Aspetti psicologici ambientali e strutturali della Day Surgery

Aspetti psicologici, ambientali e strutturali della Day Surgery

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Psicolinea

Terapeuti di Psicolinea:
Dr. Giuliana Proietti - Tel. 347 0375949
Dr. Walter La Gatta  -   Tel. 348 3314908

Apertura dei lavori al Convegno “Innovazioni chirurgiche e costi della Sanità Pubblica
Franco Avenia
Sala “Aldo Moro”, Palazzo Montecitorio
Roma 29.04.2016

In Italia i ricoveri ospedalieri, come noto, sono in calo dal 2005, con una maggior diminuzione negli ultimi anni a partire dal 2007. Nel 2014, ne sono stati effettuati 9.526.832, per un totale di 63.129.031 giornate, con una riduzione rispetto al 2013 di circa 315 mila ricoveri (-3,2%) e 1.184.000 giornate (-1,8%).[1]

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Nel primo semestre del 2015 la tendenza si conferma con una diminuzione dell’attività ospedaliera complessivamente erogata.  Le dimissioni per acuti in regime ordinario sono state 3.178.661 e 877.627 in regime diurno, pari al 21,6% del totale delle dimissioni per acuti. Gli interventi chirurgici di Day Surgery (in regime di ricovero limitato alle sole ore del giorno) e One Day Surgery (con una sola notte di ricovero) sono stati pari circa al 50% di tutta l’attività chirurgica.

Ciò, come evidente, produce una notevole riduzione dei costi, sia per le risorse umane, sia per le risorse economiche in generale. Va però tenuto conto che il regime diurno non può basarsi solo sul risparmio, ma deve altresì considerare gli aspetti soggettivi ed oggettivi che consentano di ottimizzare il risultato terapeutico con la soddisfazione e la percezione di salute del paziente.

Trend

Per quanto attiene ai fattori soggettivi, vanno analizzati i possibili vissuti positivi e negativi che si configurano, non soltanto durante il breve ricovero, ma anche nel ritorno a casa, dove il paziente deve confrontarsi con stati emotivi di diversa natura, del tutto nuovi rispetto ad una tradizionale dimissione ospedaliera.

Uno dei principali ostacoli emotivi che deve superare il soggetto ospedalizzato è il distacco dalle sue abitudini, dai familiari e la riduzione sensibile della sua privacy, aspetti negativi che invece non si manifestano in ambito di ricovero diurno.

Va, infatti, notato che chi sa di poter tornare a casa la sera stessa o il giorno dopo affronta l’intervento chirurgico con maggior serenità di chi, al contrario, entra in ospedale senza poter conoscere quanto a lungo vi rimarrà.

La sensazione spontanea – ancorché non realmente corretta – di esser già guariti, che s’ingenera dopo la dimissione, favorisce poi uno stato d’animo di maggior sicurezza e tranquillità.

Il brevissimo periodo d’ospedalizzazione consente inoltre di evitare il distacco dall’ambiente familiare e, di conseguenza, anche di mantenere immutate le proprie abitudini di vita. Ciò è sicuramente importante per il morale del paziente e per la possibilità pratica, facilitata anche dall’uso degli abituali locali, di curare la propria persona con l’aiuto dei familiari, che offrono non solo il conforto della loro presenza, ma anche un supporto pratico. Il senso di pudore, infatti, e di vergogna d’essere accuditi intimamente da persone sconosciute e magari dell’altro sesso, crea spessissimo un fortissimo disagio, capace anche d’interferire con le funzioni corporee o di sottostimare dolori o problemi d’altro tipo, rimandando o impedendo di chiedere aiuto al personale infermieristico, con conseguenze più o meno severe.

In ultimo, non dobbiamo dimenticare un aspetto oggettivo importante: la riduzione, prossima allo zero, del rischio d’infezioni per l’assenza dei “germi da ospedale”.

Non tutto, però si appalesa positivamente. Una dimissione effettuata in un ristretto ambito temporale (dopo poche ore o dopo una sola notte di degenza) può generare una sensazione d’insicurezza, rispetto al ricovero ordinario. Trovarsi a casa dopo un intervento chirurgico senza assistenza medica,  invece che affidarsi alla sorveglianza dei sanitari, alla loro esperienza ed ai macchinari a loro disposizione, può favorire una risposta d’ansia.

Ansia che può crescere pensando di essere lontani dall’ospedale in caso d’improvvise complicanze o di poter sbagliare posture, medicazioni, assunzione di farmaci, ecc..

In altre parole, la dimissione rapida, prevista nel ricovero diurno, può favorire la resistenza del paziente ad accettare tale modalità terapeutica poiché, pur valutando gli aspetti positivi di un trattamento in Day Surgery, è facile che si sviluppi una sensazione d’abbandono.

Oltre agli aspetti psicologici, per valutare con ponderazione la portata del regime di ospedalizzazione diurno, vanno tenuti presenti gli aspetti ambientali e strutturali. Esistono, infatti, delle incombenze che sono direttamente a carico del paziente e del suo contesto familiare ed altre che fanno capo all’organizzazione del sistema dei ricoveri diurni.

Le prime consistono essenzialmente nelle disponibilità del paziente, che deve assicurare di poter utilizzare un auto, di possedere un telefono in casa (preferibilmente fisso, per evitare problemi di campo di recezione o di batterie scariche) e di avere un accompagnatore che poi lo assista anche in casa. La figura dell’accompagnatore è, infatti, essenziale nella Day Surgery e nella One Day Surgery e non è possibile accedere a regimi diurni di ricovero senza di essa. L’accompagnatore, oltre ad accompagnare materialmente il paziente, riceve istruzioni sulle cure da prestare, i farmaci da somministrare e gli eventuale sintomi da comunicare ai medici della struttura ospedaliera. L’accompagnatore, poi, svolge il compito di raccordo con il Medico di Medicina Generale (intermediario qualificato) cui deve consegnare la documentazione affidatagli all’atto della dimissione, con le indicazioni riportanti il tipo di intervento eseguito e le terapie da seguire.

Le seconde, ovvero le incombenze post-dimissioni a carico della struttura ospedaliera, si concretano nella garanzia di un follow-up organizzato con i medici del territorio e nella possibilità di ricevere segnalazioni dai pazienti, offrendo consultazioni telefoniche esaurienti e tempestive.

In conclusione, per un’ottimizzazione della terapia chirurgica in regime diurno, sono elementi essenziali: un’informazione chiara e completa sulle modalità dell’intervento e del post-intervento domiciliare, da fornire al paziente ed ai familiari (accompagnatore); un’interazione garantita tra paziente, Medico di Medicina Generale e ospedale; e – ove possibile – nei casi indicati, una valutazione psico-sociale preventiva (aspettative, paure, resistenze, impedimenti pratici, deficit ambientali e familiari, ecc.) atta a garantire il più possibile una compliance alla terapia.

La Day Surgery e la One Day Surgery non devono, dunque, rappresentare solo procedure atte a ridurre i costi della Sanità Pubblica, ma altresì a garantire al paziente un’efficace terapia ed una controllata convalescenza, vissute senza paure, in tutta tranquillità e con una percezione progressiva di salute.

Dr. Franco Avenia

[1] Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero (Dati SDO 2014), a cura dell’Ufficio VI della D.G. programmazione sanitaria del Ministero della salute.

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catarsi e metodo catartico

La catarsi ed il metodo catartico

La catarsi ed il metodo catartico

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Il metodo catartico ha segnato un momento fondativo nella storia della psicoterapia, evidenziando l’importanza delle emozioni represse e della loro espressione. Sebbene oggi non venga più utilizzato come tecnica autonoma, la catarsi continua a essere riconosciuta come un *momento potenzialmente trasformativo*, da integrare responsabilmente all’interno di percorsi terapeutici più articolati e personalizzati.

Cosa è la “catarsi”?

La “catarsi”, dal greco “katharsis” (purificazione), significa ‘purificazione’: è un termine che veniva utilizzato per indicare la cerimonia di purificazione presente in diverse concezioni religiose ed in rituali magici. In ambito psicologico, la catarsi è intesa come un processo di liberazione emotiva che consente all’individuo di esprimere e rielaborare esperienze traumatiche o intense, spesso represse.

Il termine veniva usato in ambito medico?

Si. In ambito medico, Ippocrate e Galeno usarono il termine in riferimento alla purificazione fisica, ad esempio attraverso l’eliminazione di fluidi corporei. La catarsi poteva consistere nella liberazione dell’individuo da una contaminazione o ‘miasma’, visibile o invisibile, che danneggiava o corrompeva la natura della persona (es. sangue o colpa).

Ad esempio, nel V secolo a.C. nella medicina d’Ippocrate, si definiva  “catarsi” l’evacuazione di escrementi o di elementi ritenuti dannosi per la salute. Questa purificazione poteva essere ottenuta o con metodi naturali o con farmaci catartici. Anche le mestruazioni o la potatura di un albero potevano rappresentare una catarsi. La catarsi veniva allora distinta in ‘naturale’ o ‘artificiale’ (es. indotta da emetici e purganti).

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Anche i filosofi hanno utilizzato questo concetto?

Si. La catarsi era già presente nelle credenze orfiche e, nella forma descritta da Empedocle, era un mezzo di purificazione che faceva uscire l’uomo dalle nascite nel ciclo delle reincarnazioni, per rimetterlo nelle dimore degli Dei, liberato dagli ‘umani dolori’.

Per Socrate la catarsi era  il risultato del dialogo: lo stringente susseguirsi di brevi domande e risposte portava alla purificazione, alla liberazione dai mali interiori, quali la cattiveria e l’ignoranza.

Platone utilizzava questo termine per indicare le vie per la liberazione dell’anima dalle passioni più materiali, per aprirsi alla prospettiva della phronesis (saggezza).

In Aristotele, assieme all’uso medico del termine, compare ne La Poetica, il celebre tema della catarsi tragica e, nella Politica, quello della catarsi musicale.

La catarsi tragica è la purificazione dell’anima dello spettatore.   La tragedia, infatti, è solo un’imitazione drammatica di fatti gravi e luttuosi, per cui la paura e la pietà che lo spettatore prova di fronte alla messa in scena di un dramma non sono le stesse che proverebbe nella realtà: l’imitazione tragica trasforma la pena reale in piacere, purificando il simile col simile. C’è poi la musica, che porta alla catarsi attraverso la meditazione.

Nell’età romantica, il significato estetico della purificazione dell’arte ritorna con Goethe, Schiller e Schopenhauer: l’arte è una via di liberazione dalla volontà irrazionale e dalla ‘cieca pulsione’ che la percorre.

Questo significato si è evoluto nel tempo fino a essere trasposto anche in ambito psicologico.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Quali sono i meccanismi psicologici della catarsi?

La catarsi psicologica può essere descritta come un processo in tre fasi:

  1. Rievocazione: l’individuo recupera un ricordo traumatico o fortemente emotivo, spesso precedentemente rimosso o represso.
  2. Espressione: l’emozione associata viene vissuta e verbalizzata, spesso con intensità. 
  3. Elaborazione: si riorganizza cognitivamente l’esperienza, con un senso di sollievo, comprensione e diminuzione del peso psichico. 

In cosa consiste il metodo catartico di Breuer e Freud?

Il termine “catarsi” è stato ripreso da Sigmund Freud e Joseph Breuer nel 1895, negli Studi sull’isteria,  per indicare la liberazione di emozioni in pazienti ansiosi, grazie al recupero di particolari pensieri o ricordi biografici.

Essi chiamarono il procedimento da loro utilizzato “metodo catartico”. Freud e Breuer partirono dal presupposto che i sintomi isterici nascevano per il fatto che a un processo psichico gravato di intenso affetto veniva in qualche modo impedito di defluire (abreazione) sulla via normale che conduce alla coscienza e alla motilità, cosicché l’affetto, per così dire ‘incapsulato’, prendeva una strada sbagliata e trovava un deflusso nell’innervazione somatica (‘conversione’).

Con questo metodo, il paziente veniva indotto a rievocare verbalmente, o talora a rivivere, eventi traumatici: ciò permetteva l’abreazione degli effetti patogeni ad esso associati.

Nel celebre caso clinico di Anna O. (Bertha Pappenheim), Breuer notò che i sintomi isterici della paziente si alleviavano quando, sotto ipnosi, la ragazza riusciva a “rivivere” e “verbalizzare” eventi traumatici precedenti, spesso accompagnati da un’intensa risposta emotiva. La paziente definì questo processo come una “cura delle parole” (talking cure), ponendo le basi per ciò che sarebbe divenuto il trattamento psicoanalitico.

Freud riprese e approfondì il metodo, inizialmente utilizzandolo per favorire la rievocazione di contenuti rimossi e l’espressione di emozioni represse. 


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Freud continuò sempre a usare questo metodo?

No, quando Freud rinunciò all’ipnosi, cercò di indurre i ricordi mediante la pressione della sua mano sulla fronte del paziente. Il metodo fu poi sostituito con le ‘libere associazioni’ (1903).

Freud si rese infatti conto che i sintomi non erano determinati soltanto da eventi traumatici, ma rappresentavano il risultato di un conflitto fra diverse forze psichiche.

Per questo, la terapia non doveva risolversi in qualche seduta, con il ricordo di un episodio, ma doveva mirare al superamento delle resistenze che mantenevano i conflitti rimossi e ne impedivano l’affiorare.

La catarsi cessò pertanto di essere la principale finalità terapeutica in quanto non eliminava le resistenze, ma le eludeva, producendo risultati solo transitori, mentre:

‘quando il materiale rimosso è stato ricondotto all’attività psichica cosciente, il che presuppone il superamento di considerevoli resistenze, allora il conflitto psichico (…) che il malato voleva evitare, può trovare, sotto la direzione del medico, un esito migliore di quello offerto dalla rimozione’
(Freud, Cinque Conferenze sulla Psicoanalisi, 1909).

Oggi si usa ancora il metodo catartico?

Nonostante il suo valore storico, il metodo catartico in forma pura è stato abbandonato a favore di approcci più strutturati. Il rischio principale risiede nella “ri-traumatizzazione” del paziente, se il rivivere emotivo non è accompagnato da contenimento terapeutico e rielaborazione simbolica. Tuttavia, la catarsi rimane un elemento implicito in molte terapie contemporanee, anche se non più come fine, ma come possibile mezzo verso il cambiamento.

Dr. Walter La Gatta

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Quali pratiche terapeutiche incorporano il metodo catartico?

Ad esempio le “Terapie espressive” (arte terapia, psicodramma, danza terapia): l’azione creativa favorisce il contatto con vissuti profondi e la loro espressione simbolica, o le “Terapie corporee” (come la bioenergetica): lavorano sul rilascio di tensioni somatiche ed emozionali, o la Terapia focalizzata sulle emozioni (Emotion-Focused Therapy), che promuove il riconoscimento e la trasformazione delle emozioni primarie attraverso esperienze intense e simbolicamente significative. Attraverso queste ‘catarsi da attività’, la persona può entrare in contatto con gli aspetti più profondi della sua realtà psicologica ed esistenziale.

In questi approcci, tuttavia, l’esperienza catartica non è mai isolata, ma sempre inserita in un contesto relazionale e riflessivo, che ne consente l’integrazione. Oggi si ritiene infatti (Greenberg, L. S. 2002) che la catarsi possa in qualche modo aprire la porta, ma è la comprensione, l’accettazione e la ristrutturazione cognitiva ciò che consolida il cambiamento.

Dr. Walter La Gatta

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Fonte Principale
Galimberti, Dizionario di Psicologia

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Quando le ricerche psicologiche sono fasulle

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Dall’indagine condotta è emerso che il Dr. Stapel aveva potuto continuare per anni la sua falsa ricerca in quanto era “Signore dei Dati”: visto infatti che era considerato da tutti un accademico molto carismatico, era lui l’unica persona che aveva accesso ai dati sperimentali delle sue ricerche. Il non voler condividere i dati della ricerca è una nota dolente che si ripropone spesso: un atteggiamento del genere infatti viola le norme etiche della ricerca scientifica, ma è molto praticato.

Peraltro, in un’altra ricerca pubblicata nel 2011 su PLoS One, da Wicherts, Bakker e Molenaar, è stato scoperto, non troppo sorprendentemente, che più i ricercatori si mostrano riluttanti nel condividere i dati della loro ricerca, maggiori sono le probabilità che vi siano errori nell’evidenza scientifica dei loro studi.

L’atteggiamento riservato dei ricercatori tuttavia non è, in molti casi, del tutto incomprensibile, vista l’enorme competizione che c’è nel loro ambiente e la diretta correlazione fra scoperte scientifiche e carriera personale: non tutti vorranno certo avere esperienze come quella capitata a Rosalind Franklin, la vera scopritrice della struttura del DNA, sconosciuta ai più, sebbene altri con questa sua scoperta presero perfino il premio Nobel!

Oltre che completamente false, le ricerche psicologiche possono essere correttamente effettuate, ma piene di errori nel calcolo statistico: del resto gli psicologi hanno poco a che fare con la matematica! (Vedi in proposito la ricerca di Wicherts e Bakker, sempre dell’Università di Amsterdam, che prendeva in esame 281 studi pubblicati su note riviste scientifiche: i calcoli statistici erano completamente errati nel 50% dei casi, mentre nel 15% di esse vi erano errori di calcolo minori, in particolare quando i dati ottenuti erano in contrasto con le ipotesi iniziali degli autori).

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Alcuni sono arrivati a chiamare, a ragion veduta, alcune di queste ricerche psicologiche come “scienza spazzatura” o, peggio, “scienza Voodoo”, specialmente dopo che anche una rivista accreditata, come The Journal of Personality and Social Psychology ha accettato di pubblicare una ricerca sulla percezione extra-sensoriale.

Più recentemente, nel Maggio 2015, è accaduto che la prestigiosa rivista Science abbia ritirato una ricerca da poco pubblicata, senza il consenso del suo autore, Michael J. LaCour, dell’Università di Los Angeles, sempre per quanto riguarda alcune irregolarità nel calcolo statistico dei dati, oltre che per alcune dichiarazioni false rese dall’autore in merito alle modalità di svolgimento dei sondaggi. In questo caso laricerca riguardava le capacità di persuasione, che permettevano di convincere anche gli scettici alla normalità del matrimonio gay.

La situazione descritta fa molto male alla ricerca psicologica, la quale solo di recente ha ottenuto una sua credibilità in campo scientifico, seppure ancora piuttosto fragile. A peggiorare le cose arriva in questi giorni una nuova ricerca, Estimating the reproducibility of psychological science, condotta da Brian Nosek, psicologo sociale presso l’Università della Virginia, che conferma le difficoltà in cui versa il settore. Infatti, dopo aver selezionato 100 ricerche, pubblicate nel 2008 su tre delle più importanti riviste scientifiche del settore (Psychological Science, il Journal of Personality and Social Psychology, e il Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition), i ricercatori hanno scoperto che il 50% di esse non sono riproducibili (come insegnò Galileo Galilei, la conoscenza della realtà può dirsi scientifica solo se è oggettiva, affidabileverificabile e condivisibile. Tutto quello che non può essere replicato non è scientifico).

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Dal 2002 parole che curano, orientano e fanno pensare.

Il Reproducibility Project è iniziato nel 2011, quando Nosek e colleghi hanno reclutato 250 ricercatori e selezionato 100 studi da replicare, per accertarne la validità. I ricercatori, consci del fatto che molte possono essere le variabili che influenzano gli studi, hanno lavorato in stretta collaborazione con gli autori originali delle ricerche, in modo da poter riprodurre i loro dati il più fedelmente possibile, utilizzando perfino un numero di soggetti più ampio di quello utilizzato nelle ricerche originali, per dare al loro lavoro il massimo della significatività statistica.

Ebbene, da questa ricerca è emerso che, a differenza dei casi precedentemente citati, gli studi non sono falsi, né errati: nella maggior parte dei casi, i dati sono risultati corretti, ma con una significatività statistica ai minimi livelli. In altre parole, i risultati ottenuti sono stati largamente enfatizzati, ingigantiti, gonfiati, per sorprendere i lettori e trovare così spazio nei media.

Tra gli studi esaminati nella ricerca del Reproducibility Project ce ne è uno sul libero arbitrio: sostiene che i partecipanti che leggono un brano in cui si sostiene che il volere individuale è predeterminato tendono poi a mentire in un test. Un altro riguarda l’influenza della distanza fisica: se ai partecipanti viene chiesto di unire due punti lontani su un grafico, questo determina un attaccamento emotivo inferiore verso la propria famiglia rispetto a chi deve unire due punti più vicini, sullo stesso grafico. Un altro studio riguarda la scelta del partner, in cui le donne con maggiore attaccamento danno dei punteggi più elevati ai possibili partners se sono nel loro periodo fertile (rispetto a quando non sono fertili).

Questo tipo di ricerche psicologiche possono in effetti sorprendere per quanto sono strane, stravaganti e strampalate. Sarebbe sbagliato tuttavia pensare che esse siano ininfluenti: queste notizie, sparate sui media, contribuiscono alla conoscenza popolare della psicologia, cioè alla conoscenza che le persone hanno degli aspetti emotivi e cognitivi della personalità umana, delle dinamiche nelle relazioni interpersonali, ecc. Queste ricerche influiscono dunque sulla nostra vita, perché una volta apprese, guidano consciamente e inconsciamente le nostre scelte e diventano un punto di riferimento per i professionisti che operano in diversi settori: ad esempio, in campo scolastico o terapeutico. Per questo scoprire che queste ricerche, cui tutti diamo credito, siano “scienza voodoo” è veramente preoccupante.

Terapia di Coppia

Ciò che conforta è che la scienza psicologica stia facendo in realtà ciò che dovrebbe fare qualsiasi scienza esatta: cioè confutare le teorie false e sostituirle con teorie sempre più oggettive. Il solo fatto di parlarne apertamente rispecchia già un atteggiamento scientifico, e dunque va incoraggiato, anche in altri settori della ricerca.

Sarebbe ingenuo infatti pensare che questa situazione riguardi solo la psicologia: tutto quello che si è detto per la ricerca psicologica potrebbe avvenire anche in altri campi della ricerca scientifica, come sostiene il Dr. John Ioannidis, direttore dello Stanford University’s Meta-Research Innovation Center, per quanto riguarda i campi della biologia cellulare, delle neuroscienze, della medicina clinica e della ricerca sugli animali (se la ricerca psicologica sugli atteggiamenti umani è importante, proviamo a pensare quanto sia importante la ricerca sul cancro…).

Voci critiche si sono levate anche nei confronti della ricerca di Nosek: chi controlla il controllore? Nel caso della ricerca di Paola Bressan dell’Università di Padova, che appare fra quelle esaminate, l’autrice si chiede ad esempio se sia corretto considerare equivalenti un campione di studentesse americane con un campione di donne italiane.

I ricercatori, in tutti i settori, lamentano la presenza di un ambiente troppo competitivo che, oltre tutto, favorisce e finanzia solo le ricerche più estrose e “sexy”: i fondi pubblici e privati per chi desidera replicare i risultati sono invece scarsi o inesistenti e dunque le ricerche pubblicate e ampiamente diffuse dai media finiscono per esprimere l’ultima parola nei più vari argomenti, visto che nessuno prova a confutarle.

D’altro canto, a chi potrebbe interessare che una ricerca pubblicata sei mesi fa sia risultata falsa o parzialmente errata? I lettori sono in genere distratti ed i media, piuttosto che pubblicare sterili rettifiche, cercano piuttosto notizie “hot”, in modo da attrarre un maggior numero di lettori, o di spettatori, per vendere la pubblicità.

Delle ricerche psicologiche si parla ormai nei media come si fa con gli oroscopi o il gossip sui vip, ma questo non è un bene per chi lavora seriamente. Sta dunque ai ricercatori, in primis, presentare i risultati ottenuti in modo accurato e onesto, senza esagerare le cose, senza cercare una facile notorietà. Non meno importante è un richiamo alla professionalità dei giornalisti (e di alcuni “esperti” o pseudo-tali), i quali dovrebbero fare divulgazione affrontando ogni nuovo studio con maggiore scetticismo, per cercare di capire se le ricerche pubblicate presentino o no degli aspetti di vulnerabilità (ad esempio, ricerche condotte su un campione di 30 persone non dovrebbero essere prese nemmeno in esame…). Infine, i lettori dovrebbero essere meno passivi rispetto a tutto quello che diffondono i media (Esempio tipico: “È vero, l’ha detto la tv”).

Insomma, tutti partecipiamo, direttamente o indirettamente, al circo mediatico: un atteggiamento più critico da parte di tutti potrebbe essere di grande aiuto, non solo per la salute della ricerca scientifica, ma anche per la nostra salute, il nostro benessere e la qualità della nostra vita.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Pubblicato anche su Huffington Post

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Sei una vittima di violenza domestica? Test

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I Test di Psicolinea

A cura di:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta

Altri test sono disponibili su:
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La violenza domestica ha luogo quando un membro della coppia tenta di dominare l’altro, attraverso varie forme di violenza, fisica o psicologica. Di solito, la violenza non inizia con l’abuso fisico, ma poi si insinua lentamente nella coppia: ad esempio con una strana scusa per tenere la vittima lontana dalla sua famiglia o dagli amici. Quando si è isolati, esclusi dal rapporto con altre persone, le violenze aumentano e degenerano, a volte fino all’omicidio.

Questo test serve a comprendere se si è in una situazione di rischio e a fornire informazioni utili su cosa è possibile fare per proteggersi e chiedere aiuto.
(Maggiori info alla fine del test)

TEST

Ecco 30 affermazioni: spunta quelle che corrispondono alla tua esperienza.

1. Ti minaccia con un coltello.
2. Cerca di allontanarti dalle tue amicizie.
3. Quando qualcuno ti fa un complimento ci rimane male.
4. Ti picchia fino a farti lividi o fratture.
5. Si arrabbia se parli con colleghi/e di lavoro.
6. Preferisce che trascorriate il weekend da soli.
7. Ti costringe ad avere rapporti sessuali contro la tua volontà.
8. Ti accusa spesso di tradirlo/a senza motivo.
9. Ti scrive spesso per sapere dove sei.
10. Ti isola completamente dalla tua famiglia.
Continua…

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11. Ti umilia o deride davanti ad altre persone.
12. Ti chiede spesso conferme del tuo affetto.
13. Ti controlla il telefono o le email senza il tuo consenso.
14. Ti fa sentire in colpa per tutto ciò che va storto.
15. Si irrita se stai troppo tempo al telefono.
16. Ti rinchiude in casa impedendoti di uscire.
17. Minaccia di abbandonarti se non fai ciò che vuole.
18. Non vuole che pubblichi certe foto online.
19. Ti fa del male davanti ai figli o minaccia di farlo.
20. Ti controlla quanto spendi e ti dà pochi soldi.
Continua…

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21. Ti dice che alcune persone non ti fanno bene.
22. Ti minaccia di morte.
23. Ti accusa di non essere un buon genitore.
24. Vorrebbe essere sempre al centro della tua attenzione.
25. Ti impedisce di lavorare usando la forza o mettendoti paura.
26. Ti impone cosa indossare.
27. Ti interrompe quando parli.
28. Usa armi o oggetti contundenti contro di te.
29. Fa scenate di gelosia per futili motivi.
30. Ti critica per piccoli difetti.

Tabella di valutazione

Riporta le tue risposte nella seguente tabella

Affermazione Gravità Spiegazione
1. Ti minaccia con un coltello 3 Minaccia letale: rappresenta un pericolo diretto per la vita
2. Cerca di allontanarti dalle tue amicizie 2 Controllo sociale e isolamento, tipico nei contesti abusivi
3. Se qualcuno ti fa un complimento ci rimane male 1 Gelosia passiva-aggressiva, non sempre consapevole ma può diventare tossica
4. Ti picchia fino a farti lividi o fratture 3 Violenza fisica evidente e punibile penalmente
5. Si arrabbia se parli con colleghi/e di lavoro 2 Gelosia eccessiva e controllo delle relazioni esterne
6. Preferisce che trascorriate il weekend da soli 1 Comportamento che può sembrare affettuoso ma nasconde isolamento e bisogno di controllo
7. Ti costringe ad avere rapporti sessuali contro la tua volontà 3 Violenza sessuale, gravissimo reato
8. Ti accusa spesso di tradirlo/a senza motivo 2 Controllo e paranoia che minano la fiducia reciproca
9. Ti scrive spesso per sapere dove sei 1 Controllo mascherato da premura
10. Ti isola completamente dalla tua famiglia 3 Isolamento sociale strategico per indebolirti psicologicamente
11. Ti umilia o deride davanti ad altre persone 2 Violenza psicologica e squalifica pubblica
12. Ti chiede spesso conferme del tuo affetto 1 Bisogno emotivo costante, può diventare invasivo
13. Ti controlla il telefono o le email senza il tuo consenso 3 Violazione della privacy e sorveglianza abusiva
14. Ti fa sentire in colpa per tutto ciò che va storto 2 Strategia manipolatoria per esercitare potere psicologico
15. Si irrita se stai troppo tempo al telefono 1 Segnale di controllo del tempo e delle relazioni
16. Ti rinchiude in casa impedendoti di uscire 3 Sequestro di persona e coercizione fisica
17. Minaccia di abbandonarti se non fai ciò che vuole 2 Ricatto affettivo per ottenere il controllo
18. Non vuole che pubblichi certe foto online 1 Controllo sull’autonomia digitale
19. Ti fa del male davanti ai figli o minaccia di farlo 3 Violenza assistita e trauma indiretto verso i minori
20. Ti controlla quanto spendi e ti dà pochi soldi 2 Violenza economica, forma subdola di dominio
21. Ti dice che alcune persone non ti fanno bene 1 Paternalismo che può mascherare gelosia o controllo
22. Ti minaccia di morte. 3 Minaccia estrema, indice di pericolo immediato
23. Ti accusa di non essere un buon genitore 2 Strategia di colpevolizzazione e svalutazione del ruolo
24. Vorrebbe essere sempre al centro della tua attenzione 1 Comportamento possessivo, potenzialmente disfunzionale
25. Ti impedisce di lavorare usando la forza o la paura 3 Violenza economica e coercizione personale
26. Ti impone cosa indossare 2 Controllo dell’immagine e della libertà individuale
27. Ti interrompe quando parli 1 Mancanza di rispetto e svalutazione comunicativa
28. Usa armi o oggetti contundenti contro di te 3 Uso di strumenti per infliggere violenza: grave pericolo
29. Fa scenate di gelosia per futili motivi 2 Gelosia patologica e potenziale instabilità emotiva
30. Ti critica per piccoli difetti 1 Micro-violenza verbale e logoramento dell’autostima


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Interpretazione del punteggio

  • Una o più risposte con valore 3: Sei in una situazione ad alto rischio. È fondamentale cercare aiuto il prima possibile.
  • Due o più risposte con valore 2: Sono presenti diversi segnali di abuso. Parlare con un/una professionista può aiutare a chiarire la situazione.
  • Tre o più risposte con valore 1: Alcuni comportamenti sono problematici. È utile riflettere su come ci si sente nella relazione. Una terapia di coppia potrebbe essere d’aiuto.
  • Meno di tre risposte con valore 1: Non emergono segnali gravi, ma resta importante monitorare il rispetto reciproco nella coppia.

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Per saperne di più:

Il numero antiviolenza 1522 è un servizio di pubblica utilità, gratuito e attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per aiutare le vittime di violenza domestica e stalking. È un punto di riferimento per ricevere aiuto, informazioni e supporto da parte di operatrici specializzate. La chiamata al 1522 è gratuita, anche da cellulare.

La violenza domestica è un fenomeno che si riscontra in tutte le culture e in tutti gli strati sociali. Generalmente sono gli uomini a fare violenza sulle donne, anche se vi sono casi in cui la violenza viene perpetrata anche a danno dei soggetti di sesso maschile, sia da partner femminili, sia da parte di partner omosessuali  (si parla poco di questo fenomeno non perché non sia grave, ma perché statisticamente poco rilevante rispetto al fenomeno della violenza maschile sulle donne).

Segni di violenza: segnali di allarme

Se si ha paura del partner, questa è un primo, grande segnale di allarme, dal momento che la paura dell’altro/a non deve avere posto in una relazione sana. A volte tuttavia le persone possono non rendersi pienamente conto di vivere in un clima di violenza domestica, che non si esprime solo nella violenza fisica, ma anche in abusi psicologici e sessuali, intimidazioni, deprivazione economica..

Ecco dunque, di seguito, i più importanti segnali di pericolo relativi al comportamento del/della partner: anche uno solo di essi deve essere preso in seria considerazione.

Il/La partner:

  • Ti minaccia o ti controlla;
  • Ti accusa ingiustamente di avere una relazione;
  • Ti critica per ogni cosa che fai e che dici;
  • Ti dice cosa indossare e come dovresti relazionarti con gli altri;
  • Minaccia di uccidere o di picchiare te o qualcuno  a te vicino;
  • E’ violento (ad esempio prende a pugni i muri quando è arrabbiato o lancia degli oggetti);
  • Ti urla contro al fine di farti sentire una nullità;
  • Controlla i tuoi soldi e come li spendi (es. uso del contanti o della carta di credito);
  • Ti impedisce di lavorare;
  • Si appropria del tuo denaro o dei tuoi beni;
  • Non ti permette di disporre di denaro per i tuoi bisogni di base, come cibo e vestiti;
  • Ti taglia fuori dalla famiglia e dagli amici;
  • Ti mette in imbarazzo davanti agli altri, spingendoti all’isolamento;
  • Ti impedisce di mangiare, dormire o ricevere cure mediche;
  • Ti blocca dentro o fuori casa tua;
  • Ti prende a pugni, a spinte, a calci, a morsi, ti tira i capelli;
  • Abusa sessualmente di te;
  • Ti costringe a fare sesso, anche con altri;
  • Ti impedisce di proteggerti dalle gravidanze indesiderate o dalle malattie a trasmissione sessuale.

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Come reagisce la vittima

Se le violenze non sono gravissime o sono comunque sopportabili, la vittima spesso sceglie di subire in silenzio, per non compromettere la rispettabilità sociale del/della partner o l’onorabilità della propria famiglia. La famiglia infatti è, da sempre, la forma di rappresentazione più importante dell’ordine sociale, una sorta di santuario simbolico dei valori e dell’onore: buttare fango sulla propria famiglia potrebbe avere ricadute sugli aspetti lavorativi, economici, sociali, relazionali, o sui propri figli. Ecco perché è molto frequente che chi subisce i maltrattamenti in ambito domestico decida di non mettere a repentaglio l’ordine familiare e la sua onorabilità, per salvare almeno le apparenze.

Conseguenze psicologiche della vittima

La violenza domestica porta la persona alla disistima più totale, fino al punto di non riuscire più, con le sole parole, a spiegare che cosa veramente prova, il suo stato di profonda umiliazione e di annullamento della sua personalità. Questi forti sentimenti autosvalutativi, instillati in tanti anni di violenze e soprusi, possono poi portare la vittima, paradossalmente, a giustificare il suo aggressore.

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La persona violenta; chi è e perché lo fa

In genere si tratta di personalità borderline o paranoiche. Spesso alla base di questi comportamenti vi è un’autostima molto scarsa, sentimenti di inadeguatezza, timidezza cronica, incapacità di relazionarsi con gli altri, ecc. Anche i fattori socio-culturali hanno la loro influenza, come ad esempio lo stress lavorativo, la povertà, la religione. A volte la violenza sul partner fa parte della cultura familiare in cui si è vissuti: essa viene trasmessa di generazione in generazione. Di solito la persona violenta non si limita alla violenza domestica: quando c’è un problema di questo genere, vi possono essere altre forme di violenza che vengono praticate, anche fuori della famiglia (fra gli amici, al lavoro, nella famiglia d’origine).

Che fare in caso di violenza domestica?

La strada giuridica purtroppo non sempre è risolutiva: spesso è perfino dannosa, se si pensa che nel 50% dei casi si arriva alla forzata remissione della querela e che, nell’altro 50%, solo il 15% dei soggetti denunciati per violenza domestica viene condannato. In ogni caso, restare passivi non è una soluzione: al contrario, questo produrrà solo l’aumento e l’intensificazione delle violenze. Ecco allora qualche suggerimento per le vittime di violenza domestica.

Il numero antiviolenza 1522 è un servizio di pubblica utilità, gratuito e attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per aiutare le vittime di violenza domestica e stalking. È un punto di riferimento per ricevere aiuto, informazioni e supporto da parte di operatrici specializzate. La chiamata al 1522 è gratuita, anche da cellulare.

Altri suggerimenti:

  • Non lasciarti influenzare dai giudizi negativi espressi nei confronti della tua persona e della tua famiglia;
  • Non isolarti, non rinunciare alle tue amicizie;
  • In caso di ferite o lividi, non curarti da solo/a: vai dal medico curante o al Pronto Soccorso;
  • Nei casi più gravi, chiama il 1522 o i carabinieri, rivolgiti per tempo ad una associazione che si occupa del problema della violenza domestica o a una casa di accoglienza per donne maltrattate;
  • Fatti un doppione delle chiavi di casa e nascondile in un luogo sicuro;
  • Prepara una busta di plastica, o una valigia, con chiavi di casa, abiti, documenti, denaro, soldi e medicine. Puoi tenerla in un luogo sicuro o a casa di una persona amica;
  • Informati su come chiedere aiuto in una situazione di emergenza. Puoi stabilire un codice segreto, ad esempio una parola, che faccia comprendere ad altri che ti senti in serio pericolo.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Il numero antiviolenza 1522 è un servizio di pubblica utilità, gratuito e attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, per aiutare le vittime di violenza domestica e stalking. È un punto di riferimento per ricevere aiuto, informazioni e supporto da parte di operatrici specializzate. La chiamata al 1522 è gratuita, anche da cellulare.

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Scuola elementare aspetti cognitivi del bambino

Scuola elementare: aspetti cognitivi nel bambino

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La scuola elementare

Nonostante oggi la maggior parte dei bambini frequenti la scuola materna, l’inizio della scuola elementare rappresenta il vero momento in cui la personalità del bambino diventa ‘pubblica’. Infatti, la scuola materna è vissuta dalla famiglia come una sorta di aiuto domestico, per accudire il bambino per alcune ore, ma non ci aspetta che agisca particolarmente sulle abilità cognitive del piccolo, come particolare ‘agente di cambiamento’.

La scuola elementare invece, con le sue regole di produzione, con i suoi voti, induce nel bambino e nella sua famiglia l’aspettativa di poter raggiungere  effettivamente nuovi traguardi sul piano delle conoscenze e dell’apprendimento.

Cosa si intende per abilità cognitive?

Si tratta di una progressiva costruzione di abilità di apprendimento, come l’attenzione, la memoria e il pensiero. Queste abilità consentono ai bambini di elaborare le informazioni sensoriali al fine di imparare a valutare, analizzare, ricordare, fare confronti e capire i rapporti di causa ed effetto.

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Da cosa dipendono le abilità cognitive?

Sebbene lo sviluppo delle abilità cognitive possa essere legato anche a fattori genetici, la maggior parte di esse vengono apprese nell’ambiente. Ciò significa che le capacità di pensiero e apprendimento possono essere migliorate con la pratica e con i giusti stimoli.

Ad esempio, quando un bambino impara a prestare attenzione, questo gli consente di concentrarsi su un compito o una conversazione per un periodo di tempo abbastanza lungo. Imparare a focalizzare l’attenzione, che è alla base dell’apprendimento, è un’importante abilità cognitiva che il bambino utilizzerà praticamente  per tutta la vita, ma è una abilità che si conquista dai cinque anni in poi.

Infatti, i bambini di età inferiore ai cinque anni tendono a focalizzare la loro attenzione al massimo per 15 minuti. Quando un bambino raggiunge gli otto anni, in genere ha una maggiore capacità di concentrazione, che dura oltre tutto più a lungo, e questo gli permette di completare le attività che inizia. Riesce inoltre, se lo desidera, ad ignorare le distrazioni.

Una intervista sui rapporti familiari

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Come aiutare il bambino a sviluppare la concentrazione?

Genitori e insegnanti potrebbero aiutare il bambino a sviluppare le capacità di concentrazione, sottolineando alcuni aspetti che potrebbero essere importanti o interessanti per lui, per poi spingerlo a fare i suoi commenti e le sue osservazioni.

Per esempio, una gita allo zoo potrebbe portare ad alcune domande specifiche, come ” quale animale era il tuo preferito? ” o ” cosa ti è piaciuto di più di questo animale? ”

Domande come queste aiutano il bambino a prestare maggiore attenzione a quello che vede e lo spinge anche a migliorare il linguaggio, per cercare di scegliere parole specifiche che possano descrivere meglio i suoi pensieri.

La memoria è un’abilità cognitiva?

Si, è un’abilità che aiuta il bambino a conservare ciò che ha appreso e sperimentato.  I bambini di età inferiore a cinque anni hanno difficoltà a conservare i loro ricordi, sia nella memoria a breve termine, sia in quella a lungo termine. Con lo sviluppo tuttavia le sue capacità di memoria migliorano e il bambino diventa capace di  costruire progressivamente le  sue conoscenze.

Una tecnica utile per facilitare la memoria nei bambini, è insegnare loro contenuti con rime o filastrocche, per dare loro un contenuto ludico.

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Dr. Walter La Gatta   Tel 348 3314908

E’ consigliabile cercare di accelerare le tappe dello sviluppo cognitivo?

No: vi sono specifiche tappe evolutive per ogni fascia di età (ed è dunque sbagliato pretendere che il bambino salti queste tappe, dal momento che ogni tappa evolutiva ingloba necessariamente i risultati raggiunti nelle tappe precedenti di sviluppo, ma presenta anche delle novità, consistenti in un arricchimento delle abilità cognitive del bambino).

A questo proposito può essere importante conoscere le teorie di Jean Piaget, le quali, seppure in alcuni aspetti superate, per quanto riguarda lo sviluppo delle attività cognitive nel periodo della scuola elementare sembrano ancora  abbastanza valide.

Dr. Walter La Gatta

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Chi era Jean Piaget?

Jean Piaget (1896-1980), psicologo e pedagogista, dimostrò l’esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell’adulto. Successivamente provò che il concetto di capacità cognitiva, e quindi di intelligenza, è strettamente legato alle capacità di adattamento del bambino all’ambiente che lo circonda. Ciò che spinge infatti il bambino a sviluppare strutture mentali sempre più complesse e organizzate lungo lo sviluppo cognitivo è il fattore d’equilibrio, cioè «una proprietà intrinseca costitutiva della vita organica e mentale».

Secondo Piaget, i due processi che caratterizzano l’adattamento sono l’assimilazione e l’accomodamento, che si avvicendano durante l’intero sviluppo.  L’assimilazione consiste nell’incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito, l’accomodamento consiste invece nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale acquisito, per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento gli erano ignoti.

Piaget sviluppò una distinzione degli stadi dello sviluppo cognitivo individuandone i quattro stadi fondamentali, che riteneva comuni a tutti gli individui e tendenti a susseguirsi sempre nel medesimo ordine.

Per quanto riguarda l’inizio del ciclo della scuola elementare, secondo gli studi di Piaget, l’intelligenza del bambino è ancora legata ad un tipo di pensiero poco agile, poco flessibile, detto CONCRETO (in quanto incapace di astrazioni). Esso ha le seguenti caratteristiche :

  • 1. E’ ‘realistico’, nel senso che si lascia guidare dall’aspetto più attraente o percettivamente più rilevante presente in quel momento (ciò che si vede prevale su ciò che si pensa o si ricorda)
  • 2. E’ ‘irreversibile’. Il bambino è in grado di rievocare azioni o avvenimenti ai quali ha assistito o che egli stesso ha compiuto e di rappresentarsi mentalmente gli avvenimenti che non hanno ancora avuto luogo, ma le successioni e le modificazioni dell’evento vengono viste in senso unidirezionale. Il bambino infatti non riesce a tenere presenti contemporaneamente due situazioni o due momenti della stessa situazione.
  • 3. E’ ‘egocentrico’ nel senso che non tiene conto dei punti di vista diversi dal proprio e attribuisce agli altri il proprio punto di vista. La caratteristica dell’egocentrismo si manifesta in tutti gli aspetti cognitivi del bambino : linguaggio, idee relative ai fenomeni fisici, a quelli morali etc. Intorno ai 6/7 anni vengono compiuti notevoli progressi per superare il pensiero egocentrico, ma gli influssi della mentalità egocentrica permangono a diversi livelli.Ad esempio, quando  il bambino deve raccontare qualcosa, omette di esprimere quello che per lui è ovvio, dato che considera che sia ovvio anche per chi ascolta. Un altro indice di questa incapacità di comprendere il punto di vista altrui è l’uso equivoco dei pronomi, che il bambino introduce nel discorso senza preoccuparsi di chiarire a chi sono riferiti. Prova di ciò la si può trovare leggendo i temi su un quaderno di scuola elementare.
  • 4. E’ ‘animistico’, cioè attribuisce ad altri esseri o elementi del reale stati affettivi e di coscienza che gli sono propri, ignorando la differenza fra esseri animati e inanimati. (Es. La luna è più veloce del sole che la rincorre, ma non riesce mai ad acchiapparla).I bambini di età compresa fra i 6 e gli 8 anni rivelano tendenze animistiche soprattutto per le cose in movimento (es. astri, nuvole, fiumi, veicoli, etc.), mentre fra gli 8 e i 10 anni distinguono fra gli oggetti che si muovono di moto proprio e quelli che si muovono solo per moto ricevuto, attribuendo vita e coscienza solo a quelli che si muovono di moto proprio (astri, vento). Solo verso gli 11-12 anni i bambini rivelano concezioni simili a quelle adulte.
  • 5. E’ ‘artificialistico’, cioè tende a credere che tutto sia stato costruito dall’uomo per qualche fine (es. le montagne, i fiumi, le nubi) Tutto ciò può portare il bambino a pensare che i genitori siano in grado di risolvere qualsiasi problema (tra cui la fabbricazione degli eventi naturali).

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A partire dai 7 anni tuttavia il pensiero comincia a diventare REVERSIBILE :

questo permette di tenere presenti contemporaneamente due fasi successive dello stesso evento e di metterle in relazione fra loro ( dando luogo alle ‘operazioni mentali’, da cui ‘pensiero operatorio’), ma nonostante ciò ancora per qualche tempo il bambino potrà incontrare delle difficoltà nella soluzione di alcuni problemi.

Nei problemi di seriazione e di classificazione, ad esempio, il bambino che è già entrato in fase reversibile agisce secondo un piano logico e non più per tentativi, o per analogie percettive, come accadeva nelle età precedenti. Per esempio, per mettere in fila degli oggetti di diversa lunghezza in modo che il primo sia più lungo del secondo, il secondo del terzo e così via, occorre che il bambino sappia considerare ogni elemento come al centro di un duplice rapporto (B è allo stesso tempo maggiore di A e minore di C). A 6/7 anni la maggioranza dei bambini riesce a risolvere correttamente questo genere di problemi.

Fino a 7/8 anni il bambino tuttavia può non avere ancora chiara la nozione di conservazione della sostanza, cioè il fatto che la materia può cambiare di forma, ma resta comunque immutata nella sua quantità. Negli esperimenti di Piaget a bambini fra i 4 e gli 8 anni venivano fatte osservare due palline di plastilina identiche, ed il bambino ne riconosceva l’identità, ma quando ad una pallina veniva cambiata la forma, il bambino affermava che i due pezzi di plastilina non erano più di uguale sostanza.

In un altro esperimento, condotto su bambini di età compresa fra i 4 e gli 8 anni, venivano presentati 2 bicchieri uguali contenenti la stessa quantità di acqua colorata. Una volta che il bambino era d’accordo nell’affermare che i due bicchieri contenevano la stessa quantità di acqua colorata si effettuava un travaso in un bicchiere più largo e più basso. Solo intorno ai 7-8 anni i bambini riconoscevano la conservazione della quantità di liquido.

Non altrettanto si può dire per la conservazione del peso e del volume che sono meno rilevanti da un punto di vista percettivo. Per quanto riguarda il peso il bambino resta legato fino all’età di 11 anni alla comune esperienza che una medesima quantità di materia sembra avere un peso diverso a seconda della sua ripartizione sulla superficie della mano. Il salsicciotto b, ad esempio, sembra più pesante della pallina di plastilina a: poggiandolo sulla mano infatti si vede come esso interessi una superficie più vasta…  E qui può sbagliare.

Tutto questo fa capire come l’esercizio e la stimolazione ambientale possano accelerare, e di molto, l’apprendimento dei bambini, utilizzando  tecniche di comunicazione e metodi didattici opportuni, tenendo conto della motivazione ad apprendere e della esigenza di concretezza della mentalità infantile.

E’ bene tenere presente che fino a 11/12 anni  il pensiero del bambino privilegia le situazioni concrete, senza dover fare troppi collegamenti o ricorrere all’immaginazione: il pensiero ipotetico-deduttivo, proprio del pensiero scientifico, è tipico dell’adolescente (l’adolescente infatti tenta di scoprire il reale a partire dal possibile e cioè attraverso una serie di ipotesi, da confermare o smentire attraverso la prova empirica.

Dr. Walter La Gatta

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