Obesità: la malattia dell’abbondanza

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L’obesità (dal latino obesitas, che significa “grasso, grosso, paffuto”) è una condizione medica determinata dall’accumulo di grasso corporeo nel tessuto adiposo – in quantità eccessiva rispetto alle necessità fisiologiche dell’organismo – tanto che può essere causa di morte (produce un’aspettativa di vita inferiore di 10 anni rispetto a quella di un coetaneo con peso normale e medesima situazione).

A31/A10

L’obesità viene oggi diagnosticata sulla base di una formula matematica che molti considerano semplicistica e poco affidabile: l’indice di massa corporea. Il Body Mass Index (BMI), si ottiene dal peso (in kg) diviso per la statura (in metri) elevata al quadrato. Il valore limite del BMI per il sovrappeso è 25 e per l’obesità è 30, mentre un BMI superiore a 40 è indice di obesità grave.

Sebbene già Ippocrate avesse scritto che “la corpulenza non è solo una malattia in sé, ma il presagio di altre“, l’eccesso di peso corporeo non sempre è stato considerato una malattia vera e propria. Qualche giorno fa l’American Medical Association ha tentato di attrarre attenzione su quella che appare una vera e propria emergenza sanitaria nazionale (un americano su tre è obeso), inserendo l’obesità fra le patologie vere e proprie (e dunque obbligando i medici a considerarne la diagnosi). La decisione non avrà conseguenze giuridiche, ma si pensa che questo semplice atto, vista la credibilità dell’associazione dei medici americani, potrà influenzare gli interventi nella ricerca, nel trattamento e nella prevenzione dell’obesità.

Il problema dell’obesità ovviamente non riguarda solo gli americani, ma è diffuso ampiamente in tutto il mondo occidentale: in Italia gli obesi sono sei milioni di persone (il 10% della popolazione), in Francia essi rappresentano l’11,2% della popolazione, in Belgio il 13,5%, in Svezia l’11%.

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Ciò che maggiormente preoccupa sono i dati relativi all’obesità infantile (che potrebbe portare i bambini ad ammalarsi di diabete o di problemi renali, per non parlare di problematiche psicologiche legate alla scarsa autostima e alla depressione). Un altro problema collegato all’obesità durante lo sviluppo psicofisico, si è capito di recente, è quello della perdita dell’udito. Il Columbia University Medical Centre ha pubblicato uno studio nella rivista scientifica Laryngoscope in cui vengono esaminati i dati relativi a un campione di giovani americani di età compresa tra i 12 e i 19 anni in sovrappeso: gli adolescenti colpiti dal disturbo alimentare hanno mostrato di avere maggiori problemi legati all’udito (15,2% contro l’8,3%).

A Ginevra, in Svizzera, l’obesità infantile è presa molto sul serio, visto che il 3% dei bambini ne soffre, ancor prima di raggiungere i 5 anni: per questo si stanno lanciando campagne pubblicitarie (come ad esempio Miam la vie), in cui vengono suggeriti i comportamenti da adottare per evitare l’obesità, che spesso vanno contro gli insegnamenti (errati) dati dai genitori. Ad esempio, in questa campagna un bambino dichiara: “Se non ho più fame, non sono obbligato a finire tutto il piatto”. Inoltre, vengono dati ai genitori e ai pediatri dei semplici consigli da raccomandare ai più piccoli: fare ginnastica, mangiare in modo sano e dormire a sufficienza.

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In Italia l’obesità infantile è in continuo aumento, specie in alcune regioni del Sud, a causa di un’alimentazione non corretta e di un errato stile di vita (paradossalmente, la dieta mediterranea è stata dimenticata proprio laddove era nata, visto che la stessa cosa accade anche in Spagna e in Grecia).

Secondo la British Medical Association scozzese “stiamo allevando una generazione di bambini su cui pende il pericolo di malattie croniche nel lungo termine”. La preoccupazione è condivisa anche da Vivienne Nathanson, direttrice delle attività professionali della BMA la quale ha dichiarato che: “non si dirà mai abbastanza su questo tema. L’obesità è legata a decine di malattie differenti. Costa molta sofferenza umana. Ed è prevenibile quasi al cento per cento. Il problema, secondo la portavoce dei medici britannici, è che” i governi non guardano al lungo termine. Tutti vogliono soluzioni rapide, che avvengano oggi e preferibilmente che non costino nulla”.

La politica infatti è sicuramente colpevole di questo stato di cose, per il suo disinteresse nei riguardi della salute della popolazione, ma anche per la scarsa vigilanza sui vari modelli che ci vengono offerti dai media e che, ancor più sconsideratamente, vengono proposti ai bambini, durante i programmi tv che loro abitualmente guardano. Un recente studio ha infatti scoperto che l’obesità infantile può essere peggiorata dal proliferare di pubblicità che invogliano a nutrirsi di cibo spazzatura e l’Organizzazione mondiale della sanità, nell’ultimo rapporto sull’obesità infantile, ha sottolineato l’urgenza di controllare in modo più severo le campagne pubblicitarie degli alimenti ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale.

Da quanto si è detto, è chiaro che la base eziologica dei disturbi del comportamento alimentare e dell’obesità non vada ricercata in una sola direzione, ma in una combinazione di fattori: organici (genetici, endocrini e metabolici), psico-sociali e ambientali.

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Dal punto di vista organico gli studi sono molto avanzati e proprio di recente è stata pubblicata una ricerca, da parte di due gruppi di scienziati inglesi, che hanno identificato una lunga lista di mutazioni del gene Sim1, che potrebbe essere all’origine di forme gravi di obesità ereditaria, dovuta ad un maggior consumo di cibo e a disfunzioni del sistema nervoso.

Un altro problema emergente, che riguarda l’infanzia indirettamente, è quello delle donne gravide obese: lo European Perinatal Health Report ha scoperto che è la Scozia ad avere uno dei tassi più elevati di donne gravide obese (20,7%), cui segue la Germania (13,7%), mentre il Paese più rigoroso sembrerebbe essere la Polonia, dove solo il 7,1% delle donne incinte sono obese (l’obesità durante la gravidanza può produrre rischi di parto prematuro, oltre che malformazioni e sofferenza fetale, mortalità in utero o neonatale).

Dal punto di vista psicologico sono gli individui che soffrono di depressione, ansia e disturbi del comportamento alimentare coloro che hanno maggiori difficoltà nel controllare il loro consumo di cibo, spesso a causa di un’educazione sbagliata.

Infatti, secondo l’esperta di disturbi alimentari Hilde Bruch, non sempre i genitori riescono a comprendere i bisogni reali del bambino e dunque, per dimostrare il loro affetto, utilizzano spesso il cibo, rendendo così impossibile al piccolo capire quando abbia realmente fame, oppure senta il bisogno di ricevere gratificazioni o allentare le proprie tensioni. In tutti questi casi il bambino ricorrerà al cibo, rischiando l’obesità.

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Altri fattori di rischio psicogeni sono generati dall’ansia e dallo stress, condizioni che portano spesso a mangiare senza avere fame oppure, come nel caso del Binge Eating Disorder (BED), a mangiare grandi quantità di cibo solo per il piacere di mangiare (per almeno 2 giorni alla settimana per un periodo di 6 mesi). Il BED si differenzia dagli altri disturbi alimentari più conosciuti (bulimia e anoressia), in quanto non è associato con regolari comportamenti compensativi, quali vomiti, purghe, digiuni o eccessivo esercizio fisico. (Per questo, gli amanti delle abbuffate, a differenza di molti bulimici, sono tutti in sovrappeso). Un altro disturbo alimentare che nasce da problematiche psicologiche è l’alzarsi di notte per andare a mangiare: si chiama Night Eating Sindrome, o NES, ma attualmente questo comportamento non viene riconosciuto come una vera e propria patologia nel DSM.

A parte le cause psicologiche dell’obesità, va evidenziato che le persone con problemi di sovrappeso hanno sempre a che fare con il disagio psicologico, a causa di livelli di autostima molto bassi (circa 5 volte inferiori, rispetto ai soggetti normopeso della stessa età. Se non altro a causa dei tanti fallimenti vissuti in diete dimagranti che non sono andate a buon fine…) e poi perché non si sentono accettati a livello sociale (e questo incide particolarmente nella difficoltà a trovare o mantenere un lavoro. L’obesità modifica infatti la geometria del corpo, impedendo molti movimenti e riducendo le capacità di svolgimento delle normali attività quotidiane, sia a livello di movimenti globali, sia a livello di movimenti di precisione degli arti. Nell’obesità grave si ha anche una diminuzione della forza muscolare e per questo è difficile anche svolgere attività lavorative che richiedano il mantenimento di posture impegnative).


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Dal punto di vista ambientale, un ruolo eziologico determinante va ricercato nelle errate abitudini di vita (es. carenza di attività fisica), causate anche dall’essere nati e cresciuti in ambienti considerati “tossici”. Secondo uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Obesity, ad esempio, più il quartiere nel quale si vive presenta la possibilità di comprare del cibo sano e fresco vicino casa, minori sono le possibilità di divenire obesi (e viceversa). Amy Auchincloss, docente presso il dipartimento di epidemiologia nella Drexel University di Philadelphia (USA) e co-autrice dello studio, suggerisce dunque di lanciare programmi che permettano la nascita, nei quartieri più svantaggiati, di negozi di cibo fresco: “Ecco il genere di iniziative di cui le città avrebbero bisogno per migliorare la salute dei propri abitanti”.

Il problema dell’obesità riguarda soprattutto i Paesi ricchi e da anni è oggetto di dibattito anche dal punto di vista etico. Ci si chiede ad esempio se i governi dovrebbero forzare i comportamenti alimentari dei propri abitanti, se dovrebbero limitare l’accesso al cibo, se dovrebbero intervenire direttamente nelle cure mediche, ma anche come dovrebbe essere distribuito il cibo a livello planetario, per evitare le tante morti causate a causa del cibo: per la sua mancanza, così come per la sua sovrabbondanza.

L’intervento dello Stato nella privacy dei cittadini, anche per fini salutistici, non è sempre ben visto. La stessa decisione dei medici americani di inserire l’obesità nell’elenco delle malattie, secondo alcuni potrebbe avere l’effetto di rimuovere gli elementi di responsabilità personale che portano a questa condizione e incoraggiare le persone ad intraprendere costosi trattamenti medici, anziché cercare soluzioni diverse, attraverso la dieta e l’esercizio fisico. Alcuni osservatori piuttosto critici ricordano a tal proposito che l’obesità (come accade spesso in psichiatria) è stata promossa da condizione medica a “patologia” solo per alzata di mano dei medici e che non vi sono esami clinici o strumentali per poterla realmente diagnosticare: questi interventi di “medicalizzazione” della società potrebbero portare le persone a replicare stili di vita sbagliati, i cui effetti dovrebbero poi essere sanati inevitabilmente attraverso il ricorso ai farmaci.

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Le terapie per l’obesità sono di tipo chirurgico, farmacologico, psicoterapeutico. Ogni caso deve essere attentamente studiato, per poter intervenire in modo mirato: in qualcuno infatti, per risolvere un problema di sovrappeso, anche grave, potrebbe bastare una terapia di sostegno che sia motivante nei confronti della dieta e dell’attività fisica, mentre per altri tutto questo potrebbe non essere sufficiente e si dovrebbe procedere per via farmacologica, se non chirurgica.

Qualunque terapia si decida di intraprendere tuttavia, essa non può che nascere da una forte motivazione al cambiamento, alla scelta di voler tornare ad un peso “normale”. Ottima dunque la riflessione dello scrittore inglese Cyril Connolly, il quale disse giustamente che: L’unico modo per dimagrire è ridare uno scopo alla propria vita.

Dr. Giuliana Proietti

 

Dr. Giuliana Proietti

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Venere di Willendorf, 24.000-22.000 A.C.Wikimedia

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