La politica ci allontana - Consulenza online

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Salve dott.ssa, sono una ragazza 28enne fidanzata da circa 3anni e mezzo. Il mio ragazzo ha la mia stessa età. È da in Po di tempo che la nostra vita sessuale è quasi pari a zero, e quando facciamo l’amore lui non riesce a raggiungere l’eiaculazione. Ormai è da mesi che ne parliamo e cerchiamo di trovare una soluzione ma purtroppo niente. Lui dice che gli piace fare l’amore con me e soffre anche lui per questo. Lui fa un lavoro molto impegnativo e stressante(è in politica) e dedica la sua vita al lavoro, da poco ha chiuso una campagna elettorale durata mesi e durante la quale la nostra vita privata è stata azzerata. Lui dopo questa campagna elettorale non ha staccato mai dal lavoro, niente vacanza e ora… Secondo Lei lui non è più innamorato di me? Potrebbe essersi fissato e avere un blocco? Non so più cosa pensare e cosa fare, questa cosa mi rende insicura nel nostro rapporto e ho paura che ci stia allontanando. Come devo comportarmi? Grazie

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Gentilissima,

In tutti i lavori c’è competizione, ma chi si dedica alla politica, se vuole riuscire, deve impegnarsi molte ore al giorno e dedicare a questo obiettivo gran parte delle sue energie. Capisco dunque che il suo partner possa sentirsi stanco e apparire poco impegnato nella relazione.

Ovviamente, vivere con una persona così interessata ad altro non deve essere facile: i dubbi sulla propria relazione ovviamente vengono e ci si può trovare a vivere momenti di grande malinconia.

La soluzione sta nel fatto che, qualunque lavoro si svolga, un rapporto stabile venga comunque coltivato ogni giorno , con momenti di qualità: basta organizzarsi meglio e pensare alla propria relazione di coppia come ad una vera priorità, che in alcuni casi deve superare tutte le altre, senza apparire, come invece spesso accade, “una perdita di tempo”.

Auguri.

Dott.ssa Giuliana Proietti

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Come vivere bene anche se in coppiaCome vivere bene, anche se in coppia
Autori: Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
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Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Twitter e la persuasione politica

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Negli ultimi anni Facebook, Twitter ed altri social media sono stati usati non solo per la creazione e il mantenimento delle relazioni interpersonali, ma anche come forme di comunicazione commerciale e politica.

Twitter, in particolare, è stato usato per le comunicazioni veloci da parte di personaggi pubblici che desideravano creare legami affettivi con i loro seguaci e mobilitare gruppi di persone ad intraprendere azioni concrete (votare, andare a vedere un film, fare una donazione, ecc.). Molti studi hanno dunque cercato di capire come funziona la comunicazione su Twitter.

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Twitter è un popolare social network e sito di microblogging in cui gli utenti possono trasmettere brevi messaggi chiamati “tweet” a un pubblico globale. Una caratteristica fondamentale di questa piattaforma è che, per impostazione predefinita, lo stream di post in tempo reale di ogni utente è pubblico.

Una delle caratteristiche distintive di Twitter è che ogni messaggio è limitato a 140 caratteri. In risposta a questi vincoli di spazio, gli utenti di Twitter hanno sviluppato schemi di annotazione dei metadati che comprimono in modo sostanziale grandi quantità di informazioni in uno spazio relativamente piccolo. Gli “hashtag”, ad esempio, servono per indicare l’argomento di un tweet.

All’inizio era una pratica informale, poi Twitter ha integrato gli hashtag nell’architettura di base del servizio, consentendo agli utenti di cercare esplicitamente questi termini per recuperare un elenco di tweet recenti su un argomento specifico.


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Oltre a trasmettere tweet a un pubblico di follower, gli utenti di Twitter interagiscono tra loro principalmente in due modi pubblici: retweet e menzioni. I retweet agiscono come una forma di approvazione, che consente alle persone di ritrasmettere il contenuto generato da altri utenti, aumentando così la sua visibilità. Le menzioni hanno una funzione diversa: consentono di rivolgersi direttamente a un utente specifico tramite il feed pubblico.

La natura a forma libera della piattaforma, combinata con le sue limitazioni di spazio hanno portato a un uso diversificato della piattaforma. Alcuni usano il servizio come forum per aggiornamenti personali e conversazioni, altri come piattaforma per ricevere e trasmettere notizie in tempo reale.

Negli ultimi anni Twitter è divenuta la piattaforma privilegiata per gli argomenti di politica. Infatti, la sua natura su larga scala e lo streaming rendono Twitter un ideale piattaforma per il monitoraggio degli eventi in tempo reale.

Lee e Oh (2012) hanno osservato che i messaggi dei politici su Twitter (inclusi autoriferimenti o contenuti aneddotici), contrariamente ai messaggi depersonalizzati (senza riferimenti personali, come ad esempio gli articoli di giornale), aumentano la credibilità del politico e le intenzioni di votare per lui. Kruikemeier (2014) ha trovato lo stesso effetto quando il politico accresce il livello di interazione con i propri followers.

Il successo di Twitter in politica è dovuto al fatto che i messaggi su Twitter devono essere necessariamente brevi e chiari, oltre al fatto che su questo social con facilità e senza grosse perdite di tempo è possibile interagire direttamente con i propri followers, aumentando così la loro attenzione e propensione al voto.

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Su Twitter, inoltre, possono essere studiati i tweet degli utenti che generano testi e informazioni basate sulla rete per prevedere l’orientamento politico di un gran numero di individui.

Vengono in particolare considerati i re-tweet, ma anche gli hashtag si rivelano molto interessanti per comprendere l’orientamento politico, oltre che i desideri di acquisto che possono orientare la pubblicità sul Web.

Una recente ricerca (Pew Research) sul pubblico americano ha mostrato che il 39% degli utenti con account pubblici ha twittato almeno una volta sulla politica nazionale (menzioni di politici, istituzioni o gruppi nazionali, nonché comportamenti civici come il voto).  I contenuti esplicitamente correlati a questi temi costituivano però solo il 13% di tutti i tweet analizzati nel corso dell’anno studiato.

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In una ricerca precedente  sempre sui contenuti di Twitter si è visto che una piccola quota di utenti produce la stragrande maggioranza dei contenuti relativi alla politica nazionale: il 97% dei tweet di adulti statunitensi che hanno menzionato la politica nazionale nel periodo di studio proveniva da appena il 10% degli utenti.

Dr. Giuliana Proietti

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Fonti:
file:///C:/Users/Sie/Downloads/Predicting_the_Political_Alignment_of_Twitter_User.pdf
Powerful Communication Style on Twitter: Effects on Credibility and Civic Participation, Comunicar, n. 47 v. XXIV, 2016 | Media Education Resesarch Journal | ISSN: 1134-3478; e-ISSN: 1988-3293

I Social
DPTS

Veterani e Disturbo Post Traumatico da Stress

Nel primo anno dal ritorno dall’Iraq, più di 22.000 veterani risulta abbiano cercato aiuto in una apposita linea telefonica per prevenire il suicidio. Gli ex soldati che hanno tentato il suicidio e sono stati salvati attraverso questo servizio sono stati 1221.

A soffrire del disturbo post traumatico da stress sembra sia un ex-soldato su cinque. Una ricerca della Portland State University ha scoperto che fra i veterani, la possibilità di uccidersi è doppia rispetto ad un uomo normale.

La hot line per aspiranti suicidi è stata lanciata nell’area di Washington. Il suo slogan è ‘ci vuole un coraggio da guerrieri per chiedere aiuto‘. La linea telefonica è una emanazione del National Suicide Prevention Lifeline, ed ha ricevuto 55.000 chiamate nel suo primo anno di vita, non solo direttamente dai veterani, ma anche da altre persone che sono ad essi in qualche modo legate.

Per questa linea telefonica sono stati spesi finora almeno $2.9 milioni, ma essa è considerata molto utile, perché riceve fino a 250 chiamate al giorno. Interpellano la hot line veterani di varie provenienze belliche: Iraq, Afghanistan, perfino Vietnam.

Si stima che circa 6.500 veterani all’anno si uccidano, in un modo o nell’altro, 18 al giorno, mentre a provarci senza riuscirci sono 12.000 l’anno.

A breve, si prevede un rientro massiccio dalle zone di guerra e dunque alla hot line hanno messo in preventivo 212 nuove assunzioni (N.d.B. … Avranno letto qualcosa sull’Iran in questi ultimi mesi?)

Per la cronaca, il numero da chiamare è 800-273-TALK (8255); i veterani devono premer l'”1″ dopo essersi connessi.

Speriamo non vi siano veterani fra i nostri lettori e, ancor meno, degli aspiranti suicidi, a prescindere dalla motivazione. Resta il fatto che anche chi è tornato incolume da una sporca guerra è in verità già morto, dentro.

Link: http://www.suicidepreventionlifeline.org/

Fonte: ABC News

Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona

I Social
peccatore

Il gay è un ‘peccatore’?

“Dobbiamo riconoscere che le nostre posizioni storiche sulle questioni sessuali stanno diventando incredibilmente distanti per un numero sempre maggiore di persone che appartengono alla nostra cultura e soprattutto ai nostri mezzi di informazione e cultura popolare,” ha detto Ed Stetzer, direttore del Southern Baptist Convention’s LifeWay Research team.

In una ricerca condotta la scorsa primavera su LifeWay i ricercatori hanno chiesto: pensi che il comportamento omosessuale sia un peccato? I risultati hanno mostrato che il 48 per cento degli americanio adulti ritengono che gli atti omosessuali siano peccaminosi, contro il 45% che non la pensa così.

Considerando il margine di errore, si tratta di un virtuale pareggio.

Tutto dipende dai banchi di chiesa che si frequentano: solo il 39% dei cattolici romani crede che gli atti sessuali fra persone dello stesso sesso siano peccaminosi, contro il 61% dei Protestanti e il 79% di coloro che si identificano nel credo evangelico dei ‘born again’, o cristiani fondamentalisti.

In un’altra ricerca simile (Pew Forum on Religion & Public Life) sono stati ottenuti gli stessi risultati. La domanda era: l’omosessualità è un modo di vivere che deve essere accettato o scoraggiato dalla società? Una domanda volutamente generica, non posta in termini strettamente politici o religiosi.

Anche qui si è ottenuto un sostanziale pareggio e ancora una volta si sono evidenziate differenze notevoli fra i vari gruppi religiosi: erano per accettare l’omosessualità il 79% degli ebrei americani, il 58% dei cattolici ed il 56% dei protestanti.

Da notare che solo il 39% dei rappresentanti delle chiese storiche dei neri, il 27% dei Musulmani e il 26% dei protestanti evangelici hanno accettato pubblicamente lo stile di vita omosessuale.

Conclusione: nella battaglia sociale per i diritti civili contano ancora, e molto, le pratiche religiose, che sono spesso alla base della scelta politica di votare per i conservatori o i progressisti.

Ciò non toglie che per i religiosi stessi sia diventato sempre più difficile conciliare i dettami della fede con i comportamenti della vita di oggi, a partire dal sesso prematrimoniale, al divorzio alla convivenza e all’adulterio.

Del resto anche chi predica bene finisce poi per razzolare male e questi esempi di vita sessuale non proprio limpida da parte dei rappresentanti del culto finiscono oggi per passare molto meno inosservati di quanto accadeva in passato.

Fonte: Daily Dispatch

Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona

Immagine:
Brockvicky, Flickr

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Più immigrati arrivano, più diminuisce la criminalità

“Dal punto di vista della sicurezza pubblica, ci sarebbero scarsi motivi per limitare l’immigrazione”: lo afferma Kristin Butcher, professore di economia presso il Wellesley College e co-autore di uno studio relativo all’immigrazione in California.

In California, gli immigrati costituiscono infatti circa il 35% della popolazione adulta (solo il 17% della popolazione carceraria adulta), come ha mostrato la relazione del Public Policy Institute of California (PPIC): sebbene sia dunque molto diffuso lo stereotipo secondo il quale criminalità e immigrazione siano strettamente correlate, i dati dimostrano che la criminalità in America è assai maggiore fra le comunità di persone ‘native’, che fra quelle immigrate.

Tra persone di età compresa fra i 18 ed i 40 anni – età nella quale è più probabile avere a che fare con la giustizia – chi è nato negli Stati Uniti ha la possibilità di finire in carcere con frequenza assai maggiore (rapporto di 1 a 10) rispetto a soggetti immigrati.

Quali sono i motivi? Sono state fatte molte ipotesi, fra cui quella che chi è da poco immigrato, specie se clandestino, non ha interesse ad attirare l’attenzione su di sé, oppure che gli immigrati di prima generazione siano meno propensi a commettere atti criminali, perché coltivano il sogno di una vita migliore.

La conferma di questa situazione arriva da un altro studio, condotto da un sociologo della Università di Harvard, Robert Sampson (lo studio è stato pubblicato sull’edizione invernale di Contexts magazine).

Sampson ha esaminato i dati relativi a immigrazione e criminalità della città di Chicago, studiando 180 quartieri con vari livelli di integrazione. Sampson e colleghi hanno preso in considerazione più di 3000 atti violenti commessi a Chicago fra il 1995 ed il 2003, analizzato i dati raccolti dalla polizia, oltre a censimenti e studi condotti sulle popolazioni immigrate.

Il sociologo è partito dall’ipotesi che gli immigrati avrebbero potuto commettere crimini più facilmente degli altri soggetti, anche perché vivono in comunità povere e disorganizzate.
E invece, Sampson ha scoperto che i luoghi dove la concentrazione di immigrazione è ai massimi livelli, presentano i più bassi livelli di criminalità della città di Chicago.

Il ‘paradosso latino’, così lo chiama Sampson, è quello secondo il quale la prima generazione di immigrati messicani ha il 45 % di possibilità in meno di commettere atti violenti rispetto a soggetti americani, immigrati di terza generazione. (Nella seconda generazione questo tasso scende al 22%).

Dice il sociologo: “Nelle aree più povere la presenza di immigrati sembra una sorta di ‘protezione’ contro la violenza. La violenza infatti è significativamente più bassa fra gli americani di origine messicana che tra soggetti nati in America, di razza bianca o nera.

Anche a New York e a Miami, città con un altissimo tasso di immigrazione, sono stati osservati fenomeni simili. .

Ma il risultato più difficile da accettare per un americano, che emerge chiaramente da questo studio è il seguente: “più si è esposti alla cultura americana, più si hanno possibilità di commettere atti violenti”.

Fonti:

Time
UPI

Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona

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