Corpo sessuale e corpo materno

corpo

Michel Foucault (La volontà di sapere, 1978 e L’uso dei piaceri, 1984, Feltrinelli) sosteneva che qualsiasi volontà di rappresentare noi stessi incorre inevitabilmente in una ‘dietetica’, cioè nella normazione interiorizzata di schemi, che limitano le possibilità di conoscenza, imprigionando l’esperienza corporea.
La dietetica agisce a livello culturale sui sistemi di pre-comprensione ed organizza dunque anche le modalità del’incontro sessuale ed i suoi esiti. Poiché tali sistemi sono però ancora controllati funzionalmente dall’universo maschile (che tuttora domina i processi di costruzione del sapere), la libertà della donna viene declinata in funzione di rappresentazioni e politiche che appaiono istanze inevitabilmente maschili.
(Per libertà della donna si intende qui la possibilità di armonizzare l’esperienza soggettiva e la conoscenza sociale).

Nella cultura contemporanea, per ciò che concerne i destini psicosociali femminili, la dietetica rispondente alle scienze mediche ha costruito per un verso la desomatizzazione e per l’altro la ricostituzione del rapporto sessuale e maternità.

La donna patisce la propria corporeità secondo l’imperativo della funzione sociale: il suo corpo viene ‘calibrato’ attraverso il sentimento del pericolo di malattia e la dipendenza da tutto ciò che promette futurizzazione in salute, per sé e per il nascituro.

La donna rinuncia alla ‘sensazione propria’ quale componente intrinseca dell’autoconsapevolezza grazie alla quale gestire il progetto di vita con autodeterminazione, sia nell’esperienza del rapporto d’amore con l’uomo, sia al frutto del rapporto (il figlio).

Sebbene le scienze mediche abbiano svincolato la storia femminile dalla prigionia e dalla gravidanza indesiderata, permettendo alla donna di gestire la maternità indipendentemente dalle limitazioni psicologiche e biologiche, il corpo della donna è stato comunque consegnato, dalla morale più potente (quella scientifico-tecnologica) alla medicalizzazione. Come sostiene anche Silvia Vegetti Finzi (Il corpo della donna cme posta in gioco del conflitto fra i sessi, in Metis, Corpi soggetto, Franco Angeli), il corpo della donna è ostaggio del conflitto fra i sessi. Cosa significa tutto ciò?

Significa che alla donna è richiesto un profondo lavoro di autocoscienza per prendere possesso della propria rappresentazione del corpo e per poter dominare l’uso delle tecnologie mediche, senza perdere l’appartenersi.

Lo sviluppo della cultura scientifico-tecnologica non ha liberato la donna dalle più antiche (eppur attuali) condizioni di sottomissione al potere maschile, sviluppate in seno alla cultura tradizionale, ma l’ha resa addirittura ancor più dipendente dalle modalità in cui il potere viene socialmente amministrato. Il potere è ancora sostanzialmente maschile e le violenze sulla donna vengono esercitate passando attraverso la cultura della reificazione del corpo, che viene considerato solo in quanto oggetto fisico. Questo corpo desoggettivato è, indubbiamente, più facilmente amministrabile quale strumento per il perseguimento degli scopi di chi ha il potere di amministrarlo.

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La desoggettivazione tecnologica ha anestetizzato la rappresentazione di sé rispetto al riconoscimento del bisogno: prima del piacere il dovere e, quando si è goduto, si devono applicare le tecniche emetiche più efficaci per non trattenere l’oggetto che ha procurato appagamento. (Sintomi peculiari di questa condizione culturale del corpo tecnologico femminile sono l’anoressia e la bulimia).

Il corpo della donna è ‘cosa muta’, mater-materia, disponibile quale strumento per il perseguimento di fini a lei estrinseci.

Fonte: I. Testoni e I. Pogliani, Corpo sessuale e Corpo materno. Le rappresentazioni di donne vittime della tratta per lo sfruttamento sessuale. Ed. Cic, Riv. Sessuologia, vol. 30 n. 2, 2006

Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona

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