Come vive le sue esperienze un donatore di sperma?
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Una volta i donatori di sperma erano assolutamente anonimi. In molti Paesi tuttavia ora le cose stanno cambiando e sempre più spesso viene richiesto che i donatori si rendano disponibili a essere identificati, una volta che la loro prole abbia raggiunto la maggiore età e su loro richiesta (Blyth e Landau, 2004; Blyth e Frith, 2009; Allan, 2012).
Il movimento per porre fine all’anonimato dei donatori di liquido seminale si è interessato principalmente al benessere dei figli e al loro diritto di ricevere informazioni sul loro genitore biologico, anche se si è osservato che anche i donatori potrebbero avere il diritto, a loro volta, di sapere qualcosa sui figli che hanno contribuito a mettere al mondo. ( Raes et al., 2013).
La ricerca si è finora occupata di questioni teoriche, ma difficilmente ha dato voce ai donatori (Daniels et al., 2012), anche perché si è visto che i donatori sono sicuramente meno interessati dei loro figli a conoscere l’identità del parente sconosciuto, a fornirgli informazioni su di sé o ad entrarci in contatto (Purewal e van den Akker, 2009;. Rodino et al 2011 ; Van den Broeck et al, 2013).
Ci sono inoltre differenze tra donatori di ovociti e donatori di spermatozoi: questi ultimi mostrano un livello più elevato di interesse verso i figli biologici rispetto alle donne che hanno donato ovociti (Lampic et al., 2014), anche rispetto ad un potenziale senso di responsabilità.
Una ricerca di van den Akker et al. (2014) ha trovato che i donatori di sperma possono interessarsi ai loro figli per una serie di motivi.
Un altro studio (Jadva et al. 2011) si è basato su un piccolo campione di individui, reclutato attraverso il Donor Sibling Registry (DSR), il registro mondiale statunitense che aiuta, con il reciproco consenso, a mettere fra loro in contatto non solo il donatore con i suoi figli, ma anche i fratellastri, figli di uno stesso donatore. I ricercatori hanno anch’essi osservato un contatto positivo tra i donatori e i loro figli.
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Successivamente Daniels et al. (2012) hanno riportato dati raccolti da 164 donatori di sperma, trovati sempre attraverso il DSR. Anche se i donatori erano inizialmente anonimi, quasi tutti avevano già avuto contatti con i loro figli biologici. Al momento dello studio i 33 donatori in contatto con i figli hanno detto di sentirsi “vicini” alla loro prole, specialmente dopo averli conosciuti. I donatori hanno riferito che quello che era stato per loro più impegnativo era “l’adeguamento del rapporto e le questioni sorte all’interno della propria famiglia” (Daniels et al., 2012).
Più recentemente, Kirkman et al. (2014) hanno scoperto che su 10 donatori precedentemente anonimi in Australia l’esperienza del contatto aveva portato le persone dall’assenza di qualsiasi rapporto a uno stretto rapporto personale.
La maggior parte delle banche del seme statunitensi ora offre la possibilità di scoprire l’identità del donatore. La Banca del Seme della California (TSBC), ad esempio, ha iniziato questa pratica nel 1983 (Scheib, 2003). I donatori della TSBC (e di altre banche con programmi simili) possono firmare un contratto che autorizza la banca a rivelare la loro identità se un loro figlio biologico di almeno 18 anni richiede informazioni per identificazione il suo donatore.
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L’informazione non viene rilasciata automaticamente: il donatore deve compilare un profilo aggiornato e specificare la sua forma preferita di contatto. I donatori e i figli possono anche iscriversi volontariamente su siti web come quello del Donor Sibling Registry (DSR); né i donatori né i figli possono ovviamente essere sicuri che l’altra parte risponda alla loro offerta di contatto. Infine, le parti interessate possono impegnarsi a fare dei test, come quello del DNA affidandosi a agenzie specializzate.
Il problema in questo tipo di incontri sta nel fatto che non tutte le occasioni di contatto sono ricercate, o desiderate, da entrambe le parti.
Un recente studio (Hertz R, Nelson MK, Kramer W. 2015) esplora le attitudini e le esperienze di 57 donatori di sperma che hanno risposto a un sondaggio pubblicato on-line negli Stati Uniti dopo 18 anni circa dalla loro donazione di sperma. Il campione era composto per il 51% da persone sposate o conviventi con persone dell’altro sesso, il 56% aveva figli propri, l’81% si è dichiarato eterosessuale. Oltre il 53% erano diplomati o laureati. Nel 93% erano bianchi. Studiando le loro risposte si vede come la maggior parte di loro ammetta di essere stato curioso di conoscere i propri figli biologici, e di aver per questo motivo preso contatto con la banca del seme e già comunicato con almeno un figlio biologico, almeno una volta, scambiandosi fotografie. Circa due terzi di loro si erano anche incontrati di persona almeno una volta; la stessa proporzione aveva comunicato tramite e-mail o sms.
Dei donatori intervistati, 5 conoscevano i loro figli sin dall’inizio per essere parenti o amici della coppia sterile, 35 di loro avevano chiesto l’anonimato, e 17 avevano dato la possibilità di rivelare la loro identità, se i figli lo avessero chiesto. La maggior parte dei donatori aveva donato il seme per circa sei anni, nel range di età 27-33 anni.
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I due terzi (65%) degli intervistati si era chiesto se le proprie donazioni avessero poi effettivamente portato a concepimenti. Il 59% dei donatori anonimi e il 73% dei donatori che avevano accettato di rivelare la loro identità avevano contattato la clinica per sapere quanti bambini erano nati dalle loro donazioni. La maggior parte dei donatori (97% di coloro che erano anonimi e il 100% di coloro che avevano accettato di rivelare l’identità) ha dichiarato di aver pensato o fantasticato su questi loro figli. Tra i 45 partecipanti che hanno scelto di approfondire tale risposta, il 52% ha indicato di aver pensato a questi particolari figli “sempre” o “spesso”. Un altro 18% ha dichiarato di non essersi posto molte domande in passato, ma di essersene interessato nel tempo presente, dopo la richiesta di contatto. Nove intervistati hanno detto di non essersi mai chiesti nulla in proposito fino a che non avevano avuto consapevolezza di poter cercare il contatto, ad esempio attraverso un programma di informazione. Per tre intervistati l’evento che ha dato loro consapevolezza di poter essere genitore di altri figli è stata la nascita di un figlio loro.
Alcune testimonianze:
Dopo che ho avuto il mio bambino, all’età di 35 anni, ho iniziato a pensare a tutti i potenziali figli che avevo potuto concepire. Quando ho visto quanto di me era in mia figlia, ho cominciato a pensare che i bambini avuti attraverso la donazione del seme avrebbero voluto sapere di più su di me.
Penso molto a loro, da quando mi è stato comunicato [dal DSR] della loro esistenza.
Dopo essere stato contattato ho saputo che vi sono molti figli… Ora penso a loro regolarmente.
La stragrande maggioranza degli intervistati (80% di coloro che erano anonimi e il 94% di coloro che avevano accettato di rivelare l’identità) si era chiesto se i loro figli pensassero a loro.
La metà (52%) degli intervistati aveva conosciuto solo uno o due figli; il più alto numero di figli biologici conosciuti è stato di 25, ma la media era di 4,3 figli per donatore. Tra coloro che avevano conosciuto il figlio/i figli, il 16% aveva scelto di non rimanere in contatto con loro, il 62% era rimasto in contatto con tutti i figli conosciuti.
Ai donatori è stato chiesto di comunicare in modo più approfondito il rapporto che avevano con questi figli. Un quinto ha risposto che li sentiva come veri figli e il 16% ha detto che li sentiva come parenti stretti. L’11% li sentiva come amici, il 9% come amici, il 7% come lontani parenti e il 4% come estranei. Un terzo degli intervistati ha detto che il rapporto era troppo difficile da descrivere. I donatori che avevano accettato di rilasciare dati sulla propria identità sono stati più propensi degli altri a ritenere questi ragazzi come figli propri; i donatori inizialmente anonimi avevano invece più difficoltà a rispondere alle domande.
Ecco alcune delle dichiarazioni dei donatori:
Sono molto vicino con un paio di ragazzi che ho incontrato, e che sembrano davvero come figli miei.
Ho incontrato mia figlia un paio di anni fa nella sua casa nel Maine con la sorella, la madre e la nonna. … La considero mia figlia e mi dispiace non averla vista crescere Io paragono la relazione con mio figlio come a quella di zio a nipote. Non posso considerarmi un vero genitore perché non l’ho visto crescere.
E’ come una figlia, ma sono consapevole che ci siamo conosciuti tardi che lei ha la sua famiglia. Mi trovo bene con tutti loro, e amo i nipoti, nati dopo averla conosciuta. Ma la sua famiglia viene prima di me.
Ho incontrato quattro figli quando erano molto giovani (dai 4 ai 7 anni). Mi chiamano papà e siamo molto vicini. Con gli altri che ho conosciuto quando erano adolescenti vi è un rapporto profondo, non facile da descrivere, mi sento come il loro “zio preferito”.
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La stragrande maggioranza dei donatori di sperma che hanno avuto contatti con i figli biologici ha risposto di non essersi sentito in competizione col genitore “sociale” dei figli. Questi dati suggeriscono che i donatori credono nell’integrità della famiglia della loro progenie. Ciò è coerente con le risposte di cui sopra, quando ad esempio si afferma: “la sua famiglia viene prima”, “non sarò mai realmente il loro genitore, perché non li ho cresciuti ”
Il padre sociale tuttavia in alcuni casi può rappresentare un problema:
“So per certo che i genitori di sesso maschile hanno problemi, dal momento che ne ho conosciuti molti”.
“So di un caso in cui il “padre” ha voluto evitare che i suoi figli conoscessero il loro padre biologico “.
Il 14% degli intervistati ha detto che il contatto aveva causato un conflitto con uno o entrambi i genitori dei figli biologici.
E’ stato chiesto cosa i donatori trovassero di positivo in questo tipo di incontri.
“Sono passato da zero a nonno più velocemente di chiunque altro…”
“Sapere che esistono o solo vederli mi ha reso contento di aver portato felicità ad altre persone con la mia donazione”.
L’undici per cento ha indicato che ciò che era stato più positivo per loro in questi incontri era l’osservazione delle somiglianze genetiche. Tra gli aspetti negativi riportati, il 34% ha risposto che era difficile sviluppare il rapporto in modo adeguato: “Ti incuriosisci su di loro, ma non ti puoi intromettere nella loro vita chiedendo troppo”.
La paura di non essere piaciuto o scoprire una prole deludente è stata la seconda risposta più comune offerta dal 24%. L’8% ha detto di non avere gradito i figli.
Gli intervistati sono in larga misura soddisfatti per la donazione effettuata, che ha migliorato la propria vita. Dice uno di loro:
“Essere stato un donatore mi ha dato una vita più piena, più ricca, più felice”.
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Il suggerimento che questi donatori si sentono di dare ai potenziali donatori è che molti dei figli nati con l’inseminazione artificiale saranno interessati a conoscere alcuni dei dettagli della loro vita, e ad avere contatti con loro. Un gruppo significativo (13%) di intervistati che erano stati originariamente anonimi ha esortato i donatori ad evitare l’anonimato. Uno degli intervistati la cui identità era stata rivelata per errore ha scritto una risposta che rifletteva la sua esperienza: “le cliniche hanno rivelato informazioni riservate nonostante avessi richiesto di rimanere anonimo e di proteggere la mia privacy; non stupitevi se verrete contattati da un destinatario del vostro sperma “. Solo uno degli intervistati si è detto pentito di aver fatto la sua donazione.
Concludendo, la maggior parte dei donatori che hanno contatti con la loro prole biologica indicano che prima di quel contatto erano curiosi di sapere qualcosa di questi figli. Con ogni probabilità, è la curiosità la molla che ha fornito loro la motivazione al contatto. Tra gli intervistati che non avevano ancora avviato i contatti, solo uno sembrava essere molto arrabbiato per la violazione del suo anonimato, mentre gli altri si sono mostrati contenti.
Oltre la metà delle donatori di sperma di questo studio erano consapevoli che la loro presenza nella vita della loro prole avrebbe potuto essere come una minaccia per i genitori (soprattutto i padri sociali) dei figli. Inoltre, anche se preoccupati di rispettare l’integrità della famiglia in cui sono nati i figli, si sono mostrati aperti ad ampliare i confini delle loro famiglie per includervi anche i figli biologici e perfino i loro genitori (per i 2/5 dei donatori)
Come scoperto anche in altre ricerche, molti donatori riportano che il contatto con la prole è positivo (Jadva et al, 2011; Daniels et al, 2012). Allo stesso tempo, questo studio fornisce ulteriori prove sul fatto che il contatto può essere fonte sia di delusioni, sia di conflitti. Infatti, l’evidenza suggerisce che gli intervistati hanno meno contatti di quelli che avrebbero desiderato, a causa della competizione che si viene a creare con i genitori. Inoltre, come hanno detto un terzo degli intervistati, è difficile trovare il giusto equilibrio in queste relazioni e un quarto ha dichiarato di essersi sentito in ansia per come la loro prole avrebbe potuto giudicarli.
Quasi la metà degli intervistati in contatto coi figli biologici ha detto che avrebbe comunicato loro un evento importante, o condiviso con loro una buona notizia, o invitato i figli e i loro genitori ad un evento importante della propria vita.
Insomma, non si può parlare di una vera e propria “famiglia allargata” come oggi la concepiamo, ma vi siamo molto, molto vicini.
Dr. Walter La Gatta
Relazione sulle Coppie Non Monogamiche
Fonte:
Hertz R, Nelson MK, Kramer W. Sperm donors describe the experience of contact with their donor-conceived offspring. Facts, Views & Vision in ObGyn. 2015;7(2):91-100.
Immagine:
Flickr
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Dr. Walter La Gatta
Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
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