Psicoterapeuta Sessuologo Dr. Walter La Gatta

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Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Come iniziare una Psicoterapia con il Dr. Walter La Gatta: informazioni pratiche

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Visita il Sito: www.walterlagatta.it

Comprendere e accogliere se stessi è un percorso delicato, e il mio obiettivo è guidarti con sensibilità e competenza, creando insieme un cammino che rispetti le tue necessità e i tuoi obiettivi personali.

Lo studio è uno spazio in cui tu sei al centro: ogni percorso terapeutico è unico, e la mia priorità è quella di creare un approccio che risponda alle tue specifiche esigenze. Attraverso un ascolto empatico e metodi basati su evidenze scientifiche, utilizzo gli strumenti e le strategie che possano aiutarti a raggiungere il benessere e una maggiore consapevolezza di te.

IL TERAPEUTA

Il Dr. Walter La Gatta si è laureato in psicologia a Padova, svolge la libera professione di psicoterapeuta e sessuologo.

Specializzato in sessuologia clinica presso il CIS di Bologna, è Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia, per le regioni Marche Abruzzo e Molise ed è membro della SIAMS (Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità) e della FISS (Federazione Italiana Sessuologia Scientifica) . Per interesse personale, ha conseguito una seconda laurea in sociologia a Urbino.

Svolge la sua attività nelle città di Ancona, Civitanova Marche, Fabriano e Terni e lavora molto anche online.

Ultimo libro pubblicato: “Come vivere bene anche se in coppia”, pubblicato da Franco Angeli.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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LE TERAPIE

La psicoterapia è un percorso di crescita e supporto psicologico che aiuta a gestire ansia, stress, difficoltà emotive e relazionali. Attraverso tecniche e metodi personalizzati, la psicoterapia offre strumenti per comprendere e migliorare se stessi, favorendo il benessere mentale e un equilibrio duraturo nella vita quotidiana.

Le terapie sono rivolte a persone di tutte le età, sia a livello individuale, sia familiare, sia di coppia.

I punti di forza del mio studio professionale sono i seguenti:

  •  Lunga esperienza clinica,
  • Contatto diretto con i pazienti sin dalla prima telefonata, senza filtri, né segreterie,
  • Possibilità di parcheggio libero in prossimità dello studio,
  • Discrezione
  • Prezzi contenuti.

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Lo studio di psicoterapia si occupa in particolare di:

  • Trattamento di timidezza, ansia, fobie sociali e attacchi di panico;
  • Crisi di coppia, tradimenti, matrimoni bianchi, incomprensioni;
  • Disfunzioni sessuali: vaginismo, disfunzione erettile, eiaculazione precoce, anorgasmia, calo del desiderio, ecc.
  • Tecniche di rilassamento e ipnosi (ansia da prestazione, ansia sociale, ansia sessuale, ecc.)
  • Consulenza per Omosessualità e problematiche LGBT

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Sigmund Freud era profondamente pessimista riguardo alla natura umana: riteneva infatti che essa fosse governata da oscure forze intrapsichiche, che solo a fatica (e mai completamente) l’essere umano avrebbe potuto pienamente governare.

La scuola comportamentista, nata in America, sviluppò un modello alternativo alla psicoanalisi, che però non era più ottimista: gli esseri umani venivano infatti visti in questo caso come soggetti passivi, che venivano plasmati dagli stimoli, positivi e negativi, che ricevevano dall’ambiente. Un po’ come fossero delle macchine, o dei robots.

La psicologia umanistica,conosciuta anche con l’appellativo di “Terza Forza” (alternativa cioè alle due correnti psicologiche allora imperanti, la psicoanalisi e il comportamentismo) si sviluppò negli anni Sessanta e Settanta, negli Stati Uniti, principalmente ad opera di due psicologi: Abraham Maslow e Carl Rogers.

Essi ritenevano che la principale spinta presente nell’essere umano fosse il bisogno di crescita personale,  di auto-affermazione, di auto-stima. Rispetto al passato dunque, questa nuova corrente sembrava apportare delle grandi novità e sicuramente mostrava una visione della condizione umana  meno negativa  e più improntata all’ottimismo, alla possibilità di auto-miglioramento.

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La definizione di “psicologia umanistica”, fu coniata nel 1962 da un gruppo di psicologi, guidati da Abraham Maslow: il programma del movimento prevedeva di “studiare le dinamiche emozionali e le caratteristiche comportamentali di un’esistenza umana piena e vitale“.

Maslow (1908-1970) era stato un bambino infelice e si era dedicato alla lettura  per fuggire i suoi sentimenti di solitudine e di inferiorità, dati dall’essere nato in una famiglia ebrea non unita e molto conflittuale.

I suoi modelli dunque non furono mai i suoi genitori, ma in seguito lo divennero due studiosi, Max Wertheimer, il padre della psicologia della Gestalt e l’antropologa Ruth Benedict, persone da Maslow stimatissime e considerate dei modelli viventi di auto-realizzazione.

Studiando il comportamento di questi suoi modelli, così come le biografie di altre persone, che secondo Maslow erano riuscite pienamente a realizzare se stesse, il suo obiettivo divenne quello di cercare di migliorare la personalità degli individui, dando loro fiducia nella possibilità di diventare migliori, da tutti i punti di vista.

Al Brooklyn College, dove lavorava Maslow, imperava però a quei tempi la psicologia comportamentista ed i suoi tentativi di “umanizzare” la psicologia lo portarono ad essere ostracizzato dai colleghi, malgrado l’apprezzamento degli studenti.

Dal 1951 al 1967 Maslow sviluppò e rifinì la sua teoria quasi in regime di isolamento, quando nel 1967 fu eletto presidente dell’APA, l’associazione degli psicologi americani. Maslow divenne allora una celebrità, un eroe del movimento della controcultura, divenendo un guru per molti giovani.


Il manifesto della “Associazione di Psicologia Umanistica” metteva in evidenza il valore che veniva attribuito alla dignità della persona e allo sviluppo delle sue potenzialità, attraverso l’auto-realizzazione, la creatività, le scelte consapevoli.

La persona doveva essere dunque considerata nella sua interezza, occupandosi delle sue esperienze di vita e delle sue emozioni. A questo manifesto aderirono in seguito anche altre correnti psicoterapeutiche (gestalt, bioenergetica, analisi transazionale) e psicologi molto importanti nella storia della psicologia moderna, quali Jacob Levi Moreno, Erich Fromm, Fritz Perls, Alexander Lowen, Rollo May, Roberto Assagioli, Viktor Frankl.

Scuole psicoterapeutiche e psicologi molto diversi fra loro, ma che avevano in comune l’attenzione data alla persona e una visione ottimistica dell’intervento psicoterapeutico riguardo allo sviluppo delle potenzialità dell’essere umano.

Gli aspetti della psicologia umanistica più legati alla psicoterapia, presero le mosse in primis dal lavoro di Carl Rogers (1902-1987), il quale già nel 1951, con il libro “La terapia centrata sul cliente”, aveva spiegato il suo pensiero: il disturbo mentale, nelle sue varie forme, rappresenta una distorsione dello sforzo che l’individuo compie per attuare le proprie potenzialità.

La Terapia non direttiva dunque, messa a punto dallo stesso Rogers, doveva tenere conto del bisogno di auto-realizzazione dell’individuo, doveva astenersi dall’interpretazione e dal giudizio e limitarsi ad accogliere ed accompagnare il cliente (e non il paziente) in un percorso che creasse le condizioni necessarie per favorire la sua crescita personale.

L’individuo “sano”, in questa prospettiva, era colui che raggiungeva la sua “autorealizzazione”, il pieno sviluppo delle proprie potenzialità, colui che diventava realmente ciò che poteva diventare, e non semplicemente chi riusciva ad adattarsi al suo ambiente.

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Per Rogers le persone psicologicamente sane o pienamente funzionali erano persone capaci di avere apertura mentale verso le nuove esperienze, di vivere pienamente ogni loro momento, di ascoltare il proprio istinto oltre che la voce della ragione e le opinioni degli altri, erano amanti della libertà, sia nel pensiero che nell’azione, erano creative e desiderose di migliorarsi continuamente.

Le persone pienamente efficienti venivano descritte da Rogers come soggetti actualizing invece che actualized (realizzanti, anziché realizzati) mettendo così in evidenza che lo sviluppo del sé non doveva mai considerarsi concluso, ma essere sempre un “lavoro in corso”. Questa enfasi sulla spontaneità, flessibilità e continuo impegno nel crescere come persona si trova nel libro: On Becoming a Person (1961).

L’approccio terapeutico rogersiano si basa su alcune caratteristiche del terapeuta, che deve porsi nei confronti del cliente (e non “paziente”) in modo autentico, trasparente, senza nascondersi dietro il proprio ruolo o le regole del setting (chiaro riferimento alla psicoanalisi) ed inoltre deve essere empatico, capace di ascoltare e di comprendere il punto di vista dell’altro, mostrando nei suoi confronti una totale fiducia.

Nelle parole di Rogers:

« Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé, gli atteggiamenti di base e gli orientamenti comportamentali. Queste risorse possono emergere quando può essere fornito un clima definibile di atteggiamenti psicologici facilitanti »

Molti potrebbero riconoscere nel pensiero di Rogers dei concetti tipici dalle filosofie orientali. In effetti, Rogers ebbe l’opportunità di soggiornare in Cina per alcuni mesi, nel 1922, per partecipare ad una conferenza internazionale organizzata dalla Federazione Mondiale degli Studenti Cristiani.

Questo soggiorno gli permise di confrontare la cultura occidentale con quella orientale ed influenzò profondamente il suo pensiero e le scelte successive della sua vita.

Nel 1944, dopo varie esperienze professionali, Rogers tornò a Chicago, sua città natale, dove fondò il primo Counseling Center, nel quale veniva applicata la sua “terapia non direttiva” e si faceva ricerca clinica.

Nel 1957 ottenne la cattedra di Psicologia e Psichiatria all’Università del Wisconsin, dove ebbe modo di sperimentare il suo metodo su pazienti psicotici, ottenendo ottimi risultati.

Nel 1964 tuttavia Rogers abbandonò l’insegnamento e si trasferì in California, presso l’Western Behavioural Science Institute di La Jolla.

Nel 1969 fondò, insieme ad altri colleghi, il Center for the Study of the Person e, successivamente, il Carl Rogers Institute of Peace, per lo studio e la risoluzione dei conflitti.

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Il successo della psicoterapia umanistica in America va spiegato in termini storici. Il periodo in cui si mossero Rogers e Maslow fu un periodo molto doloroso per l’America: nel 1941 infatti i Giapponesi lanciarono un massiccio ed improvviso attacco aereo. che portò gravi perdite alla flotta americana ancorata a Pearl Harbour, convincendo così gli Stati Uniti ad entrare in guerra.

Dopo la fine della guerra, l’America si trovò ad affrontare il problema dei numerosi veterani, che avevano difficoltà a reintegrarsi nella società civile e per questo vi fu una grande domanda di interventi psicologici e di tecniche che potessero essere apprese rapidamente, per formare nuovi psicologi.

La psicoanalisi richiedeva una laurea in medicina e diversi anni di formazione, mentre le teorie di Rogers apparivano molto semplici e si prestavano ad un utilizzo immediato. Da qui la loro enorme diffusione; in seguito, le stesse tecniche furono largamente utilizzate anche nel mondo del lavoro, soprattutto per la formazione dei managers.

Il lavoro di Rogers fu dunque, sin da subito, considerato fondamentale per la psicoterapia e il counseling (Kirschenbaum e Jourdan 2005, Patterson e Joseph 2007) e questo gli permise di divenire presidente dell’APA (American Psychological Association) nel 1946-47.

Il movimento della psicologia umanistica ha potuto contare anche su una rivista, che viene tutt’ora pubblicata: il Journal of Humanistic Psychology, che iniziò le pubblicazioni nel 1961, ma ciò nonostante si può dire che essa non sia mai divenuta una vera scuola.

“Fu un grande esperimento, ma un esperimento fallimentare in quanto non esiste una scuola di pensiero umanistico, nessuna teoria che possa essere riconosciuta come una filosofia della scienza”, è stato osservato (si veda Cunningham, 1985).

Rogers stesso era d’accordo con questa analisi: “La psicologia umanistica non ha avuto un impatto significativo sulle principali correnti psicologiche. Siamo considerati come una scuola di secondaria importanza”. (Cunningham, 1985)

In effetti, è stato osservato che  la psicologia umanistica ha prodotto complessivamente poche pubblicazioni, poche ricerche, pochi corsi universitari e scuole di formazione (Aasnstoos, 1994).

Molti studiosi ritengono oggi che, considerando l’enorme interesse suscitato da Rogers e Maslow negli anni sessanta e settanta, del loro pensiero rimane ben poco nella moderna psicologia (Elkins, 2009).

Questo è potuto accadere perché la psicologia umanistica si è soprattutto basata sul lavoro di psicologi clinici e non di accademici: per questo sono state limitate le loro possibilità di fare ricerche o pubblicazioni, così come poco curata è stata la formazione di una nuova generazione di psicologi umanisti.

Inoltre, non va dimenticato che la psicologia umanistica è stato soprattutto un movimento di protesta, il cui obiettivo principale era quello di affermare la “terza via” psicologica, contrapponendosi allo stra-potere della psicoanalisi e del comportamentismo: una lotta che al giorno d’oggi non interessa più nessuno, dal momento che i due movimenti allora imperanti hanno perso importanza in ambito scientifico, lacerati da divisioni interne e da una revisione critica delle loro teorie.

Quaranta anni dopo però, sulle ceneri della psicologia umanistica, è nata la psicologia positiva (Nicholson 2007). Ma questa è un’altra storia.

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Fonti:

Duane P. Schultz, Sydney Ellen Schultz A history of modern psychology, Wadsworth, 2011
Wikipedia (Rogers, Maslow, psicologia umanistica)

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Carl Rogers, uno dei fondatori della psicologia umanistica

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Carl Rogers è una figura centrale della psicologia umanistica, un movimento che, a partire dagli anni ’50, ha proposto una visione positiva e ottimistica della natura umana, ponendo l’accento su aspetti come la crescita personale, la realizzazione del potenziale e la ricerca del significato. Rogers, insieme a Abraham Maslow, è uno dei principali esponenti di questa corrente, nota anche come la “terza forza” in psicologia, in quanto si proponeva di superare i limiti del comportamentismo e della psicoanalisi, focalizzandosi sull’esperienza soggettiva, sull’autodeterminazione e sulla capacità dell’individuo di auto-realizzarsi. Conosciamolo meglio.


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Chi era Carl Rogers?

Carl Ransom Rogers (1902-1987) è stato uno psicologo statunitense, fondatore della Psicoterapia Centrata sulla Persona, all’interno della corrente umanistica della psicologia.

  • Infanzia e Adolescenza

Nacque l’8 gennaio 1902 a Oak Park, nei dintorni di Chicago, in una famiglia protestante di rigida osservanza religiosa, dove non si beveva alcool, non si ballava, non si andava al teatro, non si giocava a carte, non si frequentavano gli amici: piuttosto si lavorava duramente. I genitori erano entrambi laureati e di buona origine sociale: il padre faceva l’ ingegnere civile e la madre la casalinga. Quarto di sei figli, di cui 5 maschi, Carl imparò a leggere prima ancora di andare all’asilo; durante l’infanzia studiò e lesse molto, anche come rifugio alla sua solitudine, tanto da meritarsi il soprannome di “professor Mooney” ricalcante la figura e il personaggio di una serie di cartoni animati allora particolarmente in voga.

Nel 1914, quando Carl aveva 12 anni, la famiglia Rogers abbandonò la città ed acquistò una fattoria a 30 miglia da Chicago; il padre “incoraggiò i suoi figli ad avere occupazioni indipendenti e redditizie, così Carl ed i fratelli allevavano pulcini, agnelli, maiali e vitellini.

Nel 1919 il futuro psicologo si iscrisse all’università di Wisconsin, non per studiare psicologia, bensì agraria, con l’intenzione di imparare a gestire ‘scientificamente’ una fattoria. Ben presto abbandonò quest’area di studi in favore della storia e della teologia. Disse Rogers: “da agricoltore scientifico a pastore, quale salto!”.

La scelta era probabilmente dovuta all’influenza del prof. Humphrey, insegnante di catechismo, che gli aveva permesso di sperimentare una forma relazionale assolutamente diversa dalla solitudine nella quale era fino ad allora vissuto. Il professore incoraggiava i suoi allievi all’autodeterminazione e si rifiutava di adottare un ruolo convenzionale di leadership. Frequentando questo gruppo Carl trovò le sue prime, vere amicizie.

  • Università

All’università studiò la cultura e la spiritualità orientale: questo background culturale lo portò a sviluppare la capacità di crescita di ogni persona e la convinzione che gli esseri umani fossero naturalmente spinti verso l’attualizzazione, cioè l’autorealizzazione.

  • Viaggio in Cina

Nel 1922, con un gruppo di studenti americani, partecipò in Cina ad una conferenza internazionale organizzata dalla Federazione Mondiale degli Studenti Cristiani: la permanenza in Cina, durata oltre sei mesi, permise a Rogers di chiarire a se stesso l’interesse per la religione:

“…sentivo che certi problemi, il significato della vita per gli individui, mi avrebbero probabilmente sempre interessato, ma che non potevo lavorare in un campo in cui mi si richiedeva di credere in una dottrina religiosa specifica. Le mie opinioni erano già cambiate in modo straordinario, e potevano continuare a cambiare. Mi sembrava che sarebbe stata una cosa orribile “dover” professare una serie di opinioni per poter continuare la propria professione. Desideravo trovare un campo in cui avere la certezza che la mia libertà di pensiero non sarebbe stata limitata”.

Il viaggio lo aiutò a discostarsi dai principi religiosi fondamentalisti della famiglia, capì che nel mondo vi sono tante religioni. Carl imparò a stare insieme agli altri, a condividere, ad accettare persone e situazioni molto diverse. Di questo parlò per lettera con i suoi familiari, i quali accolsero questa corrispondenza dalla Cina con crescente preoccupazione.

Al ritorno si sposò, contro il volere della famiglia, con Helen Elliot e si trasferì a New York per frequentare un Seminario Teologico. Completò gli studi all’Università del Wisconsin e poi si laureò in filosofia alla Columbia University.

“Per i primi otto anni fui completamente immerso nell’esercizio di un servizio psicologico pratico, facevo diagnosi ed indicavo i mezzi di rieducazione per ragazzi delinquenti e ritardati che venivano inviati dai tribunali e dai centri sociali…; fu un periodo di relativo isolamento professionale, durante il quale mio unico interesse era quello di riuscire ad aiutare i clienti. Fui costretto a fronteggiare molti insuccessi, e ciò mi costrinse ad imparare. Avevo un solo criterio per giudicare qualsiasi metodo di trattare con questi bambini e coi loro genitori ed era: “é efficace quello che faccio?”. Mi rendo conto che cominciai allora a sviluppare i miei punti di vista dall’esperienza di ogni giorno”.

  • Prime esperienze professionali

Nel 1939 pubblicò la sua prima opera: “The Clinical Treatament of the Problem Child” ed iniziò ad insegnare presso l’Università di Stato dell’Ohio. Il contatto quotidiano con i colleghi non fu sempre facile: “Sperimentai per la prima volta come un’idea nuova, che può sembrare a noi luminosa e splendida per la sua potenzialità, possa essere fortemente minacciosa per un’altra persona… Sentivo ad ogni modo che avevo qualcosa da dire e stesi il manoscritto di “Counseling and Psycoterapy” che esponeva quello che, secondo me, era l’orientamento più produttivo da dare alla terapia”.

Nel 1944 cominciò una collaborazione con l’Università di Chicago, che prevedeva anche l’organizzazione di un Centro di consulenza per gli studenti universitari, dandogli in tal modo la possibilità di continuare, da un lato, la sua ricerca teorica e, dall’altro, di verificarla quotidianamente nel rapporto clinico con i clienti.

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A Chicago si fermò 12 anni, con grande successo fra i pazienti anche se i colleghi non lo vedevano di buon occhio. Ad esempio l’Istituto di Psichiatria dell’Università apertamente negava ogni forma di collaborazione con Rogers.

  • La terapia centrata sul cliente

Nel 1951 dà alla stampa “La terapia centrata sul cliente” che rappresenta una sintesi del suo pensiero. Finalmente l’Associazione degli Psicologi Americani cominciò ad apprezzare la sua opera, che per molto tempo aveva osteggiato, ne cominciò a riconoscere i meriti e ad attribuire a Rogers riconoscimenti ufficiali.

  • Successo

Nel 1956 Rogers è nominato presidente dell’American Academy of Psychoterapy; nel 1957 ebbe la cattedra, all’Università dell’ Wisconsin, come professore di psicologia e psichiatria. Anche qui tuttavia i colleghi non lo accolsero a braccia aperte.

Con il suo quinto libro, ‘On Becoming a Person’, pubblicato nel 1961, raggiunse una fama tale che si sentì pronto a lasciare gli incarichi accademici per trasferirsi a La Jolla al Western Behavioural Sciences Institute, un’organizzazione non-profit, dove portò avanti le sue ricerche sulle relazioni interpersonali.

  • Gruppi di Incontro

In seguito si appassionò moltissimo ai gruppi di incontro, imparando il valore della fiducia nella comprensione reciproca che si realizza nei piccoli gruppi. Era la stessa esperienza che aveva avuto come terapeuta negli incontri uno-a-uno che ora veniva trasferita ai gruppi. Egli divenne anche più capace di esprimere i propri sentimenti e la propria vulnerabilità. Cercò anche altri modi di applicare le sue teorie, ad esempio in ambito scolastico e lavorativo, ma anche sociale.

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  • Ultimi anni e Morte

Negli anni 70 e 80 viaggiò moltissimo cercando di portare le sue idee sul modo di affrontare le problematiche interpersonali in paesi dove vi erano i conflitti più gravi, quali l’Irlanda del Nord, il Sud Africa, la Polonia e la Russia.

Nel 1980 pubblicò : ‘A Way of Being’, che contiene fra l’altro una visione illuminata di quello che potrebbe essere il mondo domani. Nel 1985 riuscì a far incontrare i leader di 17 paesi in una conferenza ‘residenziale’, per farli parlare di pace nel mondo e disarmo nucleare.

Rogers morì il 4 Febbraio 1987, quando era stato appena nominato per il Premio Nobel per la Pace, a 85 anni. Poiché un premio Nobel non può essere assegnato a qualcuno che è morto, la nomina non poté essere confermata. Se avesse vissuto qualche anno in più, avrebbe forse ricevuto quel premio: i suoi ultimi anni furono certamente molto impegnati a sostenere la pace nel mondo.

Rogers credeva nella psicoanalisi?

No. Sebbene avesse una formazione psicoanalitica, Rogers trovava le tecniche psicoanalitiche insoddisfacenti, sia nei loro obiettivi che nella loro capacità di aiutare i bambini con cui lavorò nella prima parte della sua carriera.

Nella terapia rogersiana c’è anche il Taoismo?

Si, il Taoismo è qualcosa che Rogers aveva ben studiato, discusso e dibattuto durante il suo viaggio in Cina. In A Way of Being, Rogers (1980) cita il filosofo Lao Tsu, quando dice:

Se evito di intromettermi con le persone, si prendono cura di se stesse,
Se mi trattengo dal comandare le persone, si comportano bene,
Se mi trattengo dal predicare alle persone, esse migliorano se stesse,
Se evito di imporre alle persone, diventano se stesse.

Lao Tsu, 600 a.C. circa

Per Rogers la psicologia poteva cambiare il mondo?

Si. Rogers, come Maslow, voleva vedere la psicologia contribuire molto di più alla società che semplicemente aiutare le persone con disagio psicologico. Il suo sforzo fu quello di voler imparare a comunicare veramente, con comprensione empatica, sforzandosi anche di portare la pace nel mondo. 

Cosa pensava Rogers della relazione genitore-figlio?

Secondo Rogers la natura di tale relazione può favorire l’autorealizzazione o impedire la crescita personale, così come determinare la natura della personalità dell’individuo e, di conseguenza, la sua struttura del sé e il suo adattamento psicologico.

Man mano che il bambino diventa consapevole di sé, sviluppa un bisogno di  considerazione positiva. Quando i genitori offrono al bambino  un rispetto positivo incondizionato, il bambino continua ad andare avanti di concerto con la sua tendenza attualizzante. Quindi, quando non c’è discrepanza tra l’autostima del bambino e la sua considerazione positiva (da parte dei genitori), il bambino crescerà psicologicamente sano e ben adattato.

Tuttavia, se i genitori offrono solo una considerazione positiva condizionata, se sostengono il bambino solo se segue i propri desideri e le proprie regole, il bambino inizierà a percepire il proprio mondo in modo selettivo; eviterà tutte quelle esperienze che non si adattano al suo obiettivo di ottenere una considerazione positiva. Il bambino inizierà quindi a vivere la vita di coloro che stabiliscono le condizioni di valore, piuttosto che vivere la propria vita.

Man mano che il bambino cresce e diventa più consapevole della propria condizione nel mondo, il suo comportamento si adatterà o meno alla propria struttura del sé. Se ha ricevuto una considerazione positiva incondizionata, tale che il proprio senso di sé e le sue esperienze di vita combaciano,  il bambino sarà relativamente felice e ben adattato. Ma se il suo senso di sé e la sua capacità di ottenere considerazione positiva non corrispondono, il bambino svilupperà incongruenza.

Nel tempo,  un’incongruenza eccessiva o improvvisa e drammatica può portare alla rottura e alla disorganizzazione della struttura del sé. Di conseguenza, è probabile che l’individuo sperimenti disagio psicologico che continuerà per tutta la vita (Rogers, 1959/1989).

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Quali sono i principi fondamentali della psicologia umanistica?

La psicologia umanistica si distingue per alcuni principi centrali che la differenziano dalle altre scuole psicologiche:

1. Focus sulla persona: L’essere umano è considerato un individuo unico, con potenzialità e capacità intrinseche di autorealizzazione. La psicologia umanistica si concentra sull’individuo come essere unico e irripetibile.

2. Libertà e responsabilità: L’individuo è ritenuto libero di scegliere il proprio destino e responsabile delle proprie scelte. La libertà è vista come una condizione essenziale per lo sviluppo personale.

3. Focus sull’esperienza vissuta: Questo approccio valorizza l’esperienza soggettiva come fonte primaria di conoscenza, considerando la consapevolezza dei propri sentimenti e pensieri un elemento fondamentale per il benessere psicologico.

4. Orientamento alla crescita: L’essere umano è considerato orientato naturalmente verso la crescita e il miglioramento di sé, spinto da una tendenza innata a realizzare il proprio potenziale.

Cosa intendeva Rogers con “Autorealizzazione”?

Per Rogers, l’autorealizzazione era una tendenza ad andare avanti, verso una maggiore maturità e indipendenza, o auto-responsabilità. Questo sviluppo si verifica per tutta la vita, sia biologicamente (la differenziazione di un ovulo fecondato nei molti sistemi di organi del corpo) che psicologicamente (autogoverno, autoregolazione, socializzazione, fino al punto di scegliere gli obiettivi della vita).

Carl Rogers credeva che per raggiungere l’autorealizzazione una persona dovesse trovarsi in uno stato di congruenza, quando il “sé ideale” di una persona (cioè chi vorrebbe essere) è congruente con il suo comportamento effettivo (immagine di sé).

Quali sono le persone “pienamente funzionanti” e come vivono?

Sono le persone che hanno sviluppato congruenza, che hanno ricevuto una considerazione positiva incondizionata durante lo sviluppo o che hanno sperimentato con successo una terapia centrata sul cliente: queste sono le “persone pienamente funzionanti”.

Queste persone, secondo Rogers, conducono una bella vita. La bella vita è un processo, non uno stato dell’essere, è una direzione, non una destinazione. Richiede libertà psicologica, ed è la naturale conseguenza dell’essere psicologicamente liberi tanto per cominciare.

Indipendentemente dal fatto che si sviluppi naturalmente, grazie a un ambiente domestico sano e di supporto, o che avvenga come risultato di una terapia di successo, la persona pienamente funzionante è sempre aperta a nuove esperienze, vive pienamente ogni momento  ha più fiducia in se stessa, è creativa, si fida della natura umana e sperimenta la ricchezza della vita. La persona pienamente funzionante non è semplicemente contenta o felice, è viva.

Cosa si intende per “Terapia centrata sul paziente” e perché fu una novità?

Carl Rogers sviluppò uno degli approcci terapeutici più influenti della psicologia umanistica, conosciuti come “terapia centrata sul cliente” (o “terapia non direttiva”). In questo modello, il ruolo del terapeuta non è quello di interpretare o dirigere, ma di fornire un ambiente empatico, autentico e accogliente, che favorisca l’espressione autentica del paziente.

La terapia rogersiana presentava un approccio molto positivo per favorire la crescita personale, rispetto alla maggior parte delle altre discipline presenti in psicologia. Infatti, a differenza degli approcci esistenti nella psicoanalisi, che miravano a scoprire i problemi del passato, o delle terapie comportamentali, che miravano a identificare comportamenti problematici e controllarli o “risolverli” con l’associazione stimolo-risposta, la “terapia centrata sul cliente” di Rogers nacque dal semplice desiderio di aiutare le persone a muoversi in autonomia nella propria vita.

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Su quali principi si basa la “Terapia centrata sul Cliente”?

La terapia centrata sul cliente si basa su tre principi fondamentali:

1. Empatia: Il terapeuta si sforza di comprendere profondamente il mondo interiore del paziente, cercando di vedere il mondo dal suo punto di vista e di comunicare questa comprensione. L’empatia promuove la fiducia e incoraggia il paziente a esplorare liberamente le proprie emozioni.

2. Accettazione incondizionata: Rogers riteneva fondamentale che il terapeuta accogliesse il paziente senza giudicarlo, accettandolo in modo totale e incondizionato. Questa accettazione incondizionata permette al paziente di sentirsi libero di esprimersi senza paura di essere giudicato.

3. Congruenza: La congruenza, o autenticità, è la capacità del terapeuta di essere se stesso, senza maschere o finzioni. Questa trasparenza favorisce un ambiente di fiducia e dimostra al paziente che è possibile essere autentici.

La terapia centrata sul cliente parte dal presupposto che ciascun individuo abbia dentro di sé la capacità di risolvere i propri problemi e di raggiungere il proprio potenziale. L’obiettivo del terapeuta è di creare un clima che faciliti l’attualizzazione, ovvero il processo attraverso il quale una persona riesce a realizzare pienamente il proprio potenziale.

Cosa si intende per “campo esperenziale”?

Rogers credeva che le persone vivessero in un mondo privato in continua evoluzione, che lui chiamò il “campo esperienziale”. Ognuno esiste al centro del proprio campo esperienziale, e quel campo può essere pienamente compreso solo dalla prospettiva dell’individuo. Questo concetto ha una serie di implicazioni importanti.

In primis il comportamento dell’individuo deve essere inteso come una reazione alla sua esperienza e percezione del campo. L’individuo reagisce al campo come a un tutto organizzato, ed è quella la propria realtà. Il problema che questo presenta per il terapeuta è che solo l’individuo può veramente comprendere il proprio campo esperienziale.

Questo approccio è molto diverso dalla prospettiva freudiana, in cui solo lo psicoanalista addestrato e obiettivo può rompere i meccanismi di difesa e comprendere la base degli impulsi inconsci del paziente.

Cosa si intende per “concetto di Sé”?

Si intende la rappresentazione che una persona ha di sé stessa, delle proprie qualità e del proprio valore. Il Sé ideale rappresenta la persona che l’individuo desidera essere. Quando esiste una discrepanza significativa tra il Sé percepito e il Sé ideale, si genera uno stato di “incongruenza”, che può portare a insoddisfazione e disagio emotivo.

Secondo Rogers, la chiave per la realizzazione personale sta nel raggiungere una maggiore congruenza tra il Sé reale e il Sé ideale, processo che avviene naturalmente se l’individuo si trova in un ambiente accogliente e non giudicante. Questa realizzazione è favorita dalla “tendenza attualizzante”, ovvero la naturale inclinazione dell’essere umano a crescere e a sviluppare il proprio potenziale. Rogers credeva fermamente che questa tendenza fosse intrinseca a tutte le persone, seppur condizionata da esperienze e contesti che possono, a volte, soffocarla.

Come intendeva il potere Carl Rogers?

La capacità degli individui di fare le scelte necessarie per attualizzare il proprio sé e di compiere poi quelle scelte è ciò che Rogers chiamava  “potere personale”  (Rogers, 1977). Credeva che ci fossero molti individui autorealizzati che rivoluzionano il mondo confidando nel proprio potere, senza sentire il bisogno di avere “potere sugli altri”. Possiamo facilmente vedere l’influenza di Alfred Adler qui, sia in termini di potere creativo dell’individuo che di ricerca della superiorità all’interno di un sano contesto di interesse sociale.

La terapia centrata sul cliente è una terapia direttiva?

No. La terapia centrata sul cliente si basa sulla rinuncia al potere personale come a una chiara strategia nella relazione terapeutica:

…l’approccio centrato sul cliente è una consapevole rinuncia ed evitamento da parte del terapeuta di ogni controllo o decisione per il cliente. È la facilitazione dell’auto-proprietà del cliente e la strategia attraverso la quale ciò può essere raggiunto… sulla base del presupposto che l’essere umano è fondamentalmente un organismo degno di fiducia, capace di… fare scelte costruttive per quanto riguarda i successivi passi della vita, e agendo su quelle scelte.
(Rogers, 1977)

Quanto è stata importante la psicologia umanistica e il modello Rogersiano?

L’impatto della psicologia umanistica è stato profondo e duraturo, influenzando non solo la psicoterapia, ma anche altri ambiti come l’educazione, le relazioni interpersonali e il mondo del lavoro. In ambito educativo, per esempio, Rogers ha introdotto il concetto di apprendimento centrato sullo studente, in cui l’insegnante non è un’autorità direttiva, ma un facilitatore che incoraggia l’esplorazione autonoma degli studenti, riconoscendo il valore dell’esperienza soggettiva di ciascuno.

Nel contesto aziendale, la psicologia umanistica ha contribuito a sviluppare modelli di leadership che valorizzano le persone, ponendo l’accento sul benessere, l’empatia e l’autenticità. Molte organizzazioni moderne adottano modelli di management che si ispirano ai principi umanistici di Carl Rogers, promuovendo ambienti di lavoro collaborativi e rispettosi.

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Cosa riteneva Rogers, di aver scoperto con il suo metodo?

Rogers stesso enumerò una serie di ‘scoperte’ che credeva di aver fatto, sia relativamente a se stesso, sia riguardo ai rapporti interpersonali di varia natura. Ecco alcune di queste ‘scoperte’:

. Occorre avere fiducia nell’intuizione interiore, che non è di natura intellettuale;
. La valutazione degli altri non può essere per noi una guida, semmai un semplice riferimento;
. L’esperienza è la massima autorità, essendo più sicura delle idee;
. Quando si comunicano pensieri e sentimenti, si risveglia una risonanza molto forte negli altri;
. L’uomo è dotato di una forza costruttiva: quanto più si sente compreso ed accolto, tanto più tende a far cadere le false ‘facciate’ per muoversi in direzione del miglioramento.

Quali sono i limiti di questo metodo?

Alcuni psicologi ritengono che l’approccio centrato sul cliente possa risultare troppo passivo in alcune situazioni e non offrire strumenti specifici per affrontare problematiche complesse come i disturbi psicologici gravi. Inoltre, il concetto di autorealizzazione e la tendenza attualizzante sono stati criticati per essere troppo ottimistici e poco realistici, in quanto ignorano le influenze socioculturali e ambientali che possono limitare la capacità di crescita e di scelta di un individuo.

Un’altra critica riguarda la mancanza di standardizzazione della terapia centrata sul cliente, che si affida all’intuizione e alla sensibilità del terapeuta senza procedure specifiche. Questo può rendere difficile valutare l’efficacia dell’intervento e confrontarlo con altri approcci terapeutici.

L’approccio di Rogers è ancora importante?

Si, l’approccio di Rogers ha anticipato e ispirato molti dei temi oggi presenti nella psicologia positiva, una corrente che, come la psicologia umanistica, si focalizza sullo studio delle condizioni che promuovono il benessere e la realizzazione personale. Rogers ha gettato le basi per un modello di psicoterapia che riconosce l’unicità e la complessità dell’essere umano, offrendo strumenti pratici e teorici per aiutare le persone a vivere una vita più piena e soddisfacente.

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Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
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Andare dallo psicologo o dalla psicologa: come scegliere

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Quella che segue è una piccola guida che riporta gli aspetti più importanti da considerare per conoscere il mondo della psicologia e scegliere uno psicologo o una psicologa.  Poiché non tutti conoscono questo mondo, partiremo dalle stesse definizioni di Psicologo e Psicoterapeuta.

Cosa significa la parola “psicologia”?

Psicologia è un termine composto, che viene dal greco psyché (anima) e logos (discorso), dunque letteralmente significa la dottrina o la scienza dell’anima.

Il termine è stato utilizzato per la prima volta dal filosofo Wolff, per designare lo studio della morale e dell’intelligenza, senza prendere in esame le parti, che ne sono gli organi (Fonte: dizionario etimologico online)

Derivati della parola psicologia sono: psicologo, psicologico, psicologismo, ecc.

Cosa significa la parola “psicologo”?

Il termine “psicologo” o “psicologa” può avere due accezioni:

  • 1 Studioso, esperto di psicologia, che esercita anche a livello professionale: albo degli psicologi
  • 2 estens. Chi comprende il carattere delle persone e sa rapportarsi ad esse con sensibilità: essere un fine psicologo
    (Fonte: Dizionario online Sabatini Colletti)

Tutti gli esseri umani, per loro natura, sono un po’ psicologi, nella seconda accezione del termine, nel senso che hanno spesso la capacità di osservare gli altri e comprendere i loro stati stati d’animo in modo empatico.

Quando si parla di professioni tuttavia, nella prima accezione del termine, parliamo di psicologo o psicologa in quanto professionisti, cioè soggetti abilitati a svolgere interventi di prevenzione, diagnosi, riabilitazione e sostegno rivolti non solo all’individuo, ma anche alla coppia, alla famiglia, ai gruppo, alle organizzazioni. Lo scopo è sempre quello di migliorare la qualità della vita delle persone.

Come si diventa psicologo o psicologa in Italia?

Diventare psicologo o psicologa in Italia richiede un percorso formativo e professionale ben definito, che include studi universitari, tirocinio, esame di Stato e iscrizione all’Albo professionale. Ecco i passi principali:

Laurea in Psicologia

Il primo passo è ottenere una laurea in Psicologia. Il percorso si articola in:

– Laurea triennale (Classe L-24 – Scienze e Tecniche Psicologiche):

ha una durata di tre anni e fornisce una formazione di base sulle principali discipline psicologiche.

– Laurea magistrale (Classe LM-51 – Psicologia): dura due anni e permette di specializzarsi in diversi ambiti, come la psicologia clinica, del lavoro, dello sviluppo o sociale

– Tirocinio post-lauream

Dopo la laurea magistrale, è obbligatorio svolgere un tirocinio professionalizzante di almeno 1000 ore presso strutture accreditate.

Il tirocinio permette di acquisire esperienza pratica sotto la supervisione di psicologi esperti. 

– Esame di Stato e iscrizione all’Albo

Per esercitare la professione è necessario superare l’Esame di Stato, che prevede più prove scritte e orali, e iscriversi all’Albo degli Psicologi della propria regione. L’iscrizione permette di ottenere l’abilitazione alla professione di psicologo.

L’Esame di Stato sta subendo alcune modifiche con la riforma dell’abilitazione alla professione (D.L. 36/2022), che potrebbe semplificare il processo.


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– Specializzazione in Psicoterapia (facoltativa)

Se si desidera diventare psicoterapeuta, è necessario frequentare una scuola di specializzazione in psicoterapia riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione. Il percorso dura quattro anni e consente di acquisire competenze terapeutiche specifiche.

– Formazione continua

Gli psicologi iscritti all’Albo devono aggiornarsi costantemente tramite corsi di formazione e crediti ECM (Educazione Continua in Medicina), per mantenere alta la qualità della propria pratica professionale.

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– Come è organizzato l’Albo degli Psicologi?

A seguito della riforma del 2001, nell’Albo degli Psicologi sono state istituite due sezioni: la sezione A è formata da coloro che hanno il titolo di Psicologo, mentre la sezione B è costituita da coloro che hanno il titolo di Dottore in Tecniche Psicologiche per i contesti sociali, organizzativi e del lavoro o di Dottore in Tecniche Psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità.

Il dottore in Tecniche Psicologiche, uscito dal corso di durata triennale, è iscritto ad una sezione apposita dell’Albo degli psicologi (sezione B), previo superamento dell’esame di stato.

L’attività professionale degli psicologi iscritti alla sezione A è rimasta immutata rispetto alla normativa vigente, ma vi si è aggiunto il coordinamento e la supervisione dell’attività dei dottori in scienze psicologiche.

Questi ultimi, sotto la supervisione di uno Psicologo (iscritto all’Albo sezione A) svolgono attività quali: programmazione e verifica degli interventi psicologici in ambito sociale, lavoro in ambito educativo, lavoro nel campo delle risorse umane, raccolta dati ai fini di ricerca e realizzazione di interventi per migliorare la qualità e la sicurezza in ambito lavorativo, lavoro psicologico con persone disabili per recuperare competenze di tipo cognitivo, emotivo, relazionale.

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– Quale è la differenza fra la figura dello psicologo e quella dello psicoterapeuta?

Lo/a psicologo/a non può esercitare interventi di tipo psicoterapeutico perché per fare questo occorre essere psicoterapeuta: questo significa che, oltre alla laurea in psicologia o in medicina e l’iscrizione all’Ordine degli Psicologi, è necessario aver conseguito una specializzazione post universitaria di almeno quattro anni.

Lo/la psicoterapeuta può essere laureato/a sia in medicina sia in psicologia, oltre alle attività di prevenzione, diagnosi, sostegno e riabilitazione, svolge attività di cura attraverso gli strumenti e le tecniche terapeutiche proprie della psicoterapia.

In realtà le psicoterapie sono tantissime e il/la terapeuta è formato/a secondo le teorie fondamentali di una scuola psicoterapeutica di riferimento (es. formazione cognitivo-comportamentale, analitica, costruttivista, psicosintesi, ecc.)

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– Che lavoro svolge lo psicologo/la psicologa?

Gli ambiti di intervento dello/a psicologo/a riguardano soprattutto la prevenzione del disagio e la promozione della salute psicologica e del benessere relazionale e sociale. Gli psicologi sono anche abilitati alla diagnosi dei disturbi mentali.

– PSICOLOGO-PSICOLOGA: chi è meglio per chi?

La scelta tra uno psicologo uomo o donna dipende da diversi fattori personali e soggettivi. Non esiste una risposta univoca, poiché l’efficacia della terapia è influenzata da vari aspetti che vanno oltre il genere del terapeuta. Ecco alcuni punti da considerare prima di fare questa scelta:

1.  Alcune persone potrebbero sentirsi più a loro agio parlando con un terapeuta dello stesso sesso, mentre altre potrebbero preferire il sesso opposto. Questa preferenza può essere influenzata da esperienze passate, cultura o comfort personale.

2. In alcuni casi, la natura del problema potrebbe far propendere verso un terapeuta di un genere specifico. Ad esempio, qualcuno che ha subito un trauma da parte di un uomo potrebbe preferire una terapeuta donna, e viceversa.

3. L’esperienza, la formazione e le competenze specifiche dello psicologo sono fondamentali. È importante scegliere un professionista qualificato e con esperienza nel trattare indipendentemente dal suo genere sessuale.

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4. La qualità della relazione terapeutica è uno dei fattori più importanti per il successo della terapia, e anche questa prescinde dal genere. In sintesi, non c’è un genere migliore in assoluto per uno psicologo.

È cruciale trovare un professionista con cui ci si senta a proprio agio e che abbia le competenze necessarie per prestare aiuto.

Potrebbe essere un’idea fare una prima seduta con un paio di terapeuti diversi, per capire con chi ci si trova meglio.

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La terapia riparativa dell'omosessualità

La terapia riparativa dell’omosessualità

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La terapia riparativa, detta anche “terapia di conversione”, è una pratica psicoterapeutica che si propone di modificare l’orientamento sessuale di una persona, generalmente dall’omosessualità all’eterosessualità. Questo approccio, tuttavia, è stato oggetto di ampie critiche da parte della comunità scientifica e delle organizzazioni per i diritti umani, che ne mettono in dubbio l’efficacia e, soprattutto, l’eticità. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta.

Cos’è la terapia di conversione, o riparativa?

Secondo la British Psychological Society (BPS), la terapia di conversione – a volte chiamata “terapia riparativa” o “terapia di cura per i gay” – è una terapia che ha l’obiettivo di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di un soggetto. In pratica, significa cercare di impedire alle persone di identificarsi in un genere diverso da quello registrato alla nascita, o di avere un orientamento omosessuale.

Quando è nata questa terapia?

La terapia riparativa ha origine nei primi decenni del XX secolo, in un contesto in cui l’omosessualità era considerata una patologia mentale. Questa visione si è riflessa, per anni, anche nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). Nel 1973 l’omosessualità fu rimossa dalla lista dei disturbi mentali, ma alcune frange della comunità psicologica e religiosa hanno continuato a promuovere interventi volti a “curare” l’omosessualità.

Chi sono i maggiori teorici di questa terapia?

I principali teorici della terapia riparativa sono stati Charles Socarides (1922-2005) e Joseph Nicolosi (1947-2017), che hanno dato vita alla NARTH (National Association for the Research and Therapy of Homosexuality), nata nel 1992. Questa associazione si rivolge ai non gay, cioè a quegli omosessuali che non accettano il loro orientamento sessuale e dunque non si riconoscono in una identità ed in uno stile di vita gay.

La NARTH ha perso il suo status di no profit nel 2012. La California ha messo fuori legge la pratica della terapia riparativa per i minori nel 2012, tagliando profondamente le operazioni con sede a Los Angeles della NARTH.

Dal 2014 l’Associazione ha mutato nome in Alliance for Therapeutic Choice and Scientific Integrity (Alleanza per la scelta terapeutica e l’integrità scientifica, abbreviata come ATCSI)

Socarides nel 1978 ipotizzò (Homosexuality: psychoanalytic therapy) che l’omosessualità maschile nascesse nei primi tre anni di vita del bambino, a causa di un rapporto distorto tra madre e figlio. In particolare, la fase più importante da tenere in considerazione, per questo autore, sarebbe stata quella della separazione-individuazione (vedi Mahler e Goslimer, 1955).

La potente simbiosi del bambino con la madre, che non riesce a canalizzarsi nella normale separazione e individuazione, cioè nel vedere se stesso e la madre come due persone separate e distinte, avrebbe portato il bambino ad avere un’identificazione femminile primaria con la madre.

Con queste premesse, Socarides propose un trattamento psicoanalitico, che sfruttasse le potenzialità del transfert, per affrontare e risolvere il conflitto principale, abbandonando la condizione di omosessualità nevrotica sviluppata, in favore dell’eterosessualità.

Fra i maggiori teorici della terapia di conversione vi fu anche Richard A. Cohen, fondatore della International Healing Foundation nel Maryland che perse popolarità a seguito di un’apparizione televisiva in cui dichiarò che lo scambio di effusioni e coccole tra uomini era un presunto rimedio compensativo e sostitutivo di una carenza di affetto paterna.

Un altro teorico, G. van den Aardweg, nel 1997 pubblicò Una strada per il domani: guida all'(auto)terapia dell’omosessualità Città Nuova Editrice, 2004, in cui ridimensionava il rapporto con i genitori e considerava ‘periodo critico’ quello dell’adolescenza e dei rapporti fra coetanei. Il sentirsi inferiore agli altri, l’ammirazione per individui idealizzati dello stesso sesso, avrebbe generato attrazione erotica. Il metodo terapeutico indicato è quello dell’autoterapia, ovvero un comportamento segnato da un atto di volontà, accompagnato da preghiera, autodisciplina e sincerità. Consigliava anche il metodo dell’ iper-drammatizzazione sviluppato da Arndt (1961), basato sull’esagerazione degli aspetti tragici e drammatici.

GA Reckers (1982- Growing Up Straight:What Families Should Know About Homosexuality, Moody Press Chicago) proponeva invece un approccio comportamentista dell’omosessualità, considerata un comportamento appreso che poteva essere prevenuto. Importante era l’educazione cristiana e il controllo delle amicizie del figlio da parte dei genitori. Come procedimento terapeutico veniva suggerito quello classico della desensibilizzazione sistematica agli stimoli omosessuali e un training nelle abilità sociali finalizzato al superamento della timidezza, che non permetterebbe al paziente di avvicendarsi nelle relazioni eterosessuali.

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A chi si rivolge, specificamente, la terapia riparativa?

Queste terapie si rivolgono a un gruppo specifico di persone, cioè quelle che hanno un orientamento sessuale e una identità di genere differente dall’eteronormatività (ovvero la convinzione che l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale possibile in natura). Per questo motivo le persone che rifiutano le regole eteronormative vengono considerate devianti e bisognose di essere ricondotte  alla “normalità”.

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Come viene condotta una terapia riparativa?

Vi sono almeno tre approcci per la “terapia riparativa”.

  • PSICOTERAPIA. Si tratta di interventi basati sulla convinzione che la diversità di genere sia un prodotto di un’educazione o di una esperienza anomala. Vengono applicate la terapia psicodinamica, la comportamentale, le terapie cognitive e interpersonali. Un metodo ricorrente utilizzato è lo shock elettrico o il senso di nausea provocato mentre si è esposti a stimoli sessuali graditi dal soggetto (per causare un riflesso condizionato). Un altro trattamento prevede il “perdono del padre” e l’abbandono della fantasia per la quale le attenzioni paterne, negate in passato possano essere compensate, nel momento presente, dalla condizione di omosessualità. Vengono caldamente consigliati i rapporti di amicizia (non erotici) con altri uomini eterosessuali con comportamenti spiccatamente virili, al fine di trasformare l’attrazione omoerotica in sentimenti di amicizia e di interesse reciproco per persone del sesso opposto.
  • APPROCCIO MEDICO. In questo approccio si ritiene che la diversità sessuale sia dovuta a una intrinseca disfunzione biologica. Si punta allora su approcci farmaceutici, come la terapia ormonale o steroidea.
  • APPROCCIO BASATO SULLA FEDE. Interventi che agiscono partendo dal presupposto che ci sia qualcosa di intrinsecamente malvagio nei diversi orientamenti sessuali e identità di genere. Le vittime sono generalmente sottomesse ai principi di un consigliere spirituale e sottoposte a programmi per superare la loro “malattia”. Tali programmi possono includere insulti anti-gay oltre a percosse, incatenamenti e privazione di cibo. A volte questi elementi sono combinati con l’esorcismo o con rituali di preghiera volti a “liberare” la persona dall’omosessualità, che viene vista come una condizione peccaminosa o innaturale.

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Cosa ne pensa la comunità scientifica di tutto ciò?

La comunità scientifica è unanime nel rifiutare la terapia riparativa. Organizzazioni come l’American Psychological Association (APA), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Ordine degli Psicologi Italiano (CNOP) condannano questa pratica, definendola inefficace e dannosa. Numerosi studi evidenziano che la terapia riparativa non solo non riesce a modificare l’orientamento sessuale, ma può anche causare gravi conseguenze psicologiche. Per queste ragioni chi pratica la “terapia di conversione” viene considerato/a dalla comunità scientifica un/a professionista ignorante o incauto/a, che dà consigli inappropriati, seguendo le sue convinzioni personali e non la ricerca scientifica. 

Perché la comunità scientifica ha preso questa posizione?

Perché dal punto di vista etico, la terapia riparativa si basa sull’assunto che l’omosessualità sia una condizione anormale o indesiderabile, perpetuando uno stigma ritenuto ingiustificato. Inoltre, spesso i soggetti coinvolti in queste terapie sono giovani o adolescenti spinti da familiari o comunità religiose, senza un consenso pienamente informato.


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Quale è la situazione italiana?

Nel 2010 in Italia è stato pubblicato un documento sottoscritto da psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti, studiosi e ricercatori nel campo della salute mentale e della formazione per condannare ogni tentativo di patologizzare l’omosessualità, affermando che “qualunque trattamento mirato a indurre il/la paziente a modificare il proprio orientamento sessuale si pone al di fuori dello spirito etico e scientifico”. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) si è espresso più volte sulla dannosità delle terapie riparative e contro la concezione dell’omosessualità come malattia.

Sul piano legislativo, tuttavia, non vi è ancora una legge che esplicitamente vieti la terapia di conversione. Nel 2016 il senatore Lo Giudice aveva avanzato una proposta per rendere la terapia di conversione illegale, ma quest’ultima non è mai arrivata a essere discussa. Secondo il disegno di legge, chiunque avesse praticato questo tipo di percorso terapeutico poteva essere condannato a due anni di reclusione e multato dai 10 ai 50mila euro. 

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Perché si è ritenuto che la terapia riparativa non funziona?

Moltissimi studi hanno ormai convinto la maggior parte della comunità scientifica che non vi è alcuna evidenza di successo terapeutico nel cercare di “curare l’omosessualità”.

In primis la terapia deve essere scelta con consapevolezza, ma come si fa a capire se un soggetto decide di sottoporsi ad una terapia riparativa perché ne è veramente convinto, o se lo fa perché spinto dal suo ambiente, dalla sua famiglia, che magari considera la sua omosessualità come un grave peccato e solo per questo motivo vorrebbe sentirsi “normalizzato” ?

Che dire poi dei risultati terapeutici? Scegliere la castità o cercarsi un partner eterosessuale significa essere ‘guariti’? Quanti omosessuali compiono già, senza alcuna terapia, questo genere di scelte, per difendersi dal pregiudizio sociale di una società omofoba? Si pensi a soggetti gay che si sposano con una partner donna per mettere a tacere i pettegolezzi… E poi, chi è bisex deve essere considerato “in parte guarito” o come un fallimento della terapia? C’è poi il problema del follow up: quanto durano questi comportamenti eterosessuali suggeriti dalla terapia riparativa? Dopo quanto tempo possono tornare le tentazioni omosessuali?

Spingere la persona a controllare il suo comportamento, affinché appaia “normale” non è considerato terapeutico, dal momento che non conduce a una condizione di benessere psicosessuale, ed anzi può essere molto pericoloso, causando una perdita di autostima, ansia, sindrome depressiva, isolamento sociale, difficoltà nell’intimità, odio per se stessi, vergogna e senso di colpa, disfunzioni sessuali, ideazione suicidaria, sintomi di disturbo post-traumatico da stress.

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Quali studi sono stati considerati più rilevanti su questo tema?

Lo studio più significativo in questo campo è quello del 2001, condotto dallo psichiatra americano Robert Spitzer presso la prestigiosa Columbia University di New York.  Il Prof. Spitzer non era un ricercatore qualsiasi: egli aveva contribuito, nel 1973, a togliere l’omosessualità dalla lista delle malattie psichiatriche elencate nel DSM (manuale pubblicato dall’American Psychiatric Association) e pertanto le sue conclusioni erano considerate rilevanti.

Nel 2001, Spitzer pubblicò uno studio presentato alla conferenza annuale dell’American Psychiatric Association. Lo studio si basava su interviste a 200 persone che affermavano di aver cambiato il proprio orientamento sessuale da omosessuale a eterosessuale attraverso terapie di conversione. Spitzer sostenne che, in alcuni casi, individui motivati potevano effettivamente modificare il proprio orientamento sessuale.

Lo studio si basava su interviste telefoniche in cui i partecipanti fornivano un’autovalutazione dei cambiamenti nel loro orientamento sessuale. Questo approccio metodologico ha suscitato numerose critiche:

  1. I soggetti erano stati reclutati attraverso organizzazioni religiose e terapeutiche che promuovevano la terapia riparativa, introducendo un evidente bias di selezione.
  2. L’autovalutazione dei partecipanti era priva di misurazioni oggettive, rendendo difficile distinguere tra un reale cambiamento nell’orientamento sessuale e un adattamento comportamentale o un autoinganno.
  3. Lo studio non prevedeva un monitoraggio a lungo termine, lasciando dubbi sulla stabilità dei cambiamenti riportati.

Nel 2012, Robert Spitzer ritrattò pubblicamente le conclusioni del suo studio, ammettendo che i dati raccolti non erano sufficienti per affermare che l’orientamento sessuale potesse essere modificato. Spitzer ha detto in un’intervista ad American Prospect: “Con il senno di poi devo ammettere che le critiche erano in gran parte corrette. I risultati dello studio possono essere ritenuti validi per i soggetti che si sono sottoposti a quella terapia, ma non possono essere generalizzati.”

La ritrattazione di Spitzer ha avuto un impatto significativo nel delegittimare ulteriormente la terapia riparativa. La sua onestà nel riconoscere l’errore ha anche rafforzato la credibilità della comunità scientifica nel rifiutare approcci terapeutici non etici e basati su pregiudizi.

Con questo ripudio, Spitzer ha praticamente tolto l’ultima gamba allo sgabello già traballante nel quale i proponenti delle terapie “ex-gay” basavano i successi delle loro terapie.

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Perché alcune persone, nel mondo scientifico, sono favorevoli alla terapia riparativa?

Perché ritengono che esista una potente ‘lobby gay’ la quale stia cercando di ‘normalizzare’ ciò che invece è per loro ‘patologico’. La stessa denominazione, ‘terapia riparativa dell’omosessualità’ fa capire il loro punto di vista.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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