Giacomo Leopardi e la strana amicizia con Antonio Ranieri

Giacomo Leopardi e la strana amicizia con Antonio Ranieri

Giacomo Leopardi e la strana amicizia con Antonio Ranieri


Giacomo Leopardi (1798–1837) è una delle figure più importanti della letteratura italiana dell’Ottocento, noto per la profondità del suo pensiero, il pessimismo filosofico e la raffinatezza della sua poesia. Tra i rapporti umani più significativi della sua vita, spicca l’amicizia con Antonio Ranieri (1806–1888), scrittore e patriota napoletano, che fu al suo fianco negli ultimi anni, contribuendo non solo alla sua quotidianità ma anche alla conservazione della sua memoria.

Quale è stata l’alchimia che ha legato per tanti anni questi personaggi, così distanti fra loro? Cosa avevano in comune i protagonisti di questa strana coppia, Ranieri e Leopardi? Cosa li spingeva a giurarsi reciprocamente un grande affetto, la promessa di vivere per sempre insieme, senza lasciarsi mai? Cerchiamo di fare luce su questo argomento, ancora piuttosto misterioso.

Infanzia e giovinezza di Giacomo

Giacomo Leopardi nacque a Recanati il 29 giugno 1798, in una famiglia nobile, ma decaduta economicamente. Il padre, Monaldo, era un conservatore legato alla tradizione cattolica e monarchica. La madre, Adelaide Antici, era una donna di nobile famiglia, con un carattere algido e anaffettivo. Giacomo trascorse l’infanzia e l’adolescenza immerso nello studio: la vasta biblioteca paterna fu il luogo in cui formò il proprio sapere enciclopedico, ma anche dove si ammalò a causa di uno studio eccessivo che contribuì al suo progressivo indebolimento fisico e visivo.

L’incontro con Antonio Ranieri

Giacomo Leopardi conobbe Antonio Ranieri nel 1830 a Firenze, in un periodo in cui si era ormai trasferito definitivamente lontano da Recanati. Ranieri era un giovane intellettuale napoletano, dotato di spirito liberale e anticlericale, che aveva viaggiato molto in Europa e frequentava gli ambienti culturali e politici progressisti.

L’amicizia tra i due si sviluppò rapidamente, fondata su una forte affinità intellettuale e su un bisogno reciproco di compagnia. Nel 1833, Leopardi e Ranieri si trasferirono insieme a Napoli, dove vissero nella stessa abitazione per circa quattro anni. Ranieri offrì a Leopardi una sistemazione stabile e lo sostenne nella quotidianità, anche economica, in un contesto in cui il poeta era spesso in condizioni di salute precarie.

Un legame controverso ma profondo

Il legame tra Leopardi e Ranieri ha suscitato nel tempo numerose interpretazioni e speculazioni. Alcuni studiosi, soprattutto nel Novecento, hanno ipotizzato una possibile componente affettiva o sentimentale oltre l’amicizia, ma mancano prove concrete per sostenere questa tesi in senso univoco. Ranieri stesso, nel suo libro Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi (1880), tentò di presentare la relazione in chiave del tutto fraterna e devota, probabilmente anche per conformarsi alla morale dell’epoca.

Nonostante qualche divergenza e malinteso – come la presunta negligenza di Ranieri nel dare adeguata sepoltura al poeta – è certo che Ranieri fu l’ultimo grande compagno di vita di Leopardi, e che condivisero un’intimità quotidiana significativa.

Gli ultimi anni e la morte

Durante la permanenza a Napoli, Leopardi visse una delle fasi più produttive della sua carriera. Scrisse numerosi componimenti, tra cui La ginestra o il fiore del deserto, considerata una delle sue poesie più importanti. Morì il 14 giugno 1837, probabilmente a causa di uno scompenso cardiaco aggravato dalla sua fragile salute. 

Ranieri fu presente al momento della morte e ne organizzò il funerale, seppur con difficoltà, dovute alle restrizioni sanitarie per il colera e alla difficoltà di ottenere il permesso per la sepoltura. Solo molti anni dopo, nel 1939, le sue spoglie furono traslate al Parco Virgiliano di Napoli, nel sepolcro monumentale oggi noto come “Tomba di Leopardi”. (Della morte di Leopardi riparleremo più avanti).

Il libro: “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi”

Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi” (1830-1837) è un libretto che Antonio Ranieri scrisse a 74 anni, nel 1880, prossimo senatore del neonato Regno d’Italia, otto anni prima di morire, quarantuno anni dopo la morte dell’amico. Il libro non piacque ai cultori del poeta di Recanati.

Leggiamo ad esempio nell’enciclopedia Treccani che i meriti che Ranieri ebbe nei confronti di Leopardi sono stati “offuscati” da questo libro in cui Ranieri “volle apparire piuttosto il mecenate che, come invece era in effetti, il compagno di vita di Leopardi: né mancano recriminazioni ingiuste e meschine”.

Sin dalle prime pagine Ranieri chiarisce di aver scritto questo libro per il bisogno che sentiva di evitare “notabili inesattezze” e raccontare alcune verità sulla sua amicizia con Leopardi (ma “non tutte”, spiegando che ben altre cose di sua conoscenza non verranno mai rivelate, al di là delle insinuazioni che si possano fare al riguardo).

Nel libro viene raccontato l’inizio del sodalizio: siamo a Firenze e un Leopardi depresso e piangente confida all’amico, alla luce di una fioca lampada, che il suo timore più grande è quello di dover tornare nell’odiata Recanati, il che per lui è molto simile alla morte.


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Colpito dalle parole dell’amico, Ranieri risponde: “Leopardi, tu non andrai a Recanati!” . Quel che può bastare per mantenere una persona, pensò l’esule napoletano, basterà per mantenere entrambi: sulla base di queste riflessioni promise all’amico Giacomo che non si sarebbe mai più allontanato da lui, decisione mai rinnegata ma che fu causa per lui e in seguito anche per la sorella Paolina, di “immedicabili e incomprensibili dolori”.

Il sodalizio con Leopardi portò il Ranieri a vivere, come lui dice, una “vita nuova”, fatta di nottate all’amico sofferente, consultazioni con i medici, spostamenti di casa in casa e di città in città, allo scopo di creare le migliori condizioni per l’amico malato, in modo che potesse ritrovare un minimo di salute e benessere.

Malgrado tutti questi sforzi, dice il Ranieri, il malato, “come era sua natura, cominciava a presumere un po’ troppo del fatto suo”. In conseguenza di ciò, si legge ancora nel libro, avvenne che;

“egli si spingesse a vani e inavvertiti soliloquii d’amore che, non senza mio grande rammarico, oltrepassavano di gran lunga i confini imposti alla dignità di un tanto uomo. Per congiunture, ch’è assai bello il tacere, io me ne trovavo spesso, e con grande mia angoscia, tra i più scabrosi anfratti”.

In un altro passaggio, Ranieri racconta un episodio, che evidentemente riteneva significativo: un giorno aveva chiesto ad un parrucchiere che gestiva un salone in Via Condotti di recarsi presso il suo domicilio, allo scopo di tagliargli i capelli.

In salotto, mentre svolgeva il suo lavoro, il parrucchiere si fece ciarliero e cominciò a porre al suo cliente molte domande maliziose sulla relazione che il cliente aveva con Giacomo Leopardi. Precisamente domandò: “Com’è ch’ella ha con sé il figliuolo del conte Monaldo”?

Ranieri rimase stupito della domanda tanto diretta quanto inopportuna e, dopo un attimo di imbarazzo, risposte che erano semplicemente amici e che avevano preso un appartamento (“un quartiere”) insieme: nulla più.

Per giustificare la sua curiosità, il parrucchiere raccontò, ma con un tono di voce troppo alto perché Giacomo non potesse sentire, che conosceva assai bene le cose di Recanati, gli umori del padre e del figliolo e “l’odio implacabile di costui al clima e agli abitatori di quel paese”… Aggiungendo anche altri particolari che, dice Ranieri : “o io conosceva assai meglio di lui o non mi importava né punto, né poco di conoscere”.

Dopo la “tosatura”, come la definisce Antonio Ranieri, una volta rimasti soli, Giacomo fece capolino nella stanza e ricordò all’amico ciò che aveva scritto ne Le Ricordanze: lui diventava un forsennato al solo pensiero di essere sulle bocche di quelle persone di Recanati…

Una intervista sulla violenza domestica

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Ma perché a Recanati si parlava tanto di lui? Certo, era una persona in vista, il figlio dei conti Leopardi, ma quali erano i particolari maliziosi che nel natio borgo selvaggio le persone si scambiavano su Giacomo, generando in lui una tale insofferenza?

Leopardi, dopo l’episodio del parrucchiere e i pettegolezzi dei recanatesi che gli erano stati riferiti, disse all’amico e convivente:

inventai, invento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura!”

Ranieri continua il racconto del sodalizio specificando che lui non avrebbe mai consentito che Giacomo si fosse preso la libertà di scrivere di lui le cose che aveva scritto nelle sue lettere (e che altri gli avevano riferito, perché lui a leggerle direttamente ci aveva provato tre volte, e per tre volte era stato “preso da febbre”, per cui aveva giurato a se stesso – e fatto giurare alla sorella Paolina – che mai più i loro occhi “si farebbero violare”, né i loro cuori “cincischiare” da “letture si fatte”).

Ed eccole, probabilmente, le lettere di Leopardi cui Ranieri faceva riferimento:

Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo (11-12-1932)

Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia. Oh Ranieri mio! Quando ti ricupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio, anima mia, con tutte le forze del mio spirito. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi” (05-01-1833)

Ranieri mio, non hai bisogno ch’io ti dica che dovunque e in qualunque modo tu vorrai, io sarò teco [con te]. Considera bene e freddamente le tue proprie convenienze (…) e poi risolviti. La mia risoluzione è presa già da gran tempo: quella di non dividermi mai più da te. Addio” (05-02-1933)

Ranieri mio. Ti troverà questa <lettera> ancora a Napoli? Ti avviso ch’io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un’impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio” (02-04-1833)

LibriAutori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta

Nel 1833, quando la coppia di amici arrivò a Napoli, prese una stanza in affitto, suscitando scandalo. Come racconta Ranieri:

io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui”.

Anche la padrona di casa aveva dei sospetti, sia sullo stato di salute di Leopardi, sia sulla relazione fra i due, dal momento che non era usuale che due uomini dormissero insieme, per cui desiderava essere “sciolta dall’affitto”.

Leopardi, racconta ancora Ranieri, era “gelosissimo de’ suoi segreti”, e sia lui, sia sua sorella Paolina, che in un secondo tempo andò a vivere con loro, si astennero sempre dal chiedere di più.

C’erano ad esempio delle visite che riceveva Leopardi e su cui il suo coinquilino dice e non dice: “quando qualche innominato sopravveniva” lui si limitava ad uscire dalla stanza.

Ma perché? Chi erano questi “innominati” che Giacomo frequentava e perché Ranieri per discrezione lasciava la stanza? 

In conclusione, qualche piccolo dubbio sull’orientamento sessuale del poeta di Recanati sicuramente c’è e se ne è già parlato in alcuni libri su Leopardi così come in alcuni siti disponibili in rete ma è difficile sapere le cose con certezza, e questo rimarrà un mistero.

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Il mistero della morte e della sepoltura

I misteri relativi a Leopardi e a questa strana amicizia con Ranieri però non finiscono qui: c’è ancora da parlare del mistero e della sepoltura del poeta recanatese.

Il 14 giugno 1837 Giacomo Leopardi fu colto da un malore improvviso mentre stava per partire in carrozza per Villa Carafa. Non arrivò mai a destinazione. Secondo Ranieri, quel giorno il poeta aveva consumato un pasto abbondante: confetti, minestra calda e una granita. Da qui l’ipotesi che il malore fosse dovuto a una congestione, aggravata dai suoi cronici problemi respiratori e cardiaci.

Ranieri descrisse Leopardi morente tra le sue braccia, sorridente, con le ultime parole: “Addio, Totonno, non veggo più luce.” 

Alcuni studiosi ritengono che Leopardi non sia morto a Napoli ma a Castellammare di Stabia, durante le cure termali. Ranieri lo avrebbe riportato a Napoli per evitare una sepoltura anonima dovuta all’epidemia di colera e, dopo uno scontro col medico, avrebbe ottenuto un certificato di morte per idropisia, il che gli avrebbe permesso di non essere sepolto in una fossa comune, ma in una tomba a lui dedicata.

Il mistero più fitto resta però quello della sepoltura. Ranieri organizzò un funerale lo seppellì in una tomba nell’atrio della chiesa di San Vitale, sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. Venne apposta una targa scritta da Pietro Giordani:

Al conte Giacomo Leopardi recanatese filologo ammirato fuori d’Italia scrittore di filosofia e di poesie altissimo da paragonare solamente coi greci che finì di XXXIX anni la vita per continue malattie miserissima fece Antonio Ranieri per sette anni fino all’estrema ora congiunto all’amico adorato.

Nel 1939 la sua tomba fu spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta nel quartiere Mergellina e fu dichiarata monumento nazionale.

Si sapeva già, da una ricognizione ufficiale del 1900, che nella bara vi erano solo pochi resti e mancava il teschio. Si parlò di una sepoltura fittizia e di un corpo sepolto altrove, forse nella fossa comune delle Fontanelle.

Il mistero della sepoltura di Giacomo Leopardi è ancora irrisolto: nessuno sa dove si trovino le sue ossa.

L’eredità di Giacomo Leopardi

I dissapori per l’eredità tra la famiglia Leopardi e Antonio Ranieri si protrassero sino alla morte di quest’ultimo. Giacomo infatti, colto da morte improvvisa, non lasciò alcun testamento e Ranieri si appropriò di molti suoi scritti, tra cui lo Zibaldone, che poi vendette al migliore offerente.

Si è ipotizzato che le descrizioni sprezzanti di Giacomo che si trovano nel Sodalizio di Ranieri siano state scritte dall’autore per rancori legati alla contesa dell’eredità dell’opera di Giacomo con la famiglia Leopardi.

Dr. Giuliana Proietti

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Cosa è il percorso di affermazione di genere?

Si tratta dell’insieme dei processi che portano una persona transgender a vivere in modo più allineato con l’identità di genere percepita.

In particolare si tratta di questi aspetti:

  • Cure mediche e terapie ormonali.
  • Modifica del proprio nome e dei pronomi con i quali ci si sente apostrofare dagli altri.
  • Modifica dell’aspetto fisico e e dei vestiti.
  • Coming out con gli amici e la propria famiglia.

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In cosa consiste il percorso detto “sociale”?

Si tratta di un percorso che permette a una persona transgender di interagire nella società secondo l’identità di genere esperita.

Può includere:

  • Fare coming out con gli amici e la famiglia dichiarandosi transgender
  • Chiedere alle persone di usare pronomi (lui/lei) che corrispondono alla identità di genere percepita
  • Chiedere alle persone di essere chiamate con un nome diverso (nome elettivo)
  • Vestirsi secondo le norme del genere desiderato

Cosa è il percorso detto “medico”?

E’ un percorso attraverso il quale una persona transgender può modificare il proprio corpo attraverso interventi medici

Può includere:

  • Terapia ormonale (per creare caratteristiche maschili o femminili)
  • Interventi di cambiamento sui soggetti assegnati come femmine alla nascita
  • Interventi di cambiamento sui soggetti assegnati come maschi alla nascita

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In cosa consiste il cambiamento ormonale?

Il trattamento ormonale sostitutivo ha l’obiettivo di minimizzare le caratteristiche sessuali secondarie del sesso di nascita e indurre una mascolinizzazione o femminilizzazione del proprio corpo, in modo da rispecchiarsi maggiormente in esso.

In cosa consiste la mascolinizzazione del corpo?

Si tratta dei seguenti interventi (ormonali e chirurgici)

  • Redistribuzione e diminuzione dell’adipe in senso androide,
  • Crescita della peluria e della barba,
  • Ispessimento delle corde vocali con conseguente abbassamento della voce
  • Riduzione della mammella,
  • Scomparsa del ciclo mestruale e aumento delle dimensioni del clitoride

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Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta

In cosa consiste la femminilizzazione?

Si tratta dei seguenti interventi (ormonali e chirurgici):

  • Redistribuzione del grasso corporeo in senso femminilizzante
  • Rallentamento della crescita della peluria e della barba
  • Diminuzione delle erezioni spontanee
  • Aumento del seno e riduzione del volume dei testicoli

A quale specialista occorre rivolgersi per le cure ormonali?

All’endocrinologo.

Le persone trans sono in genere sodisfatte dopo queste modifiche delle caratteristiche sessuali secondarie?

Alcune si, altre invece chiedono interventi chirurgici più invasivi.

Quali sono gli interventi chirurgici di affermazione di genere?

Per le persone assegnate come maschi alla nascita (MtF):

  • mastoplastica additiva
  • ricostruzione dei genitali esterni mediante vaginoplastica e vulvoplastica
  • chirurgia di femminilizzazione facciale, liposuzione, lipofilling, chirurgia di adeguamento vocale, riduzione della cartilagine tiroidea (tiroidoplastica), aumento dei glutei (impianto lipofilling), ricostruzione dei capelli e altri interventi di tipo estetico.

Per le persone assegnate come femmine alla nascita (FtM):

  • Mastectomia con riposizionamento dell’areola mammaria
  • Falloplastica con eventuale ricostruzione dell’uretra, vaginectomia, falloplastica, impianti di protesi per l’erezione
  • Liposuzione, lipofilling, impianti pettorali, chirurgia vocale (raro) e altre procedure estetiche

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Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Tutti coloro che si sentono transgender decidono di seguire questi percorsi?

No, non tutte le persone transgender effettuano questo percorso. Alcuni possono scegliere si seguire il percorso sociale e non medico. Alcuni possono scegliere di seguire il percorso medico eseguendo solo una o alcune delle procedure sopra elencate. Alcuni possono assumere ormoni e decidere di non sottoporsi a interventi chirurgici, o semplicemente scegliere un tipo di intervento chirurgico e nessuno degli altri.

Perché ci sono così tante differenze?

Ci sono molte ragioni per le differenze nel modo in cui le persone seguono questi percorsi. In primis queste procedure mediche possono essere molto costose, il che significa che non tutti possono permettersele, altri invece non sono interessati.

Quale è il percorso giuridico?

Il riconoscimento giuridico del genere di elezione permette di ottenere documenti corrispondenti alla propria identità di genere, cambiando l’indicazione del nome e del genere sessuale.

Quale legge regola in Italia la rettificazione anagrafica?

Si tratta della legge n. 164, del 1982 “Norme in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso” e dal decreto legislativo n. 150 del 2011. Nella legge del 1982 la chirurgia costituiva un prerequisito indispensabile per le procedure di modifica del nome e del genere sessuale sui documenti di identità. Nel luglio 2015 la Corte di Cassazione h stabilito che non sussiste l’obbligo legale di sottoporsi a un intervento chirurgico come prerequisito per la rettifica degli atti anagrafici. La procedura stabilisce che il richiedente faccia domanda al Tribunale del luogo di residenza. La richiesta è corredata da una certificazione psicologica e endocrinologica che attestano l’avvenuto percorso di affermazione di genere.

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sessualità antichi

La sessualità presso gli antichi greci

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Relazione sulle Coppie Non Monogamiche

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La sessualità degli antichi Greci era vissuta in modo profondamente diverso rispetto agli standard contemporanei, caratterizzata da una maggiore fluidità nei ruoli e nei comportamenti. Il desiderio era considerato una forza potente e naturale, regolata più dall’etica del controllo di sé (sophrosyne) che da norme morali assolute.

Cerchiamo di saperne di più.

Come era la sessualità presso gli antichi greci?

Per gli antichi greci la sessualità, l’amore e il sesso erano inestricabilmente connessi con la creazione della terra, dei cieli e del desiderio di trasgressione (si pensi alle tematiche che riguardano incesti, omicidi, poligamia e matrimoni misti nei miti greci).

Come era la sessualità rappresentata nei loro miti?

Zeus, capo di tutti gli dei, si dava molto da fare per affermare il suo dominio sugli altri dèi (sia uomini che donne), mostrando un atteggiamento assai disinvolto nei confronti della sessualità femminile, come manifestato in una serie di stupri (Zeus violenta: Leda, figlia di Testio e moglie di Tindaro, sotto le spoglie di un cigno; Danae, una principessa di Argo, travestito d
a pioggia; Ganimede, un mortale di sesso maschile).

Le donne che ruolo avevano?

Nel periodo minoico (circa 3650-1400 a.C) le donne indossavano un corpetto a maniche corte che lasciava scoperti i seni. Esse venivano rappresentate con vita sottile, seni pieni, capelli lunghi e fianchi pieni. Delle donne era soprattutto celebrata la fecondità e la capacità riproduttiva.

Quanto era diffusa la pedofilia?

La pedofilia in Grecia era diffusa già nella civiltà cretese e prevedeva il sequestro rituale di un ragazzo proveniente da un ambiente d’elite, da parte di un maschio adulto aristocratico, con il consenso del padre del ragazzo. Tali relazioni erano spirituali e pedagogiche, oltre che sessuali. L’uomo infatti portava il ragazzo per due mesi fuori città e in questo periodo gli insegnava alcune abilità, come quella della caccia, oltre a comportamenti di rispetto e responsabilità.

Questi rapporti erano dunque perfettamente leciti e accettati dalla società, purché il ragazzo fosse nel periodo della pubertà. Non erano accettati legami con ragazzi al di sotto dei 12 anni o troppo grandi, perché in tal caso non vi sarebbe più stato il rapporto pedagogico, essenziale per questo tipo di relazione, ma si sarebbe trattato semplicemente di una relazione omosessuale, considerata potenzialmente pericolosa a livello sociale.

L’amante adulto faceva costosi regali al suo ragazzo, tra cui una uniforme per combattere, un bue da sacrificare a Zeus, un calice per bere, come simbolo di realizzazione spirituale. Quando il ragazzo superava il periodo della pubertà passava dal ruolo di amato a quello di amante.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Chi erano i satiri?

I satiri vengono raffigurati nella mitologia greca come uomini-bestia con coda equina, torso nudo villoso, orecchie d’asino, chiome lunghe e pene eretto. Queste creature vivevano nel bosco, circondati da una natura selvaggia, spesso insieme con le ninfe. Esiodo li definisce buoni a nulla che giocano dei tiri ai mortali e, conformemente al loro aspetto semi-animalesco, sono sensuali, aggressivi, ma anche vili. Essi avevano la reputazione di essere masturbatori incalliti con un debole per lo stupro, la sodomia e la necrofilia. Un satiro aveva una passione insaziabile per la danza, le donne e il vino.

L’amore eterosessuale nell’antica Grecia aveva spazio?

Certamente si. L’Iliade ci fornisce invece una delle prime testimonianze di amore eterosessuale nell’antica Grecia: quello fra Achille e Briseide. Achille rivela quanto ama Briseide nel Libro 9 della Iliade, riferendosi a lei come se fosse sua moglie. La bella Briseide incontra per la prima volta Achille dopo che questi le ha spietatamente ucciso il padre, la madre, tre fratelli e il marito durante un assalto greco a Troia, prima di prenderla come bottino di guerra.

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

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Come veniva considerata la masturbazione?

Si pensa che per gli antichi greci la masturbazione fosse un sostituto normale e sano di altri piaceri sessuali, una sorta di ‘valvola di sicurezza’ contro la frustrazione sessuale.

Questo potrebbe spiegare perché ci siano così pochi riferimenti ad essa nella letteratura: era una pratica comune e pertanto non meritava attenzione, oppure era considerata, almeno pubblicamente, appannaggio di schiavi, folli e persone di scarso livello sociale.

Per un soggetto delle classi superiori infatti la masturbazione sarebbe stata una perdita di tempo e di sperma, dato che il maschio greco doveva impegnarsi quanto più possibile a promuovere la sua discendenza. Anche altre civiltà antiche hanno celebrato la masturbazione.

Una intervista sui rapporti familiari

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Il travestitismo trovava spazio?

Si. Il primo esempio di travestitismo lo vediamo nella storia di Eracle e Onfale, regina della Lidia. La sottomissione di Eracle è sottolineata dal fatto che egli fu obbligato a vestirsi da donna e umiliato a filare la lana, mentre Onfale si vestiva della pelle di Leone di Eracle e brandiva la sua clava.

Un altro esempio di travestitismo riguarda Achille. Prima della guerra di Troia, Teti inviò suo figlio Achille, all’epoca adolescente, alla corte di Licomede, perché una profezia aveva decretato che sarebbe morto a Troia. Achille si travestì per questa ragione in abiti femminili, mescolandosi alle dodici figlie del re.

Ulisse e Menelao vennero inviati a Sciro da Agamennone per cercare Achille e farlo imbarcare per la guerra di Troia. Riuscirono a identificarlo grazie ad uno stratagemma di Ulisse, il quale donò alle figlie del re dei gioielli ed una spada, dicendo loro di scegliere il dono che preferivano. Mentre le figlie del re scelsero i vari gioielli, Achille prese in mano la spada: in questo modo si smascherò, consentendo ai due inviati di Agamennone di farlo imbarcare per Troia.

Dr. Walter La Gatta

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Bibliografia:

Pedofilia. Un approccio multiprospettico, di Anna Coluccia, Ernesto Calvanese, Franco Angeli Editore
Enciclopedia Treccani
Paul Chrystal In Bed with the Ancient Greeks: Sex & Sexuality in Ancient Greece (Amberley Publishing, 2016).

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Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Omofobia e pregiudizi verso la condizione gay

Omofobia e pregiudizi verso la condizione gay

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Articolo datato

Le resistenze culturali e sociali verso una piena accettazione della condizione gay, i pregiudizi nei confronti del “diverso da sé”, permeano a tutt’oggi, sebbene in misura meno rigida, l’ambiente in cui un adolescente o un giovane con impulsi e vissuti omosessuali è inserito ed attraversa il suo percorso evolutivo.

L’omofobia, ovvero quell’insieme di atteggiamenti di rifiuto, squalifica ed etichettamento, che induce ad agire poi comportamenti discriminatori nei confronti delle persone gay, condiziona quotidianamente il tessuto sociale e le strutture portanti della società, quindi la famiglia, le istituzioni scolastiche, l’ambiente di lavoro, le associazioni religiose e sportive, ecc.

Una diffusione così ampia dell’omofobia, che credo ritroviamo purtroppo ancora spesso anche nel nostro ambito professionale, fa sì che si arrivi ad una sorta di sua istituzionalizzazione. La permeabilità sociale dell’omofobia ha l’effetto di rafforzare i pregiudizi individuali e limita, di conseguenza, la possibilità di rispettare e sostenere i diritti civili delle persone omosessuali, facilitando la sclerotizzazione di ruoli sociali rigidi e posizioni di emarginazione (Blumenfeld, 1992).

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Il sistema familiare in cui un bambino cresce e si sviluppa, prima ancora che l’ambiente più ampio nel quale è inserito, è eterosessuale, e lo spinge e lo costringe verso un modello sessuale categorizzato univocamente e quindi inevitabilmente mutilato (cf. Mieli, 1977).

La famiglia tradizionale può disapprovare le manifestazioni, le condotte e le pratiche che si allontanano da una prospettiva sessuale e relazionale “riduzionista”, o sentirsi quantomeno disorientata di fronte ad esse, se non nei casi in cui i genitori hanno maturato una propensione ad accettare ogni forma di diversità e peculiarità dei figli.

Il sistema scolastico non promuove programmi di educazione al rispetto delle diversità, né momenti di educazione socioaffettiva sulla questione omosessuale, per cui ragazzi ed adolescenti gay vivono ancora troppo di frequente una condizione di mancata accoglienza ed integrazione nei contesti educativi (cf. Pietrantoni, 1999). La legislazione italiana è ancora molto lontana dal dare attuazione alle indicazioni contenute nella risoluzione del Parlamento Europeo del 1994 sulla parità dei diritti delle persone omosessuali.

Un fenomeno che si può osservare con estrema frequenza nei gruppi e negli individui gay è l’introiezione dell’omofobia, l’ingoiare in maniera acritica e passiva, nel corso del processo di crescita e socializzazione, le posizioni di pregiudizio presenti nell’ambiente.

L’introiezione omofobica condiziona marcatamente per l’individuo omosessuale non solo un processo sano e spontaneo di coming out, ma più in generale una chiara consapevolezza di sé, la possibilità di orientarsi adeguatamente nell’ambiente e di far sentire attivamente, ed anche con una dose di sana aggressività, la propria presenza.

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Un gay, ed in particolare un adolescente ancora confuso ed incerto rispetto alle proprie sensazioni interiori, nell’incontrare al confine di contatto (Perls et al., 1997, op. cit., 37-46) un ambiente familiare e sociale che percepisce ostile e squalificante, in una fase evolutiva ancora delicata e significativa, si trova spesso costretto ad adottare un adattamento creativo che limita le sue capacità espressive, di realizzazione piena, di integrazione sociale (Singer, 1998).

Una recente raccolta di saggi curata da Fabiano Bassi e Pier Francesco Galli, L’omosessualità nella psicoanalisi (2000), mostra quanto sia stato e possa essere ancora diffuso tra gli psicoanalisti un atteggiamento di aperta, o a volte più sottile, omofobia, malgrado una originaria concettualizzazione freudiana non così rigida e chiusa nei confronti di questo tema (cf. Freud, 1970, ed. or. 1905; Freud, 1960).

Una forma indiretta e mascherata di pregiudizio omofobico, riconoscibile in numerosi psicologi e psicoterapeuti, è la tendenza ad omologare i vissuti ed i comportamenti omosessuali a quelli eterosessuali, ricorrendo ad una pre-comprensione che prescinde da una conoscenza diretta e scevra da pregiudizi del mondo omosessuale.

Le affermazioni del tipo: “Le dinamiche di coppia gay sono del tutto simili a quelle delle coppie etero”, la negazione o la scarsa conoscenza di una realtà e di una cultura gay che possiedono specificità, il disconoscimento anche velato dei valori positivi che gli individui e i gruppi omosessuali possono apportare al contesto sociale, il sostenere eccessivamente la paura della persona gay di rendersi visibile, possono essere visti tutti come atteggiamenti impregnati di omofobia, condizionanti la possibilità di offrire un sostegno terapeutico adeguato.

In questi casi si rischia fortemente, anche in modo inconsapevole, di indirizzare il cliente gay verso una sorta di ulteriore limitazione delle capacità di esprimere se stesso e comunque di iperadattamento introiettivo.

La posizione di intolleranza di una buona fetta di psicoanalisti e di alcuni psicoterapeuti finisce per potenziare quella concezione piuttosto diffusa, specie nelle culture occidentali, che tende a far coincidere “sessualità” con “eterosessualità”, “desiderio erotico” con “procreazione”, e a ritenere l’omosessualità come una categoria a parte ed impropria della sessualità, se non come perversione ed immoralità.

Questa visione quantomeno riduttiva, che non tiene presente che la procreazione è solo un aspetto di un fenomeno ampio, complesso e ricco di sfumature, qual è il desiderio sessuale, rientra in un quadro più generale di repressione sociale delle pulsioni sessuali non così chiaramente connotate in termini “utilitaristici”, e snatura la sessualità dei suoi momenti più spontanei, vitali, liberatori, e come tali più pienamente riconducibili ad un incontro profondo ed intimo con il partner.

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Giuseppe Iaculo

Questo articolo è un breve estratto della prima parte del libro di Giuseppe Iaculo Le identità gay. Dieci conversazioni con noti uomini gay ed un saggio introduttivo sul processo di coming out, Edizioni Libreria Croce, Roma, 2002. Nel testo vengono approfonditi con un taglio fenomenologico, anche attraverso il frequente ricorso alla letteratura, alla poesia, a casi clinici, a stralci di interviste e alle lettere di giovani gay trovate in rete, le varie fasi del processo di coming out, ossia dell’accettazione e del disvelamento dell’identità gay, le basi teoriche della psicoterapia della Gestalt e il rapporto che questo approccio ha avuto ed ha con il tema “omosessualità”. Viene inoltre esplorato il problema del pregiudizio omofonico nei diversi indirizzi psicoterapeutici. Un ampio spazio è destinato al momento del venire allo scoperto in famiglia. La seconda parte del libro raccoglie delle interviste con uomini gay noti accomunati dalla scelta di una piena visibilità e che hanno accettato di narrare i percorsi evolutivi che li hanno condotti a vivere serenamente la loro omosessualità. Per il libro si consulti il sito www.edizionicroce.com. Leggi su psicolinea ‘ IDENTITA’ GAY’ -dello stesso Autore

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Leggi anche, sull’omofobiaOmofobia ed eterosessismo: definizioni e storia

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Famiglie monoparentali, ricomposte e arcobaleno: cosa significa "famiglia" oggi

Famiglie monoparentali, ricomposte e arcobaleno

Famiglie monoparentali, ricomposte e arcobaleno: cosa significa “famiglia” oggi

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Se guardiamo su qualsiasi dizionario per sapere cosa significhi la voce “famiglia”, troviamo definizioni come quella della Treccani:

“Istituzione fondamentale in ogni società umana, attraverso la quale la società stessa si riproduce e perpetua, sia sul piano biologico, sia su quello culturale. Le funzioni proprie della f. comprendono il soddisfacimento degli istinti sessuali e dell’affettività, la procreazione, l’allevamento, l’educazione e la socializzazione dei figli, la produzione e il consumo dei beni. “.

In realtà è sotto gli occhi di tutti che nella società moderna le famiglie non sono più queste, oppure lo sono in misura sempre minore, mentre sono in crescita famiglie che un tempo si sarebbero dette “anomale” ma che, con il cambiamento dei costumi, sono diventate sempre più diffuse e dunque “nella norma” o, se si preferisce, “normali”.

La definizione della Treccani aggiunge infatti:

Tuttavia, malgrado la sua universalità, la f. assume nei diversi contesti sociali e culturali una straordinaria varietà di forme, sì da rendere problematico individuare un tratto distintivo che la caratterizzi in ogni circostanza.

Nella società occidentale le famiglie si sono trasformate, nel secolo scorso, da patriarcali, tipiche della società contadina, a famiglie nucleari (cioè composte solo da genitori e figli) e, negli ultimi decenni, con il cambiamento dei costumi, si sono sviluppati nuovi tipi di famiglia, molto diversi fra loro, che comportano legami, abitudini e particolarità non facilmente generalizzabili al significato classico di famiglia. Facciamo tre esempi: le famiglie monoparentali, le famiglie ricomposte e le famiglie arcobaleno.

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Le famiglie con un solo genitore, o monoparentali, un tempo erano dovute all’alto tasso di mortalità (a causa di malattie, guerre, mortalità della madre durante il parto). Negli ultimi venti anni le famiglie monoparentali sono piuttosto dovute alla scelta di uno dei genitori di allevare il proprio figlio da solo/a, anche in assenza di uno stabile rapporto di coppia. Queste famiglie con un solo genitore sono diventate oggi più comuni non solo perché molte donne nubili scelgono di avere figli, pur senza avere un compagno fisso, ma anche in ragione della continua crescita delle separazioni e dei divorzi: in genere il padre cambia casa e i figli restano nella casa coniugale insieme alla mamma.

In Italia le famiglie monoparentali sono circa 5 milioni. Ve ne sono di vari tipi: guidate dalle madri, guidate dai padri, guidate da un nonno che cresce i suoi nipoti… Nel nostro Paese la famiglia monoparentale nettamente più diffusa (85%) è comunque quella composta da una mamma che ha con sé uno o più figli. [Dati Istat Maggio 2013]

La vita in una famiglia monoparentale può essere abbastanza stressante: il genitore infatti può sentirsi spesso stanco e sopraffatto dalla responsabilità di prendersi da solo cura dei figli, di avere un lavoro esterno con il quale mantenersi, di occuparsi della casa e di tutti i problemi della vita quotidiana, fra cui quello di reperire le risorse economiche, che in questo tipo di famiglie sono quasi sempre a livelli inferiori alla media.

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I genitori di famiglie monoparentali affrontano dunque, almeno in Italia, maggiori problematiche rispetto a quelli della famiglia nucleare, vista anche la costante carenza di servizi pubblici per l’infanzia, la difficoltà a seguire il percorso scolastico dei figli, la frequente interruzione dei rapporti con la famiglia dell’altro genitore, che dunque non presta né aiuto fisico, né sostegno emotivo o finanziario. Non ultimi, i problemi causati al genitore singolo da eventuali nuove relazioni sentimentali (mancata accettazione da parte dei figli, gelosia dell’ex per il rapporto che questa persona instaura con i suoi figli, ecc.)

I figli che vivono con un solo genitore hanno maggiori possibilità, rispetto a quelli che vivono con due genitori, di lasciare precocemente la scuola e di non laurearsi. Questo dato, grave e discriminante, può essere spiegato con il fatto di essere cresciuti in ambienti familiari e sociali scarsamente stimolanti. Le ricerche spiegano tuttavia che questi abbandoni sono dovuti principalmente ad un problema di tipo economico [Kathleen M. Ziol-Guest, Greg J. Duncan e Ariel Kalil, 2015]

Le politiche sociali dovrebbero dunque occuparsi delle condizioni di queste famiglie, specialmente nel caso, abbastanza frequente in Italia, in cui le mamme che vivono da sole con i figli hanno il problema di non essere spesso sostenute economicamente dall’ex partner (e padre dei propri figli): un fatto dovuto a volte a effettiva mancanza di risorse economiche o a stato di disoccupazione, ma più spesso all’occultamento fraudolento delle sue disponibilità economiche, per rivalità con la ex, o perché ha bisogno di denaro per sostenere la sua nuova famiglia.

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Anche in Italia, come in altri paesi occidentali, si sono poi diffuse le famiglie “ricomposte” o “ricostituite”. Si tratta di famiglie in cui i figli vivono con un genitore e con il suo nuovo partner, spesso con altri fratellastri, o figli e parenti del genitore non biologico.

Nel biennio 2008-2009 la maggior parte delle famiglie ricomposte italiane vivevano con figli di un solo membro della coppia (11,5%), con figli dell’attuale coppia (39,7%), con figli sia dall’attuale coppia, sia avuti dai due partners in rapporti precedenti (8,1%)[Dati Istat 2008-2009].

Una famiglia ricomposta implica, come implicito nel termine, un successo, cioè che al suo interno si sia riusciti a ricomporre i ruoli e gli affetti primari. Spesso le cose non stanno esattamente così e comunque mantenere l’armonia in questi nuclei familiari comporta un lavoro davvero enorme, sia sul piano organizzativo, sia sul piano emotivo. La famiglia ricomposta richiede infatti la creazione di nuovi spazi e nuovi stili di comunicazione, vista la presenza di figli di genitori diversi. Inoltre, non sempre è facile costruire rapporti di amicizia e complicità con i figli del proprio partner, affrontando e superando le barriere generazionali e stando bene attenti a non usurpare l’autorità e il ruolo del genitore biologico.

La famiglia ricomposta si basa dunque su una nuova cultura familiare, con nuovi codici e nuovi rituali. Non può essere una famiglia chiusa: per sua natura deve sviluppare confini semi-permeabili nei confronti degli ex coniugi (che rimangono comunque i genitori dei propri figli) e stabilire i nuovi ruoli delle tante figure adulte che gravitano intorno ad essa (parenti biologici e adottivi).

Tutto questo comporta spesso tensioni, conflitti, stress, sia nei bambini, sia negli adulti. La coppia in queste famiglie si trova spesso a dover mediare fra bisogni individuali, coniugali o familiari che possono essere fra loro in competizione, all’interno dello stesso sistema familiare.

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Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Un altro problema della famiglia ricomposta è che i partner hanno in realtà poco tempo per loro e in genere la loro “luna di miele” dura pochissimo: la presenza di uno o più figli obbliga infatti i due partners a cercare una mediazione fra il bisogno di curare la propria intimità di coppia, la relazione con i figli (propri e del partner), i rapporti con gli altri parenti o ex parenti, che talvolta fanno di tutto per mettere i bastoni fra le ruote alla felicità della nuova coppia.

I figli inoltre possono non sentirsi affini al nuovo partner del genitore con cui convivono, e per questo è possibile che siano usati come “spie” dall’altro genitore. Questo porta i bambini di una famiglia ricomposta a maturare velocemente e a cercare di trarre il meglio dall’uno e dall’altro genitore, spesso mettendoli in competizione fra loro. In altri casi invece i figli possono scegliere il silenzio, per liberarsi da questo difficile ruolo cuscinetto fra i loro genitori, sentendosi però in colpa per non poter essere con loro del tutto sinceri e leali, specialmente quando la situazione generale è altamente conflittuale. Vivere in una famiglia ricomposta dunque è un impegno notevole, per tutti, anche se può dare la soddisfazione di vivere in una famiglia particolarmente stimolante e non convenzionale, con ruoli e relazioni spesso inattesi e sorprendentemente appaganti.

Vi sono poi le famiglie “arcobaleno”, cioè quelle in cui le figure adulte che le guidano sono persone lesbiche, gay, bisessuali o transessuali (LGBT) e delle quali ultimamente in Italia si è parlato spesso.

Si chiamano “arcobaleno” perché possono essere di tanti tipi. Ad esempio, possono riguardare persone che hanno avuto dei figli in una precedente relazione eterosessuale e che in seguito hanno deciso di dare vita ad una famiglia ricomposta, con un partner del proprio sesso. Può trattarsi inoltre di coppie di lesbiche che si servono della procreazione assistita o dell’autoinseminazione, oppure di coppie di gay che hanno dei figli grazie ad una madre surrogata (pratica altrimenti detta dell'”utero in affitto”).


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Altro tipo di famiglia arcobaleno è quella fondata da persone omosessuali di sesso differente che decidono di avere un figlio biologico ed organizzano la loro vita familiare come le altre coppie eterosessuali separate, con affido congiunto dei figli.

Dopo la votazione di ieri al Senato per le unioni civili, anche in Italia si sta introducendo una legge che regola queste coppie (ma non queste famiglie): si spera dunque, con questa legge, di aver superato il solo richiamo al senso di responsabilità personale nel costituire un nuovo nucleo familiare anche se, come si sa, per il momento non è possibile adottare i figli del partner e dunque le famiglie arcobaleno restano in Italia delle famiglie di fatto e non di diritto.

Le domande che le persone si pongono in questi casi e che hanno animato il dibattito pubblico sulle unioni civili sono soprattutto queste: è lecito o consigliabile che dei minori possano crescere in queste famiglie? I genitori omosessuali possono essere genitori come tutti gli altri?

Al di là delle opinioni personali, la maggior parte degli studi condotti in materia ritiene che ciò che conta non sono gli orientamenti sessuali dei due genitori, ma come essi effettivamente si comportano nella coppia e verso i figli e come si sostengano a vicenda nella vita genitoriale.

I ricercatori hanno scoperto che le coppie gay e lesbiche sono più propense a condividere equamente i compiti di custodia dei bambini, a differenza delle coppie eterosessuali, che tendono a specializzarsi, con le donne che si accollano più lavoro degli uomini per curare il benessere dei figli.

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I figli allevati da genitori LGBT non sembrano grandemente influenzati da come i genitori si dividano i compiti in famiglia, ma dall’armonia presente nella loro relazione. Forse non sarà una sorpresa il fatto che i figli di genitori omosessuali abbiano una minore adesione ai ruoli tradizionali maschili e femminili, ma questa distanza dai modelli tradizionali di comportamento non sembra necessariamente spingerli verso l’omosessualità. [Farr R.H., Forssell L., Patterson C.J., 2010].

Concludendo, forse i nostri dizionari dovrebbero essere aggiornati: la famiglia oggi è composta da un nucleo di persone che stanno insieme perché si sono scelte (anche i figli dei separati possono scegliere, quando è possibile, con quale genitore andare a convivere). Spiace citare la politica, ma è proprio così; queste famiglie esistono solo perché c’è qualcosa che le lega profondamente: l’amore.

Dr. Giuliana Proietti

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Pubblicato anche su Huffington Post

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