Il business della medicalizzazione dell’infanzia

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L’infanzia è diventato un target per l’industria farmaceutica? L’opinione di Christopher Lane

“In nessun campo medico il condition branding (*) viene accettato tanto come nel settore dell’ansia e della depressione,” scrisse Vince Parry una decina di anni fa nella rivista di marketing Medical Marketing and Media. Parry, esperto del settore, chiamò il suo articolo “The Art of Branding a Condition” (L’arte di vendere una malattia). Ansia e depressione sono particolarmente sensibili al “condition branding”, diceva ai colleghi, perché “la malattia mentale raramente si basa su sintomi fisici misurabili e, pertanto, è aperta alla definizione concettuale”.

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L’arte di vendere malattie — mettendo correttamente in relazione una malattia con un prodotto farmaceutico — ha prodotto tre strategie chiave:

  • elevare il livello di gravità di una malattia esistente;
  • ridefinire una malattia esistente per ridurre i pregiudizi che la riguardano;
  • sviluppare una nuova malattia per costruire il riconoscimento di un’esigenza di mercato ancora insoddisfatta.

Il candido articolo di Parry mi è venuto in mente dopo aver letto l’eccellente articolo di Aaron E. Carroll pubblicato sul New York Times “Calling an Ordinary Health Problem a Disease Leads to Bigger Problems” (Definire malattia un ordinario problema di salute comporta grossi problemi”). Il Dottor Carroll, professore di Pediatria presso l’Indiana University School of Medicine, ha esposto le conseguenze delle strategie di Parry: sulla salute pubblica, sull’aumento della spesa per la salute e sulla crescente abitudine di ampliare enormemente l’area diagnostica verso disturbi le cui soglie d’età sono state abbassate fino ai più giovani, in alcuni casi in modo drammatico.

La giustificazione utilizzata ruota intorno ad un argomento ancora controverso, in gran parte non provato scientificamente, riguardo al precoce intervento farmaceutico, dove “precoce” si riferisce all’età, piuttosto che all’insorgenza della malattia. Il che ovviamente consente di iniziare ad assumere farmaci in età sempre più giovani e per un grande numero di bambini (settore in crescita: neonati).

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Il Dottor Carroll scrive circa la notevole pressione al ribasso sulla soglia di età per le diagnosi infantili di GERD (gastro-esophageal reflux disease, o malattia da reflusso gastro-esofageo, MRGE), anche se la malattia reale (distinta dai suoi sintomi comuni) è “rara” in quel gruppo di età. “Circa il 50 per cento dei neonati sani ha un rigurgito più di due volte al giorno“, scrive Carroll. “Circa il 95 per cento di loro supera comletamente il problema senza trattamento. Quando la maggior parte dei neonati ha (ed ha sempre avuto) una serie di sintomi che vanno via da soli, non è una malattia: è una varianza della normalità ”

Con il precipitare delle soglie di età per tali malattie comunque, e l’accrescersi delle campagne promozionali, “sono stati diagnosticati sempre più casi di bambini con reflusso come aventi una ‘malattia’. L’incidenza della diagnosi di MRGE nei neonati è triplicata dal 2000 al 2005″. Non sorprende venire a sapere da questo pediatra che “molti di quei bambini sono ora in trattamento con farmaci chiamati inibitori della pompa protonica (PPI) :”tra il 1999 e il 2004″, scrive,”l’uso di una forma liquida per bambini di P.P.I. è aumentata di più di 16 volte“.

Considerando l’espansione massiccia nelle prescrizioni appena sopra i cinque anni, ed anche per bambini molto più piccoli, vale la pena ripensare a ciò che afferma Parry sulla creazione della MRGE per gli adulti. La condizione di malattia è stata ideata, egli si vanta, per accompagnare una massiccia campagna promozionale per il farmaco ranitidina.

Uno dei modi più semplici per esagerare la gravità di una malattia, ammette Parry, è stupire il pubblico con gli acronimi. Nel caso della MRGE, il pubblico riteneva in precedenza che i prodotti da banco fossero adeguati nella lotta contro i bruciori di stomaco. Così la necessaria  campagna di marketing doveva elevare… ridefinire… sviluppare la malattia rinominata, per convincere medici e pazienti in altro modo. Altri acronimi e accentuazioni quasi identiche sono state elaborate per promuovere l’IBS ((irritable bowel syndrome, o sindrome dell’intestino irritabile), l’ED (erectile dysfuncion, o disfunzione erettile), il PMDD (premestrual dysphoric disorder, o disturbo disforico premestruale) e il SAD (social anxiety disorder, o disturbo d’ansia sociale), come ho mostrato in modo molto più esteso in Shyness: How Normal Behavior Became a Sickness.   (Leggi l’intervista di psicolinea all’autore)

“Il più grande problema” a proposito della massiccia sovradiagnosi e ipermedicalizzazione dei neonati con MRGE, conclude Carroll , “è che la stragrande maggioranza di questi neonati non erano ‘malati’. Gli abbiamo semplicemente dato una diagnosi ufficiale. Definire questi pazienti come  ‘malati’ può avere conseguenze significative, sia per la salute, sia per il bilancio sanitario della nazione.”

Scusate, medici – soprattutto pediatri: cosa ne è del: “Primo, non nuocere“?

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Fonti e Links:

Carroll, Aaron E. “Calling an Ordinary Health Problem a Disease Leads to Bigger Problems.New York Times: June 3, 2014.

Lane, Christopher. 2007. Shyness: How Normal Behavior Became a Sickness. New Haven: Yale University Press.

Medicating Children: Why Controversy Still Flares over ‘Early Detection.’Psychology Today: September 2, 2010.

The OECD Warns on Antidepressant Overprescribing.Psychology Today: November 22, 2013.

“Americans Are Being Aggressively Over-Diagnosed.” Psychology Today: September 20, 2011.

Behavior Drugs Given to Four-Year-Olds Prompt Calls for Inquiry—in the UK.Psychology Today: March 19, 2011.

“Naming an Ailment: The Case of Social Anxiety Disorder.” Psychology Today: June 11, 2012.

Parry, Vince. “The Art of Branding a Condition.” MM&M: Medical Marketing and Media (May 2003): 44-46.


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