Giovanna d'Arco: la ragazza che cambiò il destino della Francia

Giovanna d’Arco: la ragazza che cambiò il destino della Francia

Giovanna d’Arco: la ragazza che cambiò il destino della Francia


Chi fu realmente Jeanne d’Arc, meglio conosciuta in Italia come Giovanna d’Arco? Una psicotica, una capopopolo, una mistica, una divinità guerriera? Sicuramente fu un’eroina per la Francia, visto che riuscì a risollevare le sorti del suo Paese durante l’interminabile guerra dei Cent’anni combattuta contro l’Inghilterra. Nonostante questo, la sua fine fu drammatica. Cerchiamo di conoscerla meglio.

Le origini: una ragazza del popolo

Figlia di contadini, analfabeta, nacque (probabilmente) nel gennaio 1412 nel villaggio francese di Domrémy (oggi Domrémy la Pucelle) nei Vosgi, in Lorena, da Isabelle Romée e Jacques Darc (questa la corretta ortografia del nome), onesti lavoratori e genitori di cinque figli. La sua vita somigliava a quella delle ragazze di campagna del suo tempo: Jeanne si occupava infatti di filare, cucire, pulire la casa, cucinare, sorvegliare il gregge, ma soprattutto pregare.

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La madre le aveva infatti insegnato le preghiere in lingua volgare e le regole della morale cattolica. La pratica religiosa occupava gran parte del suo tempo: la ragazza si confessava, andava a messa, faceva la comunione e la sua fede diventava sempre più forte.

A quel tempo vi era una guerra (La Guerra dei Cento anni), che opponeva la Francia dei Valois all’Inghilterra dei Plantageneti e poi dei Lancaster. Alla morte di Enrico V e di Carlo VI, nel 1422, le sorti della guerra avevano diviso la Francia in tre blocchi (il Nord Ovest in mano agli inglesi, governati dal reggente duca di Bedford, zio del piccolo Enrico VI; a Est vi era il Ducato di Borgogna, governato da Filippo il Buono, alleato degli inglesi. Carlo VII di Francia, il Delfino risiedeva, assediato, a sud della Loira, circondato da zone controllate dagli inglesi).

Le “voci”

Verso il 1425,  Giovanna cominciò ad  “udire delle voci” (non a caso la psichiatria moderna è portata a considerare la d’Arc come una schizofrenica). Fu nel giardino di suo padre che ella sentì un giorno, verso mezzogiorno, una voce, e vide un chiarore.

Aveva allora dodici, tredici anni ed ebbe molta paura. Lei attribuì le voci ascoltate all’arcangelo Michele, (protettore del regno di Francia, il cui santuario di Mont Saint Michel, tra Bretagna e Normandia, era collocato in una zona fedele al delfino, anche se in una regione quasi  completamente controllata dagli Inglesi) e alle sante Caterina d’Alessandria e Margherita d’Antiochia, allora molto conosciute e venerate.

Le ‘voci’ le chiedevano di svolgere una missione: liberare Orléans e fare nominare re il delfino Carlo, temporaneamente estromesso dalla successione al trono, a favore dei sovrani inglesi, per liberare il suolo della Francia dalla presenza degli invasori.

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La “missione” da compiere

Nel maggio 1428 (aveva 16 anni!) arrivò, insieme al fratello Pietro, due nobili della zona e due servi, alla fortezza di Vaucouleurs, sulla Mosa, a non molti chilometri da Domrémy, nella direzione nord. Qui riuscì a convincere il comandante della fortezza, il capitano Robert de Bandicourt, di avere una missione da compiere per volere divino: salvare la Francia dagli invasori inglesi ed incoronare il delfino. Jeanne disse infatti che Dio proteggeva Charles di Valois: unico, vero, re di Francia.

Baudricourt le assegnò una piccola scorta, in compagnia della quale Giovanna doveva raggiungere, percorrendo all’incirca cento chilometri a cavallo, Chinon, sulla riva sinistra della Loira, dove risiedeva il delfino.

Il futuro Carlo VII rimase turbato dalla personalità di Giovanna ma, incerto e sospettoso, la fece anzitutto sottoporre all’esame dei teologi dell’università di Poitiers. Questi ultimi si convinsero che la risolutezza di Giovanna era ‘nihil fidei catholice contrarium’, cioè non contraria alla fede cattolica, per cui poteva esserle affidato il comando di un esercito. I soldati che la seguivano cominciarono a chiamarla la “Pucelle” (la Pulzella, la Vergine).

La guerriera: Orléans 

Il primo obiettivo di Jeanne era quello di andare a soccorrere la città di Orléans, sulla riva destra della Loira, stretta d’assedio dall’esercito di Enrico VI. Il viaggio verso Orléans fu assai difficile, ma la pulzella, con la sua fede ed il suo entusiasmo, infiammò l’animo dei Francesi.

In abiti da soldato e impugnando una bandiera bianca su cui era raffigurato Dio nell’atto di benedire il fiordaliso, lo stemma reale francese, riuscì, con il suo esercito, tra maggio e luglio, a rompere l’assedio e liberare Orléans dagli inglesi, anche se rimase ferita da un colpo ricevuto al collo e un altro alla spalla.

Gli Inglesi furono così cacciati dalla valle della Loira e lasciarono anche la città di Reims, dove il delfino di Francia il 17 luglio fu incoronato re.

Nonostante non fosse un capo militare tradizionale, Giovanna partecipava attivamente alle battaglie, pur senza uccidere: portava lo stendardo, incoraggiava i soldati, e veniva considerata inspirata da Dio. La sua presenza motivava le truppe e rafforzava il senso di legittimità del nuovo re.

Riconquistata larga parte del territorio francese, il re decise di attaccare Parigi. Nel maggio  1430, Giovanna condusse un’operazione militare contro gli inglesi a Compiègne, vicino Parigi, dove si resisteva al Duca di Borgogna, fedele agli inglesi. Qui Giovanna fu catturata dai borgognoni, trasferita in prigione e poi venduta come bottino di guerra agli inglesi, senza che Carlo VII intervenisse in suo soccorso.

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La cattura: il tradimento e il processo

Gli inglesi volevano distruggere il mito della “Pulzella d’Orléans” e screditare il re che lei aveva legittimato.

Fu sottoposta a un processo ecclesiastico a Rouen, accusata di eresia, stregoneria, travestimento (indossava abiti maschili) e presunzione spirituale. Il processo fu fortemente manipolato, e Giovanna fu condannata al rogo.

Il testo della sua condanna dice:

In nomine Domini, amen. Ogni qualvolta l’eresia infetta con il suo veleno un membro della Chiesa, trasformandolo in sodale del demonio, conviene impedire, con ardente zelo, che il pernicioso contagio si diffonda alle altri parti del Corpo Mistico di Cristo. Gli insegnamenti dei Padri della Chiesa prescrivono di separare dal novero dei giusti gli eretici inveterati, affinché la vipera velenosa non si riscaldi nel seno di Nostra Madre Chiesa, con grande pericolo per i fedeli”.

Fu condotta al rogo mercoledì 30 maggio 1431 sulla piazza del Vieux Marché e le fu concesso di avere vicino fino agli ultimi istanti una croce astiale. Avvolta dalle fiamme, gridò più volte ad altissima voce il nome di Gesù.

La riabilitazione: da eretica a santa

Vent’anni dopo la sua morte, nel 1456, un processo di revisione voluto dalla madre di Giovanna e sostenuto dalla Chiesa francese riabilitò completamente la sua figura: fu dichiarata innocente e martire della fede.

Nel 1920, Giovanna d’Arco fu canonizzata da Papa Benedetto XV, diventando Santa Giovanna d’Arco, patrona della Francia.

Simbolo di fede, coraggio e identità nazionale

Nel corso dei secoli, Giovanna è diventata molto più di un personaggio storico: è un simbolo universale. È stata celebrata da artisti, scrittori e registi; usata in politica da monarchici, repubblicani, cattolici e perfino da movimenti femministi e pacifisti. In particolare, ha ispirato scrittori come Shakespeare, Schiller e Shaw, musicisti come Verdi, Listz, Tchajkovskij e registi quali Dreyer, Rossellini, Bresson.

Dr. Giuliana Proietti

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La pornografia femminista

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Se pensate che tutte le femministe odino la pornografia e che i due concetti, di femminismo e pornografia, non possano mai essere in alcun caso assimilati, dal momento che rappresentano una contraddizione in termini, siete decisamente fuori strada.

Esistono infatti le porno-femministe, che si definiscono femministe di terza generazione, le quali si dedicano alla produzione di una pornografia non machista, che invita le donne a sperimentare le gioie del sesso senza divenire oggetti sessuali al servizio delle fantasie maschili.

Il mese scorso, come succede da alcuni anni, il gruppo si è dato appuntamento presso l’Università di Toronto, allo scopo di celebrare i crescenti successi di questo settore della pornografia (composto perlopiù da donne, ma non solo) con una cerimonia di premiazione e una conferenza che ha riunito accademici, studenti, critici culturali, lavoratori del sesso, attivisti, fans, interpreti, registi e produttori, per esplorare le affinità tra femminismo e pornografia, nonché il porno femminista come genere commerciale e come movimento.

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Al meeting erano presenti, fra gli altri, anche Lisa Duggan, docente di Analisi sociale e culturale presso la New York University, storica e giornalista, considerata una delle voci più autorevoli del femminismo radicale, la premiata regista fotografa e pornostar Courtney Trouble e la regista Tristan Taormino.

Come spiega la Taormino nel suo sito, nel porno femminista viene rappresentata l’autentica sessualità femminile (ma anche la sessualità gay, lesbica, transgender, queer, bisessuale, e quella di altre “minoranze sessuali”) in un set in cui gli attori non si sentono minimamente forzati ed anzi, sono incoraggiati a divertirsi e a godersi i momenti in cui si gira il film.

Gli attori possono ad esempio mettersi d’accordo per decidere quali pratiche scegliere di sesso sicuro, utilizzando anche strumenti di protezione, come dighe, preservativi o guanti, e possono perfino scegliersi il partner di scena, oltre che decidere quali scene vogliono mostrare al pubblico e quali tagliare.

Una intervista sull'anorgasmia femminile

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Esteticamente, il porno femminista dispensa dalla massiccia visione di corpi femminili inquadrati unicamente per soddisfare lo sguardo maschile: nei loro film si vedono i corpi integrali di tutti gli attori coinvolti, oltre che i loro volti (e non solo i loro organi genitali!).

Se c’è una cosa che proprio non piace a questa nuova corrente è il porno tradizionale, che definiscono vecchio, noioso, falso, robotico, insulso e ripetitivo, oltre che umiliante per le donne.

I porno-femministi ritengono legittima la produzione di pornografia, purché essa si differenzi dal genere tradizionale (o “mainstream”) perché in primis vogliono evitare di perpetuare le narrazioni che normalizzano la violenza sessuale contro le donne e poi perché in queste produzioni al centro dell’attenzione sono le varie sfaccettature della sessualità e non più la sessualità maschile.

Del resto, dicono, il femminismo è un movimento serio, che lotta per la trasformazione sociale e la liberazione dal patriarcato e una parte essenziale della liberazione della donna e consiste proprio nella liberazione sessuale. Il porno femminista vuole mostrare delle donne vere, che si sentono a loro agio davanti alla telecamera, ma anche libere di esprimere il disagio, se e quando c’è.

Anche il pubblico si differenzia da quello del porno tradizionale, anzitutto nei numeri, visto che la nuova corrente si rivolge ad una minoranza molto selezionata, in quanto si tratta di persone che fondamentalmente rifiutano le comuni categorie di genere e sessualità e cercano più ispirazione per il rapporto di coppia che per l’autoerotismo.

Se è vero che questa pornografia non è sfruttamento, non è violenza, non è sessismo e se è vero che è impossibile eliminare la pornografia, speriamo che il genere si affermi sempre di più e che mandi presto in pensione il non edificante “mainstream”, che ancora oggi va per la maggiore.

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Pubblicato anche su Huffington Post

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Infibulazione

Infibulazione e altre mutilazioni genitali femminili

Infibulazione E Altre Mutilazioni Genitali Femminili

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Nonostante questa pratica sia riconosciuta a livello internazionale come una violazione dei diritti umani, circa 200 milioni di ragazze e donne nel mondo (attualmente viventi) sono state sottoposte a MGF e se tutto dovesse continuare così come è si stima che altri 68 milioni di donne subiranno tali pratiche tra il 2015 e il 2030.

Ecco allora qualche info che è assolutamente conoscere sull’argomento.

Cosa si intende esattamente per mutilazione genitale femminile?

La mutilazione genitale femminile si riferisce a qualsiasi procedura che comporti la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni ai genitali per motivi non medici.

Come si presentano le mutilazioni genitali femminili?

Esistono quattro tipi di MGF:

  • Il tipo I, chiamato anche clitoridectomia, prevede la rimozione parziale o totale del clitoride e / o del prepuzio.
  • Il Tipo II, chiamato anche escissione, è la rimozione parziale o totale del clitoride e delle piccole labbra.
  • Il tipo III, chiamato anche infibulazione, è il restringimento dell’orifizio vaginale con un sigillo di copertura. Il sigillo si forma tagliando e riposizionando le piccole labbra e / o le grandi labbra. Più avanti nella vita, le donne infibulate possono essere “riaperte” la prima notte di matrimonio e / o prima del parto. L’intervento dell’infibulazione non avviene dunque una sola volta nella vita: molte donne vengono defibulate e poi reinfibulate in occasione di ogni parto. E sappiamo quante volte una donna in certi Paesi sia costretta a partorire….
  • Il tipo IV è qualsiasi altra procedura dannosa per i genitali femminili per scopi non medici, come puntura, piercing, incisione, raschiatura o cauterizzazione.

I tipi I e II sono i più diffusi, ma esistono variazioni all’interno dei paesi e delle comunità. Il tipo III – l’infibulazione – riguarda circa il 10% di tutte le donne che subiscono queste mutilazioni.

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Le mutilazioni genitali femminili come vengono viste dalle donne, nelle società in cui vengono praticate?

Dove vengono praticate, le MGF sono accettate da uomini e donne e sono anzi le donne a praticarle sulle ragazze più giovani.

Per quali ragioni si praticano?

In alcune comunità, vengono eseguite per controllare la sessualità delle donne e delle ragazze. A volte è un prerequisito per il matrimonio – ed è strettamente legato al fenomeno delle spose bambine. Alcune società eseguono MGF a causa di miti sui genitali femminili. Ad esempio, ritengono che un clitoride non tagliato potrebbe crescere fino alle dimensioni di un pene o che le MGF sono utili per migliorare la fertilità. Altri vedono i genitali femminili esterni come sporchi e brutti.

Perché le mutilazioni genitali sono inaccettabili?

Perché non solo non sono vere le ragioni per cui esse vengono praticate (non permettono una migliore fertilità e il clitoride non diventerà mai un pene, se non viene tagliato!), ma le MGF violano i diritti umani di donne e ragazze, privandole dell’opportunità di prendere decisioni personali e informate sul proprio corpo e sulla propria vita.

Da quanto tempo si usano queste tecniche?

Queste pratiche precedono la diffusione del Cristianesimo o dell’Islam. Sembra infatti che alcune mummie egizie mostrino le caratteristiche della MGF. Storici come Erodoto affermano che, nel V secolo a.C., i Fenici, gli Ittiti e gli Etiopi praticavano la circoncisione. È stato anche riferito che i riti di circoncisione furono adottati nelle zone tropicali dell’Africa, nelle Filippine, da alcune tribù dell’Alta Amazzonia, da donne della tribù Arunta in Australia e in alcune comunità romane e arabe. Recentemente, negli anni ’50, la clitoridectomia veniva praticata in Europa occidentale e negli Stati Uniti per curare
disturbi mentali e sessuali.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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L’Islam favorisce questa pratica?

No. Sebbene vengano spesso collegate all’Islam, queste pratiche non sono sostenute dall’Islam e vi sono molte comunità non islamiche che praticano la MGF. Eppure, nessuna religione la promuove o la richiede e molti leader religiosi l’hanno denunciata come pratica inaccettabile.

Esiste una MGF “sicura”?

No. Le MGF – indipendentemente da dove o da chi viene eseguita – hanno serie implicazioni per la salute sessuale e riproduttiva delle ragazze.

Quali sono le complicazioni a breve termine?

Le complicazioni possono riguardare dolore intenso, shock, emorragia, infezione, ritenzione urinaria e altro ancora. In alcuni casi, l’emorragia e l’infezione possono essere abbastanza gravi da causare la morte.

Quali le complicazioni di lungo termine?

I rischi a lungo termine comprendono complicazioni durante il parto ed effetti psicologici.

Da chi vengono eseguite le MGF?

La MGF viene tradizionalmente eseguita da un membro designato della comunità, a volte utilizzando strumenti rudimentali come lamette da barba, spesso senza uso di anestetico o antisettici. Viene anche eseguita da medici professionisti, che praticano “MGF medicalizzate”. Tuttavia, anche in questi casi, possono esserci gravi conseguenze per la salute.

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E’ da promuovere la MGF medicalizzata per salvare vite umane?

Assolutamente no: quando il personale medico esegue la MGF, può erroneamente trasmettere il messaggio che la pratica sia sana dal punto di vista medico, rafforzandola ulteriormente.

Come convincere le persone ad abbandonare queste pratiche?

Le famiglie potrebbero avere difficoltà a rinunciare a questa pratica. Coloro che rifiutano la MGF possono essere infatti condannati o ostracizzati dalla società in cui vivono e le loro figlie possono essere ritenute non degne del matrimonio. Il modo migliore è convincere le comunità ad un abbandono collettivo della pratica, in modo che non vi siano ragazze o famiglie svantaggiate, a causa di questa decisione.

Cosa si sta facendo per spingere all’abbandono delle MGF?

Nel 2008, l’UNFPA e l’UNICEF hanno istituito un programma comune sulle MGF, il più grande programma globale per accelerare l’abbandono delle MGF e fornire assistenza alle ragazze e alle donne che vivono con le complicazioni sopra descritte. Fino ad oggi, il programma ha aiutato oltre 3 milioni di ragazze e donne a ricevere servizi di protezione e assistenza relativi alle MGF. Più di 30 milioni di persone in oltre 20. 000 comunità hanno fatto dichiarazioni pubbliche di abbandono della pratica.

Con il sostegno dell’UNFPA e di altre agenzie delle Nazioni Unite, molti paesi hanno anche approvato una legislazione che vieta le MGF e hanno sviluppato politiche nazionali per raggiungere il suo abbandono.

Cosa si può fare nei nostri paesi occidentali, rispetto alle donne immigrate che subiscono MGF?

Il problema è delicato perché gli immigrati si ribellano quando il paese ospitante impone loro leggi che tendono ad impedire l’attuazione delle loro tradizioni. Resta comunque il fatto che in un paese civile non è possibile che siano consentite tali pratiche.

La soluzione va dunque cercata nell’incontro, nel dialogo, nella sensibilizzazione e il lavoro va condotto soprattutto sulle donne, dando loro la possibilità di studiare, di lavorare, di avere un’indipendenza economica. Le donne immigrate devono comprendere l’assurdità di questa mutilazione e va assolutamente impedito che esse da vittime continuino a trasformarsi in carnefici con le loro figlie.

Visita anche UNFPA, sito  delle Nazioni Unite dedicato alle donne che vivono in società sottosviluppate 

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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UNFPA/Georgina Goodwin

Una Conferenza sulla Paura

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Marilyn Monroe: il Mito, La Fragilità e La Lotta contro la Depressione

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Marilyn Monroe è ricordata non solo come una delle più grandi icone di Hollywood, ma anche come un simbolo della vulnerabilità umana dietro il glamour e il successo. Cerchiamo di conoscerla meglio.

Infanzia e adolescenza (1926-1942)

Marilyn Monroe, il cui vero nome era Norma Jeane Mortenson, nacque il 1 giugno 1926 a Los Angeles, presso il General Hospital.

Ebbe una infanzia difficile: il padre, di cui non si conosce l’identità, morì in un incidente d’auto e la madre, Gladys Pearl Baker, oltre a trovarsi in una situazione finanziaria piuttosto critica, soffriva di disturbi psichici ed entrava ed usciva continuamente da istituti manicomiali.

Al tempo Marilyn era ancora molto piccola e fu lasciata crescere tra orfanotrofi e famiglie affidatarie, vivendo esperienze di abbandono e isolamento

Questa mancanza di una figura materna stabile e affettuosa segnò profondamente la giovane Monroe, contribuendo a una costante ricerca di approvazione e amore nella sua vita adulta.

Primo matrimonio: James Dougherty

Durante l’adolescenza, a 16 anni, Norma Jeane si sposò con il ventunenne James Dougherty, un matrimonio che rappresentava più una via di fuga dalla solitudine che una scelta consapevole. A quel tempo la futura icona di bellezza lavorava come operaia presso una fabbrica di paracaduti. 

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Primi anni come modella

Fu l’incontro con il fotografo David Conover a cambiarle la vita. Conover stava infatti preparando un servizio fotografico per documentare il contributo delle donne all’economia americana nel periodo bellico. Ritrasse la giovane Norma Jeane: fu questo piccolo successo a convincere la fino ad allora sfortunata ragazza a cercare il successo come modella.

Con il fotografo André de Denes, riuscì ad ottenere le prime copertine su alcune riviste. Cominciò anche a fare la comparsa in alcuni film. Norma Jeane era però una persona molto impacciata: mancava di cultura e preparazione (non aveva conseguito un titolo di studio e l’unico corso di recitazione che aveva seguito era per corrispondenza). Spesso le capitava perfino di balbettare.

Primi anni a Hollywood (1943-1949)

A venti anni, dopo il divorzio da Dougherty, nel 1946, Norma Jeane si tinse i capelli biondo platino e cambiò il suo nome in Marilyn Monroe (Monroe era il cognome da ragazza di sua madre).

Con la firma di un contratto con la 20th Century Fox, iniziò a ottenere piccoli ruoli in vari film. Poiché il successo stentava ad arrivare, Marilyn pensò in un primo tempo di abbandonare il cinema, ma prima di farlo definitivamente, provò a frequentare dei corsi di recitazione, che si pagò attraverso grandi sacrifici e occasionali servizi fotografici, in cui posava nuda.

Fu un periodo di crescita professionale, ma la sua fragilità emotiva era già evidente. Iniziarono le prime difficoltà psicologiche, con episodi di depressione e ansia.

La sua grande occasione arrivò con una piccola parte in un film del comico Marx, che durava solo un minuto. John Huston la notò in questo film e la scritturò per un piccolo ma significativo ruolo nel thriller Giungla d’asfalto (Asphalt Jungle) nel 1950. Subito dopo, con Eva contro Eva (All about Eve), raggiunse la notorietà: Marilyn aveva 24 anni.

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Successo (1950-1954)

Tra il 1950 e il 1954, Marilyn Monroe divenne una delle attrici più famose di Hollywood.

Nel 1952 ottenne il suo primo ruolo da protagonista in “La tua bocca brucia” e nel ’53 in “Niagara“, al fianco di Joseph Cotten. Lo stesso anno recitò in “Come sposare un milionario” e “Gli uomini preferiscono le bionde“; l’anno successivo arrivarono “La magnifica preda” e “Quando la moglie è in vacanza” . 

Questi film consolidarono la sua immagine di sex symbol. In questo periodo, però, iniziò a manifestare una profonda ambivalenza verso la sua immagine pubblica. Da una parte, sfruttava la sua bellezza per ottenere ruoli di successo, dall’altra sentiva di essere sottovalutata come attrice e come persona.

Secondo matrimonio: Joe Di Maggio

Il 14 gennaio 1954 Marilyn, al massimo del successo, sposò il giocatore di baseball, Joe Di Maggio: il matrimonio durò appena 9 mesi e il 27 ottobre dello stesso anno i due divorziarono per “incompatibilita’ di carriere”.

Joe Di Maggio fu l’unico suo grande amore, ma era un tradizionalista e voleva una moglie fedele, devota, ecc. come nella tradizione italiana. Marilyn non sentiva di essere questo tipo di donna. Il matrimonio con il famoso giocatore attirò grande attenzione mediatica: le tensioni tra il desiderio di Di Maggio di una vita privata e la continua esposizione mediatica della Monroe portarono al divorzio dopo solo nove mesi.

Terzo matrimonio: Arthur Miller

Marilyn conobbe poi il commediografo Arthur Miller, con il quale si sposò nel 1956. Il drammaturgo non la reputava molto intelligente e non la rendeva partecipe della sua vita intellettuale. Per Marilyn, invece, Miller era un importante punto di riferimento intellettuale. 

Forse anche per questo motivo, nel tentativo di migliorare le sue abilità di attrice, Marilyn si iscrisse all’Actors Studio di Lee Strasberg a New York. Qui, si dedicò con impegno al metodo di recitazione di Strasberg, cercando di affinare il suo talento per distaccarsi dall’immagine superficiale che Hollywood le aveva imposto.

Miller era attratto dall’idea di “salvare” Marilyn, vedendo in lei una donna che aveva bisogno di essere protetta e guidata. In parte, il loro rapporto rifletteva una dinamica tipica di molte relazioni, in cui un partner cerca di “aggiustare” o “curare” l’altro. Monroe era affetta da insicurezze profonde e da una costante ricerca di amore e approvazione, e Miller, con la sua intelligenza e stabilità emotiva apparente, pensava forse, facendole da Pigmalione, di poterle fornire la sicurezza di cui aveva bisogno.

La relazione con Miller era tuttavia costellata di conflitti emotivi e tensioni personali. Nonostante i loro tentativi di trovare un equilibrio, il peso delle loro rispettive difficoltà personali e della pressione pubblica rese impossibile per loro mantenere una relazione duratura.

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Depressione

Parallelamente, il suo stato psicologico peggiorò. La Monroe soffriva di una fragilità emotiva che si manifestava in un profondo senso di insicurezza. Nonostante il successo e la fama, sentiva spesso di non essere all’altezza, combattendo costantemente con l’immagine che Hollywood e il pubblico avevano costruito intorno a lei. Questa dicotomia tra la “bomba sexy” pubblica e la persona fragile e insicura nel privato alimentava il suo senso di alienazione.

La Monroe soffriva di depressione e ansia. La sua depressione può essere attribuita in primo luogo al trauma dell’infanzia, che ebbe un impatto devastante sulla sua psiche: i senso di abbandono e solitudine maturati in quel periodo, nonostante la fama, continuarono a perseguitarla per tutta la vita.

La Monroe, peraltro, ebbe anche diversi aborti spontanei, che aggravarono ulteriormente la sua depressione.

Gli episodi depressivi di Marilyn erano caratterizzati da sintomi classici come tristezza profonda, apatia, insonnia e un crescente senso di inutilità. 

Spesso sentiva di non essere all’altezza delle aspettative del pubblico e dell’industria cinematografica, nonostante la sua innegabile popolarità. Questo contrasto tra l’immagine di una donna forte e affascinante e il suo senso di insicurezza interna fu una delle principali fonti del suo malessere. La Monroe lottava con un profondo senso di inadeguatezza e con il timore di essere considerata solo per il suo aspetto fisico, piuttosto che per le sue abilità di attrice: era estremamente autocritica e temeva di essere percepita come “superficiale”, alimentando la sua ansia e i sentimenti di vuoto.

Esperienza imprenditoriale

Nel 1957 l’attrice provò a fondare una sua casa di produzione cinematografica, la Marilyn Monroe Productions e girò un film, “Il Principe e la ballerina” al fianco di Laurence Olivier, che però fu un fiasco al botteghino. Con questo tentativo di affermarsi come attrice seria, studiando all’Actors Studio e come imprenditrice, fondando la propria casa di produzione, la Marilyn Monroe Productions, evidenziò il suo desiderio di sfuggire alle limitazioni imposte dall’industria e cercò di prendere in mano il controllo della sua carriera e della sua immagine pubblica. Purtroppo questa esperienza fu un fallimento.


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Apice della carriera e declino (1960-1962)

Chiusa l’esperienza imprenditoriale, la Monroe tornò a fare l’attrice, ritrovando il successo con “A qualcuno piace caldo“. Nel 1961 girò Gli Spostati (The Misfits), appositamente scritto per lei dal marito Arthur Miller.

Il film parlava di una donna bella e fragile la quale si innamorava di un uomo molto più anziano. La sceneggiatura era chiaramente basata sul suo travagliato matrimonio con Monroe.

Girato nei deserti del Nevada, la temperatura sul set era in genere insopportabilmente calda. Il regista, John Huston, si dice che trascorse gran parte di questo periodo furiosamente ubriaco. L’attore Clark Gable morì per un attacco di cuore meno di una settimana dopo la fine della produzione. A questo si aggiunga che la Monroe aveva assistito personalmente all’innamoramento del marito, che era sul set, per la fotografa Inge Morath. 

Pochi mesi dopo, la star del cinema, emotivamente esausta, fu ricoverata presso la Payne Whitney Psychiatric Clinic di New York. I quattro giorni trascorsi nel reparto di psichiatria si rivelarono tra i più dolorosi della sua vita.

Fu il secondo marito, Joe DiMaggio, che la fece rilasciare, nonostante le obiezioni dello staff medico.

Il divorzio da Miller nel 1961 segnò un ulteriore crollo emotivo per Monroe, dal momento che Miller rappresentava per lei una figura intellettualmente e affettivamente rassicurante.

Nel 1962 Marilyn ricevette il Golden Globe per la categoria “World Film Favorite” confermando fama e riconoscimento mondiali. L’industria cinematografica iniziava però a considerarla inaffidabile a causa dei ritardi, delle assenze sul set e delle difficoltà a completare le riprese.

Venne infatti licenziata dal set del film “Something got to give” a causa dei continui ritardi, delle crisi isteriche, dell’ubriachezza. 

Flirt

Marilyn cominciò a passare da un amore all’altro. Ebbe un flirt con John Kennedy, che la lasciò al fratello Bob quando fu eletto Presidente degli Stati Uniti. La Monroe, tra l’altro, ammirava molto Kennedy e pensava che fosse un grande politico, destinato a cambiare gli Stati uniti come aveva fatto Roosevelt negli anni ’30.

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Dipendenze

La pressione della vita pubblica e le difficoltà emotive la portarono a ricorrere sempre di più a farmaci per l’insonnia e per l’ansia. La Monroe sviluppò una dipendenza dai farmaci che le venivano prescritti, come barbiturici e sonniferi, usati per gestire l’insonnia e l’ansia, che contribuì a creare un circolo vizioso: la dipendenza peggiorava la sua depressione, mentre la depressione la portava a fare un uso sempre più frequente di farmaci.

Psicoanalisi

Nel tentativo di affrontare le sue difficoltà, Marilyn fece ricorso a diverse forme di terapia, inclusa la psicoanalisi, un trattamento che divenne molto popolare tra le star di Hollywood negli anni ’50 e ’60. L’idea di andare in terapia le venne da un consiglio di Lee Strasberg, il quale le stava insegnando il metodo di recitazione. L’idea era che gli attori potessero scavare nel profondo delle loro anime per usare i drammi emotivi del passato nella loro performance teatrale.

La Monroe ebbe cinque psicoanalisti: M.H. Hohenberg, A. Freud, M. Kris, R.S. Greenson e M. Wexler. La Kris si era formata con Sigmund ed Anna Freud, la quale per un certo periodo analizzò lei stessa la Monroe. Anna Freud la descrisse così:  “Emotivamente instabile, altamente impulsiva e bisognosa di una continua approvazione dal mondo esterno; non sopporta la solitudine e tende a deprimersi di fronte al rifiuto; paranoica con elementi schizofrenici”.

Quando Marilyn sposò Miller, lui era in analisi da Loewenstein, e quando ebbe una relazione con F. Sinatra, questi era in analisi da Greenson.

Nel 1955, lo psicoanalista Ralph Greenson divenne una figura centrale nella vita di Marilyn. Greenson la seguì per molti anni, cercando di aiutarla a esplorare i conflitti profondi che affondavano le radici nella sua infanzia traumatica e nella sua sensazione di vuoto affettivo. Con lui  Marilyn ebbe una relazione profonda, ossessiva, romantica, ma non sessuale. Marilyn lo chiamava il suo “Gesù”. 

Il Dr. Greenson era un ebreo russo, formatosi a Vienna presso la cerchia degli allievi di Freud ed era anche un letterato e conferenziere molto ricercato. A Marilyn permetteva di telefonargli nel cuore della notte, la teneva in seduta dalle 16 alle 20, consentiva che la paziente rimanesse a cena con la sua famiglia e che frequentasse i suoi figli (forse un modo per regalarle l’ambiente familiare che le era mancato).

La terapia oltrepassava chiaramente i confini professionali: Greenson stesso riconobbe di essere diventato eccessivamente coinvolto, portando a una confusione tra il rapporto terapeutico e personale. (E pensare che Greenson aveva scritto un libro di Teoria e pratica psicoanalitica, una sorta di vademecum di regole professionali, che lui stesso aveva regolarmente trasgredite nella cura della paziente Marilyn…)

Per tutti questi motivi lo psicoanalista decise ad un certo punto di allontanarsi dall’attrice, che lo asfissiava con le continue richieste di consulenza e venne in Europa per una vacanza. Marilyn cadde allora nell’abisso: ricominciò a frequentare Frank Sinatra e suoi amici mafiosi, cantò Happy Birthday per il presidente Kennedy al Madison Square Garden, drogata e ubriaca, fino all’epilogo che tutti conosciamo.

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Morte

La notte tra il 4 e il 5 agosto del 1962, mentre dormiva, Marilyn Monroe morì, all’eta’ di 36 anni, apparentemente suicida, nella sua casa, per un’ overdose di barbiturici. Il suo corpo fu trovato nudo e prono nella camera da letto della sua casa di Brentwood (California).

L’autopsia, condotta dal dottor Thomas Noguchi, parlò di avvelenamento da barbiturici e una squadra di psichiatri sentenziò: «suicidio». Il film Something’s Got to Give non fu mai completato a causa della sua morte improvvisa.

Speculazioni sulla morte della Monroe

La morte della Monroe è stata oggetto di molte speculazioni, dal momento che Greenson fu una delle ultime persone a vedere la Monroe e fu il primo a comparire sulla scena quando Eunice Murray, governante e amica dell’attrice,  gli telefonò nelle prime ore del mattino, preoccupata per la sorte di Marilyn.

Forse per bizzarra circostanza, quando un’auto in corsa fu fermata a Beverly Hills, poco dopo la mezzanotte di quello stesso giorno, si scoprì che nell’auto c’erano Bob Kennedy, suo cognato e Ralph Greenson. Nel corso degli anni si è valutata l’ipotesi di un omicidio con mandanti John e Bob Kennedy, la mafia, la CIA. Si è anche pensato che Greenson fosse un membro del Partito Comunista Americano, e che avesse usato Marilyn per ottenere informazioni dal presidente Kennedy, con il quale l’attrice aveva una relazione.
Nessuna prova è stata trovata.

Testamento

Nel testamento Marilyn lasciò il 75% del suo patrimonio (circa due milioni di dollari) alla scuola di recitazione di Lee Strasberg, e il 25% alla sua psicoanalista Marianne Kris, oltre ad un fondo per le cure alla madre malata. Venne sepolta al Westwood Memorial Park di Los Angeles. 

Alla sua morte i giornali di tutto il mondo accusarono l’ambiente artificiale di Hollywood, che l’aveva creata e poi l’aveva uccisa. Le sue seppur limitate capacità di attrice erano state del tutto ignorate, perché a Hollywood interessava solo il suo corpo ed il suo sfruttamento commerciale. 

Quando la dottoressa Kris morì, nel 1980, lasciò la sua percentuale di eredità all’Anna Freud Centre.

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Il mito

Marilyn Monroe è diventata un mito per diverse ragioni che vanno oltre la sua bellezza fisica e la sua carriera cinematografica. Il suo status iconico è legato a una combinazione di fattori culturali, simbolici e psicologici che l’hanno resa una figura immortale nella memoria collettiva.

Con la sua figura seducente, i capelli biondo platino e il sorriso enigmatico, Marilyn rappresenta ancora oggi un ideale di bellezza femminile immortalato in innumerevoli fotografie, film e pubblicità.

Il suo mito è radicato in particolare nel contrasto tra la sua immagine pubblica scintillante e la sua fragilità nel privato. Mentre il mondo la vedeva come una dea della bellezza e del glamour, dietro le quinte Norma Jeane soffriva di depressione, ansia e insicurezze profonde.

Ma è il mistero sulla sua morte, a soli 36 anni, per una overdose di barbiturici che ha contribuito enormemente alla costruzione del suo mito. Come altri miti del cinema e della musica morti giovani, come James Dean o Elvis Presley, la sua scomparsa tragica ha rafforzato il fascino della sua figura, alimentando speculazioni e teorie sul suo decesso e contribuendo a mantenerla viva nell’immaginario collettivo.

Inoltre, la sua immagine è stata riprodotta in innumerevoli opere d’arte, dalla celebre serigrafia di Andy Warhol agli omaggi nella moda, nella musica e nelle pubblicità.

Marilyn Monroe è diventata un mito perché rappresenta molto più di un’icona di bellezza: il suo fascino risiede nella complessità della sua vita, nei suoi tormenti, nella sua morte prematura, nel suo continuo bisogno di amore e approvazione. La Monroe è un simbolo di vulnerabilità, bellezza e resistenza, il che spiega perché il suo mito continua ad essere così potente anche diversi decenni dopo la sua scomparsa.

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Il femminismo: di cosa si tratta

Il Femminismo: di cosa si tratta

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Il femminismo è un movimento sociale, culturale e politico che rivendica la parità dei diritti tra i generi, contrastando le disuguaglianze e le discriminazioni sistemiche subite dalle donne. Non si tratta di supremazia, ma di giustizia ed equità. Cerchiamo di saperne di più.

Femminismo: di cosa si tratta?

Il femminismo è un movimento composto prevalentemente da donne, che tende a realizzare l’uguaglianza sociale, economica e politica dei sessi. Benché largamente originario dell’Occidente, il femminismo si è manifestato in tutto il mondo, a favore dei diritti e degli interessi delle donne.

Cause che lo hanno determinato

Quasi tutte le società del mondo, secondo le femministe, si sono basate sul patriarcato, a cominciare dalla prima donna, Eva, che fu posta da Dio sotto l’autorità di Adamo. La donna è sempre stata un possesso: prima del padre e poi del marito, senza alcun diritto giuridico sulla sua persona, sui figli, sui beni, che venivano tramandati per discendenza maschile. Alla base dell’ideale femminista vi è invece la convinzione che i diritti sociali e politici del cittadino prescindano totalmente dal genere sessuale cui si appartiene.

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Il termine “femminismo”

Il termine “femminismo” sembra sia stato coniato dal socialista Charles Fourie nel 1837, ma fu spesso usato in senso spregiativo, per mettere in ridicolo le donne che rivendicavano la parità dei diritti.

STORIA DELLA CONDIZIONE FEMMINILE E NASCITA DEL FEMMINISMO

Mondo antico

Ci sono poche prove di proteste organizzate dalle donne del mondo antico sin dal III secolo A.C. , quando le donne romane riempirono il Campidoglio e bloccarono ogni ingresso al Foro perché Marco Porcio Catone si rifiutava di abrogare le leggi che limitavano l’uso da parte delle donne di beni costosi. “Se vincono adesso, cosa non tenteranno?” Gridò Catone. “Non appena inizieranno a essere tuoi pari, diventeranno i tuoi superiori”.
Quella ribellione, in ogni caso, fu un’eccezione, non la regola.

Europa medievale

Nell’Europa medievale, alle donne era negato il diritto di possedere proprietà, di studiare o di partecipare alla vita pubblica. Alla fine del XIX in molti Paesi, fra cui la Francia e l’Italia, le donne erano ancora costrette a coprirsi la testa in pubblico, e, in alcune parti della Germania, un marito aveva ancora il diritto di vendere la moglie, considerata come un bene di cui poteva disporre, al pari del bestiame.

XIV-XV Secolo

La storia registra solo voci isolate contro lo stato di inferiorità in cui veniva tenuta la donna, almeno fino alla fine del XIV e l’inizio del XV secolo in Francia, quando la prima filosofa femminista, di origine italiana, Christine de Pizan, sfidò gli atteggiamenti prevalenti nei confronti delle donne con un audace appello all’educazione femminile. Il suo credo fu ripreso più tardi da Laura Cereta, una donna veneziana del XV secolo che pubblicò Epistolae familiares (1488; “Lettere personali” ad altri intellettuali della sua epoca). Nel libro la Cereta lamenta le condizioni in cui le donne dovevano vivere, parla della impossibilità di accedere all’istruzione e dell’oppressione matrimoniale.

I difensori dello status quo dipingevano le donne come superficiali e intrinsecamente immorali, ma queste prime femministe cercarono in tutti i modi di dimostrare che le donne sarebbero state pari agli uomini se avessero avuto uguale accesso all’istruzione.

Una intervista sull'anorgasmia femminile

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XVI Secolo

Nel XVI secolo, Jane Anger, scrisse un libro tutto a difesa delle donne: Protection for Women (1589).  Un’altra femminista ante litteram fu l’inglese Mary Astell, la quale scrisse Una proposta saggia alle signore (1694, 1697), un libro in due volumi in cui suggeriva alle donne che non si sentivano portate né per il matrimonio né per la vocazione religiosa, a creare conventi secolari dove poter vivere, studiare, e insegnare.

Illuminismo

Con l’Illuminismo, le donne iniziarono a chiedere che le riforme sulla libertà, l’uguaglianza e i diritti naturali fossero applicate ad entrambi i sessi. I filosofi illuministi infatti si erano concentrati sulle ingiustizie relative alla classe sociale, ma non presero in considerazione le ingiustizie sociali relative al genere sessuale. Il filosofo Jean-Jacques Rousseau, ad esempio, raffigurava le donne come creature sciocche e frivole, nate per essere subordinate agli uomini. Inoltre, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, che definì la costituzione francese dopo la rivoluzione del 1789, non riuscì a correggere lo status legale delle donne.

Olympe de Gouges, nota drammaturga, pubblicò la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne (1791), dichiarando che le donne non solo erano uguali all’uomo, ma sue partner. Finì ghigliottinata. L’anno successivo Mary Wollstonecraft pubblicò A Vindication of the Rights of Woman (1792), sfidando l’idea che le donne esistessero solo per compiacere gli uomini e proponendo che alle donne e agli uomini fossero offerte pari opportunità nell’istruzione, nel lavoro e nella politica. Le donne, scrisse, sono naturalmente razionali come gli uomini. Se sono sciocche, è solo perché la società le educa ad essere esseri irrilevanti. I suoi scritti furono un altro insuccesso.

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XIX Secolo

Nel 1848 e le femministe parigine iniziarono a pubblicare un quotidiano dal titolo La Voix des femmes (” La voce delle donne “) e Luise Dittmar, una scrittrice tedesca, ne seguì l’esempio un anno dopo con il suo giornale, Soziale Reform. Negli Stati Uniti, l’attivismo femminista mise radici verso la metà del XIX secolo, quando le questioni che riguardavano la condizione della donna si erano aggiunte alle lotte per il cambiamento sociale, con un proficuo scambio di idee tra Europa e Nord America. Nel 1843 fu redatto il primo vero e proprio manifesto femminista, da parte di Margaret Fuller. Il manifesto fu pubblicato dapprima come saggio, dal titolo “L’uomo contro gli uomini – La donna contro le donne”, all’interno della rivista The dial (nel 1845 esso fu rielaborato ed apparve nuovamente col nuovo titolo La donna nel XIX secolo). La nascita del movimento femminista vero e proprio tuttavia si fa risalire in genere alla prima Women’s Rights Convention a Seneca Falls, New York, nel luglio 1848.

Tutto nacque da un’iniziativa di Lucrezia Mott, una predicatrice quacchera e attivista sociale, Martha Wright (sorella della Mott), Mary Ann McClintock, Jane Hunt e Elizabeth Cady Stanton, moglie di un abolizionista e unica non-quacchera del gruppo. La conferenza fu programmata con un preavviso di cinque giorni e pubblicizzata solo da un breve annuncio su un giornale locale.

Sebbene Seneca Falls fosse stata seguita da altre conferenze sui diritti delle donne in altri stati, l’interesse suscitato da quei primi momenti di organizzazione svanì rapidamente. Negli Stati Uniti stava per divampare la guerra civile, mentre in Europa il riformismo degli anni ’40 del secolo scorso lasciava il posto alla repressione della fine degli anni ’50. Dopo la guerra civile, le femministe americane speravano che il suffragio femminile sarebbe stato incluso nel Quindicesimo emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti, che proibiva la discriminazione sulla base della razza. Invece, anche i principali abolizionisti della schiavitù si rifiutavano di sostenere tale inclusione. Questo spinse la Stanton e Susan B. Anthony, a formare l’Associazione nazionale per il suffragio femminile, nel 1869. La Stanton usò la Dichiarazione di Indipendenza come guida per proclamare che “tutti gli uomini e le donne sono stati creati uguali”; redasse 11 risoluzioni, compresa la richiesta più radicale: il diritto al voto. Inizialmente dunque l’unica richiesta femminista americana era il diritto al voto, sul principio illuminista della legge naturale, invocando il concetto dei diritti umani inalienabili concessi a tutti gli americani con la Dichiarazione di Indipendenza.

La passione americana per principi come quello dell’uguaglianza tuttavia fu smorzata da un’ondata di immigrazione proveniente dall’Europa e dalla crescita delle baraccopoli urbane. Le suffragette a quel punto, prendendo atto di questo cambiamento di atteggiamento, iniziarono a fare appello per il voto basandosi  non più sul principio di giustizia, o sull’umanità comune di uomini e donne, ma su basi razziste e nativiste.

Già nel 1894, Carrie Chapman Catt dichiarò che i voti delle donne alfabetizzate e borghesi avrebbero bilanciato i voti degli stranieri. Questa inclinazione elitaria allargò il divario tra le femministe e le masse di donne americane che vivevano in quelle baraccopoli, o parlavano con accenti stranieri. Di conseguenza, le donne della classe operaia, preoccupate per gli stipendi e il lavoro, parteciparono più al movimento sindacale che a quello femminista.

Emma Goldman, anarchica e femminista, pensava che il diritto al voto fosse una battaglia secondaria per le donne. Quello che contava era “rifiutare il diritto a chiunque di agire sul tuo corpo … Rifiutare di essere un servitore di Dio, dello stato, della società, del marito, della famiglia, ecc., rendendo la propria vita più semplice ma più profonda e ricca.” Allo stesso modo, Charlotte Perkins Gilman, in Women and Economics (1898),  insisteva sul fatto che le donne non sarebbero state liberate fino a quando non si fossero liberate della “mitologia domestica” della casa e della famiglia, che le manteneva dipendenti dagli uomini.

Il primo diritto rivendicato dalle donne italiane fu invece quello dell’istruzione. Non sarebbe mai stato possibile infatti uscire dalle mura domestiche, trovare un lavoro esterno, accedere ai diritti politici e di cittadinanza, se le donne non avessero avuto accesso alla scuola pubblica. Pioniere del movimento per i diritti della donna in Italia furono, tra le altre, Cristina Trivulzio principessa di Belgiojoso, Matilde Calandrini, Emilia Peruzzi, Alessandrina Ravizza, Laura Mantegazza, Clara Maffei, Anna Maria Mozzoni, Sibilla Aleramo ed Anna Kuliscioff. Bianca Milesi, dopo aver studiato in Austria e in Svizzera, provò a diffondere anche in Italia la creazione di scuole popolari di mutuo insegnamento, dando vita anche ad una sezione femminile della carboneria per la diffusione delle idee mazziniane. Le femministe italiane di fine secolo erano perlopiù donne senza figli, animate da ideali romantici e populisti, vicine agli ambienti socialisti e anarchici.

Per la cronaca, il tanto auspicato diritto al voto fu concesso per la prima volta in Nuova Zelanda, nel 1893. In Europa a votare per prime furono le donne finlandesi: grazie ad una Legge del 1906 esse divennero ufficialmente eleggibili ed elettrici. Nelle altre parti d’Europa il diritto di voto per le donne fu ottenuto solo dopo la prima guerra mondiale, fra il 1918 ed il 1919, anche come riconoscimento del loro valore, per essere rimaste a presidiare i luoghi di lavoro e le loro famiglie, mentre i mariti erano in guerra e per essersi prestate come crocerossine nei campi di battaglia. Le francesi e le italiane dovettero attendere la fine della seconda guerra mondiale per ottenere il diritto di voto. La relativa legge italiana è infatti del 1946.

XX Secolo

Ancora agli inizi del XX secolo, le donne non potevano né votare né esercitare incarichi elettivi in ​​Europa e nella maggior parte degli Stati Uniti. Alle donne era impedito di condurre affari senza un rappresentante maschile (poteva essere il fratello, il padre, il marito, o anche un figlio).  Le donne sposate non potevano esercitare il controllo sui propri figli senza il permesso dei loro mariti. Inoltre, le donne avevano scarso accesso all’istruzione ed erano escluse dalla maggior parte delle professioni. In alcune parti del mondo, tali restrizioni sulle donne continuano ancora oggi.

Alice Paul riaccese il movimento per il suffragio delle donne negli Stati Uniti copiando le attiviste inglesi, guidate dalla National Union of Woman Suffrage Societies, le quali avevano inizialmente affrontato la loro lotta in modo educato, con un lobbismo “da signora”. Nel 1903 tuttavia una fazione dissidente, guidata da Emmeline Pankhurst iniziò una serie di boicottaggi, attentati  e picchetti. La loro tattica incendiò la nazione e nel 1918 il Parlamento britannico estese il voto alle donne titolari di una casa, alle mogli di capofamiglia e alle donne laureate che avevano compiuto 30 anni.

Nel 1920 anche il femminismo americano rivendicò il suo primo grande trionfo con l’approvazione del Diciannovesimo Emendamento della Costituzione.

Una volta raggiunto l’obiettivo cruciale del suffragio tuttavia, il movimento femminista praticamente crollò in Europa e negli Stati Uniti. Mancando un’ideologia, al di là del raggiungimento del voto, il femminismo si divise in una decina di gruppi frammentati, che lottavano chi per l’educazione e l’assistenza alla salute materna e infantile, chi per la protezione delle donne sul lavoro, ecc. Ognuno di questi gruppi offriva un contributo sul piano dei diritti sociali, ma nessuno era specificamente di natura femminista.

Suzanne LaFollette, una femminista radicale, affermò imprudentemente, nel 1926, che gli obiettivi delle donne erano stati “largamente conquistati”. Prima che qualsiasi errore in quella dichiarazione potesse essere discusso, gli Stati Uniti e il mondo precipitarono nella Grande Depressione. Successivamente, la seconda guerra mondiale cancellò completamente l’attivismo femminista, in qualsiasi continente.

La guerra aprì opportunità lavorative per le donne, visto che gli uomini erano impegnati nella guerra. Dopo la guerra tuttavia, gli uomini ripresero il loro posto in fabbrica e le donne tornarono nelle case. Niente però poteva ormai essere come prima.

Nel 1949 uscì il libro Il secondo sesso di Simone de Beauvoir nel quale l’autrice faceva una lucida analisi della condizione femminile. La de Beauvoir affermava che conoscere se stessa era, per una donna, un percorso veramente difficile: tutte le identità che le venivano proposte dalla cultura ufficiale infatti erano identità alienanti, che la mortificavano, che registravano il suo stato di assenza culturale, di minorità sociale. La donna doveva rifiutare di essere l’Altro dell’identità maschile e pagare il prezzo che questa scelta comportava. Nella storia della specie umana, diceva ancora la Beauvoir, la preminenza era stata accordata non al sesso capace di generare, ma al sesso che uccide, e su questi valori si era costituita qualsiasi civiltà. Di fronte a questa situazione, la donna non aveva mai opposto dei “valori femminili”, limitandosi a modificare la propria posizione in seno alla coppia e alla famiglia. La donna, diceva l’intellettuale francese, doveva finalmente cercare la strada per la sua libertà: alla donna , e solo a lei, spettava finalmente di decidere che cos’è veramente una donna.

Nel 1960 la percentuale delle donne che lavoravano fuori casa era ancora inferiore, rispetto alle cifre del 1930.

Il movimento femminile degli anni ’60 e ’70 costituì la cosiddetta “seconda ondata” del femminismo: in questa le donne si batterono per la conquista dei diritti civili.

In America John Kennedy, nel 1961, creò la President’s Commission on the Status of Women e nominò Eleanor Roosevelt a guidarla. Il suo rapporto, pubblicato nel 1963, sosteneva fermamente la famiglia nucleare e preparava le donne alla maternità, ma documentava anche uno stato di discriminazione sul lavoro, la disparità salariale e legale, gli scarsi mezzi di sostegno alle donne lavoratrici.

La nuova scintilla femminista risale al 1963 con l’uscita, negli Stati Uniti, del libro di Betty Friedan, Mistica della femminilità, nel quale l’autrice denunciava il ruolo coatto di “sposa” e “madre” della donna americana, e rivendicava l’uguaglianza della donna all’uomo nel campo professionale, culturale e politico.

Nel 1966 la Friedan, insieme ad Aileen Hernandez e Pauli Murray, fondò il “National Organization for Women” (NOW) rivendicando i diritti civili delle donne. Le lotte riguardavano il diritto di contraccezione e di aborto e l’uguaglianza all’interno della coppia. Un altro libro fondamentale per le lotte femministe fu La politica del sesso, di Kate Millet (1969). «Il privato è politico» affermavano le femministe, invitando le donne ad affrancarsi dai rapporti di potere che il patriarcato rappresentava, attraverso un atavico sistema di oppressione sulle donne. « Lavoratori di tutto il mondo, chi vi lava i calzini? » scandivano per le strade di Parigi le manifestanti negli anni settanta.

Shulamith Firestone, una delle fondatrici delle gruppo di femministe radicali di New York, pubblicò la Dialettica dei sessi, insistendo sui legami malati che molte donne stringevano con uomini che erano poi anche i loro oppressori.  Germaine Greer, una australiana che viveva a Londra, pubblicò L’Eunuco Femmina, in cui sosteneva che la repressione sessuale delle donne le separava dall’energia creativa di cui esse avevano bisogno per essere indipendenti e auto-realizzate.

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A differenza della prima ondata, che puntava solo al diritto di voto, il femminismo della seconda ondata provocò un’ampia discussione teorica sulle origini dell’oppressione delle donne, sulla natura del genere e sul ruolo della famiglia.

Il femminismo divenne a questo punto un mare di vortici e correnti fra loro in competizione: l’unica cosa comune era la guida del movimento, affidato soprattutto a donne bianche della classe media, istruite, che avevano adattato le lotte femministe alla loro concezione della vita e alle loro esperienze. Questo aveva creato un rapporto ambivalente, se non controverso, con donne di altre classi sociali e etnie.

In America le donne di colore non si riconoscevano nel movimento: esse dovevano confrontarsi, oltre che sulle questioni di genere, anche sul razzismo (anche da parte delle donne bianche).  Tali questioni sono state affrontate da femministe nere tra cui Michele Wallace, Mary Ann Weathers,  Alice Walker e Bettina Aptheker.

L’appello delle femministe bianche per l’unità e la solidarietà era basato sulla loro convinzione che le donne costituissero una classe o una casta di genere che era caratterizzata dall’oppressione comune. Molte donne di colore tuttavia avevano difficoltà a vedere le donne bianche come loro sorelle femministe; agli occhi di molte afroamericane, dopo tutto, le donne bianche erano simili ai loro mariti, nell’opprimere le persone non bianche. “Quanto sono rilevanti le verità, le esperienze, i risultati delle donne bianche rispetto alle donne nere?”, si chiedeva Toni Cade Bambara in The Black Woman: An Anthology (1970). Le femministe nere pensavano che le femministe bianche fossero incapaci di comprendere le loro preoccupazioni.

Durante la prima conferenza della National Black Feminist Organization, tenutasi a New York City nel 1973
le attiviste di colore riconobbero che molti degli obiettivi centrali per il movimento femminista erano fondamentali anche per loro: aborto, congedo di maternità, violenza domestica. Su questioni specifiche, quindi, le femministe afroamericane e le femministe bianche potevano costruire un rapporto di lavoro efficace. Su questa base è nata la terza ondata del femminismo.

La parità fra i sessi, che era già contemplata nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, fu riaffermata nel 1979 dalla Convenzione internazionale per l’abolizione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. I figli dovevano venire al mondo solo quando erano desiderati, le donne dovevano entrare nelle istituzioni e discutere insieme agli uomini le decisioni da prendere per guidare la società, composta da uomini e donne. Nel 1975 le Nazioni Unite dichiararono quello «l’anno della donna» ed organizzarono in Messico la prima conferenza mondiale dedicata al problema femminile.

In Italia, grazie alle lotte femministe, negli anni Settanta venne istituito il divorzio (1970), fu modificato il diritto di famiglia (1975), furono istituiti i consultori familiari, promulgata la legge sulle pari opportunità, liberata la vendita e il consumo di contraccettivi, approvata la legge che regola l’aborto (1978), costituiti i Centri antiviolenza e le Case delle donne, per accogliere le donne maltrattate.

Relazione fra sesso e cibo

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Alla fine del XX secolo, le femministe europee e americane iniziarono a interagire con i nascenti movimenti femministi di Asia, Africa e America Latina. Le donne dei paesi sviluppati, in particolare le intellettuali, inorridirono nello scoprire che le donne in alcuni paesi dovevano indossare il velo in pubblico o sopportare matrimoni forzati, infanticidi femminili,  o mutilazioni genitali. Molte femministe occidentali ben presto si percepirono come una sorta di salvatrici per le donne del Terzo Mondo, non rendendosi conto che le loro percezioni e soluzioni ai problemi sociali erano spesso in contrasto con le preoccupazioni reali delle donne che vivevano in queste regioni. In molte parti dell’Africa, ad esempio, l’idea che il patriarcato fosse il problema principale – e non  l’imperialismo europeo – sembrava assurdo.

Durante la Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo del 1994, al Cairo, le donne del terzo mondo protestarono perché credevano che l’ordine del giorno fosse stato modificato dalle donne europee e americane. Le manifestanti si aspettavano di parlare dei modi in cui il sottosviluppo opprimeva le donne. Invece, le organizzatrici della conferenza avevano scelto di concentrarsi sulla contraccezione e sull’aborto.

Le donne del terzo mondo sostenevano che non potevano preoccuparsi di altre questioni, quando i loro figli morivano di sete, fame o guerra. La conferenza si era invece incentrata sulla riduzione del numero dei neonati del Terzo Mondo, al fine di preservare le risorse della terra, nonostante fosse chiaro che a consumare queste risorse fosse il Primo, non il Terzo mondo. A Pechino, alla Quarta Conferenza mondiale sulle donne del 1995, le donne del Terzo Mondo criticarono nuovamente le priorità delle donne americane ed europee nel parlare dei diritti riproduttivi e delle discriminazioni sulla base dell’orientamento sessuale e del loro disinteresse per la proposta di piattaforma più importante per le nazioni meno sviluppate, cioè quella della ristrutturazione del debito internazionale.

Negli anni Ottanta e Novanta il femminismo, come movimento, si è praticamente spento, per riaccendersi in questo ultimo anno, in seguito alla nascita del movimento #MeToo, che lotta contro le molestie sessuali. Tutto è nato da un articolo pubblicato sul New York Times, il 5 Ottobre del 2017, nel quale numerose attrici denunciavano le sgradite avances sessuali di Harvey Weinstein, un famoso produttore di Hollywood. Il resto è cronaca.

Giuliana Proietti

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Fonte principale:
Enciclopedia Britannica

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