Charles Dickens e la disabilità quando non c'era il welfare

Charles Dickens e la disabilità quando non c’era il welfare

Charles Dickens e la disabilità quando non c’era il welfare

Dr. Walter La Gatta

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In un recente articolo per la rivista Orthopedia, Traumatologia and Rehabilitacja, il Prof. Avi Ohry della Università di Tel Aviv ricorda il concetto di disabilità nel diciannovesimo secolo, quando non vi erano ancora attenzioni sociali verso le persone meno fortunate dal punto di vista della salute.

Al tempo i problemi derivanti da malattia mentale e infermità venivano del tutto ignorati: ne parlavano solamente alcune persone particolarmente sensibili, ma che non avevano comunque la possibilità di fare grandi battaglie civili, come oggi le intendiamo, dal momento che l’ambiente sociale era assolutamente impreparato a confrontarsi con questi problemi.

L’autore prende il caso di Charles Dickens, il quale non mancò, nei suoi romanzi, di descrivere la condizione della disabilità o della malattia mentale, esprimendo opinioni che comunque avevano sicuramente un peso, data l’autorevolezza della fonte e la credibilità dei suoi protagonisti, sia in termini medici, sia in termini di discriminazione sociale. In particolare Dickens parlò di disabilità in “Canto di Natale” o “Grandi Speranze”.  In questi romanzi vengono messe in evidenza tutte le tematiche sociali della realtà vissuta nell’Inghilterra vittoriana.

Al tempo di Dickens le persone con disabilità erano ancora temute e comunemente viste come esseri mostruosi, spiega Ohry; le deformità fisiche erano spesso interpretate come “manifestazioni esteriori di depravazione interiore” o “punizioni per mancanza di morale”, dice.

Una intervista sulla Timidezza

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Dickens rende invece simpatici i suoi personaggi disabili, un atteggiamento assolutamente progressista, considerando i pregiudizi sociali dell’epoca.  Dickens si cura anche di distinguere tra handicap fisici e malattia mentale, un’altra caratteristica non comune del suo lavoro, che nel 19° secolo era davvero una rarità.

Queste visioni moderne della realtà, da parte di Dickens, derivavano da sue esperienze di vita, relative alla malattia e alla povertà, in particolare nella prima età adulta, che portarono lo scrittore ad interessarsi di temi riguardanti la salute e le condizioni sociali. Dickens fu peraltro un frequentatore di ospedali e manicomi e strinse molte amicizie con i più importanti riformatori e medici del suo tempo.

Anche se gli atteggiamenti verso i disabili sono cambiati nel corso dei secoli, ci sono ancora lezioni da imparare dal messaggio di Dickens, visto che molti pregiudizi non sono del tutto superati. Provate a chiedere ad una persona sana di sedere nella sedia a rotelle di un disabile, dice provocatoriamente il Prof. Ohry: probabilmente ne riceverete un rifiuto, quasi come se la disabilità fosse contagiosa.

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In molti contesti, si stanno ancora combattendo delle battaglie per una maggiore accettazione della diversità, per cui il lavoro di Dickens, dice Ohry, –  e non possiamo che condividerlo – rimane ancora un modello cui ispirarsi, anche nella società moderna, soprattutto in un periodo, come il nostro, in cui sempre meno attenzioni vengono prestate, da parte dei governi, alle

Una intervista sui rapporti familiari

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situazioni sociali meno fortunate.

Dr. Walter La Gatta

Fonte:
Lessons From The Past: Dickens Used Literature To Showcase Discrimination Against The Disabled.” Medical News Today. MediLexicon, Intl., 18 Jan. 2013. Web, via Medical News Today

Immagine:
Foto di J Wertz

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Federico Garcia Lorca

Federico Garcia Lorca: una biografia

Federico Garcia Lorca


Federico Garcia Lorca è un poeta universale, ma è anche un simbolo della Spagna ed in particolare dell’Andalusia, entrambe descritte meravigliosamente nelle sue poesie e nel suo teatro, in una forte compenetrazione fra sogno e realtà, canti gitani, surrealismo. Lorca è tuttavia un mito anche perché morì a soli 38 anni, ucciso, senza processo, durante la guerra civile spagnola.

Ne raccontiamo la vicenda umana e artistica.

1897-1909

Nel 1897 Federico García Rodríguez (Fuente Vaqueros, Granada, 1859) sposò Vicenta Lorca Romero (Granada, 1870). Don Federico era un ricco contadino, proprietario di numerose terre, e Doña Vicenta, insegnante di scuola elementare.

Il 5 giugno 1898 Federico García Lorca nacque a Fuente Vaqueros, nella fertile pianura di Granada, dove venivano coltivati ​​barbabietole e tabacco.

Il piccolo Federico aveva qualche lieve difetto fisico (una gamba leggermente più corta dell’altra ed i piedi piatti), ma questo non condizionò negativamente la sua infanzia, che fu allegra, condivisa con un clan familiare numerosissimo. Vincenta, inoltre era una madre colta e intelligente: fu lei che insegnò a Federico a cantare e suonare il piano. 

La famiglia si allargò velocemente: nel 1900 nacque un altro figlio, Luis, che morì di polmonite nel 1902, anno in cui nacque anche Francisco; nel 1903 nacque María de la Concepción (Concha).

Nel 1906 la famiglia si trasferì ad Asquerosa (oggi Valderrubio), sempre nella pianura di Granada.

Sin da bambino Federico si dilettava ad allestire delle rappresentazioni in giardino: prima i riti della Chiesa, che tanto lo affascinavano, e poi teatri di marionette, come aveva visto fare nella sua città.

Così ricordava l’ambiente rurale della fertile pianura dove aveva trascorso l’infanzia:

« Amo la terra. Mi sento legato a lei in tutte le mie emozioni. I miei più lontani ricordi da bambino hanno il sapore della terra. I vermi della terra, gli animali, la gente di campagna, provocano suggestioni che arrivano a pochi. Io le capto ora con lo stesso spirito dei miei anni infantili. »

A proposito di Fuente Vaqueros:

“quella cittadina molto tranquilla e profumata nella fertile pianura di Granada. La città è circondata da pioppi che ridono, cantano e sono palazzi di uccelli e i loro salici e rovi che in estate portano frutti dolci e pericolosi da raccogliere. Mentre ti avvicini c’è un grande odore di finocchio e sedano selvatico che vive nei fossati che baciano l’acqua. In estate l’odore è paglia che di notte, con la luna, le stelle e i cespugli di rose in fiore, forma un’essenza divina che fa pensare allo spirito che lo ha creato”. (1916-17)

Nel 1909, quando Federico aveva undici anni, l’intera famiglia Garcia Lorca si stabilì nella città di Granada, sebbene continuasse a trascorrere le estati in campagna, ad Asquerosa.

1909-1910

Federico fu iscritto  in una scuola di religiosi (Colegio del Sagrado Corazón de Jesús di Granada).  Non andava bene, anzi era addirittura il peggiore della classe: non per intelligenza, quanto per assoluta mancanza di interesse, tranne che per le lezioni di pianoforte, con lo stimatissimo maestro Antonio Segura Mesa, un fervente ammiratore di Verdi. Il suo primo stupore artistico nacque, dunque, non dalle sue letture ma dal repertorio pianistico di Beethoven, Chopin, Debussy e altri. 

Nel 1910 nacque un’altra sorella, Isabel.

1915-1919

Nel 1915 iniziò i suoi studi all’Università di Granada, iscrivendosi a Giurisprudenza, Filosofia e Lettere.

Anche all’Università fu uno studente assai mediocre. Invece che sui libri di scuola, Federico preferiva trascorrere il suo tempo presso il Centro avanguardista “El Rinconcillo” (“L’ Angoletto”), che si riuniva presso il Café de la Alameda. All’epoca era conosciuto ed apprezzato dai colleghi dell’Università non tanto come poeta, ma come musicista. Tra gli altri amici del circolo, c’era anche Melchor Fernández Almagro, futuro critico teatrale e saggista, che rimase per sempre suo amico del cuore.

Federico e i suoi compagni d’Università fecero in quel periodo una serie di viaggi di studio a Baeza, Úbeda, Cordova e Ronda (giugno 1916); in Castiglia, León e Galizia (autunno dello stesso anno); di nuovo a Baeza (primavera 1917); e un ultimo viaggio a Burgos (estate e autunno del 1917). Questi viaggi portarono Federico in contatto con altre regioni della Spagna e contribuirono a risvegliare la sua vocazione di scrittore.

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Il risultato di questi viaggi fu la pubblicazione (a sue spese) del suo primo libro in prosa, Impressioni e paesaggi, pubblicato nel 1918. Non è un semplice diario delle sue escursioni, ma una piccola antologia delle sue migliori pagine in prosa. Il giovane poeta parla di questioni politiche:  la decadenza e il futuro della Spagna, le sue preoccupazioni religiose, la vita monastica e i suoi interessi estetici, come il canto gregoriano, la scultura rinascimentale e barocca, i giardini o la canzone popolare.

Con la pubblicazione di questo libro e la morte, l’anno seguente, del suo maestro di musica, Lorca si avvicinò definitivamente al mondo della poesia.

1919-1922

Nel 1919 Federico convinse suo padre a permettergli di trasferirsi a Madrid, dove arriva in primavera.

Presso la prestigiosa Residencia de Estudiantes, punta di diamante dell’insegnamento liberale e di ampi orizzonti della Spagna dell’epoca, Federico ritrovò i vecchi amici del ‘rinconcillo”, fra cui Melchor e conobbe altri ragazzi, che poi sarebbero diventati famosi esponenti del surrealismo, come Salvador Dalì, Luis Buñuel, Rafael Alberti (la famosa ‘generazione del 27’).

A giugno tornò a Granada, nel cui centro artistico tenne un recital poetico come parte di un omaggio a Fernando de los Ríos. Finite le vacanze estive, tornò a Madrid.

A Madrid cominciò intanto a leggere pubblicamente le sue poesie, facendosi accompagnare da due chitarristi: Manuel Jofré e Andrés Segovia.

Gli studi, tuttavia, anche a Madrid, andavano decisamente male e la famiglia del poeta cominciò ad arrabbiarsi seriamente. Lui rispondeva:

“Non ho colpa di molte mie cose. La colpa è della vita, delle lotte, delle crisi e dei conflitti morali che vivo”.

Oltre a Shakespeare, di cui era appassionato, in questo periodo lesse autori quali Tagore, Wilde, Maeterling, Ibsen, Strindberg, e altri testi di filosofia indiana.

Nella capitale spagnola Lorca conobbe Juan Ramón Jiménez, generoso mentore di tutti i giovani poeti di quel tempo, il quale ebbe un’influenza decisiva sulla sua visione del lavoro poetico. Durante i due anni seguenti, aiutò Federico a pubblicare alcuni dei suoi versi su prestigiose riviste e lo convinse a pubblicare il suo primo Libro di poesie.

LibriAutori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta

Tornato a Granada, Lorca conobbe Manuel de Falla. Falla si era trasferito a Granada a metà settembre 1920 e nell’estate del 1921 si era stabilito nella Carmen de Santa Engracia, vicino all’Alhambra, dove Federico lo andava a visitare spesso.

Nel 1921 la rivista La Pluma, diretta da Manuel Azaña, pubblicò alcune sue poesie.

Il poeta si sentì presto intimamente legato al de Falla, condividendo con lui il suo amore per la musica, i burattini, il cante jondo …Su iniziativa di Manuel de Falla, Miguel Cerón e dello stesso García Lorca, in quel periodo iniziarono i preparativi per quello che sarà il concorso Cante Jondo, tenutosi nel 1922.

Quel concorso aveva diversi obiettivi: rimarcare la differenza tra cante jondo, di origini antiche, e il flamenco, una creazione più recente. Gli intellettuali di Granada volevano risvegliare il rispetto per il cante jondo inteso come arte, preservandolo dall’adulterazione musicale.

Tra il 13 e il 14 giugno 1922, la Plaza de los Aljibes de la Alhambra, decorata da Ignacio Zuloaga, divenne la scena del concorso Cante Jondo. Garcia Lorca lesse il suo secondo libro di versi, Poema del Cante Jondo, scritto nel 1921, alla cerimonia di presentazione del Concorso, nel teatro dell’hotel Alhambra Palace.

In questo periodo seguì il consiglio dei suoi familiari e passò alla Facoltà di Giurisprudenza. Quanto alla vita privata, Federico aveva un modo di fare molto ammanierato, non aveva fidanzate e non frequentava case di appuntamento, per cui cominciarono a circolare voci sulla sua omosessualità. Lorca non amava parlare dell’argomento, nemmeno con gli amici più intimi:  ‘io e te abbiamo chiuso’ rispose, ad esempio,  all’amico Buñuel, quando questi gli chiese spiegazioni.

I lavori di questo periodo sono Mariana Pineda  e quello che sarà il Romancero gitano

1925-1926

Nell’aprile 1925, Federico annunciò ai suoi genitori di aver ricevuto un invito a trascorrere la Pasqua a Cadaqués, presso Gerona, con il suo amico Salvador Dalí. Fu il primo viaggio di Federico in Catalogna, e quella visita lasciò un segno profondo nella vita e nel lavoro di entrambi gli artisti. Il risultato di questa amicizia, che divenne anche una passione amorosa, fu l ‘”Inno a Salvador Dalí”, che Federico pubblicò nell’aprile 1926 nella Revista de Occidente.

Di ritorno a Madrid, incontrò lo scultore Emilio Aladrén, con il quale iniziò una relazione d’amore che durò fino al 1929.
1927-1928

Nel 1927 Lorca preparò, con un gruppo di amici di Granada, la pubblicazione di una rivista che, con il titolo Gallo, venne pubblicata l’anno successivo.

Nel mese di Aprile: pubblicò Verso y Prosa, in una rivista gestita da Juan Guerrero Ruiz a Murcia. Le canzoni (1921-1924) compaiono nelle edizioni della rivista Litoral de Málaga.

Durante l’estate Lorca fu in Catalogna per affrontare la prima di Mariana Pineda, al teatro Goya di Barcellona. Mariana Pineda è un romanzo in versi nel quale viene descritta la storia di una martire di Granata, uccisa nel 1831 per aver bordato una bandiera ai liberali che lottavano contro il tiranno Ferdinando VII: l’opera riscosse un grande successo di pubblico e, in buona parte, anche della critica, ma soprattutto gli permise il primo guadagno (2.804 pesetas). Federico veniva ormai acclamato dalla stampa come “il più grande poeta spagnolo contemporaneo”.

Nel 1928 uscì Romancero Gitano, raccolta di 18 poesie composte tra il ’24 e il ’27, che lo rese famoso in Spagna ed in America Latina (più tardi anche in Francia e negli Stati Uniti).

Diceva Lorca:

“È il poema dell’Andalusia. Lo chiamo gitano, perché il gitano […] conserva la brace, il sangue e l’alfabeto della verità andalusa e universale”.

In questo libro, infatti, Lorca descriveva gli zingari che aveva conosciuto da ragazzo nella sua città. La più famosa poesia di questo periodo è la Ballata del sonnambulo’ che racconta la storia di uno zingaro ucciso dalla polizia prima che potesse raggiungere la sua amante e la Ballata della guardia civile spagnola’ nella quale racconta, fra tante brillanti metafore, un’operazione di polizia fra gli zingari, con la distruzione delle abitazioni e l’uccisione degli abitanti della comunità nomade.

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Il successo di Canciones (1927) e  di Primer romancero gitano (1928) lasciarono però insoddisfatto Federico García Lorca, che, nell’estate del 1928 confessò agli amici che stava attraversando una grande crisi sentimentale , una delle crisi più profonde della sua vita .

Lorca era anche infastidito dall’essere chiamato “il poeta degli zingari”: gli zingari per lui erano un tema culturale, niente di più.

1929

Nella primavera del 1929, Fernando de los Ríos, ex insegnante di Federico e amico di famiglia, propose che il giovane poeta lo accompagnasse a New York, dove avrebbe avuto l’opportunità di imparare l’inglese, di vivere per la prima volta all’estero e, forse, di trovare nuove ispirazioni.

La permanenza a New York fu, nelle stesse parole del poeta, una delle esperienze più utili della sua vita, tanto che cambiarono la sua visione di se stesso e della sua arte.

Questa fu la sua prima visita all’estero per Lorca; il suo primo incontro con la diversità religiosa e razziale; il suo primo contatto con le grandi masse urbane e con un mondo meccanizzato. Si potrebbe quasi dire che il suo viaggio a New York rappresentò la sua scoperta della modernità. Lì esplorò il teatro in lingua inglese, attraversò il quartiere di Harlem, ascoltò jazz e blues, conobbe i film sonori, lesse Walt Whitman e TS Eliot e scrisse uno dei suoi libri più importanti, che fu pubblicato, quattro anni dopo la sua morte, con il titolo di Poeta a New York .

In questo periodo Lorca conobbe il giovane poeta Vicente Aleixandre (premio Nobel 1977) e tra i due nacque una amicizia assai profonda e destinata a durare per sempre.

Nel frattempo il poeta cominciò a non riconoscersi più nella corrente surrealista, cui seguì un distacco anche dagli amici di un tempo, che si vendicarono con feroci critiche ed anche con un film. Buñuel e Dalì, infatti, a Parigi girarono Un chien andalou (1929) forse ispirato proprio a Lorca.

1930

Nel marzo del 1930, Lorca lasciò New York in treno per Miami, dove si imbarcò per Cuba. Prima del suo arrivo, la sua visione dell’isola era, come ammetteva lui stesso, puramente pittoresca; pensava al paesaggio cubano e al tono poetico dell’isola, ricordando le deliziose litografie delle scatole di sigari che aveva visto da bambino.

All’Avana, Lorca provò una sensazione di libertà e sollievo. Dopo il periodo di New York, ebbe il suo primo contatto con un paese straniero di lingua spagnola, all’Avana.

Tra il 7 marzo e il 12 giugno 1930 (date della sua permanenza a Cuba) visse giorni intensi e felici. Tenne una serie di conferenze, con enorme successo, presso l’Istituto ispanico-cubano di cultura, esplorò la cultura e la musica afro-cubana, parlò di musica e folklore con la coppia Antonio Quevedo e María Muñoz, amici di Manuel de Falla, editori della rivista Musicalia e fondatori del Conservatorio de Música Bach.

1931

Lorca arrivò al porto di Cadice il 30 giugno del 1931, di ritorno dal lungo viaggio in America.

Sotto gli auspici dei comitati di cooperazione intellettuale, fondati da Arturo de Soria Espinosa, Federico García Lorca tenne una serie di conferenze in diverse parti del paese. A Siviglia, Salamanca o Santiago de Compostela parlava di cante jondo e leggeva le poesie che aveva scritto a New York. Per Lorca, la conferenza o la lettura delle sue poesie era un modo per forgiare ciò che chiamava una “meravigliosa catena di solidarietà spirituale” .

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1932

Il contributo più importante di Federico García Lorca alla politica culturale della seconda repubblica spagnola, proclamata nel 1931 fu, senza dubbio, l’organizzazione del teatro universitario La Baracca. 

“La Baraja” era sovvenzionata dallo stato,  metteva in scena gratuitamente dei classici del teatro spagnolo (Lope de Vega, Calderon de la Barca, Cervantes) nelle piazze dei paesi dell’Andalusia. Il successo fu strepitoso.

1933

Nel 1933 iniziò la trilogia che attaccava i valori tradizionali spagnoli. Nozze di sangue (1933), basata sul racconto giornalistico di una sposa che era scappata con il suo amante nella sua prima notte di nozze.

1934

Bodas de sangre fu rappresentato al teatro Beatriz di Madrid con la compagnia di Josefina Díaz de Artigas. Al Teatro spagnolo di Madrid venne anche rappresentato Amor de don Perlimplín e una nuova versione de La zapatera prodigiosa.

Nel mese di maggio Lorca firmò un manifesto contro Hitler. Poco dopo accompagnò al pianoforte Rafael Alberti al Teatro spagnolo, con canzoni e balli de La Argentinita.

Nel mese di Luglio grande successo di Bodas de sangre a Buenos Aires, da parte della compagnia Lola Membrives. Juan Reforzo, marito e manager di Lola Membrives, lo invita ad andarli a trovare a Buenos Aires.

Il 29 settembre, a bordo del Conte Grande, si imbarca a Barcellona per Buenos Aires. È accompagnato dallo scenografo Manuel Fontanals. Dopo essersi fermati a Las Palmas de Gran Canaria, Rio de Janeiro e Montevideo, arrivarono a Buenos Aires il 13 ottobre.

Lorca partecipò attivamente alla vita sociale di Buenos Aires e fece amicizia con numerosi scrittori e artisti: Oliverio Girondo, Pablo Neruda, Ricardo Molinari, Victoria Ocampo, Jorge Larco, Norah Lange, Amado Villar, Salvador Novo … Tenne anche delle conferenze, fra cui una con Pablo Neruda su Rubén Darío.

Nelle lettere alla famiglia espresse il suo stupore per il successo delle sue opere e la loro crescente popolarità tra il pubblico di Buenos Aires. Le sue fotografie erano pubblicate sui grandi giornali e le persone cominciavano a riconoscerlo in strada.

L’11 Aprile del 1934 tornò in Spagna e riprese i lavori con La Barraca. Due aspetti dell’esperienza di Federico García Lorca con La Barraca sono stati decisivi per la sua carriera di drammaturgo: gli permise di apprendere la professione di regista teatrale e lo mise a contatto con un nuovo pubblico, estraneo alla frivola e materiale borghesia di Madrid. Durante i suoi viaggi attraverso la campagna, desiderava rappresentare il teatro classico di fronte alle persone del popolo.

1935

Nel 1935, premiere, con grande successo, di Yerma a Barcellona. Yerma  è la storia di una donna che, non riuscendo ad avere figli a causa della sterilità del marito, lo uccide, perché incapace di lasciarlo, a causa delle pressioni sociali. (Durante la rappresentazione teatrale di questa opera irruppe una volta in teatro un gruppo di estrema destra, che considerava la pièce “immorale e blasfema”, ma l’opera fu un grande successo per Lorca).

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1936

Completa ‘La casa di Bernarda Alba’, che racconta la storia di cinque figlie, rese cattive dalla loro tirannica madre e dal suo rigido codice morale. Frustrate sessualmente e desiderose di trovare l’amore, ognuna di esse cerca una via per scappare dalla casa della madre. Sebbene mai rappresentato durante la vita di Lorca, quest’ ultima tragedia è considerata il suo capolavoro.

Garcia Lorca firmò, nel 1936, assieme a Rafael Alberti e ad altri 300 intellettuali spagnoli, un manifesto d’appoggio al Fronte Popular, che apparve sul giornale comunista Mundo Obrero.

1937

Nel mese di luglio firmò un manifesto contro il dittatore portoghese Salazar.  Il 18 luglio vi fu un colpo di stato militare contro il governo della Repubblica. L’Andalusia fu la prima regione a cadere: vi furono delle esecuzioni di massa contro gli esponenti della sinistra.

Anche se Lorca non era proprio un politico, era comunque associabile al movimento libertario e progressista perché era un intellettuale, un omosessuale, un poeta, dunque ‘pericoloso’.

Federico Garcia Lorca fu dunque uno dei 30.000 abitanti di Granada che pagarono con la loro vita il supporto dato alla giovane democrazia spagnola.

Il 20 luglio venne arrestato suo cognato, Manuel Fernández Montesinos, sindaco socialista di Granada. Tra il 6 e il 9 agosto, i gruppi falangisti effettuarono diverse ricerche nella casa di famiglia.

Il 16 agosto venne arrestato e consegnato al governo. Lo stesso giorno, Manuel Fernández Montesinos venne assassinato. Nonostante gli sforzi compiuti da Manuel de Falla e Luis Rosales a suo favore, Federico García Lorca venne portato a Víznar, vicino a Granada, dove il 19 agosto fu assassinato e gettato in una fosse comune. Aveva trentotto anni.

Gli scritti di Lorca furono bruciati nella Plaza del Carmen di Granada ed il suo nome cancellato dalla storia della cultura spagnola. Fu infatti pressoché dimenticato per decenni, mentre oggi è considerato il più grande poeta spagnolo del ventesimo secolo.

Sulla sua morte Pablo Neruda scrisse:

“L’assassinio di Federico fu per me l’avvenimento più doloroso di un lungo combattimento. La Spagna è sempre stata un campo di gladiatori; una terra con molto sangue. L’arena, con il suo sacrificio e la sua crudele eleganza, ripete l’antica lotta mortale fra l’ombra e la luce”.

Dr. Giuliana Proietti

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Arthur Schnitzler e l'amicizia con Freud

Arthur Schnitzler e l’amicizia con Freud

Arthur Schnitzler e l’amicizia con Freud


L’incontro tra Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, e Arthur Schnitzler, scrittore e drammaturgo viennese, rappresenta uno dei legami intellettuali più affascinanti della Vienna fin de siècle. Sebbene i due si siano incontrati di persona solo nel 1922, la loro relazione fu segnata da un fitto scambio di idee e una profonda stima reciproca, alimentata dalle comuni riflessioni sulla psiche, sulla sessualità e sulle contraddizioni della natura umana. Cerchiamo di saperne di più.

Chi era Schnitzel

Figlio di un noto medico ebreo, prese la laurea in medicina ed esercitò la professione di medico per gran parte della sua vita, pur senza molta convinzione, dedicandosi in particolare alla psichiatria. Si fece un nome come scrittore con Anatol (1893), una serie di sette atti unici che rappresentavano gli amori casuali di un ricco e giovane viennese. Questi lavori teatrali rivelarono uno spiccato senso di osservazione psicologica nel descrivere i personaggi, sapendo evocare precisi stati d’animo, attraverso un distaccato, spesso malinconico, umorismo.

A questo lavoro seguì Reigen (1897), un ciclo di 10 dialoghi, che ritrae la crudeltà di uomini e donne in preda della lussuria. I dialoghi furono portati in scena nel 1920, non senza scandalo, e nel 1950 da essi fu tratto un film di successo francese, La Ronde, da Max Ophüls. Schnitzler spesso evoca l’atmosfera di corruzione e decadenza che osservava negli ultimi anni dell’impero asburgico. Esplorò la psicologia umana, descrivendo l’egoismo in amore, la paura della morte, la complessità della vita erotica, e la morbosità dello spirito indotta da una faticosa introspezione.  Il suo romanzo di maggior successo, è il sottotenente Gustl (1901), il primo capolavoro europeo scritto con l’artificio narrativo del monologo interiore (che costò a Schnitzel la radiazione da tenente medico dell’esercito, a causa dell’impietosa immagine che dava della vita militare)

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L’ammirazione di Freud per lo scrittore 

Freud lesse le opere di Schnitzler con attenzione, definì lo scrittore suo “doppio psichico”. Freud si disse colpito dalla sensazione che lo scrittore conoscesse per intuizione, attraverso mezzi artistici, tutto ciò che lui aveva scoperto con il lavoro faticoso dell’analisi.

Temi condivisi

Alcune opere di Schnitzler, come Doppio sogno (Traumnovelle), Il ritorno di Casanova e Girotondo (Reigen), affrontano con audacia temi che Freud esplorò sul piano teorico: il desiderio, le pulsioni sessuali e i conflitti morali.

  • La sessualità: Freud la considerava il motore primario della psiche umana, una forza in grado di plasmare sogni, nevrosi e comportamenti. Schnitzler, attraverso i suoi personaggi, rappresentò con realismo e sensibilità la complessità delle relazioni erotiche e il potere del desiderio.
  • L’inconscio: se Freud analizzava i sogni come manifestazioni dell’inconscio, Schnitzler utilizzava l’arte per mettere in scena i momenti in cui la ragione cedeva il passo a pulsioni nascoste.
  • La moralità borghese: entrambi criticarono le ipocrisie della società viennese, mettendo a nudo i conflitti tra apparenza e realtà, tra repressione e libertà individuale.

Differenze di approccio: scienza e arte

Nonostante le affinità, il rapporto tra Schnitzler e Freud evidenzia una netta distinzione tra il metodo scientifico e quello artistico. Freud sviluppò la psicoanalisi come disciplina scientifica, cercando di sistematizzare l’inconscio attraverso modelli teorici. Schnitzler, al contrario, usò la letteratura per esplorare l’esperienza umana in tutta la sua ambiguità, senza la necessità di fornire risposte definitive.

Questa differenza emerge chiaramente nel modo in cui i due affrontano il sogno:

  • Freud lo analizzava come un testo da decifrare, una via d’accesso privilegiata all’inconscio.
  • Schnitzler lo descriveva come un’esperienza poetica, un territorio fluido in cui realtà e fantasia si intrecciano.

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L’incontro del 1922

Quando Freud e Schnitzler si incontrarono finalmente nel 1922, l’incontro, a casa di Freud, fu cordiale ma breve.

Dopo la visita a casa Freud, così Schnitzler parlò dell’incontro nel suo diario:

“a casa del Prof. Freud. (I suoi auguri per il mio compleanno, la mia risposta, il suo invito.) Moglie e figlia Anna (alla quale Lili ha insegnato per alcuni mesi l’anno scorso). – Ci ho parlato brevemente solo un paio di volte fino ad ora. – E’ stato molto affettuoso. Conversazione su ospedale e periodo del servizio militare, capi in comune, ecc – il tenente Gustl ecc – poi mi ha mostrato la sua biblioteca – le sue cose, le traduzioni, gli scritti dei suoi allievi; – ogni sorta di bronzi antichi, ecc, – Lui non svolge più la pratica medica, fa solo formazione agli allievi che a questo scopo si fanno analizzare da lui. Mi ha dato una nuova bella edizione delle sue lezioni. – Mi ha accompagnato a tarda sera da Berggasse a casa mia. – Il discorso è diventato più caldo e più personale – A proposito di invecchiare e morire “

Perché Freud ammirava Schnitzel

Ce lo spiega lo stesso Freud, in una famosa lettera del 14 maggio 1922, in cui lo psicoanalista scrive a Schnitzler:

” … sempre, quando mi sono abbandonato alle Sue belle creazioni, ho creduto di trovare dietro la loro parvenza poetica gli stessi presupposti, interessi e risultati che conoscevo come miei propri. Il Suo determinismo come il Suo scetticismo – che la gente chiama pessimismo -, la Sua penetrazione nelle verità dell’inconscio, nella natura istintiva dell’uomo, la Sua demolizione delle certezze convenzionali della civiltà, l’adesione dei Suoi pensieri alla polarità di amore e morte, tutto ciò mi ha commosso come qualcosa di incredibilmente familiare. (In una piccola opera del 1920, Al di là del principio del piacere, ho tentato di indicare nell’eros e nell’istinto di morte le forze primigenie il cui antagonismo domina ogni enigma della vita). Così ho avuto l’impressione che Ella sapesse per intuizione – ma in verità a causa di una raffinata autopercezione – tutto ciò che io con un lavoro faticoso ho scoperto negli altri uomini. Credo, anzi, che nel fondo del Suo essere Lei sia un ricercatore della psicologia del profondo, così onestamente imparziale e impavido come non ve ne sono stati mai”.

Dr. Giuliana Proietti

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Fonti principali:
Freud Museum
Doppio Sogno

Immagine: Arthur Schnitzler, Freud Museum

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Capitalismo e pulsione di morte

Capitalismo e pulsione di morte. Freud e Keynes a confronto

Capitalismo e pulsione di morte. Freud e Keynes a confronto

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Freud era un neurologo e psicoanalista austriaco, fondatore della psicoanalisi. Keynes era un economista britannico, padre della macroeconomia moderna e teorico dell’intervento statale nell’economia. Che punti in comune hanno questi due personaggi così diversi fra loro? Lo leggiamo in un articolo di Le Monde, di cui riportiamo una breve sintesi.

L’ex presidente della Riserva Federale Americana, Alan Greenspan, è stato accusato, nei suoi diciotto anni di gestione, di aver de-regolarizzato il mercato, puntando tutto sul fatto che “i banchieri, curando i propri interessi, avrebbero offerto la migliore protezione”.

Ma a chi obbediscono dunque i banchieri, se non ai loro interessi ? Sigmund Freud (1856-1939) aveva una risposta a questo problema: la “pulsione di morte”, come scrisse in Al di là del principio del piacere (1920). L’economista John Maynard Keynes (1883-1946) avrebbe invece risposto così a questa domanda: “a causa di un amore irrazionale per il denaro”.

Sembrano due spiegazioni tra loro in contraddizione, ma non è così, come spiegano l’economista Bernard Maris e lo storico Gilles Dostaler (specializzato nel pensiero di Keynes), in un libro recentemente pubblicato in Francia.

Freud era convinto che nel profondo dell’individuo si nascondesse “la pulsione umana di aggressione e di auto-distruzione”. Questa pulsione, secondo Freud, fa parte di noi e lotta senza mai cessare contro la pulsione di vita, che invece spinge gli individui ad accoppiarsi, assicurando la sopravvivenza della specie.

Freudiana

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Con Keynes, si cambia la visuale, si cambiano gli strumenti di analisi, ma si arriva agli stessi concetti. La pulsione di morte è l’amore per il denaro. Il denaro è “il problema morale dei nostri tempi”. Attraverso la concorrenza fra diversi Paesi o fra classi sociali si è dato spazio ad una “guerra interminabile” che minaccia la sopravvivenza non solo dell’essere umano, ma della stessa natura. E, citando Keynes : “Saremmo capaci di spegnere il sole e le stelle perché essi non producono dividendi”.

Secondo gli autori lo stato attuale del pianeta conferma le diagnosi di Freud e di Keynes. La globalizzazione, tutt’altro che pacifica, ha generato dei conflitti armati già intravisti da Freud quando parlava del “narcisismo delle piccole differenze”.

Quanto alla crisi finanziaria, essa è venuta a confermare il peso eccessivo che ha assunto il denaro. Keynes desiderava “l’eutanasia della rendita”. Ora che si è aperto un nuovo dibattito sulla ripartizione del valore aggiunto tra il lavoro e il capitale, il tema ritorna di attualità. Era ora, dice Le Monde, ma chi può non essere d’accordo?

CAPITALISME ET PULSION DE MORT di Gilles Dostaler e Bernard Maris. Albin Michel, 168 p., 15 €.
Jean-Pierre Tuquoi

Fonte: Le Monde

Dott.ssa Giuliana Proietti

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Giacomo Puccini

Giacomo Puccini: una biografia

Giacomo Puccini: una biografia


Giacomo Puccini, a cura di Daniela Di Raimondo *

“Ho sempre portato con me un gran sacco di malinconia,
non ne ho ragione, ma così son fatto”.

Questo pensiero così profondo ed intenso giunge dall’anima del più grande compositore d’opera del nostro secolo, Giacomo Puccini.

Un simile stato d’animo probabilmente lo ha accompagnato nei momenti più significativi della sua vita, come la creazione dei suoi personaggi femminili più acclamati al mondo: la dolce Mimì, la passionale Tosca e la fragile Butterfly, in un costante stato di angoscia, sofferenza e mestizia, Puccini ha composto delle opere indimenticabili che racchiudono tutto il dolore e la passione che ognuno di noi porta con sé nell’arco della sua esistenza.

Giacomo Puccini nacque il 22 dicembre 1858 a Lucca. Il padre, Michele, era un musicista, organista. La famiglia Puccini contava già altri compositori, a cominciare da Jacopo, il primo genio della famiglia, nato nel 1712. Il padre indirizzò Giacomo allo studio della musica quando aveva solo cinque anni, cercando di fargli toccare i tasti dell’organo in modo alquanto curioso (appoggiava sui tasti delle monetine di rame e il piccolo Giacomo correva subito a raccoglierle): Ma il papà morì troppo giovane, a soli 52 anni, e non poté proseguire i suoi insegnamenti al caro figlioletto, così lo zio Fortunato Magi si incaricò di ciò. Puccini cominciò poi a frequentare l’Istituto musicale di Lucca nel 1864 sotto la guida di Carlo Angeloni. La decisione di dedicarsi all’opera arrivò nel 1876, quando Puccini assistette al teatro di Pisa a uno spettacolo di Aida: fu un vero colpo di fulmine per lui. Purtroppo gli studi operistici potevano essere approfonditi solo a Milano, presso il Conservatorio; poiché la famiglia Puccini, dopo la morte del padre, si ritrovava con gravi problemi economici, la mamma di Giacomo, Albina Magi, donna forte e volitiva, decise di chiedere un sussidio alla regina Margherita, per permettere al figlio di proseguire gli studi. La regina fece così ottenere a Giacomo una borsa di studio di cento lire mensili, fiduciosa che il suo talento si sarebbe affermato molto presto.

Puccini poté così diplomarsi in composizione al Conservatorio nel 1883.Partecipò poi ad un concorso indetto da Sonzogno, presentando il suo Capriccio Sinfonico come saggio finale, ma non lo vinse. Nel maggio del 1884 andò in scena al teatro Dal Verme di Milano la sua prima opera Le Villi: fu un grande successo, di pubblico e di critica. La seconda opera però non ebbe altrettanto successo; infatti l’Edgar, rappresentato nell’aprile del 1889 alla Scala di Milano, fu accolto tiepidamente. Non piacque tanto quanto l’opera precedente e questo ovviamente avvilì notevolmente Puccini e ancor di più il suo fedele amico e protettore, l’editore Giulio Ricordi, che credeva ciecamente nel suo immenso talento e che volle dargli un’altra occasione per potersi affermare nel mondo. “Puccini è il successore di Verdi” soleva ripetere il caro Ricordi. Infatti il suo fiuto infallibile ebbe poi conferma nell’opera Manon Lescaut, rappresentata al teatro Regio di Torino il primo febbraio del 1893; da allora Puccini riuscì a conquistare la gloria in tutto il mondo, le sue opere furono acclamate nei teatri più prestigiosi d’Europa e d’oltreoceano, un crescendo che decretò Giacomo Puccini il più grande compositore del Novecento. Così vediamo nascere nel 1896 la Bohème rappresentata sempre al Regio di Torino e la Tosca nel 1900 al Costanzi di Roma, la Madama Butterfly nel 1904 alla Scala di Milano(qui l’opera fu fischiata e derisa, forse per una congiura ai danni del Maestro, ormai affermato, ricco, e invidiato ovunque per il suo genio, ma anche per il fascino e l’ eleganza, elementi inconsueti per un compositore di quei tempi…..)

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A differenza di altri compositori un po’ trasandati, spettinati, poco curati nel vestire e nei modi, Giacomo Puccini appariva come un uomo estremamente intrigante, raffinato, elegante; amava vestire come un Lord inglese, soprattutto dopo aver ottenuto successi e ammirazione internazionale…. Le donne erano catturate dalla sua musica, inebriate dal suo sguardo così magnetico e sensuale, travolte dai suoi lineamenti così forti, da vero maschio latino; voluttuoso ed invitante, ecco come risultava Puccini agli sguardi del gentil sesso. Puccini amava le donne, ne era incantato, ammaliato, “innamorato perdutamente dell’amore”, ecco come amava descriversi. Era anche un uomo schivo, evitava di partecipare a banchetti organizzati appositamente per lui; non amava la folla e il dover parlare davanti a tanta gente gli incuteva ansia ed imbarazzo. Fondamentalmente timido, dolce, affettuoso, anche un po’ scontroso, era comunque se stesso solo insieme agli amici più cari, gente modesta e semplice come piaceva tanto a lui, gente di campagna, buona, leale, schietta ed onesta. Non amava vantarsi o atteggiarsi a genio; Giacomo preferiva l’amicizia vera, le risate, le sane bevute insieme ai suoi amici di Torre del Lago, ( piccolo paesino sul lago di Massaciuccoli vicino Lucca, divenuta poi residenza del Maestro). Lì riusciva a comporre, ad estraniarsi da tutto e da tutti, a sognare, meditare e godere di quei lussuriosi tramonti sul lago: lì nascevano tutte le opere più commoventi del Maestro perché lì c’era la sua anima, il suo spirito, il suo vero Io.

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Nel 1884 Puccini conobbe Elvira Bonturi, moglie di Narciso Gemignani, un droghiere di Lucca, dal quale ebbe due figli, Fosca e Renato. I due s’innamorarono perdutamente. Elvira decise di lasciare il marito per andare a vivere con Puccini; portò con sé solo Fosca, l’altro figlio, Renato, rimase con il padre. Puccini si affezionò alla piccola come fosse figlia sua. Nel 1886 dall’ unione con Elvira nacque l’unico figlio di Puccini, Antonio. Dopo tanti anni di convivenza Puccini regolarizzò l’unione con Elvira, sposandola nel 1904.

Elvira era una donna estremamente gelosa, irascibile e anche violenta, capace di compiere gesti estremi pur di non perdere il proprio compagno (l’affare Doria Manfredi accaduto nel 1909 è un esempio di quanto Elvira non riuscisse a dominare e la gelosia nei confronti di Giacomo. Doria era una domestica di casa Puccini, una ragazza dolce, umile che non avrebbe mai pensato di sedurre Giacomo, figuriamoci poi davanti agli occhi dell’infuriata moglie; fatto sta che l’Elvira a forza di accusarla pubblicamente di essere l’amante del Maestro, portò la ragazza, anima fragile e sensibile, al suicidio. Questa nefasta vicenda incise notevolmente sullo stato d’animo e fisico del compositore, incrinando anche i rapporti con la moglie. Varie circostanze però scoraggiarono Puccini dal chiedere il divorzio, rimanendo così al fianco di Elvira, sebbene il loro rapporto si fosse molto raffreddato dopo quel triste episodio). Puccini ebbe anche varie storie extraconiugali, alcune importanti come quella con Corinna, studentessa di Torino, conosciuta nei primi del 900, che gli fece completamente perdere la testa. La vera passione la conobbe con lei, mentre la storia con Josephine, baronessa austriaca, fu un sentimento più profondo, languido e romantico. Puccini aveva bisogno di innamorarsi per poter comporre, per potersi sentire ispirato doveva provare quel sentimento forte, passionale, dolce e struggente che è l’amore. D’altronde, come lui, molti compositori si prendevano queste libertà e piccole trasgressioni; Giacomo li chiamava i “piccoli giardini”, delle evasioni innocenti, per poter avere sempre uno spirito ringiovanito e regalare sempre così al pubblico della musica viva ed appassionata.

Con il passare degli anni Puccini si sentiva sempre meno motivato, più svuotato dagli avvenimenti, sia personali che generali. C’era stata la guerra del 1915-18, tante cose erano cambiate, anche nei teatri, nel modo di comporre un’opera, ormai lo stile musicale stava mutando, il pubblico desiderava storie e musiche meno appassionate e Giacomo si sentiva molto lontano da questo nuovo modo di intendere la musica.


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Con Turandot finalmente egli compì un notevole passo in avanti: c’è infatti in quest’opera un Puccini diverso, più all’avanguardia, più innovativo. Ecco che quest’opera riuscì a dargli una carica che gli mancava da tempo, sentiva che la storia della gelida principessa che si trasforma per amore avrebbe mostrato al mondo un Puccini diverso, nuovo, sorprendente!

Purtroppo il periodo della composizione di Turandot coincide anche con un aggravamento delle condizioni fisiche del Maestro; l’essere un fumatore incallito e l’infortunio di un osso d’oca inghiottito ed estratto con un piccolo intervento furono causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute. Gli avevano trovato un papilloma letale sotto l’epiglottide: nonostante l’intervento, durato più di tre ore e mezza, avvenuto a Bruxelles presso la clinica del dottor Ledoux, i medici non riuscirono a salvarlo. Puccini così moriva il 29 novembre del 1924, a 66 anni, lasciando il mondo e il suo pubblico senza parole…. Se n’era andato un grande nel pieno della sua arte creativa, con un’ opera incompiuta….. Tutto il mondo pianse il cantore di Mimì, Manon, Tosca, Butterfly, Turandot, il creatore di musica celestiale, accorata e sofferta. La notizia lasciò tutti increduli e sbigottiti, ma la sua musica non si sarebbe mai spenta con lui, essa sarebbe sopravvissuta al tempo che fugge, Puccini avrebbe continuato a vivere con la sua musica, con le sue eroine, trionfando in tutto il mondo, commovendo il pubblico con il suo stile unico ed inconfondibile.

Daniela Di Raimondo

*La redazione di psicolinea.it ringrazia Daniela Di Raimondo, lettrice di psicolinea.it e appassionata di Puccini, per questo contributo.

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