Dalla poligamia alla monogamia seriale
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Mentre le società più antiche erano in gran parte poligamiche, in Grecia e nell’antica Roma veniva ufficialmente praticata la monogamia, anche se gli uomini sposati (con una sola donna) potevano in realtà accoppiarsi con tutte le donne che volevano, senza incorrere in alcun problema, cosa che invece non era consentita alle donne.
In particolare, era comune che gli uomini aristocratici facessero dei figli con le loro schiave, figli che, anche se illegittimi, ricevevano un’istruzione e una buona posizione economica, oltre che l’affetto paterno (Betzig 1992).
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Nei tempi più antichi a Roma potevano divorziare solo gli uomini e solo a causa di quelle che erano considerate gravi colpe della moglie, come in caso di adulterio o infertilità (si pensava che l’infertilità fosse un problema esclusivamente femminile). Il primo divorzio per sterilità di cui abbiamo notizia si è registrato nel 235 a.C. (Aulo Gellio, Noctes Atticae).
Più tardi, nell’età classica, anche le donne a Roma ottennero il diritto al divorzio, possibilità che fu poi revocata da Costantino nel 331 d. C. e dal codice di Teodosio (408-450 d. C.).
Nel Medio Evo, sotto l’influenza del cristianesimo, la monogamia fu l’unica regola ammessa e i figli illegittimi furono legalmente esclusi dalla possibilità di ereditare il cognome o le risorse paterne (Stone, 1977). Dopo Sant’Agostino, la Chiesa iniziò una lunga battaglia contro i figli illegittimi, la bigamia, il concubinaggio, che culminarono con i due maggiori Concili che definirono le regole che sono ancora in vigore fra i cattolici: il quarto concilio Lateranense nel 1215 e il Concilio di Trento, nel 1563. Seguendo le linee-guida fissate dalla chiesa, le istituzioni cominciarono in vario modo a penalizzare la sessualità non monogama e ad impedire il divorzio.
Le cose sono rimaste immutate per secoli, fino a che, negli ultimi duecento anni, si è compiuta una ulteriore transizione dalla monogamia alla monogamia seriale, come hanno scritto Lesthaeghe e Neels (2002) e Lesthaeghe e Neidert (2006), a causa della introduzione del divorzio. Infatti, con l’introduzione del divorzio è possibile essere sposati con una sola persona per un certo periodo, per poi farsi una nuova famiglia con un partner differente e questa è la pratica matrimoniale più in uso nelle attuali società occidentali.
La Scozia fu la prima ad introdurre il divorzio nel 1560, riconoscendo il diritto al divorzio in caso di adulterio, anche se si trattava di casi isolati. (Vi furono una media di 19 divorzi all’anno, dal 1836 al 1841, come riporta MacDonald, 1995). In Inghilterra, con il Matrimonial Causes Act del 1857 i cittadini di sesso maschile potevano divorziare attraverso l’opera di una corte di giustizia. Solo nel 1923 alle donne fu concesso di divorziare, come potevano fare gli uomini. In Francia il divorzio divenne legale dopo la Rivoluzione Francese (1792) per poi essere di nuovo abolito nel 1816 ed essere reintrodotto nel 1884. (Sotto il regime di Vichy, il divorzio fu negato a coppie sposate da meno di tre anni).
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Nel 1916 la Svezia divenne il primo Paese scandinavo con una legge molto liberale sul divorzio (per quei tempi) ed entro pochi anni tutti gli altri paesi scandinavi si adeguarono a questo tipo di legislazione. In Russia, dopo la rivoluzione sovietica il divorzio divenne molto facile, ma durante il regime di Stalin le leggi sulla famiglia furono radicalmente riviste e il divorzio divenne difficile da ottenere, oltre che molto costoso.
Dopo il 1968 vi fu una nuova liberalizzazione: in alcuni Paesi il divorzio è stato introdotto con un referendum, come in Italia (1974), in Irlanda (1997) in Spagna (1981). In questo periodo in cui molti Paesi europei introducevano il divorzio per la prima volta, altri lo rendevano più facile (divorzio senza colpa e unilaterale).
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Negli USA il divorzio fu reso legale per la prima volta nel Maryland, nel 1701 e da allora fu reso sempre più facile da ottenere, anche negli altri stati americani. In Germania, una legge imperiale sul divorzio fu emanata nel 1875. Dopo il referendum di Malta, il 28 Maggio del 2011, solo due Paesi non hanno ancora il divorzio: le Filippine e lo Stato Vaticano.
Anche se si tratta di una monogamia “a termine” possiamo comunque affermare che la monogamia ha vinto sulla poligamia. Come mai? Molti studiosi si sono interessati del problema. Una teoria che spiega il fenomeno è quella per cui gli uomini della classe dominante abbiano accettato la monogamia, rinunciando dunque alle donne che avrebbero potuto avere, in cambio di una stabilità sociale che continuava a dividere gli uomini in classi e dove gli uomini delle classi inferiori, grazie al fatto che veniva loro consentito di sposarsi con una donna, avrebbero continuato a prestare i loro servigi nei confronti delle classi più elevate (vedi Alexander, 1979 e Betzig, 1986).
Questo tipo di spiegazione, che va sotto il nome di teoria del “compromesso maschile”, fa riferimento allo sviluppo democratico seguito alla rivoluzione industriale, attraverso il quale gli uomini più ricchi e potenti rinunciano alle pratiche poligamiche, in cambio di supporto politico da parte degli uomini più poveri.
Richard Alexander ha visto inoltre nell’imposizione monogamica da parte dello Stato un modo per ridurre le inuguaglianze fra gli uomini, in modo che tutti potessero avere accesso alle opportunità riproduttive. Lagerl (2010) spiega l’ascesa della monogamia “imposta socialmente” accettando l’idea del compromesso maschile che evita la minaccia della ribellione degli uomini di rango inferiore, privati delle donne e del diritto alla riproduzione.
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Kanazawa e Still (1999) hanno sostenuto invece la teoria della “scelta femminile” nelle pratiche di matrimonio, che postula che non siano gli uomini ad aver fatto un compromesso, ma che la monogamia risulti da una scelta femminile. Dove vi sono forti disuguaglianze nelle risorse fra gli uomini infatti, le donne scelgono la poligamia (cioè scelgono di sposarsi con il ricco, anche se non sono le uniche mogli).
Dove le disuguaglianze sono comparativamente minori, le donne preferiscono invece la monogamia, che permette un migliore investimento sulla prole.
Sempre riguardo alla generazione dei figli, Gould, Moav e Simhon (2008) pensano che la monogamia sia emersa come conseguenza di un aumento del valore della qualità, piuttosto che della quantità, dei figli. Se i figli hanno un valore qualitativamente maggiore, anche la moglie deve essere di valore, rispetto a tante donne di minore qualità.
Nel 2002, i ricercatori hanno condotto una revisione di tutti gli studi quantitativi e qualitativi svolti sull’effetto della poligamia nell’allevamento dei figli (Elbedour et al., 2002) scoprendo che i bambini nati in matrimoni poligami correvano maggiore rischio di sperimentare il conflitto coniugale, la violenza familiare, le disgregazioni familiari, il disagio coniugale, soprattutto correlati a livelli elevati di infelicità delle madri nelle unioni poligame, l’assenza del padre e lo stress finanziario.
La poligamia viene inevitabilmente associata al tema della disuguaglianza di genere e, coerentemente, le Nazioni Unite hanno preso posizione contro la poligamia per favorire i diritti di uguaglianza delle donne. Il matrimonio poligamo, si legge in una raccomandazione del 1992, contravviene al diritto di uguaglianza fra uomini e donne e può avere conseguenze gravi, emotive e finanziarie, per cui tali unioni dovrebbero essere scoraggiate e proibite.
I sociologi che hanno studiato da vicino la condizione delle donne nelle società che praticano la poligamia supportano le conclusioni delle Nazioni Unite. In uno studio su donne sudanesi, ad esempio, i ricercatori hanno concluso che le donne non amano affatto la poligamia, ma non ci possono fare nulla. Il divorzio è, de facto, un diritto che hanno solo gli uomini nel Sudan, qualunque sia il comportamento del marito. Gli uomini possono divorziare dalle donne quando vogliono o prendere un’altra moglie, il che è fonte di insicurezza e di ansia per le donne, che per questo non riescono a distaccarsi dalle norme sociali più conservatrici, come la mutilazione genitale. (Mukhopadhyay et al., 2001).
Il declino della poligamia è stato correlato al mutare delle condizioni sociali, all’aumento della democrazia, al declino dei matrimoni combinati, al miglioramento nell’istruzione e all’emancipazione femminile. La poligamia può offrire benefici a breve termine alle donne che vivono in società dove queste hanno livelli scarsi di istruzione e poche opportunità economiche e dove il loro status è legato al matrimonio e al parto, ma non certo in uno stato democratico, dove viene rispettata la parità di genere. La monogamia seriale permette a uomini e donne una maggiore libertà sessuale e riproduttiva.
La dissoluzione della famiglia tradizionale creata dall’introduzione del divorzio tuttavia ha dato vita ad un nuovo fenomeno: quello delle donne single che mettono al mondo dei figli e li allevano da sole.
Le donne non sposate che mettono al mondo dei figli rappresentano un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto tra le donne più giovani e quelle con istruzione relativamente scarsa (Martin et al 2013). Per invertire tale tendenza, alcuni autori hanno proposto di dare alle donne meno istruite “un buon motivo per rimandare la maternità” o di migliorare le prospettive economiche di uomini con livello non elevato di istruzione (es. diplomati), in modo che essi possano sposare più facilmente le donne che mettono incinte.
Quando le donne hanno un figlio da single, generalmente esse non completano il ciclo di istruzione e dunque hanno anche minori possibilità di guadagno e di carriera: confronti trasversali mostrano che i figli di genitori sposati hanno minori probabilità di soffrire di deprivazioni materiali. Per ridurre i disagi di questi figli nati fuori del matrimonio quindi, alcuni analisti suggeriscono di mettere in campo politiche volte ad aumentare il tasso di matrimonio, mentre altri sostengono che si potrebbe fare di più e meglio cercando di sostenere queste mamme single, aiutandole a completare gli studi e poi nella ricerca del lavoro. Tutti gli studi in materia sono concordi sul fatto che più i genitori sono istruiti, minori sono i disagi che devono affrontare i figli.
Dr. Giuliana Proietti
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Fonte principale:
De la Croix, David; Mariani, Fabio (2012) : From polygyny to serial monogamy: A unified theory of marriage institutions, Discussion Paper series, Forschungsinstitut zur Zukunft der Arbeit, No. 6599, http://nbn-resolving.de/
urn:nbn:de:101:1-201305294571
Immagine:
Vecchia e nuova moglie, Wikimedia
A26/A5
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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