‘Diagnosi’ è una parola di origine greca, già utilizzata nella medicina antica con il significato di ‘riconoscimento’. Con la diagnosi si tratta infatti di riconoscere dei segni, assunti come indizi per la valutazione di facoltà specifiche, o del quadro globale della personalità (in questo caso si parla di ‘diagnosi psicologica’), oppure dei sintomi di funzioni alterate riconducibili a entità nosologiche di cui si conoscono a grandi linee il decorso e l’esito.
Nel tentativo di rendere più omogenei i criteri diagnostici in psichiatria, l’American Psychiatric Association ha pubblicato il manuale diagnostico e statistico (DSM), con lo scopo di mettere a punto nuovi metodi di classificazione e un nuovo glossario, che potesse essere davvero universale.
Si tratta di un manuale che raccoglie attualmente più di 370 disturbi mentali, descrivendoli in base alla prevalenza di determinati sintomi (per lo più quelli osservabili nel comportamento dell’individuo, ma non mancano riferimenti alla struttura dell’Io e della personalità). Data la sua origine scientifica di natura statistica, è considerato uno degli strumenti più attendibili per diagnosticare un disturbo mentale, e quindi ampiamente utilizzato come referente per la scelta di una determinata terapia, soprattutto quella farmacologica.
La prima edizione del manuale (DSM-I) risale al 1952, e fu redatto dall’American Psychiatric Association (APA). Nel corso degli anni il manuale è stato migliorato ed arricchito con riferimenti allo sviluppo attuale della ricerca psicologica in numerosi campi, ma anche con nuove definizioni di disturbi mentali: la sua ultima edizione, risalente al 1994 (DSM-IV) classifica un numero di disturbi mentali pari a tre volte quello della prima edizione. (Il DSM V uscirà nel 2011).
Politicamente, il DSM è uno strumento molto importante perché determina la linea di confine fra normalità e patologia, indica ciò che deve essere curato e come.
Vista l’importanza che uno strumento del genere viene ad assumere a livello di cultura scientifica mondiale, il DSM è oggetto di numerose critiche, che ne contestano soprattutto gli aspetti freddamente statistici, che difficilmente possono essere riscontrabili in un individuo, con la sua storia personale.
La sua struttura segue un sistema multiassiale: divide i disturbi in cinque Assi, così ripartiti:
ASSE I: disturbi clinici, caratterizzati dalla proprietà di essere temporanei o comunque non “strutturali”
ASSE II: disturbi di personalità e ritardo mentale. Disturbi stabili, strutturali e difficilmente restituibili ad una condizione “pre-morbosa”
ASSE III: condizioni mediche generali
ASSE IV: problemi psicosociali e ambientali
ASSE V: valutazione globale del funzionamento
Per fare qualche esempio, il DSM inserisce nell’ASSE I disturbi come schizofrenia ed altre forme di psicosi, nell’ASSE II invece sono raccolti disturbi di personalità come quello borderline o quello paranoide.
Generalmente il DSM richiede un cut-off, un numero minimo di sintomi raccolti per poter effettuare una corretta diagnosi.
Di solito il DSM richiede un periodo minimo di presenza dei sintomi per poter effettuare una diagnosi (si parla di alcuni mesi). Altri criteri di esclusione sono l’età di insorgenza del disturbo (per i disturbi di personalità ad esempio si richiede l’insorgenza nell’adolescenza) ed una diagnosi differenziale rispetto a disturbi che potrebbero essere accomunati dagli stessi sintomi
In Europa spesso si utilizza, in alternativa, l’ICD, è la versione più recente del criterio diagnostico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; esso riguarda la classificazione di tutte le patologie mediche, non solo quelle psichiatriche.
Vediamo ad esempio un caso di ‘personalità schizoide’ secondo il DSM IV e l’ICD.
DSM IV
Un soggetto viene definito ‘schizoide’ se presenta almeno quattro sintomi fra i seguenti:
1. Il soggetto non prova desiderio o piacere ad avere relazioni strette con altre persone, inclusa la famiglia
2. Predilige quasi sempre attività solitarie o che implicano relazioni del tutto superficiali.
3. Ha poco o nessun interesse in relazioni ed esperienze sessuali reali.
4. Non prova vero piacere in nessuna o quasi attività.
5. Manca di amicizie strette o confidenti oltre ai parenti di primo grado.
6. Appare emotivamente indifferente a critiche o elogi.
7. Dimostra “freddezza” emozionale, distacco oppure piattezza emotiva.
ICD
In questa classificazione la voce “disturbo schizoide di personalità” è definito come il quadro sintomatico caratterizzato dalla presenza continuativa di almeno tre dei seguenti sintomi:
1. Freddezza emozionale,distacco o ridotta affettività.
2. Limitata capacità di esprimere sentimenti sia positivi sia negativi verso gli altri.
3. Significativa preferenza per le attività solitarie o di scarso impegno partecipativo.
4. Mancanza (o numero ridottissimo) di amicizie o relazioni strette, e assenza del desiderio di averne.
5. Marcata indifferenza a elogi o critiche.
6. Il soggetto non ricava piacere da nessuna o qasi nessuna attività.
7. Indifferenza a norme comportamentali e convenzioni sociali.
8. Eccessive preoccupazioni verso fantasie o pensieri introspettivi.
9. Scarso desiderio di esperienze sessuali che coinvolgano un’altra persona.
Come si vede, nell ICD-10 i parametri sono nove anziché i sette del punto A del DSM IV-TR. L’ICD-10 include due criteri comportamentali: l’indifferenza a norme e convenzioni sociali e l’espressione di emozioni intense riguardo ad altri.
Sebbene il DSM abbia il merito di aver creato un linguaggio e criteri univoci per potersi intendere, le critiche sono numerose. Non a tutti sembra uno strumento adeguato per valutare la situazione clinica di una persona: la sua struttura è rigidamente statistica, la scelta dei cut-off appare discutibile, vengono trascurate le caratteristiche soggettive del paziente, gli effetti della sua esperienza, la sua storia personale.
Altre critiche riguardano più direttamente la dimensione etica: la metà degli psichiatri che hanno partecipato alla stesura dell’ultima edizione del DSM ha avuto rapporti economici (tra il 1989 e il 2004, con ruoli di ricercatore o consulente) con società farmaceutiche. Si tratta di tutti gli psichiatri che hanno curato la sezione sui disturbi dell’umore e sulle psicosi del manuale, definizioni di disturbi che in quegli anni si sono accompagnate all’impennata nelle vendite di farmaci “appropriati”. Queste scoperte hanno fatto tornare in auge il tema delle “malattie create a tavolino”, (ad esempio attraverso un semplice “accorciamento” del cut-off per l’inclusione in una diagnosi) negli ultimi anni per lanciare nuovi farmaci, come il discusso caso del Disturbo Dell’Attenzione trattato in poco tempo con l’uso di un eccitante del SNC, il Ritalin.
Fonti e Links: Galimberti Umberto, Dizionario di psicologia, De Agostini
Wikipedia
Mind Hacks
‘The Dictionary of Disorder’ The New Yorker
La ‘Bibbia dei disturbi mentali sotto accusa’ – Disinformazione
Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona
Immagine:
Fede, Wikimedia
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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