L'autismo ad alto funzionamento

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In passato solo le persone con sintomi molto gravi venivano diagnosticate con autismo, ma a partire dagli anni ’90 furono riconosciute forme più lievi, come l’autismo ad alto funzionamento; dal 2013, l’American Psychiatric Association ha raggruppato tutti i disturbi legati all’autismo sotto la definizione: “Disturbi dello spettro autistico”.

Cosa è l’autismo ad alto funzionamento?

L’autismo ad alto funzionamento, noto anche come sindrome di Asperger, è un disturbo dello spettro autistico (ASD) caratterizzato da difficoltà nella comunicazione sociale e da comportamenti ripetitivi, ma con un livello di funzionamento cognitivo tipicamente nella media, o addirittura superiore alla media. Sebbene condivida alcune caratteristiche con altri disturbi dello spettro autistico, la sindrome di Asperger è un’entità distintiva con le sue peculiarità.

Quale è il profilo della persona autistica ad alto funzionamento?

Molte di queste persone hanno un linguaggio sviluppato e un’intelligenza nella norma o superiore alla media, ma:
– Non leggono naturalmente i segnali sociali e potrebbero avere difficoltà a fare amicizia.
– Possono essere così stressati da una situazione sociale da chiudersi in se stessi.
– Non stabiliscono molto contatto visivo e sono poco propensi alle chiacchiere
– Possono essere molto dedite alla routine e all’ordine.
– Possono avere abitudini ripetitive e restrittive che sembrano strane agli altri.
– Possono mostrare un interesse intenso in particolari argomenti o attività

il tratto comune tra le persone con diagnosi di DSA sono le abilità sociali sottosviluppate.

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Come si fa la diagnosi?

La diagnosi della sindrome di Asperger può essere un processo complesso e può variare notevolmente da individuo a individuo. L’identificazione precoce (18-24 mesi) sarebbe essenziale per garantire un intervento tempestivo e mirato ma, a causa della difficoltà di riconoscere i sintomi in età precoce, molte persone con sindrome di Asperger ricevono la diagnosi solo in età adulta.

Possono esserci difficoltà a scuola o nel mondo del lavoro per questi soggetti?

Si, nonostante i loro numerosi doni e talenti, le persone con autismo ad alto funzionamento tendono ad affrontare molte barriere a scuola o nel mondo del lavoro a causa delle scarse abilità sociali, la scarsa capacità di comunicare e il modo in cui vengono gestiti i comportamenti e le reazioni.

Quali approcci terapeutici vengono utilizzati con questi soggetti?

Il trattamento e il supporto per le persone con sindrome di Asperger spesso si concentrano sull’apprendimento delle abilità sociali, sull’adattamento alle esigenze dell’ambiente e sullo sviluppo di strategie di gestione dell’ansia e dello stress. Gli interventi possono includere terapia comportamentale, terapia occupazionale, supporto scolastico specializzato e formazione delle abilità sociali.

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Quali sono i punti di forza  e di debolezza di questi soggetti?

Le persone con sindrome di Asperger possono portare con sé una serie di vantaggi, tra cui un pensiero logico e analitico, una capacità di concentrazione sui dettagli e una creatività fuori dal comune. Tuttavia, devono confrontarsi con i propri limiti nel gestire le emozioni e adattarsi alle situazioni impreviste.

Chi è Temple Grandin?

E’ una delle persone di successo più note con sindrome di Asperger, che ha sviluppato un progetto unico per la gestione del bestiame ed è divenuta docente universitaria.

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Jung e gli archetipi femminili nei miti e nelle religioni

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Carl Gustav Jung, psicoanalista e fondatore della psicologia analitica, ha sviluppato un approccio innovativo alla psiche umana che ha incluso concetti profondi come l’inconscio collettivo e gli archetipi.

Secondo Jung, gli archetipi sono immagini primordiali o modelli di comportamento che emergono dalla parte inconscia della psiche, comuni a tutta l’umanità. Uno degli ambiti in cui questi archetipi trovano espressione è il simbolismo femminile nei miti e nelle religioni, che riflette il ruolo complesso e poliedrico dell’energia femminile nella storia dell’umanità e nelle rappresentazioni simboliche. Cerchiamo di saperne di più.

Perché Jung cominciò a interessarsi della mitologia?

Perché aveva osservato che miti e religioni, nelle varie culture, contenevano temi ed entità comuni: per esempio immagini della madre, del padre, della moglie, del marito, dell’amante, del matto, del diavolo, dell’ombra, dell’eroe, del salvatore e molti altri. Le loro storie, per Jung, costituiscono i miti e le storie religiose dell’umanità.

Cosa sono gli archetipi, secondo Jung?

Gli archetipi, secondo Carl Gustav Jung, sono immagini primordiali e universali presenti nell’inconscio collettivo, una sorta di “memoria” condivisa da tutta l’umanità. Questi simboli rappresentano modelli comportamentali e figure fondamentali, come la Madre, l’Eroe, il Saggio, che emergono spontaneamente nella mente umana, nei sogni, nei miti e nelle religioni. Gli archetipi influenzano il modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo, agendo come schemi che danno forma alle nostre esperienze e relazioni profonde.

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C’è qualche affinità fra sogni e mitologia, secondo Jung?

Carl Jung ha postulato che i miti sulle entità archetipiche costituiscano i “sogni” delle culture e che le storie e gli archetipi abbiano origine nei sogni e nelle fantasie degli individui. Come i sogni, i miti sono aperti all’interpretazione e possono avere un significato personale o trasmettere verità archetipiche sulla natura umana.

Che relazione c’è fra archetipi e inconscio collettivo?

Jung chiamò le rappresentazioni simili nelle varie culture gli “archetipi primordiali”, pensando che essi fossero attivi non solo nella mente di ogni singolo essere umano, ma anche nella cultura più ampia. Jung era infatti convinto che. sebbene ogni individuo e ogni cultura differiscano in molti modi, alla base di queste differenze ci sia sempre un’unità di idee e di forme.

Questa unità è stata da lui chiamata “inconscio collettivo”, perché gli esseri umani lo condividono collettivamente: esso opera inconsciamente all’interno delle persone e delle culture.

Quali sono le più importanti figure femminili nella mitologia?

  • Nella mitologia greca vi sono figure femminili come Afrodite, che rappresenta l’Amante, con il suo potere sulla bellezza, l’amore e la seduzione. Atena, invece, la dea della saggezza, rispecchia l’archetipo della Saggia, mentre Demetra incarna la Madre, che dona e protegge, ma che può anche vendicarsi in modo terribile.
  • Nella mitologia egizia, Iside è la Grande Madre e protettrice, che risolleva Osiride dalla morte e rappresenta l’energia vitale e protettiva della maternità e della femminilità. Hathor, altra divinità egizia, è al contempo madre, amante e distruttrice, unendo in sé molti archetipi femminili.
  • Nelle tradizioni orientali, come l’induismo, le dee Parvati, Kali e Saraswati riflettono le sfaccettature della femminilità. Parvati è la madre amorevole e devota, Kali è la distruttrice e trasformatrice, e Saraswati la dea della saggezza e della conoscenza. Kali, in particolare, incarna l’archetipo della Strega e della Madre feroce, una figura che incute timore ma che ha il compito di trasformare e purificare.

Vi sono archetipi femminili anche nelle religioni?

Si. Anche le grandi religioni monoteistiche incorporano archetipi femminili, sebbene in modi diversi rispetto alle mitologie politeistiche.

  • Il Cristianesimo presenta la figura della Vergine Maria, che rispecchia l’archetipo della Madre e della Vergine, simbolo di purezza, amore e sacrificio. Questo modello femminile è centrale, ma a differenza delle divinità pagane, viene idealizzato in un’unica immagine priva degli aspetti più complessi e ambivalenti. Il lato oscuro della femminilità viene rappresentato da figure come Eva, simbolo di tentazione e disobbedienza.
  • Nel misticismo ebraico, la figura della Shekinah rappresenta la presenza divina femminile e la saggezza. La Shekinah è considerata l’aspetto della divinità più vicino agli esseri umani, legato alla compassione e alla protezione, e rispecchia l’archetipo della Madre spirituale.
  • Nell’Islam, l’archetipo femminile trova espressione nella figura di Fatima, figlia del profeta Maometto, che viene rispettata per la sua pietà, purezza e forza spirituale. Fatima è vista come un modello di purezza e devozione, incarnando il rispetto per la saggezza e la spiritualità femminile.

Quali sono gli archetipi femminili principali secondo Jung?

Jung identificò alcuni archetipi femminili principali che rappresentano aspetti universali dell’esperienza umana. Tra questi, vi sono figure come la Madre,  la Vergine, la Strega, e la Saggia. Questi archetipi non si limitano a descrivere ruoli o stereotipi, ma riflettono energie profonde che attraversano e influenzano le esperienze psicologiche sia degli uomini sia delle donne.

La Madre rappresenta il potere generativo e nutriente. È simbolo di protezione, fertilità e sostentamento, ma anche di controllo e soffocamento. Nella mitologia, questa figura appare in molte forme, come la dea Terra, che rappresenta la natura stessa, capace di dare e togliere la vita.

La Vergine (o la figura della giovane innocente) è simbolo di purezza, autonomia e indipendenza. È presente nelle divinità come Artemide e Persefone, rappresentando il potenziale e la libertà di vivere senza legami imposti.

La Strega o l’Ombra Femminile incarna l’aspetto oscuro, misterioso e spesso temuto della femminilità. Questa figura è associata a poteri occulti, saggezza esoterica e una conoscenza che va oltre la logica convenzionale.

La Saggia (o Anziana) rappresenta la saggezza, la conoscenza intuitiva e la capacità di guidare. Questa figura è quella della dea Atena o della veggente, e incarna la guida spirituale e intellettuale.

Questi archetipi non sono semplici immagini statiche; nella prospettiva junghiana, essi rispondono a bisogni psichici fondamentali e variano nelle diverse culture e religioni.


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Come sono considerati gli archetipi femminili nella psicologia Junghiana?

Gli archetipi nella psicologia Junghiana aiutano le persone a sviluppare aspetti essenziali della propria psiche, come la capacità di essere empatici, intuitivi e creativi. Una maggiore consapevolezza di queste figure archetipiche può portare a una più profonda comprensione di sé e del proprio ruolo nel mondo.

Cosa sono i concetti di “Anima” e “Animus”?

Jung riteneva che ogni essere umano possedesse un aspetto inconscio femminile chiamato “anima” (nell’uomo) e un aspetto maschile chiamato “animus” (nella donna).  L’anima è legata agli aspetti emotivi e intuitivi, mentre l’animus rappresenta la razionalità e la forza assertiva. Queste figure interiori influenzano il modo in cui ci relazioniamo con l’altro sesso e con noi stessi. Secondo Jung integrarle consapevolmente nella psiche è essenziale per raggiungere l’equilibrio e la completezza psicologica.

L’anima nelle parole di Jung:

“È qualcosa che vive di se stessa, che ci fa vivere; è una vita dietro la coscienza che non può essere completamente integrata con essa, ma da cui, al contrario, sorge la coscienza “(Jung, 1954).

L’anima è “l’impulso caotico alla vita”, ma è anche la saggezza di “uno scopo nascosto che sembra riflettere una conoscenza superiore delle leggi della vita” (Jung, 1954).

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Busto di Demetra. Marmo, copia romana da un originale greco del IV secolo avanti Cristo, Wikipedia

 

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Cosa pensava Jung dei sogni?

Per Jung, i sogni non erano semplicemente un insieme casuale di immagini o desideri repressi, ma strumenti preziosi che potevano fornire al sognatore indicazioni importanti per la propria vita. Interpretare i sogni significava dunque cercare di cogliere i messaggi nascosti dell’inconscio.

Esempio di sogno interpretato da Jung

Jung ha raccontato un sogno del 1909 in cui si trovava in una casa sconosciuta.

Ero in una casa sconosciuta a due piani. Era “la mia casa”. Mi trovavo al piano superiore, dove c’era una specie di salotto ammobiliato con bei mobili antichi di stile rococò. Alle pareti erano appesi antichi quadri di valore. Mi sorprendevo che questa dovesse essere la mia casa, e pensavo:” Non è male!” Ma allora mi veniva in mente di non sapere che aspetto avesse il piano inferiore. Scendevo le scale, e raggiungevo il piano terreno.

Tutto era molto più antico, e capivo che questa parte della casa doveva risalire circa al XV o al XVI secolo. L’arredamento era medioevale, e i pavimenti erano di mattoni rossi. Tutto era piuttosto buio. Andavo da una stanza all’altra, pensando:” Ora veramente devo esplorare tutta la casa!” Giungevo dinanzi ad una pesante porta, e l’aprivo: scoprivo una scala di pietra che conduceva in cantina. Scendevo, e mi trovavo in una stanza con un bel soffitto a volta, eccezionalmente antica.

Esaminando le pareti scoprivo, in mezzo ai comuni blocchi di pietra, strati di mattoni e frammenti di mattoni contenuti nella calcina: da questo mi rendevo conto che i muri risalivano all’epoca romana. Ero più che mai interessato. Esaminavo anche il pavimento, che era di lastre di pietra, e su una notavo un anello: lo tiravo su, e la lastra di pietra si sollevava, rivelando un’altra scala, di stretti gradini di pietra che portava giù in profondità. Scendevo anche questi scalini, e entravo in una bassa caverna scavata nella roccia. Uno spesso strato di polvere ne copriva il pavimento, e nella polvere erano sparpagliati ossa e cocci, come i resti di una civiltà primitiva. Scoprivo due teschi umani, evidentemente di epoca remota e mezzo distrutti. A questo punto il sogno finiva. ”

Con questo sogno, Jung ebbe la prima intuizione dell’esistenza nella psiche di ogni persona di una traccia collettiva, che chiamò “ inconscio collettivo”.

Nel sogno, il piano superiore rappresenta la personalità cosciente, il piano terra l’inconscio personale mentre, nel livello più profondo, vi è l’inconscio collettivo – il primitivo aspetto comune della vita psichica. 

Che cosa è l’inconscio collettivo?

L’inconscio collettivo, secondo Jung, è una struttura psichica condivisa da tutti gli esseri umani. Contiene tracce di esperienze ancestrali sotto forma di archetipi, che sono modelli universali di pensiero e comportamento. È una sorta di memoria universale che influenza l’inconscio individuale.

Che cosa sono gli archetipi?

Sono delle forme a priori, che esistono nella psiche individuale, come una sorta di eredità genetica. Una caratteristica degli archetipi è che, mentre essi influenzano le nostre percezioni e il nostro comportamento, noi possiamo esserne consapevoli solo indirettamente. E’ un concetto molto simile al pensiero di Schopenhauer e Kant sulla inaccessibilità della “cosa in sé”. Anche Jung sostiene che gli archetipi non possano essere sperimentati direttamente, ma solo quando essi si sono materializzati in qualcosa.

Quali archetipi ha individuato Jung?

Jung ha individuato diversi archetipi, tra cui l’Eroe, l’Ombra, l’Anima e l’Animus. L’Eroe rappresenta il coraggio e la forza, l’Ombra l’aspetto oscuro e nascosto della nostra personalità, l’Anima e l’Animus il lato inconscio femminile nell’uomo e quello maschile nella donna.

Come si manifestano gli archetipi?

Gli archetipi possono manifestarsi in miti, simboli e immagini culturali e religiose.

Come funzionano gli archetipi nella psiche umana?

Gli archetipi agiscono come modelli inconsci che influenzano la percezione e il comportamento. Anche se le persone non li percepiscono direttamente, essi possono essere riconosciuti nei simboli, nelle figure mitologiche e nei sogni. Quando un archetipo è attivato, può suscitare forti emozioni e motivare il comportamento.

Che relazione vedeva Jung fra archetipi e cultura?

Jung riteneva che gli archetipi si manifestassero attraverso le immagini culturali a disposizione di ciascun popolo. Ad esempio, un cristiano potrebbe vedere un’immagine del Saggio in Gesù, mentre un buddista potrebbe trovare lo stesso archetipo nel Buddha. Ogni cultura offre forme che danno espressione agli archetipi universali.

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Gli archetipi sono osservabili nel comportamento animale?

Alcuni studiosi, come l’etologo Anthony Stevens, ritengono che gli archetipi possano essere presenti anche negli animali. Gli animali hanno comportamenti di gruppo, notano gli etologi, apparentemente attivati da stimoli ambientali. Questa attivazione dipende da ciò che viene definito come “meccanismo innato”.

Le formiche tagliafoglie, ad esempio, alla fine delle loro scorribande riportano nel nido frammenti di particolari fiori e piante, e successivamente provvedono a triturarle, mettendole poi a disposizione di alcuni funghi. Questi a loro volta “digeriscono” queste sostanze, altrimenti difficilmente utilizzabili dalle formiche e mettono a disposizione delle loro coltivatrici il nutrimento così trasformato. Altre caratteristiche, dal legame materno alla rivalità maschile nella stagione degli amori, potrebbero essere considerati degli archetipi.

L’idea è che maggiore è la complessità dell’organismo, più intricato risulta il comportamento archetipico e più ricca l’esperienza ad esso associata. Quando si tratta di esseri umani, gli archetipi non sono associati solo a modelli di comportamento, o ad esperienze piacevoli, ma hanno anche un senso e un significato. Quindi, gli esseri umani sono anch’essi soggetti agli archetipi che Jung individuò nell’eroe, nell’ombra, nell’animus e nell’anima, insieme a molti altri.

La teoria degli archetipi è stata criticata?

Sì, alcuni critici hanno contestato la teoria degli archetipi per la sua mancanza di rigore scientifico e perché sembra avere una base lamarckiana, cioè di trasmissione ereditaria delle esperienze. Tuttavia, concetti simili agli archetipi sono emersi in campi come la linguistica, con le “strutture profonde” di Chomsky, e nella sociobiologia, con le “regole epigenetiche”.

Quali archetipi vengono più accettati dal mondo psicologico e quali meno?

Il concetto di Ombra, cioè quella parte del carattere che è spesso sepolta e che, a volte, emerge improvvisamente, può essere utile, ad esempio, per spiegare i delitti passionali, mentre i concetti di anima e animus sono più controversi e non sempre completamente accettati.

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L’artista e la sua musa: un rapporto particolare

L’artista e la sua musa

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Le “muse” hanno giocato un ruolo centrale nell’arte, ispirando opere che hanno attraversato i secoli e segnato profondamente la cultura visiva e letteraria. Dal Rinascimento ad oggi, l’influenza di queste figure è stata fondamentale, non solo per la produzione artistica, ma anche per la vita privata e la crescita personale degli artisti.

Una musa è tutto, meno che una semplice modella: è la parte femminile dell’artista maschio, con la quale egli deve avere rapporti, se desidera concepire un nuovo lavoro. E’ l’anima del suo animus, lo yin del suo yang, tranne che per il fatto che è lei, la musa, a penetrare il suo artista, in una completa inversione dei ruoli di genere, ed è lui, l’artista, a portare avanti la gestazione, a partorire il suo lavoro, dall’utero della mente. (cit. Germaine Greer)

Ecco alcune delle muse più celebri del passato e di oggi, con le loro storie e l’impatto che hanno avuto sugli artisti a cui erano legate.

Simonetta Vespucci – Sandro Botticelli

Simonetta Vespucci, considerata una delle donne più belle del Rinascimento, è stata la musa di Sandro Botticelli. Si pensa che Simonetta abbia ispirato i tratti ideali femminili in opere come “La nascita di Venere” e “La Primavera”. La bellezza di Simonetta divenne leggendaria, ed è stata idealizzata come incarnazione della perfezione rinascimentale. Sebbene i due non fossero amanti, Botticelli chiese di essere sepolto ai suoi piedi, in segno di eterna ammirazione.

Margherita Luti – Raffaello Sanzio

Margherita Luti, meglio conosciuta come la Fornarina, era così chiamata per essere figlia di un fornaio di Trastevere. Celebre è un ritratto della ragazza,  chiamato proprio La Fornarina, conservato oggi presso Palazzo Barberini, a Roma. Un dettaglio del quadro è il bracciale sul braccio sinistro della donna, sul quale si legge la firma dell’autore, Raphael Urbinas. Di lei si racconta che amasse Raffaello al punto che, alla sua morte, lacerata dal dolore, si rinchiuse nel convento di Sant’Apollonia.

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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Emilie Flöge Gustav Klimt

Klimt scelse Flöge, che aveva 12 anni meno di lui, e ne fece una sua amante virtuale. I rapporti sessuali furono infatti cercati dall’artista unicamente con donne di una classe sociale diversa dalla sua (ed infatti sembra che avesse avuto 14 figli). Quando Klimt morì, i figli ricevettero solo una piccola somma della sua fortuna, che fu invece divisa fra Flöge e la famiglia Klimt. Vediamo i lineamenti di Emilie nella maschera bianca, disegnata al centro della pittura del 1913, La vergine, custodita nella Národní Gallery di Praga.

Monique Bourgeois Matisse

Monique curò Matisse a partire dal 1941, quando l’artista si ammalò di cancro. La Bourgeois divenne sua modella ed infermiera. Nel 1943, dopo che i due erano stati separati dalle vicissitudini della guerra, la Bourgeois entrò in convento e non incontrò più Matisse fino al 1946, quando lo cercò per chiedergli di dipingere la Cappella del Rosario, il suo ultimo e grandissimo lavoro completo.

Jeanne HébuterneAmedeo Modigliani 

Jeanne Hébuterne fu l’amante e musa di Amedeo Modigliani, nota per la sua bellezza delicata e malinconica, che il pittore italiano ritrasse in molti suoi celebri dipinti. La loro relazione fu intensa e tragica: dopo la morte di Modigliani nel 1920, Jeanne, incinta del loro secondo figlio, si tolse la vita il giorno seguente, lasciando un segno profondo nella storia dell’arte.

Dora Maar – Pablo Picasso

Fotografa e artista, Dora Maar fu per Pablo Picasso una musa intensa e drammatica. Conosciuta per il suo talento fotografico, la Maar immortalò la creazione del famoso “Guernica” e divenne una parte centrale della vita e delle opere di Picasso negli anni ’30 e ’40. L’influenza della Maar è evidente in molte delle opere cubiste di Picasso, anche se il loro rapporto turbolento influenzò profondamente il loro lavoro e la loro vita. La separazione portò la Maar verso un periodo di crisi emotiva e spirituale, ma alla fine la condusse anche a una fase di riflessione artistica personale.

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Gala Éluard – Salvador Dalí

Gala Éluard, inizialmente compagna del poeta Paul Éluard, fu la musa e compagna di Salvador Dalí per decenni. Dalí vedeva Gala come l’incarnazione della perfezione e della sua ispirazione artistica. La loro relazione fu al centro della vita di Dalí, e Gala apparve in molte delle sue opere, raffigurata come una figura divina e mistica. La sua presenza portò Dalí a una produzione artistica estremamente prolifica e a sperimentazioni artistiche che consolidarono la sua carriera.

Camille Claudel – Auguste Rodin

Camille Claudel fu più di una musa per Auguste Rodin: fu anche sua allieva e amante, oltre che scultrice di talento. La loro relazione, complessa e appassionata, influenzò profondamente l’opera di entrambi. Camille ispirò molte sculture di Rodin e collaborò attivamente a progetti come “La porta dell’inferno”. Tuttavia, la relazione tormentata condusse Claudel a un periodo di instabilità psicologica, fino alla reclusione in un ospedale psichiatrico, dove visse isolata fino alla morte.

Yoko Ono – John Lennon

Yoko Ono è una delle muse contemporanee più note, avendo ispirato non solo la musica di John Lennon, ma anche il suo attivismo per la pace e la sua visione artistica. La loro collaborazione produsse opere come “Imagine”, e la Ono fu anche al centro di molte performance artistiche. La loro unione rappresentò un cambiamento radicale nella carriera di Lennon, influenzando profondamente il suo percorso, come musicista e pacifista.

Sandra Fisher – RB Kitaj

Una musa ispiratrice del ventesimo secolo è stata Sandra Fisher, moglie di RB Kitaj; non per il ruolo da lei svolto durante la sua vita, bensì per quello che rappresentò nella vita intellettuale di Kitaj, dopo la sua prematura scomparsa. Solo allora l’artista poté riconoscerla come fonte della sua ispirazione, espressione della divinità, come furono Beatrice per Dante e Laura per il Petrarca.

Edie Sedgwick – Andy Warhol

Edie Sedgwick fu la musa di Andy Warhol negli anni ’60 e un’icona della Factory, il laboratorio creativo di Warhol. Edie rappresentava la bellezza e la vulnerabilità del periodo, diventando una figura di culto nel panorama artistico e mediatico. Apparve in molti dei film di Warhol e divenne il volto della cultura pop di quel tempo. Tuttavia, la sua ascesa fulminea fu seguita da un rapido declino, portandola a una tragica e prematura fine.

Pattie Boyd – George Harrison ed Eric Clapton

Modella e fotografa, Pattie Boyd fu musa di due grandi musicisti: George Harrison e Eric Clapton. Boyd ispirò famose canzoni come “Something” dei Beatles e “Layla” di Clapton, che esprimono sia l’amore sia la sofferenza dei due artisti. La sua influenza non si limitò alla musica, ma si estese anche alla fotografia, in cui Boyd ha saputo catturare lo spirito degli anni ’60 e ’70.

Amanda Lear – Salvador Dalí e David Bowie

Cantante, attrice e modella, Amanda Lear fu la musa e compagna di Dalí per molti anni, e in seguito una figura ispiratrice per David Bowie. La Lear rappresentava una bellezza enigmatica e ambigua, incarnando l’ideale di trasformazione che permeava la cultura del tempo. La sua relazione con Dalí è spesso ricordata come uno dei legami più eccentrici e creativi del XX secolo.

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Kiki de Montparnasse – Man Ray

Kiki de Montparnasse, artista e modella, fu una delle muse più emblematiche di Man Ray e della scena parigina degli anni ’20. Rappresentata in molti dei ritratti surrealisti di Ray, Kiki incarnava l’avanguardia e la libertà artistica di quel periodo. La loro relazione simboleggiava lo spirito sperimentale dell’epoca, e le immagini di Kiki sono oggi icone dell’arte moderna.

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Leggi anche: Lou Andreas Salomè: la musa ispiratrice

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Fritz Wittels e la prima biografia di Sigmund Freud

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Fritz Wittels, medico e psicoanalista austriaco (1880-1950), allievo di Freud, membro della società psicologica del mercoledì, viene ricordato soprattutto perché scrisse la prima biografia di Sigmund Freud.

Wittels aveva frequentato l’Università di Vienna a partire dal 1898 e completato i suoi studi in medicina nel 1904. In seguito aveva fatto pratica presso l’ospedale generale di Vienna.

Nel 1905 aveva iniziato a seguire le lezioni di Freud e nel 1906 era stato introdotto da un parente nel ristretto circolo che si era formato intorno a Freud.

Wittels cercò di iniziare la libera professione di psicoanalista nel 1908, ma con scarso successo.

Durante la prima guerra mondiale fu medico militare in Turchia e in Siria. Negli anni Venti si fece analizzare da Wilhelm Stekel.

La sua biografia di Freud, in parte frutto della collaborazione con Stekel, fu pubblicata nel 1923 a Vienna e poi, nel 1924, in Inghilterra e in America. Il libro si chiamava: Sigmund Freud: l’uomo, l’insegnamento, la scuola.

Freud mostrò scarso entusiasmo per la pubblicazione, anche se giudicò il testo non ostile e non troppo indiscreto, ma aggiunse che un libro del genere non se lo sarebbe mai augurato.

“Certamente non avrei mai desiderato o promosso la scrittura di un libro come questo… Secondo me il pubblico non ha diritto ad essere informato sulla mia persona, né può sapere troppo di me finché il mio caso, per una moltitudine di ragioni, non potrà essere reso totalmente trasparente… Lei la pensa diversamente e per questo ha scritto questo libro. La sua distanza personale da me, che lei considera come un vantaggio, in realtà comporta grandi svantaggi. Lei sa ben poco sul suo soggetto di studio e di conseguenza non può evitare il pericolo di fargli violenza, attraverso i suoi tentativi di analizzarlo”

[Lettera di Freud a Wittels 18.12.1923]

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Del resto i contenuti del libro potevano sicuramente infastidire Sigmund Freud, specialmente quando Wittels scrive che il padre della psicoanalisi:

– ha un’opinione altissima della propria persona (complesso di Jehova)
– è un despota che non tollera deviazioni dal proprio sistema
– riduce i discepoli a uno stato di ipnotica dipendenza
– allontana gli amici
– non è esente da criptomnesia (disturbo della memoria per cui i ricordi non appaiono come cose apprese in esperienze passate, ma come creazioni della fantasia, ovvero dei plagi involontari)

In un primo momento Wittels fu allontanato dalla Società psicoanalitica di Vienna, nel 1925, ma due anni dopo venne riammesso come membro. (A seguito della sua riconciliazione con Freud fece alcune correzioni alla biografia, nel 1932).

Nel 1927 entrò nel comitato che si occupava di propagandare il movimento psicoanalitico e l’anno successivo fu inviato da Alvin Johnson in America, ad insegnare presso la New School for Social Research di New York, dove entrò a far parte della Società Psicoanalitica di New York, insegnò presso il New York Psychoanalytic Institute e alla New School, presso il Bellevue Hospital di New York e alla Columbia University.

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Il suo ultimo libro, Le abitudini sessuali delle donne americane, fu pubblicato postumo nel 1951.

Nel 1995 Edward Timms ha pubblicato Freud and the Child Woman. The Memoirs of Fritz Wittels, una versione molto discussa di memorie, attribuite a Wittels (Lensing, 1996).

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Fonti:

Centro Studi Psicologia e Letteratura

Freud Museum

International Dictionary of Psychoanalysis

Immagine:

Freud Museum e Wikipedia

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