In una recente meta-analisi condotta presso la Northwestern University (ricordiamo che una meta-analisi è uno studio che integra i risultati di molti altri studi che si sono occupati dello stesso argomento), si è dimostrato che la leadership continua ad essere vista, dal punto di vista culturale, come qualcosa che appartiene al genere maschile.
Gli studi hanno scoperto che le donne manager incontrano soprattutto due tipi principali di pregiudizio: esse sono considerate “meno qualificate” e “meno naturali”, rispetto agli uomini, nei ruoli di maggiore comando. Quando, per combattere questi pregiudizi, le donne-manager decidono di adottare comportamenti tradizionalmente considerati “maschili”, esse vengono percepite come “inadeguate”, o addirittura “presuntuose”.
La ricerca rileva che alcune qualità vengono prevalentemente associate alle figure femminili, come l’essere belle o comprensive, mentre assertività o competitività, restano qualità associate a figure maschili.
Del resto, se finora le qualità principali di una leadership di successo si basavano sui concetti di assertività e competitività, il nostro secolo ci sta facendo assistere a notevoli cambiamenti nel campo delle tecnologie e nella globalizzazione, tanto che si potrebbe anche ipotizzare che a breve questi vecchi modelli di leadership non funzioneranno più. Probabilmente sarà necessario proporre qualcosa di nuovo per affrontare le nuove sfide: ad esempio la leadership femminile. Le donne potrebbero dare un contributo importante nell’amministrazione dello Stato, come nelle aziende private, per molte valide ragioni.
Studi precedenti hanno infatti dimostrato come (con qualche eccezione, ovviamente) le donne tendano ad utilizzare in genere uno stile di leadership più partecipativo: sono più propense a condividere le informazioni ed il potere, ed hanno forti competenze relazionali, che le fanno apparire empatiche nei confronti dei loro collaboratori. Sia negli studi di laboratorio, sia nelle osservazioni sul campo, gli uomini-leader appaiono invece più direttivi ed autoritari, più legati alla gerarchia ed alla formalità.
Gli studi della University of Southern California forse possono offrire una spiegazione a questo modo diverso di concepire il ruolo di comando: nel cervello maschile e femminile sembra vi sia un funzionamento diverso, in condizioni di stress. Le differenze riguardano in particolar modo le regioni cerebrali che consentono di comprendere le emozioni degli altri. Secondo questa ricerca, lo stress sembra aumentare la capacità di empatia nelle donne, mentre sembra minimizzarla negli uomini.
In generale, le leader donne tendono ad essere più interattive, più disponibili all’ascolto. Gli uomini, come si ritiene da tempo, ci sanno fare molto meno nel decifrare le emozioni: preferiscono attivarsi per cercare subito delle soluzioni, anche se non sempre hanno perfettamente capito che se il problema che gli viene posto abbia a che fare con situazioni oggettive, o con vissuti emozionali o relazionali all’interno del gruppo di lavoro.
Una conferma di questa situazione viene da una nuova ricerca condotta presso la Harvard University, dove Robert Rosenthal ha sviluppato un test che si chiama Profile of Nonverbal Sensitivity, che serve per analizzare le differenze di genere nel decodificare i segnali del linguaggio corporeo. Le donne, in questo particolare tipo di abilità, hanno registrato capacità nettamente superiori ed hanno mostrato di decodificare con maggiore accuratezza le espressioni facciali, le posture, le espressioni paraverbali.
Ma c’è di più: oltre che brave nella decodifica delle emozioni, sembra che le donne sappiano anche meglio esprimere le emozioni, modulare con maggiore efficacia il tono della voce, mantenere un più stretto contatto oculare con le persone con le quali interagiscono ed infine, sappiano orientare con maggiore padronanza il loro corpo verso l’interlocutore, per dimostrare attenzione e considerazione.
Le donne inoltre, sempre da questa ricerca, sorridono di più, sanno sincronizzare meglio i movimenti del corpo con quelli della persona con cui parlano, fanno più frequentemente degli uomini dei cenni col capo, inviando così dei feedback che dimostrano attenzione e comprensione: tutto questo permette una più elevata competenza personale nella gestione delle risorse umane.
Neanche a dirlo, da questo studio emerge che i manager-uomini tendono ad assumere invece delle posizioni più rigide, con arti intrecciati, il che trasmette senso di rigidità e di chiusura. I manager uomini sembrano inoltre più disordinati: spesso si vede il loro materiale da lavoro sparso sui tavoli della riunione, senza una minima concezione del decoro personale. Nelle riunioni, infine, sorridono molto meno ed assumono spesso espressioni poco collaborative, piuttosto intimidenti, mostrando scarso interesse verso gli altri, o troppa sicurezza di sé.
Di recente, l’imprenditore svizzero René Mägli ha concesso un’intervista allo Spiegel in cui spiega le ragioni per cui ha scelto di lavorare solo con donne. “Le donne – sostiene Mägli – hanno qualcosa in più: lavorano per l’azienda, non per il proprio ego. Gli uomini lottano per la posizione, per i soldi o lo status. Non amano lavorare in squadra e, se sono costretti, non comunicano, non si aiutano reciprocamente. Le donne invece non sono competitive, non vogliono dimostrare la loro superiorità. Almeno, questa è la mia esperienza”.
Se il leader del futuro deve essere abile nella comunicazione, deve dare fiducia alle persone e farle sentire considerate, è ovvio che sempre più aziende, come quella di René Mägli, dovranno pensare a scegliere delle leader donna.
Per il momento tuttavia, sembra che le donne debbano contentarsi di assumere la leadership delle aziende solo in periodi di crisi: sembra infatti provato che quando un’azienda sta vivendo una crisi nera, a quel punto cadano tutte le barriere ed i pregiudizi contro le donne e le leader vengano accettate favorevolmente, come “ultima spiaggia”.
Susanne Bruckmüller e Nyla Branscombe hanno studiato il processo decisionale di 119 soggetti di entrambi i sessi i quali dovevano decidere, in un esperimento condotto in laboratorio, quale doveva essere il capo di una società di prodotti alimentari biologici. Risultato: i partecipanti erano più propensi a scegliere come leader un candidato-donna se la società era descritta in stato di crisi e se gli ultimi suoi tre leader erano stati tutti maschi. Se i precedenti manager erano stati tutti di sesso femminile, c’erano le stesse probabilità di selezionare un candidato di sesso maschile o femminile.
Inizialmente si era pensato che questo fenomeno fosse dovuto, nell’azienda in stato di crisi, alla necessità di un cambiamento radicale che includesse anche un leader di sesso diverso, ma si è visto che non è così: infatti è stato dimostrato che non vi è alcuna tendenza a scegliere un candidato di sesso maschile in una società in crisi, che aveva avuto in precedenza tre capi donne.
‘I nostri risultati indicano che le donne si trovano in posizioni di leadership precarie perché non vengono scelte in quanto apprezzate dagli altri, ma solo perché gli uomini non sembrano più adeguati per il ruolo’ hanno spiegato Bruckmüller e Branscombe.
Insomma, nella stanza dei bottoni le donne arrivano solo quando tutti i manager- uomini che si sono avvicendati prima di loro su una determinata poltrona hanno fallito. In queste condizioni, fare bene equivale a fare miracoli.
Giuliana Proietti
Fonti:
Bruckmüller, S. & Branscombe, N. (2010). The glass cliff: When and why women are selected as leaders in crisis contexts. British Journal of Social Psychology, 49 (3), 433-451 DOI: 10.1348/014466609X466594 via Research Digest Blog
Do women have what it takes? Northwestern University
L’uomo che lavora solo con le donne, La Stampa
What men can learn from women about leadership in the 21st century, Washington Post
Psicolinea.it © Sett. 2011
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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