Omofobia: temi gli omosessuali o te stesso/a?

L’omofobia è più pronunciata nei soggetti che provano attrazione verso persone dello stesso sesso (ma della quale non sono consapevoli) e che sono cresciuti con genitori autoritari, che proibivano loro l’espressione di questi desideri. Lo afferma un nuovo studio, il primo a documentare il ruolo  sia dei genitori, sia dell’orientamento sessuale, nella formazione di una avversione intensa e viscerale nei confronti degli omosessuali.

“Gli individui che si identificano come soggetti eterosessuali, ma che nei test psicologici mostrano una forte attrazione per soggetti del proprio sesso, possono sentirsi minacciati dai gay e dalle lesbiche, perché queste persone possono ricordare loro analoghe tendenze,  avvertite dentro di sé”, spiega Neta Weinstein, docente presso l’Università di Essex e autrice principale dello studio.

“In molti casi si tratta di persone che sono in guerra con sé stesse e che rivolgono questo conflitto interno verso l’esterno”, aggiunge il co-autore Richard Ryan, professore di psicologia presso la University of Rochester, che ha contribuito alla ricerca (vedi il video più in basso).

La ricerca comprende quattro esperimenti separati, condotti negli Stati Uniti e in Germania; ciascuno ha coinvolto una media di 160 studenti universitari. I risultati hanno fornito nuove prove empiriche a sostegno della teoria psicoanalitica secondo la quale la paura, l’ansia, e l’avversione che alcune persone apparentemente eterosessuali provano nei confronti degli omosessuali possano tradire desideri sessuali repressi verso persone dello stesso sesso. I risultati supportano anche la più moderna teoria della auto-determinazione, sviluppata da Ryan e Edward Deci presso l’Università di Rochester, che collega l’eccessivo controllo dei genitori durante il periodo della crescita con una scarsa accettazione di sé e la difficoltà a valutare sé stessi in modo obiettivo.

I risultati possono aiutare a spiegare le dinamiche personali che portano al mobbing e alle violenze nei confronti degli omosessuali in quei fatti di cronaca che riportano di aggressioni nei confronti degli omosessuali: in essi si avverte infatti che gli aggressori si sentivano in qualche modo minacciati dagli omosessuali (i quali, del tutto involontariamente, possono aver contribuito a rendere i loro aggressori più consapevoli del proprio reale orientamento sessuale).

La ricerca fa luce anche su casi di alto profilo in cui sono stati coinvolti personaggi conosciuti,  impegnati pubblicamente in campagne anti-gay e, in privato,  in atti sessuali con persone del proprio sesso. Gli autori citano esempi come Ted Haggard, il predicatore evangelico che si opponeva al matrimonio gay e che è stato coinvolto in uno scandalo omosessuale nel 2006, o anche Glenn Murphy Jr., ex presidente della federazione nazionale dei giovani repubblicani (in America), fiero oppositore del matrimonio gay, che è stato accusato di avere molestato sessualmente un ventiduenne, nel 2007.

Per esplorare l’ attrazione sessuale manifesta o inconsapevole dei partecipanti, i ricercatori hanno misurato le discrepanze tra frasi tipiche relative all’orientamento sessuale e le relative reazioni dei soggetti in termini di frazioni di secondo. Agli studenti sono state mostrate parole e immagini sullo schermo di un computer ed è stato chiesto loro di inserirle nella categoria “gay” o “etero”.  Prima di ciascuna delle 50 prove, i partecipanti sono stati stimolati con la parola “me” o “altri” attraverso messaggi subliminali, flash, che sullo schermo sono durati 35 millisecondi. Sono stati poi mostrate le parole “gay”, “eterosessuale”, “omosessuale” così come le immagini di coppie eterosessuali e gay, mentre il computer monitorava con precisione i tempi di risposta. Un’associazione più veloce di “me” con “gay” e una associazione più lenta di “me” con “eterosessuale” sono state considerate indicative di un orientamento omosessuale non consapevole.

Un secondo esperimento, in cui i soggetti erano liberi di sfogliare foto di soggetti dello stesso sesso o di sesso opposto, ha fornito una ulteriore misura di implicita attrazione sessuale.

Attraverso una serie di questionari, i partecipanti hanno anche riferito sul tipo di genitori che hanno avuto durante l’infanzia e sul loro stile genitoriale, autoritario o democratico. Agli studenti è stato chiesto inoltre di esprimere accordo o disaccordo su  affermazioni quali: “Mi sentivo sotto pressione”, o “mi sono sentito libero di essere quello che sono”. Per misurare il livello di omofobia in famiglia, i soggetti hanno risposto a domande quali: “Per mia madre sarebbe sconvolgente scoprire che sua figlia era una lesbica” o “Mio padre evita gli uomini gay, quando possibile.”

Infine, i ricercatori hanno misurato il livello  di omofobia dei partecipanti – sia palese, espresso in questionari sulla politica sociale e sulle credenze, sia implicito, nel completamento di frasi attraverso libere associazioni. In quest’ultimo caso, gli studenti scrivevano le prime tre lettere che venivano loro in mente, a seguito di precisi stimoli. Lo studio ha inoltre monitorato l’aumento della quantità di parole aggressive dopo la presentazione subliminale della parola “gay” per 35 millisecondi.

In tutti gli studi è emerso che i partecipanti che avevano avuto dei genitori capaci di dare sostegno e disponibilità ai figli avevano maggiore consapevolezza del loro orientamento sessuale, mentre i partecipanti provenienti da famiglie autoritarie rivelavano maggiore discrepanza tra livello di attrazione esplicito e implicito verso soggetti del proprio sesso.

“In una società prevalentemente eterosessuale, il  ‘conosci te stesso‘ può essere una sfida per molti individui gay, ma in alcune famiglie omofobe, scoprire di avere un orientamento sessuale di minoranza può essere terrificante”, spiega Weinstein. Questi individui rischiano di perdere l’amore e l’approvazione dei loro genitori se ammettono di provare attrazione verso soggetti dello stesso sesso, così tanti negano o reprimono quella parte di sé.

Lo studio ha diversi limiti, scrivono gli autori. Tutti i partecipanti erano studenti universitari, quindi potrebbe essere utile per future ricerche testare questi effetti in giovani adolescenti che vivono ancora in casa e negli adulti più anziani che hanno avuto più tempo per affrontare la vita, indipendentemente dagli insegnamenti ricevuti dai loro genitori.

Lo studio, condotto da un team dell’Università di Rochester, dell’Università di Essex, in Inghilterra, e dellla University of California a Santa Barbara,  sarà pubblicato sul numero di aprile del Journal of Personality and Social Psychology.

Fonte:
Is some homophobia self-phobia?, Eurekalert

Una cosa è comunque sicura: l’omofobia va presa sempre nella giusta considerazione, dal momento che a volte può avere conseguenze tragiche.

Dr. Giuliana Proietti

Guarda il video

Immagine:

Flickr

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