Tutto sulle ossessioni (o quasi)

Tutto sulle ossessioni (o quasi)

Tutto sulle ossessioni (o quasi)

Freudiana

GUARDA I VIDEO DI FREUDIANA SUL NOSTRO CANALE YOUTUBE

Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi ricorrenti e indesiderati che causano ansia o disagio. Spesso, queste ossessioni portano a comportamenti compulsivi nel tentativo di alleviare l’angoscia che provocano. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa è la nevrosi ossessiva?

Il termine nevrosi ossessiva (o nevrosi compulsiva ) indica una condizione in cui la mente del paziente viene invasa (contro la sua volontà) da immagini, idee o parole disturbanti.

La coscienza del paziente rimane tuttavia lucida e il suo potere di ragionare rimane intatto.

Come vengono vissute le ossessioni?

Le ossessioni incontrollabili sono vissute come morbose in quanto privano temporaneamente l’individuo della libertà di pensiero e di azione. A volte le difese possono eliminare l’ansia e i sintomi, ma al prezzo di spostare le caratteristiche dell’ossessione primitiva (incontrollabilità, compulsioni) sui meccanismi di difesa.

Quando Freud iniziò a parlare di nevrosi ossessiva?

L’opinione di Sigmund Freud sulla nevrosi ossessiva apparve già nel 1894. Nel libro “Le neuro-psicosi da difesa”, Freud ruppe con le concezioni della psichiatria classica e stabilì che la causa della nevrosi ossessiva era da ricercarsi nell’esistenza di un conflitto intrapsichico di origine sessuale che mobilita e blocca tutti i flussi di energia.

C’erano già altre teorie sulla nevrosi ossessiva?

Si e Freud si oppose con questa sua definizione alla teoria classica della degenerazione e all’idea di innata debolezza dell’ego che Pierre Janet aveva usato come base per la sua descrizione della psicastenia.

In cosa si caratterizzava la descrizione di Freud?

Freud propose un’eziologia traumatica per la nevrosi ossessiva; in particolare un evento sessuale precoce che si verifica prima della pubertà.

L’evento traumatico è il medesimo che può causare l’isteria?

Si, ma contrariamente a quanto accade nell’isteria, questo evento è fonte di piacere per il bambino. L’individuo prova forti sentimenti di colpa per cui arriva all’auto-rimprovero.

Psicolinea sempre con te
Dr. Giuliana Proietti - Tel. 347 0375949
Dr. Walter La Gatta  - Tel. 348 3314908

Come vengono gestiti questi sensi di colpa?

I sensi di colpa vengono anzitutto repressi e poi sostituiti da un sistema primario di sintomi e tratti di personalità: scrupolosità, vergogna, sfiducia in se stessi. Il successo di queste difese consente all’individuo di attraversare un periodo apparentemente sano, ma quando le difese si esauriscono si assiste a un ritorno dei ricordi repressi, con lo scoppio della malattia e i suoi sintomi associati.

Che altre differenze ci sono fra isteria e nevrosi ossessiva?

Ci sono differenze nella struttura del linguaggio utilizzato. Lo spiega Freud stesso in un passaggio dell’Uomo dei Topi:

«Il linguaggio della nevrosi ossessiva – i mezzi con cui esprime i suoi pensieri segreti – è, per così dire, solo un dialetto del linguaggio isterico, ma un dialetto in cui dovrebbe esser più facile immedesimarsi, poiché è più affine che non il linguaggio isterico al modo d’esprimersi del nostro pensiero cosciente. Soprattutto esso non contiene quel salto psichico dell’innervazione somatica – la conversione isterica – di cui non riusciamo mai a farci un concetto»

(S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. Caso clinico dell’uomo dei topi, Opere)

Quali sono le maggiori differenze fra nevrosi ossessiva e psicosi?

Diversi fattori presenti nelle nevrosi ossessiva mancano nella psicosi: auto-recriminazione da parte dell’ego, aderenza a preoccupazioni insistenti e dispiegamento di difese elaborate. Nel paziente ossessivo, l’isolamento affettivo consente all’ego di staccarsi dal desiderio, mentre nella psicosi l’ego è estraneo alla realtà.

Da cosa dipende la nevrosi ossessiva?

In “La disposizione alla nevrosi ossessiva: un contributo al problema della scelta della nevrosi” (1913), Freud ha difeso l’idea che la scelta di questa nevrosi è legata alle inibizioni dello sviluppo, e ha sottolineato il ruolo della fissazione e della regressione allo stadio anale.

Quali sono i principali meccanismi di difesa nella nevrosi ossessiva?

In “Inibizione, sintomo e angoscia” (1925), Freud ha descritto i principali meccanismi di difesa che caratterizzano la nevrosi ossessiva: spostamento dell’affetto, isolamento, annullamento retroattivo e,  dal punto di vista pulsionale ambivalenza, fissazione anale, regressione.

L’annullamento Ungeschehenmachen ), significa fare si che qualcosa che è già accaduto “non sia accaduto” per mezzo di un’azione simbolica; si trova anche in pratiche magiche, costumi popolari e rituali religiosi.

L’isolamento, coinvolge la sfera motoria e consiste nel fatto che, dopo un evento spiacevole c’è una pausa durante la quale nessuna percezione è possibile e nessuna azione può avere luogo. L’isolamento permette una rottura nella connessione dei pensieri.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

YouTube player

Al di fuori della psicoanalisi, nella moderna psichiatria, come viene affrontato il problema della nevrosi ossessiva?

In psichiatria si parla di disturbo ossessivo compulsivo (DOC); un disturbo psichiatrico caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni.

Nelle precedenti edizioni del DSM (il manuale diagnostico e statistico degli psichiatri americani pubblicato dall’APA) questo disturbo era inserito nei disturbi d’ansia, ma nel DSM-5 (2013)  il DOC è stato inserito in una nuova categoria, che comprende disturbo ossessivo compulsivo, disturbo da dismorfismo corporeo, disturbo da accumulo, disturbo da escoriazione e tricotillomania.

Quali sono i sintomi?

I  sintomi riguardano le ossessioni e le compulsioni.

Ossessioni

  • paura dello sporco,
  • fobia di  contaminazione,
  • dubbi frequenti su azioni abituali 
  • bisogno di ordine e simmetria 
  • paura di perdere il controllo o fare del male (a se stessi o ad altri)
  • pensieri di tipo blasfemo.

Compulsioni (comportamenti agiti per controllare le ossessioni)

  • lavarsi o disinfettarsi frequentemente le mani
  • controllare oggetti o persone
  • mettere in ordine
  • contare oggetti
  • pensieri “magici” che allontanano il pericolo

Quale è la frequenza del DOC?

Il disturbo ossessivo compulsivo colpisce, nell’arco della vita, circa il 2-3% della popolazione. In genere il 90% di chi soffre di DOC presenta sia ossessioni che compulsioni.

Quando si cominciano a notare i primi sintomi?

Il disturbo ossessivo compulsivo esordisce, frequentemente, in età adolescenziale.

Una Conferenza sulla Paura

YouTube player

Quali sono le cause?

Ad oggi non esistono risposte certe, è comunque probabile che esistano cause predisponenti, cause precipitanti e fattori in grado di mantenere nel tempo il disturbo. Non è possibile rifarsi ad una singola causa.

Quali sono le terapie?

Ad oggi la migliore terapia sul piano psicologico è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, con tecniche di esposizione allo stimolo, e tecniche di rilassamento. Le cure farmacologiche  sono quelle che hanno effetti sul sistema serotoninergico. In particolare molti SSRI hanno dimostrato di essere efficaci nel trattamento del DOC.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

YouTube player

 

Psicolinea 20+anni di attività

A14

Immagine
Freepik

I Social
Gli psicopatici: chi sono?

Gli psicopatici: chi sono?

Gli psicopatici: chi sono?

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

YouTube player

ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE
 

Tariffe Psicoterapia

La psicopatia rappresenta, ancora oggi, una sfida complessa sia per i professionisti della salute mentale, che non hanno ancora compreso a pieno questa malattia, sia per la società in generale, che è spesso interessata ai comportamenti messi in atto da questi soggetti. Cerchiamo allora di saperne di più. Cos’è la psicopatia? La psicopatia è un disturbo di personalità caratterizzato da una serie di tratti caratteristici. Le persone con psicopatia, per definizione, hanno soprattutto problemi a comprendere le emozioni degli altri, il che spiega, almeno in parte, perché essi siano individui profondamente egoisti, che ignorano il diritto al benessere degli altri e che possono commettere crimini violenti con una frequenza tre volte maggiore di quanto accade per altre persone.

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

YouTube player

Gli psicopatici possono essere affascinanti? Si, ma occorre ricordarsi che essi usano queste qualità per manipolare e sfruttare gli altri. Quali sono i comportamenti tipici degli psicopatici? Gli psicopatici possono mostrare vari comportamenti, tra cui:
  • Usare il loro fascino e la loro intelligenza per controllare e influenzare le persone.
  • Mentire frequentemente e senza scrupoli per ottenere ciò che vogliono.
  • Non provare sensi di colpa o rimorsi per le loro azioni, anche quando causano danno agli altri.
  • Prendere decisioni rapide e avventate senza considerare le conseguenze.
  • Violare frequentemente le norme sociali e legali.
Qual è l’eziologia della psicopatia? L’eziologia della psicopatia riguarda una combinazione di fattori genetici, biologici, e ambientali:
  • Fattori genetici: La psicopatia può essere ereditaria, con una predisposizione genetica.
  • Fattori biologici: Anomalie cerebrali, come alterazioni nella corteccia prefrontale e nell’amigdala, sono state associate alla psicopatia. Queste aree del cervello sono coinvolte nella regolazione delle emozioni e nel controllo degli impulsi. Le scansioni del cervello, fatte con la risonanza magnetica, mostrano che i soggetti con diagnosi di psicopatia non hanno attività cerebrale nelle fibre che collegano il lobo frontale e il sistema limbico. Inoltre, anche nel sistema limbico si registrano delle irregolarità nel funzionamento.
  • Fattori ambientali: Esperienze di abuso, negligenza, o traumi durante l’infanzia possono contribuire allo sviluppo di tratti psicopatici.
Quanto è diffusa la psicopatia? Nella società ci sono molti soggetti che hanno tratti psicopatici di personalità, ma purtroppo ci si accorge di essere di fronte a uno psicopatico solo quando questi soggetti commettono dei reati.

Dr. Walter La Gatta

Come si diagnostica la psicopatia? La diagnosi di psicopatia viene spesso effettuata utilizzando strumenti psicometrici come la Psychopathy Checklist-Revised (PCL-R) sviluppata da Robert Hare. Questo strumento valuta una serie di tratti e comportamenti associati alla psicopatia attraverso interviste e revisione dei precedenti comportamentali del soggetto. Quali trattamenti sono disponibili per la psicopatia? Trattare la psicopatia è particolarmente difficile, data la natura del disturbo. Tuttavia, alcuni approcci possono includere:
  • Psicoterapia : può aiutare a migliorare il controllo degli impulsi e a ridurre comportamenti antisociali. Per quanto riguarda i trattamenti psicoterapeutici, sembra provato che tutti sono più o meno efficaci, l’unico sistema da evitare è quello della terapia di gruppo, la quale non solo è inefficace in questi casi, ma può essere anche controproducente.
  • Interventi farmacologici: alcuni farmaci possono essere utilizzati per gestire sintomi specifici come l’aggressività o l’ansia, ma non esiste una cura farmacologica specifica per la psicopatia. Infatti, se anche si riuscisse a regolare il sistema delle emozioni, come si fa a restituire a questi soggetti quella moralità che non hanno mai avuto?
  • Programmi di riabilitazione: in contesti carcerari, alcuni programmi di riabilitazione mirano a ridurre i comportamenti antisociali e a promuovere l’integrazione sociale.
Qual è la prognosi per gli psicopatici? La prognosi per gli psicopatici varia, ma in generale, il disturbo tende a essere persistente e difficile da trattare. Gli individui con psicopatia spesso continuano a manifestare tratti e comportamenti disfunzionali nel tempo. Tuttavia, interventi mirati possono aiutare a gestire alcuni aspetti del disturbo e a migliorare il funzionamento sociale. Perché non è molto corretto parlare di psicopatia? Sebbene il termine sia comune nel linguaggio parlato, si dovrebbe sostituire al termine “psicopatico” il termine “sociopatico”, che si riferisce a una persona con tendenze antisociali ascrivibili a fattori sociali o ambientali. I tratti psicopatici, infatti, sono più interni e quindi più difficilmente diagnosticabili. Come è descritta la psicopatia nel DSM5? Nel DSM5 la psicopatia non è una diagnosi a se stante. Nel disturbo antisociale di personalità è stato però aggiunto lo specificatore della psicopatia. La diagnosi è dunque al momento la seguente: “disturbo antisociale di personalità con tratti psicopatici”. Dr. Walter La Gatta

Psicolinea

Terapeuti di Psicolinea:
Dr. Giuliana Proietti - Tel. 347 0375949
Dr. Walter La Gatta  -   Tel. 348 3314908

Immagine Wallpaper
I Social
La vita emotiva dei pazienti di Alzheimer

La vita emotiva dei pazienti di Alzheimer

La vita emotiva dei pazienti di Alzheimer

Psicolinea

Terapeuti di Psicolinea:
Dr. Giuliana Proietti - Tel. 347 0375949
Dr. Walter La Gatta  -   Tel. 348 3314908

Seppure i pazienti con il morbo di Alzheimer potrebbero non ricordare quando vengono visitati dai loro cari, ciò ha un profondo effetto su come essi si sentono, come dimostra un nuovo studio.

Lo studio ha mostrato a delle persone con malattia di Alzheimer dei video clip con contenuti sia allegri, sia tristi, della durata di circa 20 minuti, osservando poi i loro stati emotivi (Guzmán-Vélez et al., 2014).

Lo stesso è stato fatto per un gruppo di adulti sani.

Cinque minuti dopo, tutti i partecipanti hanno svolto un test di memoria per vedere se potevano ricordare il video che avevano appena visto.

Come ci si aspettava, i malati di Alzheimer ricordavano significativamente meno delle clip che avevano appena visto, rispetto al gruppo sano.

Infatti, quattro dei 17 pazienti non riuscivano a ricordare un solo fatto visto nelle clip e un paziente non si ricordava neanche di aver visto tutte le clip dei film, nonostante il fatto che erano trascorsi solo cinque minuti.

Pur non essendo in grado di ricordare di aver visto i video, essi erano tuttavia più felici (o tristi, a seconda delle clip che avevano visto) anche 30 minuti dopo.

Sorprendentemente, quando i pazienti ricordavano di meno circa i videoclip tristi, il loro sentimento di tristezza durava più a lungo.

Psicolinea for open minded people

Edmarie Guzmán-Vélez, autrice principale dello studio, ha detto:

“Questo conferma che la vita emotiva di un malato di Alzheimer è viva e vegeta.”

Sottolinea inoltre l’importanza di generare emozioni positive quando si visitano i pazienti con il morbo di Alzheimer.

Guzmán-Vélez ha proseguito:

I nostri risultati dovrebbero responsabilizzare gli operatori sanitari, mostrando loro che le loro azioni verso i pazienti contano realmente . Frequenti visite e interazioni sociali, esercizio fisico, musica, danza, barzellette, e servire i cibi da loro preferiti sono tutte cose semplici che possono avere un impatto emotivo duraturo sulla qualità della vita del paziente e sul suo benessere soggettivo. “

Dr. Jeremy Dean
Articolo originale:
What Alzheimer’s Patients Feel After Their Memories Have Vanished, PsyBlog

Traduzione autorizzata, a cura di psicolinea.it

Immagine:
Pexels

Psicolinea 20+anni di attività

A27/A6

I Social
Le nuove sette malattie del DSM-5

Le nuove sette malattie del DSM-5

Le nuove sette malattie del DSM-5

PSICOTERAPIA SESSUOLOGIA ONLINE
Anche su Instagram!


ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE


Articolo datato

E’ in uscita il nuovo DSM. La quinta e più recente revisione del manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, o DSM-5, è ricca di novità, il che significa che contiene nuove malattie, di cui presto sentiremo parlare.

La nuova versione del manuale dovrebbe essere pubblicata nel maggio 2013. Ecco le sette malattie che dovrebbero essere incluse nella nuova edizione:

Terapia di coppia onlineINIZIA SUBITO UNA TERAPIA DI COPPIA ONLINE
CON LA DOTT.SSA GIULIANA PROIETTI
Terapia online, Individuale e di Coppia
 Tel. 347 0375949
Telefona o usa whatsapp
ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE

Disturbo ipersessuale

Questo disturbo prevede fantasie sessuali ricorrenti e intensi impulsi e comportamenti sessuali, che durano da almeno sei mesi. Gli estensori del manuale dicono che molte persone mostrano di avere comportamenti sessuali
“ricorrenti” e “fuori controllo”, anche se non sono di per sé socialmente devianti, come la pedofilia o il feticismo, che sono già inclusi nel DSM.

Altri sintomi di iper-sessualità comprendono il trascorrere troppo tempo su fantasie o comportamenti sessuali, o sperimentare un pensiero o un comportamento sessualmente eccessivo in risposta agli eventi stressanti della vita. Chi vive questa situazione cerca di controllare il proprio comportamento ma senza successo. Detto in altre parole, la sex addiction sta diventando ufficialmente una malattia: finora era una condizione psicologica riconosciuta, ma non ancora codificata nel manuale e dunque non ufficialmente una “malattia” (per la verità molti pensano che non esista e che sia difficile stabilire una differenza certificata fra il “molto” e il “troppo”).

PER APPUNTAMENTI
Telefona o usa Whatsapp
347 0375949

Disturbo disforico premestruale

Anche questa è una sindrome abbastanza conosciuta, quella pre-mestruale, con la quale ormai uomini (come osservatori) e donne (come soggetti che ne soffrono) hanno una certa familiarità. Il disturbo comporta sbalzi d’umore, tensione mammaria, desiderio di mangiare, affaticamento, irritabilità e depressione, nel periodo precedente le mestruazioni. Anche questa potrebbe diventare dunque una malattia vera e propria: un’arma a doppio taglio per le donne, che possono vedersi riconosciuto uno stato di malessere in certi giorni, ad esempio sul posto di lavoro, ma che potrebbero essere per questa ragione discriminate rispetto ad un collega uomo.

Binge Eating Disorder (disturbo da alimentazione incontrollata)

Il “binge eating disorder” riguarda il mangiare una quantità di cibo che è più grande di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe in un determinato periodo di tempo, in circostanze simili. Inoltre, una persona che soffre di questo disturbo sente di non avere alcun controllo sul cibo che ingerisce.

Il disturbo è di natura compulsiva. Ad esempio, mangiare fino a sentirsi male, per la grande quantità di cibo ingerito, anche senza avere fame. Questi episodi devono avvenire almeno una volta alla settimana per tre mesi. Differenza fra questo nuovo disturbo alimentare e la anoressia e bulimia dipende dal fatto che in questo caso non c’è vomito. Insomma, l’amico mangione che non perde occasione per farsi delle grandi abbuffate potrebbe essere interessato a questo disturbo.

YouTube player

Clinica della Coppia

Disturbo post traumatico da stress in età pre-scolare

Il DPTS è stato incluso nel DSM nel 1980, e nel 1987 il manuale per la prima volta ha parlato di questo tipo di trauma nei bambini. Nel DSM-5 si desidera dunque discriminare fra i vari disturbi, a seconda dell’età del bambino.

Possono soffrire di questo disturbo ad esempio i bambini sotto i 6 anni che sono stati esposti alla morte, reale o minacciata, a livello personale o semplicemente come testimoni, oppure essere stati interessati (o testimoni) di lesioni o violenza sessuale, reale o minacciata. I bambini con questo disturbo potrebbero evitare situazioni che ricordano loro il trauma, isolarsi socialmente, avere difficoltà nella concentrazione o essere particolarmente irritabili.

Disturbo di apprendimento

Attualmente, non esiste una categoria del DSM per i disturbi generali di apprendimento. Gli esperti dicono che gli studenti con questo disturbo hanno difficoltà di apprendimento delle competenze di base scolastiche, o che le competenze acquisite non sono coerenti con l’età, le opportunità educative e le capacità intellettuali.

Questi disturbi interferiscono con l’apprendimento della lingua orale, della lettura, del linguaggio scritto o della matematica e colpiscono bambini non ritardati, ma che hanno una abilità media per il pensiero e il ragionamento.

Seguici su YouTube Psicolinea Channel

Sindrome da cessazione di uso di cannabis

Del periodo successivo alla cessazione dell’uso di sostanze, tra cui alcol e cocaina, si parla già nel DSM, ma ora si vuole includere anche la cessazione dell’uso di marijuana. Dopo la cessazione dell’uso di questa sostanza si possono osservare di cambiamenti fisici causati dalla rimozione della sostanza dal corpo: irritabilità, rabbia o aggressività, nervosismo o ansia, insonnia, diminuzione dell’appetito o perdita di peso, irrequietezza. Questi sintomi causano disagio significativo o compromissione in aree importanti della realtà sociale e professionale, oltre che in altre aree.

Hoarding Disorder (in italiano disposofobia o accumulo patologico o accaparramento compulsivo)

Il disturbo identifica le persone che hanno un bisogno intenso di accumulare grandi quantità di oggetti, al di là di ogni ragionevole necessità per loro, di solito nella misura in cui lo spazio disponibile nelle loro case e nei loro posti di lavoro viene gravemente compromesso.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

YouTube player

 

Fonte:
Hypersex to Hoarding: 7 New Psychological Disorders, Health news

Immagine:
Disposofobia, Wikimedia

Terapia di Coppia

A41/A1

quale colore ti rappresenta di più?

Quale colore ti rappresenta di più? – Test

QUALE COLORE TI RAPPRESENTA DI PIU'? I colori parlano di noi, della nostra personalità, della nostra vita, di quello che ...
Freud e la fuga dall'Austria nazista

Freud e la fuga dall’Austria nazista

Freud e la fuga dall'Austria nazista Due giorni dopo l’Anschluss del 1938, un gruppo di camicie nere naziste fece irruzione ...

I Social
La malattia di Alzheimer: che cos'è

La malattia di Alzheimer: che cos’è

La malattia di Alzheimer: che cos’è

PSICOTERAPIA SESSUOLOGIA ONLINE
Anche su Instagram!


ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE

L’Alzheimer (detto anche morbo di Alzheimer, demenza senile di tipo Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo Alzheimer) è una malattia degenerativa e  irreversibile,  che distrugge lentamente la memoria e le capacità di pensiero, impedendo a chi ne soffre di svolgere anche i compiti più semplici. Nella maggior parte delle persone affette da Alzheimer, la comparsa dei sintomi arriva dopo i 60 anni.

La malattia di Alzheimer è la causa più comune di demenza tra gli anziani. La demenza consiste nella perdita delle funzioni cognitive: pensare, ricordare, ragionare, ecc. il che interferisce pesantemente con le attività svolte nella vita quotidiana. La  demenza degenerativa si manifesta in vari stadi: da qualche semplice dimenticanza, fino alla sua fase più grave, quando la persona comincia a dipendere completamente dagli altri, per le attività di base della vita quotidiana. Il decorso è lento, con una durata media di 8-10 anni dalla comparsa dei sintomi.

La malattia di Alzheimer prende il nome dal Dr. Alois Alzheimer ( 1864-1915 psichiatra e neuropatologo tedesco, nella foto). Nel 1906, il dottor Alzheimer notò dei cambiamenti nel tessuto cerebrale di una donna morta di una insolita malattia mentale. I suoi sintomi riguardavano soprattutto la perdita di memoria, problemi di linguaggio, e un comportamento imprevedibile. Dopo la sua morte, esaminando il suo cervello, il ricercatore scoprì molte macchie anomale (ora chiamate placche amiloidi) e fasci di fibre aggrovigliate (che ora si chiamano ammassi neurofibrillari). Placche e ammassi neurofibrillari nel cervello sono due delle caratteristiche principali della malattia di Alzheimer. La terza è la perdita delle connessioni tra cellule nervose (neuroni) nel cervello.

YouTube player

Clinica della Coppia

Cambiamenti nel cervello dovuti alla malattia di Alzheimer

Anche se ancora non si sa con precisione quando inizi la malattia di Alzheimer, sembra sempre più probabile che i danni al cervello inizino circa un decennio prima della loro manifestazione. Durante la fase pre-clinica della malattia di Alzheimer, la persona non presenta sintomi, anche se nel suo cervello sono già in atto dei cambiamenti.  I neuroni vengono progressivamente distrutti da una sostanza, detta   beta-amiloide, una proteina che, depositandosi tra i neuroni, agisce come una sorta di collante, inglobando placche e grovigli “neurofibrillari”. La malattia è accompagnata anche da una forte diminuzione di acetilcolina nel cervello (un neurotrasmettitore, che permette la comunicazione tra neuroni). La conseguenza di queste modificazioni cerebrali determina l’impossibilità, per i neuroni, di trasmettere gli impulsi nervosi, e quindi la loro morte, con conseguente atrofia progressiva del cervello nel suo complesso ed in particolare nell’ ippocampo (struttura encefalica che svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nei processi di memorizzazione; perciò la distruzione dei neuroni in questa zona è la causa principale della perdita di memoria dei malati di Alzheimer).

Sintomi

Le prime fasi della malattia di Alzheimer possono essere annunciate da problemi di orientamento spaziale, difficoltà di memoria (ad esempio, non ricordarsi cosa si è mangiato a pranzo, cosa si è fatto durante il giorno, ecc.), di giudizio (incapacità di affrontare problemi semplici). Poi, man mano, il deficit aumenta e si dimenticano fatti importanti della propria vita o eventi pubblici del passato. Frequenti sono anche alterazioni della personalità:  la persona appare meno interessata ai propri hobby o al proprio lavoro. Talvolta l’inizio della malattia è contrassegnato dalla sospettosità nei confronti di altre persone, accusate di sottrarre oggetti o cose che il malato non sa trovare.

Ad alcuni soggetti con problemi di memoria viene diagnosticato un deterioramento cognitivo lieve (MCI, dall’ inglese: mild cognitive impairment, detto anche “demenza incipiente”).  Queste persone presentano problemi di memoria maggiori del normale, rispetto ai loro coetanei, ma i sintomi non sono così gravi come quelli osservati nei soggetti con malattia di Alzheimer: si tratta solo di un leggero calo di prestazioni in diverse funzioni cognitive, in particolare quelle legate alla memoria, all’orientamento spaziale o alle capacità verbali. Le persone con deterioramento cognitivo lieve non hanno difficoltà a svolgere le normali attività quotidiane. Molti di questi soggetti però svilupperanno in seguito il morbo di Alzheimer.

Malattia di Alzheimer: fasi

A una prima fase lieve, fa seguito una fase intermedia, e quindi la fase avanzata/severa; il tempo di permanenza in ciascuna di queste fasi è variabile da soggetto a soggetto, e può in certi casi durare anche diversi anni. Con il progredire della malattia di Alzheimer si osservano ulteriori cali nella memoria e cambiamenti in altre abilità cognitive. I problemi possono includere, ad esempio, il perdersi, la difficoltà a gestire il denaro o a pagare le bollette, il ripetere sempre le stesse domande, l’impiegare più tempo per completare le normali attività quotidiane, la scarsa capacità di giudizio e  alcuni cambiamenti nel tono dell’umore o nella personalità.

Nello stadio intermedio  il danno si verifica in aree del cervello che interessano il linguaggio, il ragionamento, l’elaborazione sensoriale e il pensiero cosciente. La perdita della memoria è progressiva ed i malati iniziano ad avere problemi di riconoscimento dei familiari e degli amici. Essi non possono più imparare cose nuove, svolgere mansioni che comportano più passaggi (come vestirsi), o far fronte a situazioni nuove. Possono avere allucinazioni, deliri, o paranoia, e possono comportarsi in modo impulsivo.

Le persone con Alzheimer di grado severo non sono in grado di comunicare e sono completamente dipendenti dagli altri. Si osserva una perdita totale della capacità di parlare e capire. Il soggetto diviene totalmente incapace di riconoscere i propri familiari, di compiere gli atti quotidiani della vita come vestirsi, mangiare, lavarsi, riconoscere i propri oggetti personali e la propria casa. Il movimento è ormai totalmente compromesso fino all’allettamento. Non vi è più alcun controllo sfinterico.


Terapie online, ovunque tu sia
Dr. Giuliana Proietti - Tel. 347 0375949

Quali sono le cause dell’Alzheimer

Gli scienziati non hanno ancora ben compreso da cosa dipenda la malattia di Alzheimer, ma è oggi sempre più evidente che essa si sviluppa a causa di una serie complessa di eventi che hanno luogo nel cervello per un lungo periodo di tempo. La causa più probabile sembra essere l’alterazione del metabolismo di una proteina, detta APP (proteina precursore di beta amiloide) che per ragioni ancora sconosciute, ad un certo punto comincia ad essere metabolizzata in modo alterato, portando alla formazione di una sostanza neurotossica (la beta amiloide), la quale si accumula lentamente nel cervello portando a morte neuronale progressiva. L’alterazione del metabolismo potrebbe avere a sua volta varie cause: genetiche, ambientali e/o dipendenti dallo stile di vita. Poiché le persone differiscono nel loro patrimonio genetico e nello stile di vita, questi fattori aumentano o diminuiscono il rischio di sviluppare l’Alzheimer  da persona a persona.

Genetica

L’esordio precoce del morbo di Alzheimer è una forma rara della malattia. Esso si verifica fra i 30 e i 60 anni e rappresenta meno del 5 per cento di tutte le persone che hanno la malattia di Alzheimer. La maggior parte dei casi di insorgenza precoce di Alzheimer riguarda la familiarità (in genere ci si ammala di Alzheimer dopo i 60 anni). Maggiore è il numero di persone affette da Alzheimer nella stessa famiglia e maggiore è la probabilità che la malattia abbia una causa ereditaria. Se l’esordio della malattia è precoce, è possibile che all’origine vi sia una causa genetica.

Diagnosi della malattia di Alzheimer

La malattia di Alzheimer può essere diagnosticata con certezza solo dopo la morte, con l’analisi istologica del cervello. Nel cervello possono essere osservati assemblamenti di proteina tau e beta amiloide  (placche e gomitoli neurofibrillari). Vi sono tuttavia diversi metodi e strumenti per determinare con sufficiente precisione se una persona che presenta problemi di memoria soffra effettivamente del morbo di Alzheimer.  Secondo i criteri clinici (NINCDS-ADRDA) per la diagnosi di malattia di Alzheimer devono esservi in particolare:
–  compromissioni in almeno due degli otto ambiti funzionali:  memoria, linguaggio, abilità percettiva, attenzione, abilità costruttiva, orientamento, risoluzione dei problemi e capacità funzionali.
– peggioramento progressivo della memoria e di altre funzioni cognitive
– compromissione delle attività quotidiane ed alterate caratteristiche di comportamento.
– familiarità positiva per analoghi disturbi
– esordio tra i 40 e i 90 anni, più spesso dopo i 65
– assenza di patologie sistemiche o di altre malattie cerebrali responsabili di deficit cognitivi e amnesici di tipo progressivo.

Tecniche diagnostiche

Per la diagnostica nei casi di Alzheimer vengono usati diversi test di screening neuropsicologico che valutano diverse funzioni e competenze cognitive, come il saper copiare facili disegni, ricordare parole, leggere e sottrarre numeri in serie.

Il Mini Mental State Examination (MMSE), è un test utilizzato per valutare i vari disturbi cognitivi. L’esame neurologico nelle prime fasi della malattia solitamente presenta risultati normali, fatta eccezione per evidenti deficit cognitivi che non differiscono però da quelli derivanti da altre malattie di tipo demenziale.

E’ inoltre importante il colloquio con i familiari del paziente: il punto di vista di chi assiste il malato è infatti particolarmente importante, dato che una persona con Alzheimer è spesso inconsapevole del suo deficit.

Un altro indicatore oggettivo delle prime fasi della malattia è l’analisi del liquido cerebrospinale per la ricerca di beta-amiloide o di proteine tau. La ricerca di queste proteine è in grado di prevedere l’insorgenza del morbo di Alzheimer con una sensibilità compresa tra il 94% e il 100%. A questo si possono oggi aggiungere le moderne tecniche di neuroimaging.

Vanno poi fatti dei test per escludere che si possa trattare di altre malattie, come disturbi del sonno, morbo di Parkinson, depressione, effetti collaterali dei farmaci e altre patologie che possono essere curabili e che sono reversibili.

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

YouTube player

Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE

Importanza della diagnosi precoce

Ricevere una diagnosi precoce aiuta le famiglie a pianificare il futuro e a decidere su importanti questioni finanziarie e legali, così come a sviluppare reti di sostegno, che potranno essere utili con l’avanzare della malattia.

Il mantenimento della funzione mentale

Gli  attuali trattamenti si concentrano nell’aiutare le persone a mantenere le funzioni mentali e a gestire i tipici sintomi comportamentali della malattia (insonnia, agitazione, vagabondaggio, ansia, rabbia e tendenza alla depressione), in modo da rallentare il progredire della malattia. I farmaci agiscono regolando i neurotrasmettitori (sostanze chimiche che trasmettono i messaggi tra i neuroni). Essi possono aiutare a mantenere il pensiero, la memoria, e la capacità di parlare. Tuttavia, questi farmaci non modificano il processo patologico sottostante, sono efficaci per alcuni, ma non per tutti e, soprattutto, possono aiutare solo per un periodo di tempo limitato.

Il sostegno alle famiglie che si prendono cura di un malato di Alzheimer

Prendersi cura di una persona con malattia di Alzheimer può comportare elevati costi fisici, emotivi e finanziari. Le richieste delle cure giorno per giorno, i ruoli familiari che cambiano, le decisioni difficili circa la collocazione del malato in una struttura di assistenza possono essere difficili da prendere e da gestire.

E’ importante essere informati sulla malattia, in particolare conoscerne le varie fasi e le migliori strategie per trattare il malato. Fondamentale è costruire una rete sociale e familiare di sostegno per gestire lo stress. Ad esempio, partecipare ad un gruppo di sostegno può consentire ai familiari di sentirsi meno sotto pressione, in quanto in questi gruppi è possibile esprimere le proprie  preoccupazioni, condividere le esperienze, ottenere dei consigli, e ricevere conforto emotivo. Le reti di supporto possono essere particolarmente utili  quando i caregivers si trovano ad affrontare la difficile decisione relativa al se e quando ricoverare una persona cara, malata di Alzheimer, in una casa di cura. Oggi questi gruppi possono essere trovati anche via Internet.

Una Conferenza sulla Paura

YouTube player

Come comportarsi col malato

E’ necessario che il familiare si renda conto che il proprio caro affetto da demenza non è più in grado di recepire e decodificare correttamente quanto gli viene detto. E’ importante dunque adattare continuamente, con elasticità e sensibilità, le proprie modalità comunicative in rapporto alle capacità di comprensione del malato. Si deve soprattutto tener presente che pretendere dal malato di Alzheimer comportamenti che non è più in grado di mettere in atto è molto frustrante per lui ed è anche controproducente. Sottolineare ciò che la persona era in grado di fare ma che ora non riesce più a portare a termine, oppure imputare il fallimento a mancanza di volontà o di impegno provoca inutile sofferenza e acuisce la depressione e il disorientamento.

Miglioramento della comprensione della malattia

Trenta anni fa si sapeva molto poco della malattia di Alzheimer. Da allora, la scienza ha fatto importanti progressi. Molti scienziati e medici stanno oggi lavorando insieme per comprendere i fattori genetici, biologici e ambientali che, nel corso degli anni, producono la malattia di Alzheimer. Speriamo che in futuro essa possa essere diagnosticata e curata in tempo, prima che provochi i suoi effetti distruttivi sul cervello.

Prevenzione

La ricerca suggerisce che, al di là della base genetica, altri fattori  potrebbero giocare un ruolo nello sviluppo e nel decorso della malattia di Alzheimer. Vi è un grande interesse, ad esempio, nello studio della relazione tra declino cognitivo e condizioni vascolari e metaboliche, come malattie cardiache, ictus, ipertensione, diabete e obesità. La comprensione di queste relazioni e la loro sperimentazione in studi clinici ci aiuterà a capire se ridurre i fattori di rischio per queste patologie possa aiutare a prevenire il morbo di Alzheimer. Al momento, per ridurre il rischio di declino cognitivo, la ricerca ha dimostrato che è importante seguire una dieta sana, fare attività fisica, avere frequentazioni sociali e impegnarsi in compiti stimolanti, che possano aiutare le persone a rimanere in buona salute, nonostante l’età avanzata.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

YouTube player

 

Fonti principali:
Alzheimer’s Disease Fact Sheet, nia/nih
www.centroalzheimer.org

Immagine:
Pxhere

Psicolinea Facebook

A35/A15

I Social