La prigione? Una foglia di fico

Danièle Mercier, professoressa di storia e geografia in pensione, è entrata per la prima volta in un carcere nel 2002. E’ accaduto a Longuenesse, in Francia, dove ha istituito un gruppo di discussione per i detenuti.

Da allora la Mercier ha creato un’associazione, Repousser les murs, Respingere le mura, che gestisce dei laboratori socio-culturali. Questi incontri e scambi in ambiente carcerario sono alla base di un nuovo libro, On tourne en rond, “Si gira intorno”.

Scopo del libro è anche quello di puntare il dito contro determinati malfunzionamenti della vita carceraria francese, disfunzioni che Danièle Mercier ha osservato nei suoi interventi da volontaria, prima nel carcere di Loos e poi in quello di Longuenesse Sequedin.

“La prigione è la foglia di fico della nostra società – dice la prof in pensione – perché lì sono racchiusi tutti coloro che non si è in grado di integrare, educare e curare”.

Mettere insieme un gruppo tuttavia, non è sufficiente: occorrerebbe che il gruppo fosse seguito anche da un professionista psicologo o psichiatra, ma secondo Danièle il numero di questi professionisti in carcere è del tutto inadeguato. Così, fino a che non cambieranno le cose, lei porta avanti la sua battaglia per rendere la prigione un luogo più sopportabile. Sebbene fisicamente limitati, i carcerati dovrebbero infatti mantenere un pensiero libero, aperto, non distaccato da ciò che avviene fuori dalle mura del penitenziario.

Ogni carcerato rappresenta un fallimento: della famiglia, della scuola, dell’integrazione. Inoltre, non va sottaciuto il fatto che il carcere accoglie più spesso i poveri che i ricchi: basta guardare le statistiche della popolazione carceraria. (Diceva bene Victor Hugo: “Se si apre una scuola, si chiude una prigione”)…

I carcerati in primis devono espiare una pena, certamente, ma sarebbe opportuno che questo periodo coincidesse anche con la riabilitazione di queste persone, il che invece non sempre avviene. Ad esempio il carcere non è in grado di fornire sufficienti cure psicologiche e psichiatriche, per i molti che ne avrebbero bisogno.

Dopo dieci anni di volontariato, Danièle ha inoltre scoperto che vi sono moltissimi luoghi comuni, soprattutto nella vox populi, quando parla del carcere ordinario. In una intervista, la Mercier ha dichiarato che uno degli obiettivi del suo libro è proprio quello di convincere la gente a pensare, a cambiare il proprio attegiamento nei confronti del carcere, che non dovrebbe essere più considerato come un luogo posto “al di fuori” della società.

Molti hanno l’idea che la prigione sia una sorta di Club Med – dice ancora la Mercier – dove si fa sport, si guarda la TV e, in fin dei conti, non si sta poi così male. Dobbiamo ricordare invece, che il carcere è un luogo di dolore, è un trauma, anche se c’è la TV. La sofferenza sta nella privazione della propria libertà, nell’allontanamento dalla propria famiglia, dai propri figli.

Nei suoi gruppi di discussione, Danièle dà particolare importanza alla rievocazione del periodo dell’infanzia, valorizzando gli aspetti positivi delle persone, che rimangono tali anche in chi si è macchiato di un reato.

I detenuti dovrebbero essere aiutati a ritrovare “il loro posto” nella società, permettendo loro di sviluppare le proprie attitudini personali. Secondo Danièle la prigionia dovrebbe essere il tempo della riparazione e dunque per questo, questo tempo dovrebbe avere un senso: non può basarsi solo sull’isolamento del detenuto.

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Permettere ai detenuti di verbalizzare i loro vissuti nei gruppi di incontro che lei organizza permette ai carcerati di potersi evolvere in un atteggiamento più costruttivo, acquisendo una motivazione per elaborare nuovi progetti. I gruppi gestiti da Daniéle, gli ateliers d’expression, si basano su attività di socializzazione, ascolto attivo, riformulazione e scrittura, raggruppamento per temi, improvvisazione su questi temi, recitazione sulla base di testi nati dall’improvvisazione e rappresentano un supporto sociale ed affettivo in una dinamica di gruppo.

Per quanto riguarda il reinserimento: il 30% dei detenuti francesi esce dal carcere senza denaro e senza un lavoro. Il 60% di loro avranno di nuovo a che fare con la giustizia; il 40% torneranno in prigione entro 5 anni dal loro rilascio.

La situazione carceraria francese, a quanto pare, non è poi così diversa da quella italiana. Il che non è una consolazione…

Fonti:

«La prison ne doit pas être en dehors de la société», Liberation
Un livre-objet pour que le lecteurtourne en rond, comme dans une prison, La voix du Nord

Repoussons les murs

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta, Ancona

Immagine: Shayan Sanyal Wikimedia

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