Freud: dall’ipnosi alla libera associazione

Freud: dall'ipnosi alla libera associazione

Freud: dall’ipnosi alla libera associazione

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L’interesse di Freud per l’ipnosi

Freud, quando era ancora studente, assistette a un’esibizione pubblica di Karl Hansen, il “magnetista”, che gli fece una profonda impressione e lo convinse dell’esistenza autentica dello stato ipnotico.

Successivamente, trascorse quattro mesi all’ospedale Salpêtrière, nel 1885-1886, dove Charcot conduceva i suoi studi sull’ipnotismo. Freud fu impressionato dalle dimostrazioni cliniche secondo cui le paralisi isteriche potevano essere riprodotte da suggestioni ipnotiche.

Nel 1890, Freud si recò anche a Nancy, in Francia, per incontrare il rivale di Charcot, Hyppolite Bernheim, che osservò mentre curava i suoi pazienti attraverso l’ipnosi, molti dei quali soffrivano di malattie organiche.

Tornato a Vienna, si interessò dei lavori del collega Joseph Breuer, il quale usava l’ipnosi per far regredire nel tempo i pazienti isterici, allo scopo di rintracciare l’origine dei loro sintomi.

L’uso dell’ipnosi, da parte di Breuer, per trattare l’isteria (ricordiamo il caso di Anna O.) rafforzò ulteriormente in Freud l’opinione che l’ipnosi fosse un utile strumento terapeutico.

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Freud e l’uso clinico dell’ipnosi

Sebbene Freud sia stato criticato per essere stato un ipnotizzatore inesperto (Schneck, 1954), le sue pubblicazioni forniscono prove di una vasta esperienza clinica con la tecnica dell’ipnosi.

L’uso terapeutico del suggerimento ipnotico, riferisce lui stesso, fu il suo “principale strumento di lavoro” durante i primi anni come medico (Freud, 1925).

Per indurre l’ipnosi, Freud chiedeva al paziente di fissare due dita della sua mano destra e concentrarsi sulle sensazioni che si sviluppavano, oppure adottò la “tecnica della pressione” (toccando la fronte dei suoi pazienti).

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L’abbandono dell’ipnosi

Le ragioni per cui Freud ad un certo punto abbandonò l’ipnosi sono state ampiamente documentate e analizzate (Kline, 1953).

In particolare:

  • Temeva che i pazienti avrebbero perso il contatto con la situazione attuale;
  • Temeva che i pazienti sarebbero diventati dipendenti dall’ipnosi “come se fosse un narcotico”;
  • Era frustrato perché non poteva ipnotizzare tutti i pazienti, né metterli in una trance così profonda come avrebbe voluto;
  • Rimase molto imbarazzato quando una delle sue pazienti “un giorno gli gettò le braccia al collo, uscendo dall’ipnosi” (Freud, 1925).
  • Il richiamo alla mente di ricordi traumatici nell’alterato stato di coscienza ipnotico portava qualche sollievo nella sintomatologia, ma non sembrava favorire la capacità del paziente di padroneggiare e risolvere il trauma.

Freud scrisse:

Il trattamento ipnotico … lascia inalterati tutti i processi che hanno portato alla formazione dei sintomi … lascia il paziente inerte e invariato, e incapace di resistere a qualsiasi nuova occasione per ammalarsi… Nell’uso dell’ipnosi dipendiamo dalla capacità del transfert del paziente senza essere in grado di influenzarlo”
(Freud, 1917).

Freud si disse comunque sempre “grato alla vecchia tecnica ipnotica” per aver spianato la strada alla psicoanalisi (Freud, 1914), sostenne che gli psicoanalisti fossero i legittimi eredi dell’ipnosi e che:

“Non dimentichiamo quanto incoraggiamento e chiarimento teorico dobbiamo ad essa” (Freud, 1917).

Avendo osservato che sogni e ipnosi consentivano entrambi “l’accesso al materiale dimenticato dell’infanzia”, Freud scelse, per le ragioni sopra riportate di ricorrere ai primi, insieme al metodo delle libere associazioni.

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Il metodo delle libere associazioni

Usando il metodo delle libere associazioni, Freud sperava di riuscire ad arrivare ai ricordi rimossi o dissociati, pur senza porre il paziente in uno stato di coscienza alterato.

Nella Interpretazione dei sogni, 1899, Freud descrive la tecnica della libera associazione nei seguenti termini:

“Si rende necessaria, a questo scopo, una certa preparazione psichica dell’ammalato. Si aspira ad ottenere da lui, in primo luogo, un’attenzione più intensa per le sue percezioni psichiche e, secondariamente, l’eliminazione della critica con cui di solito vaglia le idee che spontaneamente si presentano.

Per raggiungere uno stato di auto-osservazione con attenzione concentrata, è vantaggioso che egli assuma una posizione di riposo e chiuda gli occhi; mentre la rinuncia alla critica delle creazioni ideative percepite deve essergli imposta esplicitamente.

Gli si dice dunque che il successo della psicoanalisi dipende dal fatto che egli osservi e comunichi tutto ciò che gli passa per la mente e non sia tentato di sopprimere un’idea perché gli sembra insignificante o non pertinente, un’altra perché gli sembra assurda: che deve comportarsi con tutta imparzialità nei confronti di ciò che gli viene in mente, perché dipenderebbe proprio dalla critica se non riuscisse a trovare la soluzione del sogno, dell’idea ossessiva, e così via, di cui si è in cerca.”

In un primo periodo, la chiusura degli occhi era il solo residuo della tecnica precedente e anche questa tecnica durò solo per pochi anni. La libera associazione divenne così la tecnica definitiva della psicoanalisi.
Freud riteneva, infatti,  che la libera associazione desse alle persone in terapia la completa libertà di esaminare i propri pensieri. Questa libertà era dovuta alla mancanza di suggerimenti o interventi da parte dello psicoanalista.

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Il metodo della libera associazione, oggi

Oggi la libera associazione freudiana è abbastanza rara in terapia. Anche tra i neo-freudiani, la tecnica non viene spesso utilizzata, almeno in senso ortodosso.

Dott.ssa Giuliana Proietti

 

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Fonti principali:
Zetzel Meissner, Psichiatria psicodinamica, Boringhieri
Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri

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