Metodologie dell’educazione sessuale

educazione sessuale

L’educazione sessuale è l’insegnamento di saperi sulla sessualità, allo scopo di sviluppare una competenza etica, che permetta di decidere consapevolmente sulle scelte sessuali. Le metodologie usate finora nelle scuole sono state molto diverse fra loro ed ancora non si hanno dati certi su quale siano i loro effetti sul lungo termine. In particolare, sono stati soprattutto seguiti tre approcci:

1. Approccio informativo/scientifico, teso a fornire elementi conoscitivi, rivolto alla sfera cognitiva delle persone, con esclusione del mondo delle emozioni, dei vissuti legati al corpo e al rapporto con l’altro, senza i quali l’educazione sessuale rischia di diventare un arido elenco di apparati e funzioni.

2. Approccio conservatore o libertario, in cui l’obiettivo principale è trasmettere ai ragazzi i propri valori, conservatori o libertari, che fanno riferimento ad un preciso modello socioculturale.

3. L’approccio fenomenologico, che vede il ruolo educativo come stimolo per aiutare ad effettuare un analisi critica dei valori culturali e ad appropriarsi di informazioni e conoscenze al fine di effettuare scelte personali.

Quest’ultimo approccio sembra oggi il piiù adeguato per una moderna educazione sessuale. Educare alla sessualità non significa ‘addestrare’, ma ‘allenare a pensare, a ragionare, a comunicare, a mettersi in relazione’: agli allievi non dovrebbero essere insegnati ‘dati’ o ‘fatti’ preconfezionati. L’obiettivo dovrebbe essere quello di permettere che gli allievi sviluppino una migliore comprensione ed interpretazione delle situazioni relative alla sessualità. Nell’educazione sessuale non dovrebbero essere trasmesse norme, ma capacità di valorizzare la dimensione sessuale di ciascuno, ovvero creare un terreno favorevole per cui ognuno possa costruirsi il proprio progetto esistenziale, nella libertà e responsabilità, intesa come consapevolezza delle conseguenze delle proprie scelte e rispetto della libertà dell’altro.

L’EDUCAZIONE SESSUALE NELLA SCUOLA

All’interno della istituzione scolastica è spesso presente una forma di negazione dell’aspetto sessuato della persona, ma non ci si rende conto che la repressione, l’imbarazzo o il silenzio sono anch’essi un’implicita trasmissione di messaggi. Di fronte alle tematiche sessuali si oscilla fra due diverse tendenze :

1. l’impotenza, che si manifesta nel ‘gioco delle deleghe’, per cui nessuno interviene perché ritiene non sia propria competenza affrontare il tema della sessualità;

2. l’onnipotenza, per cui sentendosi investiti di questo compito e portatori di verità assolute, ci si impegna nella trasmissione di norme, regole e valori, spesso non verificabili, né riproducibili.

L’educazione sessuale non dovrebbe essere una materia a sé stante: il sesso è nell’arte, nella letteratura, nella storia, nelle scienze, perfino nella religione: si tratta di un patrimonio di conoscenze che viene censurato in tutte le materie scolastiche, dalla biologia alla letteratura, impedendo in questo ambito quel raffinamento del pensiero che invece la scuola consente per le altre materie. E’ anzitutto utile dunque che ciascuna persona impegnata nell’ambito educativo sia capace di ri-sessualizzare la sua materia, senza creare ghetti, senza autocensurarsi sugli argomenti più scomodi. Gli esperti potrebbero dunque entrare nella scuola, ma ad un altro livello: per formare genitori e insegnanti, che a loro volta poi parleranno di sessualità con i figli.

FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

Tutti coloro che svolgono funzioni educative dovrebbero rientrare nei programmi di base e nella formazione permanente alla sessualità.. La formazione non dovrebbe fare riferimento ad un accumulo di nozioni sessuologiche o esclusivamente biologiche, ma dovrebbe ascriversi alla creazione di ‘gruppi di riflessione’ in cui gli insegnanti riescano ad affrontare le domande personali riguardanti la sessualità di ciascuno all’interno di specifici setting di gruppo, in cui sia possibile un processo di elaborazione e di confronto con gli altri, per arrivare poi in modo autonomo alla scelta dei comportamenti ritenuti più appropriati. Un insegnante deve anzitutto saper ascoltare l’allievo, imparare a decodificare le sue domande riconoscendo le domande sottese a quelle formali ed apparenti e cogliendo in modo empatico tutti i messaggi che vengono inviati attraverso il comportamento, i silenzi, la sfida, gli atteggiamenti.

GLI OBIETTIVI DELL’EDUCAZIONE SESSUALE

La finalità ultima dell’educazione sessuale dovrebbe essere quella di produrre un cambiamento nei comportamenti che appaiono inadeguati e supportare l’adolescente rispetto alle difficoltà connesse alla fase di transizione che sta attraversando. I progetti di educazione sessuale dovrebbero per questo essere sempre obiettivi e verificabili, per avvicinarsi quanto più possibile alle finalità che ci si è proposti. Il raggiungimento degli obiettivi cognitivi non dovrebbe essere fine a sé stesso, ma finalizzato a produrre consapevolezza negli atteggiamenti e nelle opinioni. L’apprendimento è facilitato quando lo studente partecipa responsabilmente al processo educativo, se è parte attiva del processo, se sceglie le direzioni in cui muoversi, formula i problemi, è impegnato nella ricerca rispetto a tematiche per lui rilevanti. Per questo, anche nella educazione sessuale la scelta dei temi da affrontare dovrebbe essere lasciata in modo prioritario ai ragazzi e si dovrebbero favorire le scelte didattiche che permettono una partecipazione attiva degli studenti.

GLI ESPERTI NELLA SCUOLA: ORGANIZZAZIONE DI UN CICLO DI INCONTRI

Nel momento in cui ci si accinga a progettare cicli di incontri rivolti ad adolescenti sulla educazione alla sessualità occorre anzitutto essere consapevoli di alcuni punti nodali che ne condizionano il programma, lo svolgimento e le verifiche:

1. L’adolescente non è ‘terra vergine’ : in ambito sessuale ha già un tipo di formazione frutto di una educazione continua maturata attraverso educazioni educative (o diseducative) di tipo indiretto (clima e vissuto familiare, scolastico, confronto con modelli di comportamento e di riferimento offerto dalle principali agenzie educative);

2. Centralità dell’adolescente. anche se molto giovane, l’adolescente va rispettato nei suoi valori e nella sua persona, così come nel suo eventuale pudore o nei sentimenti di vergogna propri dell’età. L’intervento pedagogico deve tendere a riportare i diversi momenti e aspetti dell’azione educativa alla persona globalmente intesa, titolare non tanto di organi e funzioni da esercitare, quanto di una identità che prevede l’esercizio di tali organi.

3. Educazione sessuale come parte del processo educativo. Ogni progetto educativo intenzionale dovrebbe ancorarsi al vissuto e alle esperienze elaborate dall’adolescente all’interno del proprio ambiente.

Il quadro unitario di riferimento e il progetto di un ciclo di incontri di educazione sessuale andrebbero individuati e definiti senza improvvisazione, partendo dall’analisi ambientale e dagli spazi vitali degli adolescenti cui viene diretta l’azione educativa; in particolare dalla lettura attenta della loro situazione psicoaffettiva, relazionale, sociale e conoscitiva.

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Gli incontri andrebbero tenuti in piccoli gruppi, per favorire la riflessione su di sé, sulla propria identità personale e di genere, sul processo di crescita che i ragazzi stanno vivendo. Utilizzando l’esperienza del confronto, del rapporto fra coetanei e della relazione, si possono aiutare gli adolescenti a rielaborare pensieri ed esperienze proprie, che vengono riconsiderate in relazione a quelle vissute dai propri compagni. I compagni di scuola, per ogni adolescente, sono persone simili e diverse da sé, con gli stessi problemi, ma bisognose di risposte diverse. Lavorando sulla acquisizione della valutazione critica, della consapevolezza dei criteri personali di scelta, del riconoscimento degli stereotipi personali, il piccolo gruppo può dar voce agli adolescenti e facilitare il coraggio di fare domande e di comunicare. Ogni domanda espressa dall’adolescente dovrebbe ricevere una risposta, ogni problema proposto andrebbe accolto e condiviso.

I risultati del lavoro svolto con gli adolescenti andrebbe infine consegnato, in termini di suggerimenti da raccogliere e proseguire ai genitori, ai docenti, agli educatori e comunque ai ‘committenti’, perché l’iniziativa non diventi fine a sé stessa. Il numero ideale di incontri non dovrebbe superare le i 5-6 unità, per 1 ora e mezzo-due ore al massimo: per dare all’iniziativa il suo giusto rilievo, senza arrivare ad enfasi eccessive o banalizzazioni, che renderebbero nullo o inutile il lavoro svolto.

Walter La Gatta

Psicolinea.it © Mag 09

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