Paulo Coelho

Coelho e la Leggenda Personale

Coelho e la Leggenda Personale

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Lo scrittore brasiliano Paulo Coelho (classe 1947) è uno degli autori più celebri e influenti nel panorama della letteratura contemporanea. La Leggenda Personale è un tema cardine dei suoi romanzi, specialmente nel bestseller L’Alchimista. La sua visione della “leggenda personale” non è solo una narrazione di crescita personale, ma una filosofia di vita che invita alla scoperta di sé stessi attraverso il coraggio di seguire i propri sogni e desideri profondi. Cerchiamo di saperne di più.

Che cosa è la Leggenda Personale secondo Coelho?

La “leggenda personale” secondo Coelho si riferisce a un percorso di realizzazione interiore che ogni individuo dovrebbe intraprendere per scoprire il proprio destino. Coelho considera questo viaggio come un diritto innato e, allo stesso tempo, un dovere che ogni persona ha verso se stessa: è l’idea di seguire una voce interiore che guida verso la massima realizzazione. Attraverso questa ricerca, l’individuo non solo scopre il proprio valore, ma contribuisce anche al benessere dell’umanità, in quanto ogni sogno realizzato porta valore al mondo.

Come sviluppa questo tema nel romanzo L’Alchimista?

Nel romanzo L’Alchimista, lo scrittore racconta di un giovane pastore itinerante che incontra un vecchio Alchimista, il quale gli conferma che il tesoro da lui sognato esiste davvero, in Egitto, presso le Piramidi e che lo troverà se si impegnerà ad ascoltare il suo cuore.

Il giovane intraprende dunque questo viaggio, reale e simbolico, che lo porterà a vivere molte avventure ed a diventare ricco. La ricchezza e poi l’amore però non lo distoglieranno dalla ricerca del suo tesoro, che alla fine infatti troverà, compiendo così la sua ‘leggenda personale’.

La storia di Santiago illustra in modo chiaro il concetto di sincronicità, un altro elemento caro a Coelho: la convinzione che quando ci impegniamo sinceramente per qualcosa, l’universo stesso cospira per aiutarci. Questo concetto è direttamente collegato alla leggenda personale, poiché indica che ogni passo nel cammino verso la realizzazione di sé è supportato da una sorta di connessione universale.

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Come è il percorso per seguire la propria Leggenda Personale?

Realizzare la propria Leggenda Personale significa compiere il proprio destino, realizzare quello per cui si è nati. Il percorso per seguire la propria leggenda personale non è lineare e può portare con sé dubbi, momenti di sconforto e persino l’illusione di avere fallito. Ne L’Alchimista, Coelho mette in evidenza anche l’importanza dei segni e dell’ascolto interiore, ossia quei momenti di intuizione che aiutano a comprendere la direzione del proprio cammino. Questo ascolto diventa una guida che, se seguita, conduce alla soddisfazione e alla pace interiore, traguardi finali del viaggio personale. E’ un progetto che non riguarda solo se stessi, ma tutto l’universo e per questo lo sforzo personale per questa ricerca sarà premiato da una serie di coincidenze favorevoli, che porteranno verso l’obiettivo finale.

Tutte le esperienze sono utili, anche quelle negative.

“La vita – scrive Coelho – insegna in ogni momento”: l’unico segreto è imparare dal quotidiano, per diventare saggi come Salomone e potenti come Alessandro Magno.

Cosa rappresenta, nella vita di una persona, questo percorso?

Coelho presenta la leggenda personale come una chiamata all’autenticità, un invito a scoprire e a vivere il proprio potenziale senza lasciarsi fermare dalla paura del giudizio o dal desiderio di sicurezza. Nonostante le avversità, il viaggio verso la propria leggenda personale è un impegno alla propria crescita e, nel pensiero dell’autore, è ciò che dà senso alla vita.

Perché alcune persone, secondo Coelho, si rifiutano di seguire la propria leggenda personale?

Secondo Coelho non tutti hanno il coraggio di confrontarsi con I loro sogni, perché vi sono degli ostacoli:

  • Sin dall’infanzia viene detto ai bambini che è impossibile realizzare i propri sogni. Si cresce dunque con questa idea e, man mano che gli anni si accumulano, aumentano i pregiudizi e le false credenze, la paura ed il senso di colpa. Viene un momento in cui la Leggenda Personale è così profondamente sepolta nella propria anima da risultare invisibile, anche se c’è ancora.
  • L’amore: si sa ciò che si vuole nella vita, ma si ha paura di ferire il partner e così si abbandonano i propri sogni.
  • La paura di sbagliare, di incontrare delle sconfitte sulla propria strada. Per realizzare la propria leggenda è necessario invece avere pazienza e soprattutto credere che l’Universo stia cospirando in proprio favore, anche se non sempre lo si capisce. Del resto, anche le sconfitte sono necessarie. E comunque, anche se non lo fossero sempre, sono cose che succedono. E’ naturale che chi lotta per raggiungere i propri sogni, senza avere specifiche esperienze, faccia molti errori.

Relazione fra sesso e cibo

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Quale è, secondo Coelho, il segreto della vita?

Il segreto della vita è cadere sette volte e rialzarsi per otto. E una volta che si sono superate le sconfitte personali si è più sicuri di se stessi, pieni di entusiasmo e di euforia. Ogni ora, ogni minuto, sono parte della Grande Battaglia umana per raggiungere il sogno della propria vita.

Cosa impedisce di realizzare i sogni, quando sono a portata di mano?

Come diceva oscar Wilde, ‘ogni uomo uccide le cose che ama’ e così molte persone,  dice Coelho, dopo aver superato tantissimi ostacoli, decidono di non arrivare alla meta, rinunciando alla gioia della conquista.

Quali sono gli aspetti critici di queste teorie?

La critica principale è che questa visione appare riduttiva rispetto alla complessità delle esperienze umane. Sebbene la scoperta del proprio scopo sia un tema condiviso da molte correnti filosofiche e psicologiche, il messaggio di Coelho sembra trattarlo con una semplicità che non tiene conto delle differenze culturali, socioeconomiche e delle limitazioni concrete di ogni persona. Molti lettori lo vedono come un concetto che alimenta una visione individualistica, dove tutto diventa subordinato alla ricerca della propria realizzazione, tralasciando temi come il collettivismo, le responsabilità sociali o i conflitti interiori che spesso limitano le scelte.

Un altro concetto caro a Coelho è quello della sincronicità, ovvero l’idea che l’universo “cospiri” a favore di chi segue il proprio sogno. Sebbene questa visione possa essere affascinante, è anche fortemente criticata per essere troppo ottimistica e poco realistica. Diversi critici sostengono che la convinzione che “tutto andrà bene se ascoltiamo il nostro cuore” possa portare a sottovalutare l’importanza di elementi come la disciplina, la perseveranza e il realismo. Inoltre, affermare che l’universo “cospira” per aiutare gli individui può indurre una falsa percezione del controllo sugli eventi, facendo sentire chi non raggiunge i propri obiettivi come se avesse mancato un compito interiore, invece che aver affrontato semplicemente condizioni avverse.

Da dove attinge le proprie idee Coelho?

Coelho attinge a una varietà di tradizioni spirituali – dal cristianesimo al sufismo, dall’alchimia alla saggezza popolare. Questa fusione, se da un lato crea una spiritualità inclusiva e accessibile, dall’altro solleva critiche per l’assenza di profondità. Molte delle sue idee sono spesso viste come frasi motivazionali o concetti da “self-help”, che non approfondiscono realmente il significato o la storia dei principi spirituali originali da cui prendono ispirazione. Per alcuni critici, questa spiritualità “light” tende a semplificare questioni profonde e a rendere le esperienze mistiche e religiose dei cliché.

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Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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La psicologia della degustazione del vino

La psicologia della degustazione del vino

La psicologia della degustazione del vino

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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La degustazione del vino è un’esperienza sensoriale e psicologica che coinvolge non solo il gusto ma anche l’olfatto, la vista e perfino la memoria e le emozioni. Attraverso la psicologia della degustazione, possiamo comprendere meglio come le persone interpretano e reagiscono a questa esperienza multisensoriale, che è influenzata da aspetti individuali e culturali, oltre che dalla predisposizione e dalla memoria sensoriale.

Come si percepisce il vino?

La degustazione del vino si basa su una serie di percezioni sensoriali che lavorano in sinergia. Il cervello elabora ogni informazione ricevuta dai sensi per creare un’esperienza unica.

L’olfatto, ad esempio, gioca un ruolo primario nella degustazione del vino: molte delle sfumature aromatiche (come i sentori di frutta, fiori o spezie) sono percepite dalle cellule olfattive nel naso. Questa capacità di cogliere aromi complessi è una delle ragioni per cui le persone possono distinguere vini differenti anche a occhi chiusi.

Il gusto, invece, coinvolge il riconoscimento dei sapori fondamentali come dolce, salato, acido e amaro. Nel caso del vino, sono i recettori per l’amaro e l’acidità a essere maggiormente stimolati, poiché sono componenti cruciali della sua struttura.

Anche il tatto entra in gioco, poiché il corpo del vino, la sua “pienezza” e la consistenza vengono percepiti dalla bocca, influenzando la sensazione complessiva.

La vista non è da meno: non a caso “il vino si gusta anche con gli occhi”. Solo il colore, bianco o rosso, di un vino è infatti sufficiente per influenzare la percezione nella maggior parte dei bevitori, anche coloro che sono abbastanza esperti ed informati su ciò che stanno degustando. Ad esempio, colorando un vino di un colore atipico, come ad esempio il blu, si è visto che questo non solo influenza la vista, ma anche il sapore percepito. Inoltre, il vino va sempre osservato con una luce naturale: si è visto che i cambiamenti dovuti all’illuminazione artificiale influenzano le sensazioni, non solo in termini visivi, ma anche in caratteristiche quali la dolcezza, o perfino nel prezzo che si è disposti a pagare per acquistarlo.

I rituali. La degustazione di un vino in modo strutturato e informato comporta dei rituali, come ad esempio il far girare il vino nel bicchiere, o odorarlo, gesti che fondamentalmente servono per rilasciare le molecole volatili, permettendone la valutazione. 

Dr. Walter La Gatta

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Che ruolo gioca la memoria?

Durante la degustazione del vino, le memorie sensoriali e le associazioni personali possono arricchire o influenzare l’esperienza. La psicologia mostra che il cervello, quando percepisce un aroma o un sapore familiare, tende ad associarlo a esperienze passate. Ad esempio, un vino con sentori di ciliegia o vaniglia potrebbe evocare ricordi d’infanzia, creando un’esperienza emotiva che va oltre la pura percezione sensoriale.

La percezione dei sapori e degli aromi è inevitabilmente legata al contesto in cui si sono vissute esperienze analoghe in passato. Questo significa che due persone che degustano lo stesso vino potrebbero avere reazioni diverse, poiché il cervello di ciascuna associa quegli aromi e sapori a ricordi e vissuti differenti.

Da cosa ci si lascia influenzare nella valutazione di un vino?

Le persone si aspettano che un vino con un’etichetta famosa o un prezzo elevato sia automaticamente di qualità superiore, il che può effettivamente alterare la percezione del gusto. È stato dimostrato che, quando i partecipanti a una degustazione pensano di stare bevendo un vino di alta qualità, tendono a giudicarlo più positivamente anche quando è identico a un vino a basso prezzo. Questo fenomeno dimostra come le aspettative possano plasmare le percezioni sensoriali.

L’influenza sociale è un altro fattore rilevante: la degustazione del vino è spesso un’esperienza condivisa e la reazione degli altri può condizionare la propria. In un contesto di gruppo, come una degustazione guidata, le opinioni degli esperti o dei partecipanti più esperti possono influenzare il modo in cui viene percepito il vino, portando le persone ad allinearsi con giudizi ritenuti competenti. 

Le variabili contestuali, quali la temperatura, la luce, la compagnia, il proprio stato individuale (umore, salute ecc.) al momento della degustazione influiscono notevolmente sulla valutazione. Si è visto che anche la qualità della musica presente nell’ambiente, può modificare le percezioni.

Dal modo in cui si percepisce un vino si può arrivare alla personalità di chi lo degusta?

Studi recenti indicano che persone con un alto livello di “apertura mentale” sono più inclini a provare nuovi tipi di vino e a esplorare sapori diversi. Al contrario, chi tende alla “stabilità emotiva” potrebbe preferire vini dai gusti familiari e rassicuranti, associati a esperienze positive e tranquille.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Cosa si intende per “degustazione alla cieca”?

La degustazione del vino viene spesso effettuata con una benda sugli occhi.  La degustazione “alla cieca” ha lo scopo di superare i problemi di elaborazione cognitiva del vino. In primo luogo, questo metodo incoraggia a concentrare i sensi sul gusto, piuttosto che su qualsiasi altra sensazione. Nella maggiore attenzione data al senso del gusto, senza conoscere prezzo, colorazione, bottiglia o qualsiasi altra informazione, l’assaggiatore diventa molto più consapevole non solo della ricchezza del vino, ma  anche di altri aromi e segreti che riguardano la sua lavorazione.  Sul piano scientifico, il degustatore non attiverà tanto il sistema limbico, cioè l’insieme delle strutture cerebrali per l’emozione, il comportamento, la motivazione, la memoria e l’olfatto, ma renderà più attiva e vigile la parte “cognitiva” del cervello.

Il vino migliora il benessere psicologico?

La degustazione del vino non è solo una questione di percezione e gusto: può anche avere effetti positivi sul benessere psicologico. Il vino è storicamente associato alla convivialità e alla socialità, aspetti che contribuiscono a migliorare l’umore e ridurre lo stress. In piccole quantità e in un contesto piacevole, la degustazione di un buon vino può trasformarsi in un’esperienza rilassante e gratificante, che consente di vivere il momento presente e di apprezzare un rituale che coinvolge i sensi e la mente.

Dr. Walter La Gatta

Foto di Pixabay


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Fonte principale:
A brief guide to wine tasting for psychologists BPS

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La Gradiva e l'affinità fra psicoanalisi ed arte

La Gradiva e l’affinità fra psicoanalisi ed arte

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Nel viaggio a Roma del 1907 Freud potè prendere diretta visione del bassorilievo originale della Gradiva nei Musei Vaticani.

Gradiva era anche il soggetto della novella gotica pubblicata da Wilhelm Jensen nel 1903, nella quale il giovane archeologo Norbert Hanold vede in un museo il bassorilievo di una fanciulla che cammina (Gradiva significa “colei che avanza”) e ne rimane colpito al punto di procurarsi un suo calco in gesso, da portarsi a casa.

Osservando la figura, che cattura tutte le sue energie vitali, l’archeologo viene preso da strani sogni e da idee deliranti. Sogna ad esempio che la statua possa animarsi e che la donna possa poi essere seppellita viva sotto la cenere dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. L’archeologo viene ricondotto alla realtà grazie all’aiuto della ragazza che è al centro del suo stesso delirio.

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Freud fu affascinato dal sogno di sapore archeologico narrato nella novella e lo collegò alla sua ricerca psicoanalitica, pubblicando nel 1907 il saggio Il delirio ed i sogni nella Gradiva di Wilhelm Jensen.

Lo psicoanalista iniziò così a mettere in relazione la logica dei sogni e quella dei deliri, vedendo nel lavoro di Jensen una scoperta intuitiva di quanto la psicoanalisi metteva in evidenza a livello concettuale.

Il fondatore della psicoanalisi poté prendere così per la prima volta coscienza della grande affinità fra psicoanalisi ed arte, che hanno in comune il terreno dell’inconscio e soprattutto quei sogni che “non sono stati sognati da alcuno e che sono stati invece inventati dai poeti”.

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Secondo il celebre psicoanalista Cesare Musatti, Freud avrebbe preso le mosse dalla novella di Jensen, segnalatagli da Jung, a causa della analogia fra le vicende del protagonista , i casi clinici e l’interesse per i sogni della psicoanalisi. Secondo Musatti, Freud applica al racconto di Jensen i metodi della psicoanalisi, trasformando il caso letterario in caso clinico-psichiatrico.

L’autore della novella, Jensen, interpellato da Freud, negò più volte di conoscere la psicoanalisi e la psichiatria (sebbene fosse medico), per cui Freud finì per convincersi dell’esistenza della “sapienza poetica” che rende affini le tematiche dell’arte e della psicoanalisi.

Per la cronaca, Freud scrisse il saggio sulla Gradiva in Trentino, in un albergo che si affaccia sul lago di Lavarone, nei pressi di Folgaria.

Una Conferenza sulla Paura

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Recentemente, William Cobbing al Freud Museum di Londra (dal 6 dicembre 2007 al 27 gennaio 2008), ha presentato un progetto che comprende sculture, installazioni e video utili per interpretare il suggestivo racconto di cui Freud parla nei suoi studi e che ha come protagonista un bassorilievo romano raffigurante una donna che cammina.

Per l’evento, Cobbing ha riprodotto il bassorilievo raffigurante Gradiva sul coperchio metallico di un tombino e ha installato quest’ultimo sul viale del giardino davanti al museo.

Porre il bassorilievo con Gradiva per terra, sulla soglia del museo rammenta che una visita alla casa di Freud rappresenta un viaggio nel regno dell’ambiguo e del fantomatico.

Nelle sale del Museo, Cobbing ha esposto lavori che hanno per tema episodi riguardanti la giovane protagonista della novella: il seppellimento, il ricordo e il desiderio.

Una serie di video mostra delle persone seppellite vive sotto strati di terra, mentre lottano tra loro. Ambientata in maniera discreta negli spazi intimi del museo c’è una figura murata. Sepolta nel vano di una porta sotto strati di calcestruzzo, essa suggerisce il senso di un’esistenza parallela sotto la superficie dei muri del museo.

Fonti:
Bourdin D., Cento anni di psicoanalisi. Da Freud ai giorni nostri. Dedalo
C.L. Musatti, Introduzione, in Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio. Boringhieri
AAVV Atlante della psicoanalisi. Esplorare l’inconscio, Giunti
Imageart

Dott.ssa Giuliana Proietti

Relazione sull'Innamoramento - Festival della Coppia 2023

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Lutto e melanconia Freud

Lutto e Melanconia – Freud 1917

Lutto e Melanconia – Freud 1917

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Nel 1917, Sigmund Freud pubblicò uno dei suoi saggi più influenti, Lutto e Melanconia, un libro che tratta della differenza tra due stati emotivi spesso confusi fra loro, ma radicalmente diversi: il lutto e la melanconia (oggi identificabile come una forma di depressione).  Questo saggio ha avuto un impatto fondamentale sulla comprensione psicodinamica della sofferenza e del dolore psichico, aprendo la strada a riflessioni che ancora oggi permeano la psicoterapia.

Quando scrisse questo saggio Freud?

Il manoscritto “Lutto e melanconia”, risale al 1915, ma il libro fu pubblicato due anni dopo. Freud descrisse in questo testo, che echeggia gli orrori e le paure della prima guerra mondiale, l’essenza della malinconia  confrontandola con l’effetto normale del lutto. Freud delineò due modalità distintive di affrontare la perdita: il lutto come processo naturale di elaborazione e la melanconia come stato patologico che implica un’autopunizione profonda.

Cosa è il lutto, per Freud?

La definizione freudiana del lutto è molto ampia e comprende, oltre alla reazione alla perdita di una persona cara, le reazioni a ogni perdita che la persona subisce, ivi compresa la perdita della libertà personale, o la perdita di un ideale che rappresentava qualcosa di significativo per l’individuo.

LibriAutori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta

Per Freud il lutto è qualcosa di negativo?

No. Per Freud, il lutto è una risposta naturale e sana alla perdita di una persona amata o di qualcosa.  Si tratta di un processo di elaborazione della perdita che, sebbene doloroso, permette all’individuo di accettare gradualmente la realtà e riorganizzare la propria vita senza l’oggetto perduto. 

Il lutto è un processo temporaneo?

Si, secondo Freud, il lutto è un processo temporaneo, durante il quale l’energia psichica (libido) che era investita nell’oggetto perduto viene lentamente ritirata. L’individuo, alla fine, si stacca emotivamente da ciò che ha perso e può reinvestire la sua energia in nuove relazioni o interessi. In altre parole, il lutto è un processo di guarigione che, pur doloroso, porta con il tempo alla risoluzione.

Cosa è per Freud la melanconia?

La melanconia, secondo Freud, è qualcosa di molto diverso. Sebbene anche essa sia innescata dalla perdita, è caratterizzata da un’esperienza profondamente patologica e autolesionistica.

Scrive Freud:

” La melanconia è psichicamente caratterizzata da un profondo e doloroso sentimento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoinganni e culmina nell’attesa delirante di una punizione “

Quale è la differenza fondamentale fra lutto e melanconia?

La differenza fondamentale è che, mentre nel lutto l’individuo è consapevole di cosa ha perso, nella melanconia la perdita non è sempre chiaramente percepita. La persona melanconica può non essere consapevole di quale sia l’oggetto perduto o può vivere una perdita più astratta, come l’autostima o una parte fondamentale della propria identità.

Cosa si intende per “elaborazione del lutto” e perché questo non si trova nella melanconia?

Nel lutto, l’individuo lavora per disinvestire la libido dall’oggetto perduto, mentre nella melanconia l’oggetto perduto viene “introiettato” nell’Io. Questa introiezione causa una sorta di identificazione patologica: l’individuo si punisce e svaluta, come se fosse l’oggetto perduto. In questo processo, le critiche che potrebbero essere state dirette all’oggetto si riflettono su se stessi.

Freud spiega come la melanconia porti l’individuo a diventare “giudice” del proprio Io, portando a una condizione di svalutazione costante. Questo stato è pericoloso, poiché può evolvere in idee suicidarie, dato che il soggetto non riesce a separare il proprio Io dall’oggetto perduto.

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Cosa comporta l’elaborazione del lutto?

L’elaborazione del lutto è un’attività dell’Io, che agisce sui ricordi dolorosi, per attenuare, con il tempo, il dolore che essi provocano (comprende reazioni fisiologiche e psicologiche, fra le quali piangere, pensare, bramare la persona o la cosa amata, fino alla rassegnazione e al distacco).

Come descrive Freud la melanconia?

Freud descrive la melanconia come una condizione in cui l’individuo internalizza l’oggetto perduto e rivolge contro di sé il proprio risentimento e la propria rabbia. L’io viene svalutato, la persona sperimenta un senso profondo di inadeguatezza, colpa e disprezzo per se stessa. Questo stato di autoaccusa può diventare debilitante e può condurre a un ritiro dal mondo esterno, caratterizzato da apatia, perdita di interesse nelle attività quotidiane e isolamento sociale.

La melanconia può essere considerata un lutto senza fine, senza elaborazione?

Si. E’ come se nel malinconico si producesse una scissione dell’Io, per cui una parte di esso si rivolgesse contro l’altra parte, punendola, biasimandola, attaccandola violentemente, fino anche al suicidio del soggetto.

Quale è il vero oggetto d’amore perduto del melanconico, per Freud?

E’ il suo Io. Ciò succede perché l’Io si è identificato narcisisticamente con una persona verso la quale si è provato un sentimento ambivalente: sia amore, sia odio, mentre l’altra parte dell’Io regredisce fino allo stadio del sadismo.

L’odio rimosso per qualcun altro (sia questi l’oggetto perduto o no) determina dunque gli autorimproveri, l’auto-aggressività, ma anche l’irritabilità dei melanconici, che sono individui molesti, i quali si vittimizzano, quasi come se fossero sempre gli altri i responsabili di qualche ingiustizia nei loro confronti.

Questo saggio è ancora di attualità?

Si. L’intuizione freudiana che nella melanconia vi sia un’aggressione auto-rivolta ha anticipato teorie successive sulla depressione come rabbia non espressa o indirizzata contro il Sé.

Una mancata soluzione del lutto può portare alla melanconia, cioè alla depressione?

Si. Oggi, si riconosce che il lutto può diventare patologico. Una mancata risoluzione del lutto può avere implicazioni a lungo termine per la salute mentale, conducendo a stati depressivi gravi che riflettono molti degli aspetti descritti da Freud nella melanconia.

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Fonte principale: Concato, Manuale di psicologia dinamica, AlefBet

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Thomas Mann: una biografia

Thomas Mann: una biografia

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Thomas Mann (1875-1955) è stato uno degli scrittori tedeschi più importanti del XX secolo, premio Nobel per la letteratura nel 1929, noto per la sua prosa raffinata, le sue opere dense di simbolismi e per l’approfondita analisi dell’animo umano e della società borghese.

I suoi grandi romanzi, I Buddenbrook, La montagna incantata, Doctor Faustus e alcuni dei suoi racconti, come Tonio Kröger e La morte a Venezia sono diventati dei riferimenti universali. Conosciamone allora la biografia.

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Anni giovanili

Nato il 6 giugno 1875 a Lubecca, una città della Germania del Nord, Thomas Mann crebbe in una famiglia borghese di commercianti benestanti.

Suo padre, Thomas Johann Heinrich Mann, era un senatore e ricco imprenditore; inoltre, per due volte era stato sindaco della sua città. Sua madre, Júlia da Silva Bruhns, era d’ascendenza tedesca ma di nascita brasiliana: era tornata in Germania all’età di sette anni, mantenendo una particolare predilezione per la musica portoghese.

Il padre di Thomas era protestante, la madre cattolica; Thomas venne educato secondo la confessione luterana del padre e gli furono inculcati i valori allora dominanti della borghesia e dell’ordine sociale. Dalla madre Thomas ereditò invece l’amore per l’arte. In famiglia vi erano in tutto cinque figli, fra cui due sorelle, che si suicidarono, ed Heinrich (1871-1950), che come Thomas sarebbe diventato romanziere.

Nel 1891 gli morì il padre, per cui l’azienda di famiglia venne liquidata e la famiglia Mann si trasferì a Monaco, nel sud della Germania. In questo periodo Thomas Mann si innamorò di un coetaneo, Paul Ehrenberg, violinista. Questo innamoramento omosessuale fu il secondo, dopo quello provato al liceo, per un compagno di scuola che non lo amava, ma al quale Thomas ebbe il coraggio di confessare i suoi sentimenti.

Nonostante fosse destinato a una carriera mercantile come suo padre, Mann abbandonò gli studi commerciali e si dedicò alla scrittura.

Studiò letteratura, storia e scienze presso l’Università Ludwig Maximilian di Monaco e l’Università tecnica di Dresda. Durante questo periodo, frequentò circoli intellettuali e artistici, entrando in contatto con le idee del modernismo e con le teorie di Schopenhauer e Nietzsche, che avrebbero segnato in modo indelebile la sua visione del mondo.

Dopo un breve periodo trascorso in Italia (Roma e Palestrina) insieme al fratello Heinrich, nel 1896, Thomas tornò a Monaco, dove cominciò a scrivere per il giornale satirico Simplicissimus e scrisse anche la sua prima novella, Il piccolo signor Friedmann.

Le letture dei filosofi Nietzsche e Schopenhauer tuttavia, non contribuivano a migliorare il tono dell’umore del giovane scrittore, il quale a causa della depressione arrivò in quel periodo ‘vicino al suicidio’, come ebbe a dire in seguito. 

Il servizio militare, iniziato nel 1900, finì dopo soli tre mesi in quanto Mann fu riformato per ‘problemi psicosomatici’: soffriva infatti di ipocondria e non riusciva a tenere sotto controllo la sua forte emotività. Inoltre, sebbene fosse di bell’aspetto, con occhi azzurri e capelli neri, era sempre pallidissimo.

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I Buddendbrook e altre novelle

La sua prima opera importante fu il romanzo I Buddenbrook: Decadenza di una famiglia (1901), un ritratto della sua stessa famiglia e della borghesia tedesca. Il romanzo, che esplora il declino di una famiglia di commercianti nel corso di diverse generazioni, fu accolto con entusiasmo dalla critica e divenne il suo primo grande successo. L’opera rivela già le caratteristiche tipiche della prosa di Mann: uno stile colto e introspettivo, una profonda analisi psicologica e un’attenzione ai dettagli simbolici.

Coi Buddenbrook, Mann metteva in scena i pericoli che minacciano il sistema dei valori borghesi tradizionali, ai quali al tempo credeva fermamente, ma soprattutto si chiedeva se sono compatibili arte e vita: da un lato l’ethos borghese, basato sulla produzione ed il commercio e dall’altro il mondo dell’arte, con le sue incognite, le sue inquietudini spirituali, le imprevedibilità, i rischi e talvolta l’abisso.

Thomas aveva solo 25 anni quando fu pubblicato il romanzo: questo libro gli dette subito fama e successo.  

Nel 1903 pubblicò ‘Tonio Kröger’, la storia di un’amicizia, al confine con l’amore, del giovane Tonio per il giovane e biondo Hans e la bella Ingeborg.

Dello stesso periodo è “Tristano” (1903), un’opera che esplora la dicotomia tra amore romantico e malattia. Questi temi rimarranno centrali nella sua successiva produzione letteraria.

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Il matrimonio

Nel 1905 si sposò con Katia Pringsheim, nata il 24 luglio 1883 a Feldafing presso Monaco. Era una ragazza di famiglia molto benestante: studiava matematica e fisica all’Università e suo padre era docente universitario.

Si erano conosciuti nel febbraio del 1904, quando Thomas vide Katia nel tram su cui la ragazza viaggiava per andare all’università. Lo scrittore rimase colpito da una risposta impertinente che la ragazza diede al bigliettaio, quando questi volle impedirle di scendere.

Thomas chiese ad amici comuni di essere presentato ai Pringsheim, per conoscere Katia, la quale in un primo momento non sembrò particolarmente attratta dal giovane pretendente.

L’episodio fu narrato in “Altezza reale” (1909), il suo secondo romanzo, incentrato sulla figura del principe Klaus Heinrich, regnante in un piccolo Stato immaginario, e sulla sua vita di corte fatta di regole e di fastose apparenze. Alla fine della storia il principe sposerà la figlia di un miliardario americano.

Con Katia, Thomas mise al mondo sei figli : Erika (che fu attrice e scrittrice, dichiaratamente bisessuale), Klaus (autore di Mefisto e Il Vulcano, con il quale il padre ebbe rapporti difficili perché non accettava la dichiarata e troppo evidente omosessualità del figlio) Golo (Angelus Gottfried Thomas, scrittore e storico) e inoltre Monika, Elisabeth e Michael.

Katia era al corrente della bisessualità del marito, ma la accettò, senza problemi.

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Il pensiero conservatore e l’incontro con la psicoanalisi

Negli anni precedenti la prima guerra mondiale, Mann fu un fervente sostenitore dei valori della borghesia e della tradizione, vedendo con diffidenza il modernismo politico e culturale.

Tuttavia, questa posizione cambiò radicalmente nel corso degli anni successivi.

“Morte a Venezia” e inizio de “La montagna incantata”

Nel 1912 Mann passò tre settimane insieme alla moglie, malata, presso il sanatorio di Davos e cominciò lì a scrivere il romanzo “La Montagna Incantata”, pensando di scrivere una breve novella. In realtà ne venne fuori un romanzo molto corposo, che molti considerano il suo capolavoro.

Nel 1912 pubblicò “La morte a Venezia”, un romanzo breve, destinato a suscitare grande scalpore in quanto incentrato sull’amore omosessuale di un uomo maturo per un giovane. E’ una storia d’amore e di morte, metafora di una società europea che si andava disfacendo, con l’avvicinarsi della prima guerra mondiale.

”La Morte a Venezia”, come scrisse Mann sul suo diario, non è frutto di fantasia, ma del suo reale innamoramento per un giovane polacco. Personaggio principale del romanzo è Gustav Von Aschenbach (il personaggio sembra ispirato a Gustav Mahler), celebre poeta in vacanza a Venezia, che viene attratto dal bellissimo ragazzo Tadzio. Per lui resterà nella città colta da un’epidemia di colera, per lui si avvierà alla morte.  Il romanzo riflette la sensibilità psicoanalitica dello scrittore e il tema della repressione.

La prima guerra mondiale

Nel 1914 scoppiò la prima Guerra mondiale: Mann aveva allora delle idee molto conservatrici ed a favore della Germania. Con il saggio “Pensieri di guerra”, sostenne la causa tedesca, in aperto contrasto con il fratello Heinrich, pacifista convinto e uomo ‘di sinistra’.

In quest’ottica, Mann scrisse “Considerazioni di un impolitico” (pubblicato nel 1918), un saggio in cui difendeva l’idea di una Germania tradizionalista e critica nei confronti della modernità democratica.

Le riflessioni raccolte in questo libro lo portarono a una grave lite con il fratello Heinrich.

Durante la prima guerra mondiale, il romanzo La montagna incantata fu momentaneamente accantonato, perché l’autore non riusciva più a dedicarsi alla scrittura, visti i tragici accadimenti che portava con sé la guerra.

Incontro con la psicoanalisi

Le idee di Sigmund Freud e della psicoanalisi giocarono un ruolo fondamentale nell’evoluzione del pensiero di Mann. Freud offrì a Mann una lente attraverso la quale esplorare la complessità della psiche umana, e la dicotomia tra desiderio e repressione divenne uno dei suoi temi centrali. Anche il nichilismo di Nietzsche lasciò un segno indelebile nella sua opera, soprattutto nel modo in cui Mann trattò la decadenza della società e della morale.

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La Montagna Incantata

Dopo la Prima guerra mondiale, Mann era ormai divenuto un fiero oppositore del fascismo e del nazismo. La sua scelta, forse più filosofica ed umanitaria che prettamente politica, era decisamente a favore della ragione, contro la barbarie. Cominciò a fare cicli di conferenze e riprese a lavorare su La montagna incantata (pubblicato nel 1924), considerato uno dei suoi capolavori.

Il libro, ambientato in un sanatorio per malati di tubercolosi sulle Alpi svizzere, è una meditazione sulla vita, la morte, il tempo, l’amore e la malattia.

E’ la storia, quasi del tutto priva di intreccio, del giovane Hans Castorp nel sanatorio di Davos, nei Grigioni, dove doveva rimanere tre settimane, per fare compagnia al cugino Joachim, e dove invece rimase sette anni, in una sorta di microcosmo sospeso tra la vita e la morte, riflettendo sulle grandi questioni esistenziali del suo tempo.

Sulla montagna ‘incantata’ si vive il tempo in modo diverso da quello che accade in ‘pianura’ e diverse sono le esperienze, le abitudini, le aspettative di queste persone che sono ammalate e pertanto più a contatto con la morte.

Nel libro emergono chiaramente i nuovi interessi di Mann, come la psicoanalisi, lo spiritismo, i dibattiti filosofici e le nuove idee politiche. Il romanzo cattura inoltre lo spirito dell’epoca e il senso di crisi che attraversava l’Europa dopo il conflitto mondiale.

Il Nobel

Nel 1929, Thomas Mann vinse il Premio Nobel per la letteratura, principalmente per il suo primo romanzo I Buddenbrook. L’assegnazione del premio confermò la sua statura internazionale come uno dei principali scrittori del suo tempo. In quel tempo aveva da poco iniziato la tetralogia biblica Giuseppe e i suoi fratelli, cui lavorò per 15 anni. Essa comprende: Le storie di Giacobbe, Il giovane Giuseppe, Giuseppe in Egitto e Giuseppe il nutritore. Per molti critici questo è il vero capolavoro di Thomas Mann.

Corrispondenza con Freud

E’ di questo periodo una breve corrispondenza con Sigmund Freud del quale lo scrittore leggeva con attenzione le opere e condivideva, anche per motivi personali, la teoria della bisessualità.

Il nazismo e l’esilio

Con l’ascesa al potere di Adolf Hitler e del regime nazista, Mann, che si era ormai allontanato dalle sue precedenti posizioni conservatrici, si schierò apertamente contro il fascismo. La sua opposizione al regime lo costrinse all’esilio nel 1933, quando lasciò la Germania con la sua famiglia e si trasferì prima in Svizzera, poi negli Stati Uniti nel 1938.

Nel 1936 scrisse una lettera aperta, pubblicata sul quotidiano svizzero “Neue Zurcher Zeitung” che viene citata come uno dei testi base della Resistenza europea e che gli costò la perdita della cittadinanza tedesca, per lui e per i suoi familiari. Lo stesso anno Klaus, figlio dello scrittore, pubblicò Mephisto, un romanzo basato su arte, politica e i pericoli del compromesso. Questo libro prefigura Doktor Faustus, che poi scriverà Mann-padre: pubblicato nel 1947, è un altro capolavoro, in cui il protagonista, Adrian Leverkühn, è un compositore che vende la propria anima al diavolo. Il romanzo è una potente allegoria della Germania sotto il nazismo.

Negli Stati Uniti, Mann visse principalmente a Pacific Palisades, in California, e insegnò per un periodo all’Università di Princeton. Qui frequentò altri esuli illustri, come Bertolt Brecht, Arnold Schoenberg, Walter Adorno, Bruno Walter, e Igor Stravinski. Nonostante la sua vita da esule, non perse mai il contatto con le questioni europee, partecipando attivamente al dibattito politico e culturale internazionale.

Nel 1949, a Cannes, morì il figlio Klaus, per overdose da droga: fu suicidio.

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Gli ultimi anni e la morte

Nel 1952 Mann tornò in Europa, stabilendosi in Svizzera, a Zurigo. Continuò a scrivere fino agli ultimi anni della sua vita, mantenendo la sua posizione di intellettuale di spicco.

Nel 1953 uscì il racconto “L’inganno”, e l’anno successivo “Le confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull”, l’ultimo suo grande successo.

Il 12 Agosto 1955 morì a Kilchberg, nei pressi di Zurigo, lasciando incompiuto il suo ultimo romanzo.

Trasposizioni cinematografiche

Diverse opere di Thomas Mann ebbero una trasposizione cinematografica. Tra queste ricordiamo le versioni de I Buddenbrook di Alfred Weidemann (1959) e poi di Franz Peter Wirth (1978), di Morte a Venezia di Luchino Visconti (1971), di Lotte in Weimar di Egon Günther e de La montagna incantata di Hans W. Geißendörfer (1982).

Dr. Giuliana Proietti


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