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Benessere dei figli: cosa fare per migliorarlo?

Benessere dei figli: cosa fare per migliorarlo?

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Il benessere dei nostri figli dipende da noi. Non solo il loro benessere attuale, cosa che appare ovvia a chi ha dei bambini piccoli, ma anche e soprattutto la loro capacità di raggiungere e mantenere il benessere nell’età adulta. I nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti nei loro confronti possono influire sulla strutturazione di un adeguato senso di sé, sulla loro autostima, sulla loro capacità di creare e mantenere relazioni mature e soddisfacenti.

Anche se man mano che crescono i figli tendono a frequentare un maggior numero di contesti diversi da quelli della famiglia di origine, nondimeno i rapporti con i familiari di solito continuano ad essere molto numerosi e soprattutto molto significativi.

Sono diversi gli aspetti a cui dobbiamo prestare attenzione per creare una buona atmosfera familiare che permetta ai nostri figli di crescere sereni e sicuri di sé: la modalità di controllo, il tono affettivo, il rispetto, la comunicazione, l’interazione e relazione, la vivacità intellettiva, il nostro stile genitoriale.

In una famiglia è normale e necessario che ci sia una qualche forma di controllo da parte dei genitori sui figli (anche i figli, tuttavia, tendono a controllare i genitori o a controllarsi a vicenda tra di loro). Per esercitare nel miglior modo possibile il controllo sui nostri figli ricordiamoci di:

· Essere sempre chiari e coerenti. I figli hanno bisogno di sapere cosa aspettarsi come conseguenza dei loro comportamenti. Ciò non significa che i genitori non possano mai cambiare idea. La cosa importante è che i figli provino un senso di certezza e di prevedibilità. In questo modo cresceranno più sicuri di sé, meno ansiosi e anche meno ribelli e aggressivi.

· Motivare i comandi. In questo modo coinvolgiamo i figli, li facciamo sentire uniti e partecipi della vita familiare e, infine, otteniamo da loro di più di quanto otterremmo usando dei modi imperativi. Inoltre, i modi imperativi presentano il problema che i figli li imitano e imparano ad essere aggressivi.

· Porre delle restrizioni ragionevoli. I figli soffrono sia le restrizioni eccessive che la permissività. I ragazzi con facoltà di manovra limitata tendono alla timidezza e sembra che il loro Q.I. sia più basso, probabilmente perché hanno meno opportunità di fare esperienza e di mettersi alla prova. D’altra parte, quando i genitori lasciano correre troppo (per diversi motivi, tra cui la convinzione che porre delle regole non sia utile alla crescita dei figli), i figli diventano poco rispettosi degli altri, incapaci di adattarsi e soprattutto poco motivati al successo.

· Fidarci dei nostri figli. E’ fondamentale una fiducia di fondo, accompagnata da caute indagini fatte chiedendo direttamente ai figli, in maniera tranquilla.

· Nutrire aspettative sufficientemente alte. I bambini e i ragazzi si vedono come si sentono visti dai genitori. Se i genitori hanno delle aspettative basse nei confronti dei figli, questi ultimi pensano di valere poco, e ne risente soprattutto la loro autostima e la motivazione al successo. Delle aspettative troppo alte rischiano invece di produrre un’autostima gonfiata, che influisce negativamente sul successo reale e l’inserimento sociale.

· Aiutare con discrezione. Quando i figli sono in difficoltà, è utile fornire loro indicazioni il più possibile generiche, in modo che arrivino da soli alla soluzione, altrimenti possiamo diminuire il loro senso di efficienza. E’ importante aiutarli. Se non lo facciamo, i figli possono sentirsi abbandonati, combattuti tra il desiderio di tener fede agli impegni e l’impressione di non farcela, si demotivano e a lungo andare ne risente l’autostima.

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· Porre attenzione ai rinforzi. Non sempre è facile capire quando stiamo rinforzando un comportamento, spesso ciò avviene senza che ce ne rendiamo conto. Ad esempio, entrare in una stanza per richiamare un bambino che sta facendo chiasso può rinforzare quel comportamento, in quanto l’attenzione ottenuta in questo modo costituisce una gratificazione. Concedere qualcosa ad un figlio nel momento in cui diventa particolarmente rabbioso ha l’effetto immediato di calmarlo ma anche quello di far aumentare la frequenza di tale comportamento, in quanto al bambino sembra che esso si sia dimostrato efficace per ottenere quanto desiderava. Anche quando ricorriamo intenzionalmente ai rinforzi, spesso non siamo in grado di valutarne correttamente gli effetti, perché questi dipendono dall’intreccio di diversi fattori. Ad esempio, la lode rischia di perdere efficacia se arriva troppo spesso; il compenso dato al ragazzo che studia rischia di farlo passare da una motivazione intrinseca ad una estrinseca. Inoltre, sono anche importanti gli schemi temporali del rinforzo: un rinforzo intermittente è molto più efficace di quello continuo. Assecondare un bambino aggressivo di tanto in tanto rinforza l’aggressività molto di più che se lo accontentassimo tutte le volte. Per quanto riguarda le punizioni, in linea di massima sono controproducenti. Possono rivelarsi efficaci se tempestive (l’ideale sarebbe che colpissero l’azione sul nascere), inflitte con serenità e lievi, preferibilmente simboliche. Tuttavia sono sconsigliabili per gli effetti collaterali: i figli imitano i comportamenti dei genitori, per cui si comportano con loro allo stesso modo, e da adulti diventano a loro volta dei genitori che puniscono. Spesso i genitori non riescono a farsi obbedire con le punizioni e perdono credibilità e autorità. Nel figlio può anche maturare un rifiuto del genitore, fino a vederlo come un estraneo.

· Discutere. Una moderata attività persuasiva è benefica, perché produce un coinvolgimento simbolico dei ragazzi, rafforza la visione familiare e li fa sentire considerati per la loro intelligenza e le loro opinioni.

· Legittimare. Le ragioni migliori per giustificare una norma familiare sono quelle realistiche che guardano al futuro, alle mete che ci si prefigge per la famiglia e soprattutto per l’avvenire dei figli. E’ importante che i genitori non si mettano sullo stesso piano dei figli quando questi ultimi sbagliano. I figli hanno bisogno di percepire che i genitori sono responsabili, impegnati a soddisfare le loro esigenze e perseguire il loro bene.

Il tono affettivo della famiglia è importante per la crescita dei figli. Se il tono affettivo è caldo, i genitori sono solleciti e disponibili, non antepongono le loro esigenze a quelle dei figli, stanno volentieri insieme a loro, manifestano affetto. I figli che crescono in tali famiglie “calde” hanno legami più saldi con i genitori, sono più obbedienti e più attenti ai loro consigli, hanno un’autostima più elevata, vanno meglio a scuola e hanno più successo nella vita. Inoltre tendono a riprodurre il calore: con gli altri sono socievoli, sensibili e altruisti, da grandi saranno genitori affettuosi.

E’ importante trasmettere ai figli il rispetto per gli altri. I figli possono rendersi conto di quanto siano importanti per noi, se vedono che diamo un valore e rispettiamo le persone, in generale. Piccole cose, come il rispetto degli spazi fisici e degli spazi personali, la cortesia, la cura dell’abbigliamento, il linguaggio, danno l’idea che ognuno si limita in funzione degli altri e che le persone contano. I figli che sono convinti di essere importanti per i genitori crescono meglio: hanno un’autostima più alta, sono più motivati al successo, conquistano più facilmente l’identità nell’adolescenza ed è più difficile che vadano incontro a depressioni.

Quando i bambini sono piccoli è importante la quantità della comunicazione – il numero di scambi, la varietà di segnali, la ricchezza del linguaggio – per aiutarli a sviluppare il linguaggio, le competenze comunicative e l’intelligenza. Ovviamente, oltre alla quantità è importante la qualità della comunicazione. Anche se negli anni ’60 gli psicologi hanno insistito sulla coerenza dei messaggi, sottolineando la necessità di evitare comunicazioni ambigue e contraddittorie, attualmente questo punto di vista è superato. Quando si comunica faccia a faccia, un certo grado di incoerenza nei messaggi è inevitabile. Inoltre per il ricevente l’incoerenza fornisce comunque delle informazioni sul tipo di discorso che si sta facendo. Attenzione, però, l’incoerenza può fornire delle informazioni utili solo se il figlio ha le capacità cognitive per riconoscerla e darle un senso. Quindi, sforziamoci consapevolmente di “dosare” il grado di incoerenza a seconda dell’età e dello stato d’animo dei nostri figli. In generale, fino ai cinque anni i bambini non hanno le capacità cognitive per comprendere l’incoerenza dei messaggi, ne rimangono sconcertati; i più grandi, invece, possono trovarsi in difficoltà quando il coinvolgimento emotivo li fa irrigidire. Data, comunque, l’ineliminabilità dell’incoerenza comunicativa, è bene che i genitori aiutino i figli, già prima dei cinque anni, ad interpretare i messaggi contraddittori.

Un altro aspetto della comunicazione in famiglia è l’apertura al dialogo. I figli crescono meglio se c’è confidenza con i genitori e c’è possibilità di raccontarsi quanto accade. Risultano emotivamente più equilibrati, socialmente maturi e si fanno un’immagine più positiva della famiglia. Anche in questo caso, però, è fondamentale la qualità della comunicazione. Il genitore che si apre al dialogo con figli deve continuare a rivestire il suo ruolo di genitore. L’errore che spesso si fa è di porsi sullo stesso piano, come se si fosse “amici”. In questo caso i figli stanno male, facilmente diventano prepotenti e aggressivi, e in ogni caso avvertono la mancanza di un riferimento autorevole.

Con i bambini piccoli, è importante avere delle interazioni coordinate, in cui ci si muove tenendo conto di quello che sta facendo l’altro e dei segnali che ci manda. Nei primi mesi sono importanti soprattutto le interazioni coordinate basate sul contatto visivo, come la fissazione reciproca e la coorientazione visiva (il bambino guarda da una parte e l’adulto volge lo sguardo verso il punto in cui sta guardando il bambino). Se queste interazioni vanno a buon fine influiscono molto positivamente sullo stabilirsi del legame di attaccamento.

E’ essenziale instaurare relazioni profonde con i propri figli. Se vi si riesce i figli sono più legati ai genitori, obbediscono, hanno il senso della famiglia e della cooperazione. Soprattutto, è importante affrontare e risolvere i motivi di tensione. In questo modo, confrontandosi e, perché no, arrabbiandosi, si impara a conoscersi meglio, a raggiungere una maggiore intimità e ad acquisire fiducia nella propria capacità di risolvere i conflitti e i momenti di tensione.

I figli che vivono in un ambiente intellettualmente vivace sono avvantaggiati dal punto di vista dello sviluppo linguistico e cognitivo e forse anche sul piano emotivo e sociale. E’ importante fornire ai bambini, fin da piccoli, un ambiente sufficientemente stimolante, che permetta al piccolo di soddisfare la sua naturale curiosità. Soprattutto, il bambino ha bisogno di persone che gli parlino e che giochino con lui. Tutto questo nel rispetto dei suoi tempi e della sua soglia di tolleranza alla stimolazione. Man mano che i figli crescono contano anche il clima culturale, le idee di cui si discute, il sapere che ci si tramanda, la disponibilità di libri, riviste, strumenti musicali, etc.

Lo stile genitoriale autorevole (i genitori controllano, si aspettano comportamenti maturi, dialogano e sono caldi) si è rivelato il più adatto per la crescita dei figli. I figli di genitori autorevoli hanno un’autostima elevata, sono sicuri di sé, indipendenti, socievoli, altruisti, motivati al successo e di successo. I figli di genitori autoritari, permissivi o indifferenti, invece, soffrono di tale stile educativo, tendono ad essere aggressivi e a mettere in atto comportamenti antisociali.

Riepilogando, per il benessere dai nostri figli, e della nostra famiglia in generale, esercitiamo un controllo ragionevole, manteniamo un tono affettivo caldo, insegniamo il rispetto per gli altri, comunichiamo in modo aperto e insegniamo a comprendere l’incoerenza, lasciamoci guidare nell’interazione dai segnali che i piccoli ci inviano e instauriamo delle relazioni profonde, forniamo un ambiente intellettualmente vivace e soprattutto non abbiamo paura a mostrarci dei genitori autorevoli.

Prof. Luigi Mastronardi

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I fratelli migliorano il processo di socializzazione del bambino

I fratelli migliorano il processo di socializzazione del bambino?

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I fratelli svolgono un ruolo fondamentale nel processo di socializzazione del bambino, rappresentando una delle prime e più significative esperienze di relazione al di fuori del rapporto con i genitori. La letteratura psicologica sottolinea come i rapporti tra fratelli influenzino lo sviluppo sociale, emotivo e cognitivo del bambino, offrendo un contesto unico per l’apprendimento di competenze interpersonali. Cerchiamo di saperne di più.

Quale differenza c’è fra l’apprendimento che può venire da un genitore e quello che viene dai fratelli?

I genitori sono più adatti per l’insegnamento degli aspetti sociali più formali: come comportarsi in pubblico, come comportarsi a tavola, ecc. I fratelli e le sorelle invece sono dei modelli migliori per quanto riguarda i comportamenti più informali: come comportarsi a scuola o per strada, o, cosa più importante, come interagire con un gruppo di amici.

Perché i fratelli sono interlocutori privilegiati nello sviluppo dell’identità individuale?

Perché, attraverso l’interazione quotidiana, i bambini imparano a gestire conflitti, a negoziare e collaborare con gli altri e a sviluppare empatia. Questi processi contribuiscono a costruire competenze sociali che saranno fondamentali nelle relazioni future. I bambini con fratelli imparano precocemente a comprendere le emozioni degli altri grazie alle numerose occasioni di confronto. Inoltre, la presenza di fratelli più grandi può fungere da modello comportamentale, mentre i fratelli più piccoli offrono opportunità per sviluppare capacità di cura e responsabilità.

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I conflitti fra fratelli possono essere, a loro volta, fonte di apprendimento?

Si. I conflitti tra fratelli sono inevitabili, ma hanno anche una valenza positiva, dal momento che rappresentano un’importante opportunità di apprendimento. Attraverso questi confronti, i bambini sviluppano strategie per risolvere problemi, imparare a considerare i punti di vista altrui e regolare le proprie emozioni. L’efficacia di queste dinamiche dipende in gran parte dal supporto dei genitori nel favorire interazioni positive e corrette nel guidare la risoluzione dei conflitti in modo costruttivo.

I bambini che hanno rapporti positivi con i fratelli tendono a instaurare amicizie più solide?

Si, essi mostrano di avere non solo amicizie più solide, ma mostrano anche una maggiore adattabilità nei contesti scolastici e sociali, dal momento che dimostrano una migliore capacità di costruire legami affettivi con i coetanei.

Quando le interazioni possono non essere così positive?

Possono esserci varie ragioni per cui le interazioni si dimostrano non proprio positive o facili:

  • Differenza di età: Fratelli più vicini d’età tendono ad avere interazioni più frequenti e intense, mentre quelli con una maggiore differenza d’età possono assumere ruoli più complementari.
  • Genere: Le dinamiche possono variare a seconda che si tratti di fratelli, sorelle o combinazioni miste
  • Stile genitoriale: Un approccio equilibrato da parte dei genitori, che eviti favoritismi, è cruciale per promuovere relazioni positive tra fratelli.

I fratelli possono anche rappresentare un esempio negativo?

Si, questo è il risvolto negativo della medaglia: molti comportamenti indesiderati e antisociali come fumo, alcol o altri atti delinquenziali derivano spesso dall’insegnamento di un fratello maggiore, così come dagli amici dei propri fratelli maggiori. Ad esempio, una ragazza adolescente corre un rischio più elevato di rimanere incinta se la sorella maggiore ha avuto anch’essa un figlio da giovane.

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Cosa dovrebbero fare i genitori per garantire l’influenza positiva di un fratello maggiore?

Al fine di massimizzare l’influenza positiva di un fratello maggiore, una delle più importanti cose che i genitori possono fare è contribuire a promuovere una relazione di sostegno tra fratelli sin dall’inizio. Sappiamo infatti da studi longitudinali che, se i bambini cominciano il loro rapporto con un fratello in modo positivo sin da piccoli, è più probabile che questo rapporto possa poi continuare nel tempo.

I figli unici sono meno competenti sul piano sociale?

I bambini che crescono come figli unici non sono sempre meno competenti dal punto di vista sociale, rispetto ai bambini che crescono con i fratelli: le competenze sociali possono essere acquisite anche attraverso l’osservazione di amici, cugini, altri parenti, piuttosto che dei soli genitori.

Cosa dovrebbero fare i genitori di figli unici per favorire la socializzazione?

I genitori di figli unici dovrebbero per permettere ai loro figli di sviluppare delle relazioni positive con altri bambini durante l’infanzia , in modo che questi bambini diventino per loro una sorta di fratelli-surrogati. In questo modo essi potranno sviluppare delle competenze sociali che probabilmente non acquisirebbero se le loro interazioni fossero limitate al solo rapporto con i genitori e gli insegnanti.

I genitori di diversi figli dovrebbero comunque favorire la socializzazione esterna?

Si. I genitori che hanno diversi figli spesso non sentono la necessità di invitare a casa loro altri bambini, per giocare con i figli più piccoli, ma questo è sbagliato, perché va considerato che se fra fratelli c’è molta differenza di età, il loro rapporto può essere intenso in casa, ma le loro esperienze sociali essere diverse all’esterno della famiglia, visto che frequentano gruppi sociali diversi. In ogni caso, relazionarsi con membri esterni alla famiglia è sempre una palestra importante.

Cosa accade quando un fratello minore decide di non voler seguire le orme di un fratello maggiore?

Questo processo viene detto di ‘de-identificazione.’ Accade quando un fratello minore sceglie un percorso diverso, un modo diverso di affermare la propria identità, nello sport, nell’arte o in altre attività sociali. A volte questo è un modo per evitare il confronto con i fratelli maggiori, soprattutto se si teme di non essere sufficientemente capaci di misurarsi con loro.

Dott.ssa Giuliana Proietti 


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Il periodo di Natale è sempre più spesso un periodo di vacanze e di viaggi anche nel nostro Paese, ma per la maggior parte degli italiani è ancora un periodo cadenzato da grandi pranzi e riunioni familiari, come vuole la tradizione contadina, che solo da pochi decenni ci siamo lasciati alle spalle. Tutti, in ogni caso, qualunque cosa facciano, si aspettano che il Natale porti con sé allegria, benessere e felicità, oltre che riposo e assenza totale di preoccupazioni.

In realtà poi tutto questo non sempre accade davvero ed anzi, per molte persone il Natale è fonte di enorme stress. Le grandi riunioni familiari, ad esempio, una volta fatto il pranzo e scambiati i doni sotto l’albero, possono rivelarsi simili a delle faide, in cui alcuni membri della famiglia si scagliano violentemente contro altri membri: per invidia, per interesse,  per gelosia e chissà per quante altre cose…

Naturalmente c’è anche chi il Natale se lo gode a pieno: piace ad esempio a chi ama cucinare o addobbare la casa, piace a chi ama sorprendere i suoi cari con “effetti speciali” dovuti ad un modo diverso di tagliare le fette di panettone, o alle lucine messe nel centro tavola, per non parlare dei regali e dei pacchetti che li contengono, preziosi spesso più del loro contenuto.

In qualche modo dunque, a Natale c’è chi gode e chi deve partecipare passivamente al godimento degli altri: questo è particolarmente vero quando si ha una famiglia tradizionalista, o ci si sposa con una persona che questo genere di legami familiari, e che sente un eventuale allontanamento da queste tradizioni come una imperdonabile trasgressione, capace di generare immensi sensi di colpa.


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Per non parlare dei problemi fisici che il Natale porta con sé: si pensi ad esempio alle numerose influenze che si contraggono attraverso i baci natalizi dati a persone raffreddate, così come alle indigestioni per chi non è abituato alle grandi mangiate, o ai feroci mal di testa, per chi è stato costretto ad ascoltare tutto il giorno,  con rigidi sorrisi di circostanza, dei discorsi in cui non aveva il minimo interesse.

Anche il fatto di avere un periodo così lungo di vacanza dal lavoro o dalla scuola può essere fonte di stress. Può accadere infatti che, sapendo che ci aspetta una lunga vacanza, si tenda a posticipare tutti gli impegni, specialmente i più gravosi, i meno graditi, sperando che la vacanza permetta di ritrovare la voglia e l’energia di rimettere mano a queste incombenze, una volta trascorso il periodo di meritato riposo.

In realtà un comportamento del genere è profondamente sbagliato: infatti, se da un lato offre un immediato senso di relax, il rientro al lavoro è quasi sicuramente molto traumatico, perché si dovranno affrontare non solo tutte le cose lasciate in sospeso, ma anche quelle che, inevitabilmente, si sono nel frattempo accumulate.

Il ritorno alla vita di tutti i giorni dopo le vacanze di Natale per molti rappresenta una vera boccata di ossigeno, ma per altri può essere molto triste: le solite abitudini, i colleghi di lavoro, la fretta, la routine possono apparire tutte cose molto “spente” rispetto alle luci piene d’atmosfera del Natale, con le sue riunioni, i suoi pranzi, le sue serate di gioco, il relax più completo, in cui era possibile fare tardi la sera, alzarsi giusto in tempo per il pranzo e dedicarsi solo ai propri hobbies.

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Il ritorno al lavoro potrebbe essere reso, in questi casi, più piacevole se non fosse semplicemente un ritorno alle abitudini consolidate, ma un momento di cambiamento, ad esempio per la scelta di nuovi obiettivi da raggiungere, anche non troppo impegnativi, ma comunque capaci di rendere la propria vita più organizzata e più serena.

Molto importante, ad esempio, sarebbe ritrovare, prima ancora di ricominciare la vita di sempre, un equilibrio sonno-veglia, tornando a letto all’ora consueta, qualche sera prima del ritorno al lavoro. Per evitare di lasciarsi travolgere dal lavoro come se fosse uno tsunami inoltre, sarebbe bene ricominciare a leggere qualche e-mail, o informarsi dai colleghi, per sapere cosa è accaduto nel periodo di vacanza, riconsiderando con qualche giorno di anticipo i problemi che si sono lasciati in sospeso. Tutto dovrebbe accadere in modo graduale, qualche giorno prima del rientro. (E’ vero che in questo modo la vacanza si abbrevia di qualche giorno, ma tornare al lavoro in modo traumatico significherebbe solo gettare al vento tutti i benefici ottenuti nel periodo della vacanza…)

Un altro modo per evitare lo stress del primo giorno di lavoro è quello di prepararsi tutto quello che potrebbe servire uno o due giorni prima: ad esempio, potrebbe essere necessario fare un cambio di abiti e di accessori, visto che i lustrini utilizzati a Natale non sono adeguati all’austerità dell’ufficio, o alla vita di tutti i giorni.

Pensando al lavoro poi, è importante concentrarsi soprattutto sulle cose positive che esso rappresenta: di questi tempi, già il fatto di avere un lavoro è qualcosa di cui essere particolarmente contenti. Se inoltre si fa il proprio lavoro con soddisfazione, questo dovrebbe essere un altro elemento di riflessione per apprezzare di più la propria vita.

Infine, è importante non lasciarsi troppo turbare dallo stress del primo giorno di lavoro: cadere in depressione, pensando che le prossime vacanze sono lontane di almeno sei mesi non è il modo migliore per cominciare l’anno.

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In realtà ogni giorno potrebbe essere un giorno di vacanza, se fossimo capaci di organizzare meglio la nostra vita, le nostre relazioni, i nostri spazi di libertà. L’importante è provarci, prima di dire che è impossibile 😉

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Gentile dottoressa,
sono una ragaZza di 20 anni quasi, e sono fidanzata con un ragazzo di 30.. All’inizio la nostra storia non era molto stabile, ma ora posso dire con piena certezza quanto la mia storia sia solida e concreta. Lui desidera un figlio, come io del resto. All’eta’ di 17 anni io, subi’ un aborto , dovuto ad un’esperienza passata cn un’altro ragazzo. I miei naturalmente non la presero bene. A seguito di questa esperienza , ho conosciuto il mio attuale fidanzato. Ora da due anni a questa parte , siamo arrivati ad un punto il quale desideriamo un figlio. Il fattore economico direi che sia MOLTO a nostro vantaggio. Il problema e’ tutto il resto: i miei genitori e i suoi. Lei come pensa di poter affrontare questo desiderio sfrenato nel modo piu’ coscienzioso possibile? La ringrazio di cuore . Gaia

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Carissima Gaia,

Credo che il desiderio “sfrenato” sia dovuto soprattutto alla voglia di dimostrare che sei grande: a te stessa, al tuo fidanzato, ai tuoi genitori e ai suoi. Personalmente ritengo che, nella società odierna, fare un figlio a 20 anni NON sia mai un bene: a 20 anni infatti occorre ancora prepararsi, studiare, trovarsi un lavoro, costruire la propria indipendenza, economica e familiare; poi verrà tutto il resto.

Le storie d’amore, anche le più promettenti, possono finire, si possono avere conflitti con i propri genitori e tanti altri imprevisti (come del resto ti è capitato in passato): solo se sarai forte, indipendente e sicura di te stessa potrai superare con fiducia tutte le sfide della vita, compresa l’esperienza genitoriale, che è, credimi, piuttosto impegnativa.

Tieni conto che un figlio non è un bambolotto ed ha i suoi diritti e le sue esigenze: sarebbe giusto, anche nei suoi confronti, fare delle scelte consapevoli, seguendo la ragione piuttosto che i “desideri sfrenati”. E, secondo te, è ragionevole impegnarsi fino a questo punto con una persona che conosci da soli due anni?
Vedi tu: in ogni caso, auguri.

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Pensate che i primi tre anni di vita siano fondamentali per lo sviluppo affettivo, cognitivo e relazionale del bambino?

Se si, secondo alcuni psicologi siete ahimé antichi, obsoleti, vittime di tabù culturali e contribuite perfino a mettere in ridicolo la scienza.

In una conferenza organizzata dall’Università del Kent, domani e dopo domani alcuni accademici si alterneranno nel sostenere la buona novella secondo la quale i genitori dei neonati e dei bambini con meno di tre anni – specialmente le madri – dovrebbero evitare di sentirsi “ridicolmente” sotto pressione nel loro tentativo di “fare bene le cose” per il proprio figlio, provando ansie e sensi di colpa (a loro dire) del tutto ingiustificati.

La chiamano “attenzione estrema verso la prima infanzia”: questi psicologi, guidati da John Bruer, autore di The Myth of the First Three Years (Il mito dei primi tre anni), affermano che l’importanza data dalle neuroscienze alle cure nei primi anni di vita del bambino sia esagerata e che le politiche sociali che si concentrano sul legame genitore-figlio non siano altro che “uno spreco di risorse “.
(nell’articolo non viene precisato a quali politiche sociali alluda Bruer, forse pensa al congedo di maternità).

Va detto che ancora oggi per la scienza psicologica i primi tre anni di vita sono fondamentali per il sano sviluppo del bambino. Ciò nonostante, da qualche tempo si rincorrono questi voci dissidenti, che propongono la contro-cultura del “non preoccuparsi” dei figli piccoli.

I bambini, sostengono questi psicologi di contro-informazione, non sono poi così vulnerabili nei primi anni di vita, e poi lo sviluppo va pensato come qualcosa che dura tutta la vita, non solo nella primissima infanzia.

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La sociologa Ellie Lee dell’Università del Kent afferma ad esempio: “Si sta facendo della maternità una cosa tristissima, quando dovrebbe invece essere divertente e stimolante. Inoltre, se nessuno aiuta i genitori, essi finiscono per pensare: “Se non faccio io questa cosa per mio figlio, certamente non gliela farà nessun altro”.
Glenda Wall, docente di sociologia presso la Wilfrid Laurier University in Ontario, presenterà invece uno studio basato su interviste condotte con madri canadesi di classe media. “L’attenzione sullo sviluppo del cervello nei bambini piccoli ha avuto l’effetto di intensificare ulteriormente il lavoro della figura materna”, scrive.

“Non solo si richiedono mamme responsabili per la salute fisica dei bambini e per la loro sicurezza (i cui standard minimi sono in continuo aumento), ma anche per la loro salute psicologica e per la loro felicità, oltre che per lo sviluppo delle loro potenzialità intellettive.”

La Wall aggiunge che le madri da lei intervistate erano propense a fare sacrifici nella loro carriera lavorativa per trovare il tempo da dedicare ai propri bambini. Esse facevano questo perché qualcuno aveva fatto loro credere che questa fosse “la cosa giusta” che una madre dovesse fare.

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Il sociologo Frank Furedi, nota che è eccessiva la preoccupazione verso la possibile assenza dei genitori. “C’è il timore di cosa potrebbe accadere se le madri non si mostrassero vicine, fisicamente ed emotivamente, ai propri figli “.

Secondo Furedi inoltre, fare i genitori non è difficile: la fisica nucleare è difficile, non diventare mamme e papà. Se i neogenitori si preoccupano troppo delle fasi dello sviluppo dei loro bambini, essi diventano ossessivi. Oggi tutto ciò che fanno i bambini lo fanno su iniziativa degli adulti e con una organizzazione del tempo di stile adulto, che è del tutto estranea alle esigenze del bambino, dice inoltre Furedi.

Lo psicologo Stuart Derbyshire, dell’Università di Birmingham guarda con sospetto all’idea che il destino di una persona possa essere determinato nei primi cinque anni di vita, anzi la ritiene “del tutto infondata”.

Ogni mancanza che i bambini possono soffrire a causa della inadeguatezza dei loro primi anni di vita, secondo lo psicologo di Birmingham, può essere affrontata e risolta in seguito. Chi dice il contrario, secondo Derbyshire, lo fa perché è interessato alla vendita delle sue pubblicazioni, o ai fondi per la ricerca sulla prima infanzia. In questo modo però, dice Derbyshire, le neuro-scienze vengono trasformate in una barzelletta.

Ciò che viene soprattutto messo in evidenza da Bruer è che ai genitori sono state trasmesse, come risultati scientifici acquisiti, certe idee sullo sviluppo del bambino che sono invece “altamente distruttive”, visto che tendono a porre attenzione alle responsabilità genitoriali nei primi anni di vita, senza pensare che il compito di un genitore è in realtà di lunga durata e non si esaurisce con l’infanzia.

Negli Stati Uniti l’uso improprio delle neuroscienze è di vasta portata, dice ancora Bruer. “I genitori di classe media sono attratti dal desiderio di ottenere il meglio per i loro figli, in un ambiente altamente competitivo, per farli andare nelle scuole giuste, per fargli incontrare le persone giuste, trovare il lavoro giusto. Essi vengono indotti ad investire tempo e denaro in corsi o oggetti che promettono un migliore sviluppo dell’intelligenza nel bambino, falsamente basati su dati scientifici.


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Bruer sostiene inoltre che, negli Stati Uniti in particolare, una interpretazione semplicistica della scienza del cervello sia stata utilizzata per sostenere alcune raccomandazioni politiche, in particolare lo sviluppo di programmi scolastici che privilegiano il legame genitore-figlio nella famiglia e nella società.

Derbyshire sostiene che la cosa principale che i genitori ‘dovrebbero’ fare è smettere di accettare l’idea che essi ‘dovrebbero’ fare cose particolari per l’educazione dei loro bambini. Si devono invece rendere conto che i genitori non sono tutto ciò che crea la felicità di un essere umano.

Invece di concentrarsi ossessivamente sull’educazione dei figli piccoli, sotto la guida degli esperti di turno, i genitori dovrebbero occuparsi di creare una società capace di permettere ai suoi membri di raggiungere gli obiettivi che interessano gli adulti, fra cui c’è anche quello di crescere bene i propri figli.

Peccato che, non solo le neuroscienze, ma più di seimila studi sulla teoria dell’attaccamento, studi longitudinali, che hanno seguito i bambini dalla nascita all’età adulta, dimostrino con certezza che le esperienze vissute nei primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo dell’individuo adulto.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Clinica della Coppia

Fonte:

Why parents shouldn’t feel guilty if they can’t devote time to their toddlers, The Guardian

Immagine:

Jamie Campbell, Wikimedia

Terapia di Coppia

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