Il terapeuta giudicato dall’arredo del suo studio

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L’arredo dello studio contribuisce a farsi un’ opinione sul terapeuta?

Secondo un nuovo studio, le persone giudicano la qualità e le qualifiche degli psicoterapeuti dal modo in cui sono arredati i loro uffici/studi.

Ad un gruppo di soggetti sono state mostrate delle foto di studi di psicoterapia: i partecipanti alla ricerca dovevano poi giudicare i terapeuti, in base alla qualità dei loro ambienti professionali. Si è visto così che hanno ricevuto delle valutazioni migliori i terapeuti i cui studi erano puliti e ordinati, decorati con elementi morbidi come cuscini e tappeti, e caratterizzati da tocchi personali, come diplomi e foto incorniciate.”

“Le persone sembrano essere d’accordo su come dovrebbe essere lo studio di un buon terapeuta e, soprattutto, su come non dovrebbe essere”, ha detto Jack Nasar, psicologo, co-autore della ricerca. “Che si tratti di apprendimento culturale o altro, le persone pensano di poter giudicare i terapeuti in base al loro studio professionale.”

La ricerca compare online nel Journal of Counseling Psychology.

Vi sono stati diversi esperimenti, in cui le persone dovevano valutare 30 fotografie digitali a colori relative a studi di psicoterapia di Manhattan. Le foto mostravano lo studio dalla prospettiva del paziente, cioè dalla sedia in cui, sedendosi, avrebbe potuto osservare l’ambiente intorno a sé.

Nel complesso, dei 242 studenti universitari che hanno partecipato alla ricerca – circa il 60 per cento aveva frequentato nella realtà uno studio di psicoterapia.

I ricercatori non hanno trovato però alcuna differenza nei risultati, tra coloro che avevano frequentato uno studio di psicoterapia e coloro che non lo avevano frequentato, così come fra uomini e donne, in persone di diverse età, residenti in piccole città del nord-est o abitanti di una grande città del Midwest, il che dimostra che i risultati sono generalizzabili.

Prima dell’inizio dello studio, 12 studenti avevano fatto una mappa dei 30 studi, valutando diverse caratteristiche, come la pulizia, la spaziosità e la personalizzazione.

Nella prima ricerca, a degli studenti è stato chiesto di immaginare di visitare un terapeuta per un problema emotivo. Mentre guardavano le foto, è stato chiesto loro di valutare lo studio, prevedendo la qualità delle cure e il comfort che avrebbero provato, se vi si fossero recati come pazienti. Queste qualità sono state valutate su una scala a sette punti, da “molto scarso” a “molto buono”.

I partecipanti hanno detto che avrebbero provato maggiore comfort e ricevuto cure migliori negli studi giudicati più ordinati e che avevano più di un tocco personale, come cuscini, diplomi appesi al muro o foto. Hanno anche giudicato meglio i terapeuti i cui studi avevano uno stile più “morbido”, come quelli che avevano sedie imbottite, tappeti, lampade da tavolo, piante.

In una seconda ricerca, i partecipanti hanno ritenuto che i terapeuti che avevano uno studio ordinato, personalizzato e più “morbido” erano i più qualificati. Gli studi considerati più “morbidi” facevano pensare inoltre a dei terapeuti più amichevoli.

Una terza ricerca ha chiesto ai partecipanti di visionare delle foto e di scrivere il primo pensiero o sentimento che veniva loro in mente pensando a come si sarebbe sentito un paziente in quello studio professionale, un pensiero sul terapeuta che occupava lo studio, ed anche uno sullo stesso ufficio. Infine, i ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di scegliere in quali studi si sarebbero recati più volentieri se avessero deciso di vedere un terapeuta, e quali avrebbero voluto evitare.

“Gli studi meglio valutati sono stati quelli più ordinati e più “morbidi” ha detto Nasar. “Per i primi cinque studi, i partecipanti hanno usato più frequentemente, per descrivere l’ambiente, i termini: confortevole, curato, pulito, accogliente e invitante.”

Al contrario, i cinque studi meno graditi sono stati descritti come: ingombro, angusto, disordinato, scomodo e poco professionale.

I partecipanti sono stati più facilmente d’accordo nel decidere i “peggiori studi” anziché i “migliori”.

I terapeuti che lavoravano nei cinque studi primi classificati sono stati giudicati in modo più favorevole, cioè meglio organizzati, professionali, amichevoli ed esperti rispetto a coloro che occupavano gli ultimi cinque studi della classifica.

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I partecipanti allo studio hanno pensato in maggioranza che i terapeuti che occupavano gli studi top-rated fossero uomini, mentre gli studi professionali meno graditi erano più spesso identificati come appartenenti a terapeuti-donne.

I partecipanti a questa ricerca hanno anche affermato di aspettarsi prestazioni professionali di migliore qualità dai terapeuti il cui studio appariva loro migliore. Anche se questi giudizi possono essere errati, è importante rilevare che le percezioni contano molto e che dunque i terapeuti dovrebbero prendere sul serio il look dei loro studi, secondo i ricercatori, perché molte persone potrebbero pensare di non continuare la terapia solo perché non gradiscono lo studio in cui essa si svolge.

Queste dunque le indicazioni: rendere i propri studi “morbidi” e amichevoli, appendere i diplomi al muro e personalizzare l’ambiente, disporre tutto in modo pulito e ordinato (e tenerlo sempre così…)

Fonte:

Ohio State University, via Quality of Psychotherapy Influenced by Office Décor, PsychCentral

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta, Ancona

Immagine:PsychCentral

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2 thoughts on “Il terapeuta giudicato dall’arredo del suo studio

  1. Grazie della sua testimonianza. Non sempre però la “sensazione di parlare con un’amico/a” produce gli effetti terapeutici desiderati… Avere la sensazione di parlare con un’amico/a durante la psicoterapia infatti potrebbe portare il paziente a sottovalutare, o a non dare la giusta rilevanza, ai discorsi, alle osservazioni ed ai suggerimenti del “dottore”: a suo danno, naturalmente.
    …Ma ogni relazione terapeutica è un caso a sé e generalizzare è sempre sbagliato.

  2. Sono stata in cura per qualche mese da una psicoterapeuta e devo confermare che la primissima impressione positiva che ho avuto è stata da come aveva sistemato lo studio: invece di parlare da dietro la scrivania “da dottore”, come alcuni fanno, aveva arredato l’ambiente in maniera calda e messo una lunga poltrona ai cui estremi si sedevano lei ed il paziente. Invece di sentirmi “malata” o affrontata “frontalmente” mi sembrava di parlare con un’amica.

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