia e la Svizzera, risulta dalle informazioni acquisite che la rappresentanza maschile è sproporzionatamente elevata nei campi della psicologia del lavoro e dell’organizzazione aziendale, settori nei quali le prestazioni sono (mediamente) meglio retribuite. In Germania e in Svizzera, la psicologia del traffico costituisce pure un campo di dominio maschile; accade lo stesso in Norvegia e in Svezia, nel settore della psicologia forense.
Le donne hanno, d’altra parte, una rappresentanza più che ampia, in tutti i paesi sopra citati, nel campo più vasto della psicologia, cioè quello della psicologia clinica – qui, in particolare, la psicoterapia – ed anche in quelli della psicopedagogia e della psicologia di comunità. In linea di massima, tali risultati confermano e integrano quelli di Sexton e Hogan (1992) e di Denmark (1998).

Risultati di nostri studi empirici sui percorsi di carriera sesso-specifici degli psicologi tedeschi (Hoff, Grote e Wahl, 2002; Hoff, Grote, Hohner e Dettmer, 2003), indicano che le carriere delle psicologhe sono molto più spesso discontinue di quelle dei loro colleghi maschi. Le donne, inoltre, sono molto più spesso occupate a tempo parziale e sono molto meno spesso degli uomini promosse a posizioni di grado superiore o massimo. Nel nostro campione (585 soggetti, di cui 187 – il 32% – uomini e 398 – il 68% – donne), il 21% degli uomini e solo il 6% delle donne aveva raggiunto posizioni di vertice. Al contrario, solo il 46% degli uomini, contro il 68% delle donne, mostravano percorsi di carriera discontinui, caratterizzati da molteplici interruzioni e cambiamenti di attività.

Una delle cause determinanti di tale divario è che le donne con bambini si assumono più responsabilità degli uomini per quanto riguarda l’integrazione fra le attività quotidiane e significative a livello personale e l’andamento del lavoro e della famiglia. Le psicologhe hanno affermato, con frequenza significativamente superiore a quella degli uomini partecipanti alla nostra ricerca, di essere state svantaggiate, sia nei percorsi di carriera professionale che nella pratica quotidiana della professione, dall’essere donne. In alcuni campi di attività, invece, l’essere donna rappresenta un vantaggio, perché alle psicologhe sono attribuite capacità particolari, inerenti alla “femminilità”: per esempio, sia le donne che gli uomini preferiscono affidarsi a una psicoterapeuta donna. Allo stesso modo, gli psicologi uomini sono considerati meno affidabili, nel lavoro coi bambini, delle loro colleghe.


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Conclusioni

Uno dei risultati iniziali della nostra ricerca è stato il riconoscimento del fatto che non esiste, per la psicologia, sufficiente documentazione sull’evoluzione professionale e sulla sex ratio. Solo poche organizzazioni professionali (9 su 32 paesi europei) sono state in grado di fornirci dei dati, adeguati e confrontabili, suyll’evoluzione delle statistiche sui laureati o sullo stato della professione. In molti casi non è stata fornita alcuna informazione sull’identità sessuale dei soggetti considerati. Tale scarsa documentazione è di per se stessa indicativa di come la psicologia non abbia ancora raggiunto, in Europa, un alto livello di professionalità.

Appaiono particolarmente significativi i seguenti risultati: lo stato della professione psicologica è estremamente vario, a seconda dei vari paesi europei. I Paesi Bassi e i paesi scandinavi dispongono del più elevato numero di psicologi professionisti in rapporto alla popolazione; i paesi ex socialisti del numero più basso. Anche le condizioni di lavoro (dipendente, autonomo, a tempo pieno, a tempo parziale) sono varie. In tutti i paesi esaminati le donne che esercitano la professione psicologica sono numericamente superiori agli uomini. Nella maggior parte dei paesi, più del 70% degli psicologi professionisti è costituito da donne, che raggiungono percentuali ancora più elevate fra i laureati. Alcuni paesi dispongono di dati in sequenze cronologiche, e in questi casi abbiamo operato una distinzione fra due diversi tipi di evoluzione della sex ratio nella psicologia europea.

Sembra che la psicologia sia stata per lungo tempo, in alcuni paesi, una professione prevalentemente femminile. In altri paesi è ancora una professione a distribuzione indifferenziata; la percentuale di donne è comunque in aumento – ad un tasso di crescita più rapido nelle università e, con relativo intervallo, fra gli psicologi professionisti. In ogni modo, non possiamo pensare alla psicologia come a una professione prevalentemente femminile, dato che in essa la proporzione delle donne occupate part-time oltrepassa ampiamente, in tutti i paesi, quella degli uomini. Pertanto, la presenza effettiva di entrambi i sessi sul mercato del lavoro (prendendo in considerazione l’occupazione a tempo pieno) è più equilibrata di quanto inizialmente indicato dalla distribuzione numerica.

Esistono anche, nella maggior parte dei paesi, molti segnali di barriere sesso-specifiche nel mercato del: le aree più redditizie della professione e le posizioni più importanti sono occupate in prevalenza dagli uomini. I nostri risultati confermano quelli di precedenti studi a livello mondiale sulla posizione delle donne nella professione della psicologia (Sexton e Hogan, 1992; Denmark, 1998) e consentono una più dettagliata e aggiornata panoramica della psicologia in Europa, nonostante l’inadeguatezza dei dati reperibili.

Le nostre esigenze, in termini di ricerca e compiti futuri delle organizzazioni professionali nazionali e dell’EFPA, che emergono da questo studio, sono le stesse già precedentemente espresse da Rosenzweig (1992, p. 68), cioè che “la psicologia necessita di avere dati più ampi e più esatti, per poter progettare e controllare il proprio progresso”. L’acquisizione e l’analisi dei dati dovrebbero essere standardizzate a livello europeo, e l’EFPA dovrebbe istituire e gestire una banca di dati comprendente l’intero campo della psicologia in Europa. In un tale contesto, sarebbe di fondamentale importanza compilare liste statistiche in sequenze cronologiche sul numero degli studenti e dei membri attivi della professione, nonché sull’occupazione part-time, distinte per sesso. Sarebbe auspicabile anche la promozione di studi di ricerca sistematici sulle barriere verticali e orizzontali, in campo psicologico, relative al sesso, in modo da poter introdurre e affermare un’efficace politica professionale e promuovere l’eguaglianza fra uomini e donne a livello delle organizzazioni professionali nazionali.

8 Qui, come più avanti, si fa riferimento alla titolarità delle cattedre.

L’articolo è apparso originariamente in inglese su European Psychologist, 11 (1), 2006, con il titolo: Gender Ratios in European Psychology. Traduzione in italiano di Letizia Matteucci. Editore italiano: Giunti OS.

Dr. Giuliana Proietti

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