La ricerca fin qui condotta, che mostra che i videogiochi d’azione hanno un effetto benefico sulla funzione cognitiva è gravemente carente, secondo un articolo pubblicato questa settimana dalla rivista Frontiers in Psychology.
Numerosi studi pubblicati negli ultimi dieci anni avevano assicurato che l’uso di video giochi come Medal of Honor e Grand Theft Auto, che richiedono una messa a fuoco ampia e risposte rapide, consentiva un ampio ‘effetto di trasferimento’, tale da migliorare anche le altre funzioni cognitive, quali l’attenzione visiva. Alcuni degli studi sono stati ampiamente citati e pubblicizzati: come quello di Daphne Bavelier e Shawn Green dell’Università di Rochester a New York, pubblicato su Nature nel 2003, è stato citato più di 650 volte, ed è stato ampiamente riportato dai media, come dimostrazione che i videogiochi migliorano le competenze visive.
Ma, dicono gli autori della revisione, questi studi contengono errori metodologici e non soddisfano gli standard di uno studio clinico condotto correttamente.
La maggior parte degli studi che si proponevano di mettere a confronto le prestazioni cognitive dei giocatori esperti con quelli dei non-giocatori, soffrirebbero infatti di problemi di progettazione. Gli studi, si nota, anzitutto non sono “ciechi”: i partecipanti sanno che sono stati reclutati perché hanno esperienza di videogioco, il che può influenzare la loro prestazione, dal momento che c’è motivazione a fare bene e a dimostrare le proprie competenze. Anche i ricercatori sanno, inoltre, come sono stati divisi i partecipanti, e questo crea preconcetti che potrebbero inavvertitamente influire sulle prestazioni dei partecipanti.
Una metodologia più rigorosa viene utilizzata invece negli studi di “allenamento”, come quelli condotti da Green e Bavelier, in cui i non-giocatori sono assegnati in modo casuale ad uno dei due gruppi. Un gruppo è addestrato in un videogioco d’azione, e l’altro su un diverso tipo di videogioco, come il più lento Tetris. La loro performance in un compito cognitivo viene misurata prima e dopo l’allenamento di gioco.
I risultati dello studio potrebbero essere inoltre confusivi, se uno dei videogiochi è più simile al compito cognitivo misurato, di quanto non sia l’altro – un fattore che è raramente preso in considerazione dai ricercatori.
Inoltre, molti studi dividono i risultati positivi raggiunti dagli stessi gruppi di partecipanti su più studi, il che rende poco chiaro quante volte i risultati sono stati effettivamente replicati in modo indipendente.
Boot e i suoi colleghi affermano che nessuno degli studi esaminati evita questi errori metodologici, e questo solleva dubbi sulla prova che i videogiochi di azione migliorarino effettivamente le capacità cognitive. Boot tiene a precisare che non è detto che questi studi siano necessariamente sbagliati, solo che, non essendo condotti con metodi rigorosamente scientifici, essi non permettono ai ricercatori di trarre conclusioni credibili in base ai loro studi.
Il team suggerisce che tutti i futuri studi sugli effetti del videogioco dovrebbero seguire i principi base di un buon progetto sperimentale: i ricercatori ed i partecipanti non devono avere alcuna conoscenza di come vengono divisi i partecipanti, nei vari gruppi. I campioni dovrebbero essere più rappresentativi, includendo un numero uguale di uomini e donne. Le strategie di reclutamento e il progetto dovrebbero essere esplicitamente e pienamente espressi nel documento risultante.
Gli autori degli studi sui videogiochi non si sono resi disponibili a replicare a queste critiche.
Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta, Ancona
Fonti:
Boot, W. R. , Blakely, D. P. & Simons, D. J. Front. Psychol. 2, 226 (2011)
Green, C. S. & Bavelier, D. Nature 423, 534-537 (2003)
via Video-game studies have serious flaws, Nature
Immagine:
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