Siamo tutti Robin Hood? Perché pensiamo di essere buoni
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L’idea di sentirsi come una sorta di “Robin Hood”, di essere in fondo “buoni” e “generosi”, è una tendenza umana ben documentata nella psicologia sociale. Molte persone, infatti, mantengono una visione di sé positiva e altruista fino a che non emergono situazioni che sfidano il proprio interesse o benessere, momento in cui il senso di “giustizia personale” sembra adattarsi sorprendentemente per giustificare anche atti egoistici. Cerchiamo di saperne di più.
Chi era Robin Hood?
Robin Hood è una delle figure più iconiche e amate: è il leggendario arciere della foresta di Sherwood, coraggioso e astuto. Secondo il folklore, Robin Hood visse durante il regno di Re Riccardo Cuor di Leone nell’Inghilterra del XII secolo. Quando il principe Giovanni e lo sceriffo di Nottingham iniziarono a opprimere la gente comune con tasse pesanti e leggi ingiuste, Robin vide la sofferenza dei poveri e decise di reagire. Le azioni di Robin Hood simboleggiano giustizia e compassione, desiderio di correttezza, uguaglianza e lealtà.
Robin Hood può essere definito “buono”?
Robin Hood è una figura complessa dal punto di vista etico: agisce al di fuori della legge, ma lo fa con l’intenzione di aiutare i più deboli. Questo rende difficile definirlo semplicemente “buono” o “cattivo”. Nella maggior parte delle interpretazioni, viene visto come una figura “eroica” perché il suo fine è quello di correggere un’ingiustizia sociale. Tuttavia, le sue azioni — rubare e infrangere la legge — lo rendono comunque un “fuorilegge”.
Dal punto di vista della psicologia morale come può essere inquadrato questo personaggio?
Dal punto di vista della psicologia morale, Robin Hood può essere definito un esempio di moralità utilitaristica, che giudica cioè un’azione buona o cattiva in base alle sue conseguenze, piuttosto che al rispetto delle regole. Secondo questa prospettiva, i suoi atti sono giustificabili se producono un bene maggiore per la collettività. Questo tipo di moralità è spesso opposto all’etica deontologica, che invece giudica le azioni sulla base della loro conformità alle regole, a prescindere dalle conseguenze.
Quindi, il giudizio su Robin Hood dipende dalla prospettiva morale che adottiamo:
- Utilitarismo: Robin Hood può essere considerato “buono” perché cerca di ridistribuire la ricchezza per migliorare le condizioni dei più svantaggiati.
- Deontologia: Dalla prospettiva di chi sostiene l’importanza della legge e delle regole morali assolute, Robin Hood potrebbe non essere considerato “buono” poiché infrange le leggi per ottenere i suoi scopi.
- Psicologia morale: La figura di Robin Hood riflette il fenomeno della giustificazione morale; molti potrebbero riconoscere che rubare è sbagliato, ma nel caso di Robin Hood è facile percepire l’eccezione, poiché il suo scopo è giudicato moralmente superiore.
In definitiva, il grado di “bontà” di Robin Hood è relativo al tipo di valore che si dà all’obbedienza rispetto alla giustizia sociale.
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Cosa è il self-serving bias (o pregiudizio egoistico)?
E’ uno dei meccanismi principali che favorisce la percezione positiva di sé, il che comporta spesso la distorsione della realtà in modo che sia favorevole a se stessi. Questo bias porta a interpretare i propri comportamenti in modo da mantenere un’immagine positiva di se stessi: ad esempio, si tende ad attribuire i successi a qualità personali come la generosità o l’intelligenza, mentre gli insuccessi sono spesso imputati a fattori esterni. In questo modo, ci si convince di essere persone generose e buone, minimizzando o razionalizzando i propri comportamenti meno “nobili”.
Come ci si comporta nelle situazioni in cui affrontiamo un conflitto di interessi?
In situazioni di conflitto di interessi, molte persone trovano giustificazioni che rendono “accettabili” le proprie azioni egoistiche. Questo processo, spesso inconscio, è stato studiato nel contesto della “moral disengagement theory” di Albert Bandura, secondo cui le persone disattivano temporaneamente i loro standard morali per evitare di sentirsi in colpa o provare vergogna per comportamenti che, di norma, considererebbero sbagliati.
Quali sono queste tecniche di disimpegno morale?
Bandura ha identificato diverse tecniche di disimpegno morale, tra cui:
1. Giustificazione morale: presentare l’azione egoistica come necessaria o giustificabile (ad esempio, “devo proteggere la mia famiglia” o “lo faccio per il bene comune”).
2. Diffusione della responsabilità: minimizzare il proprio ruolo nell’atto egoistico (“se non lo facessi io, lo farebbe qualcun altro”).
3. Distorsione delle conseguenze: minimizzare l’impatto negativo (“nessuno si farà male davvero”).
Queste strategie permettono di giustificare le azioni egoistiche, mantenendo intatta l’immagine di sé come persone “fondamentalmente buone”. Pensate ad esempio a chi si dà delle giustificazioni perché non paga le tasse…
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Cosa è il comportamento definito “confronto vantaggioso”?
E’ un processo che sfrutta il principio di contrasto. La percezione della condotta umana è, infatti, influenzata da ciò con cui viene messa a confronto. Se gli individui mettono a confronto la propria condotta con altri esempi di comportamento più immorale, nel fare questo confronto il proprio comportamento viene banalizzato. Più immorale è il comportamento di contrasto, più è probabile che il comportamento distruttivo di qualcuno sembri meno cattivo
Perché ci raccontiamo di essere “buoni”?
La convinzione di essere persone buone e generose risponde a bisogni psicologici profondi. Secondo Abraham Maslow, l’autostima e il senso di appartenenza sono fondamentali per il benessere psicologico. L’idea di essere una “brava persona” dunque contribuisce a sostenere questi bisogni e riduce l’ansia legata all’immagine di sé, mantenendo l’equilibrio psicologico anche in situazioni conflittuali.
Essere consapevoli di questi meccanismi può aiutarci a riflettere più profondamente su cosa significhi davvero essere “buoni”, riconoscendo i nostri limiti e aprendo la strada a una maggiore autenticità nei rapporti con gli altri e con noi stessi.
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
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