Aspetti psicologici ambientali e strutturali della Day Surgery

Aspetti psicologici, ambientali e strutturali della Day Surgery

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Apertura dei lavori al Convegno “Innovazioni chirurgiche e costi della Sanità Pubblica
Franco Avenia
Sala “Aldo Moro”, Palazzo Montecitorio
Roma 29.04.2016

In Italia i ricoveri ospedalieri, come noto, sono in calo dal 2005, con una maggior diminuzione negli ultimi anni a partire dal 2007. Nel 2014, ne sono stati effettuati 9.526.832, per un totale di 63.129.031 giornate, con una riduzione rispetto al 2013 di circa 315 mila ricoveri (-3,2%) e 1.184.000 giornate (-1,8%).[1]

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Nel primo semestre del 2015 la tendenza si conferma con una diminuzione dell’attività ospedaliera complessivamente erogata.  Le dimissioni per acuti in regime ordinario sono state 3.178.661 e 877.627 in regime diurno, pari al 21,6% del totale delle dimissioni per acuti. Gli interventi chirurgici di Day Surgery (in regime di ricovero limitato alle sole ore del giorno) e One Day Surgery (con una sola notte di ricovero) sono stati pari circa al 50% di tutta l’attività chirurgica.

Ciò, come evidente, produce una notevole riduzione dei costi, sia per le risorse umane, sia per le risorse economiche in generale. Va però tenuto conto che il regime diurno non può basarsi solo sul risparmio, ma deve altresì considerare gli aspetti soggettivi ed oggettivi che consentano di ottimizzare il risultato terapeutico con la soddisfazione e la percezione di salute del paziente.

Trend

Per quanto attiene ai fattori soggettivi, vanno analizzati i possibili vissuti positivi e negativi che si configurano, non soltanto durante il breve ricovero, ma anche nel ritorno a casa, dove il paziente deve confrontarsi con stati emotivi di diversa natura, del tutto nuovi rispetto ad una tradizionale dimissione ospedaliera.

Uno dei principali ostacoli emotivi che deve superare il soggetto ospedalizzato è il distacco dalle sue abitudini, dai familiari e la riduzione sensibile della sua privacy, aspetti negativi che invece non si manifestano in ambito di ricovero diurno.

Va, infatti, notato che chi sa di poter tornare a casa la sera stessa o il giorno dopo affronta l’intervento chirurgico con maggior serenità di chi, al contrario, entra in ospedale senza poter conoscere quanto a lungo vi rimarrà.

La sensazione spontanea – ancorché non realmente corretta – di esser già guariti, che s’ingenera dopo la dimissione, favorisce poi uno stato d’animo di maggior sicurezza e tranquillità.

Il brevissimo periodo d’ospedalizzazione consente inoltre di evitare il distacco dall’ambiente familiare e, di conseguenza, anche di mantenere immutate le proprie abitudini di vita. Ciò è sicuramente importante per il morale del paziente e per la possibilità pratica, facilitata anche dall’uso degli abituali locali, di curare la propria persona con l’aiuto dei familiari, che offrono non solo il conforto della loro presenza, ma anche un supporto pratico. Il senso di pudore, infatti, e di vergogna d’essere accuditi intimamente da persone sconosciute e magari dell’altro sesso, crea spessissimo un fortissimo disagio, capace anche d’interferire con le funzioni corporee o di sottostimare dolori o problemi d’altro tipo, rimandando o impedendo di chiedere aiuto al personale infermieristico, con conseguenze più o meno severe.

In ultimo, non dobbiamo dimenticare un aspetto oggettivo importante: la riduzione, prossima allo zero, del rischio d’infezioni per l’assenza dei “germi da ospedale”.

Non tutto, però si appalesa positivamente. Una dimissione effettuata in un ristretto ambito temporale (dopo poche ore o dopo una sola notte di degenza) può generare una sensazione d’insicurezza, rispetto al ricovero ordinario. Trovarsi a casa dopo un intervento chirurgico senza assistenza medica,  invece che affidarsi alla sorveglianza dei sanitari, alla loro esperienza ed ai macchinari a loro disposizione, può favorire una risposta d’ansia.

Ansia che può crescere pensando di essere lontani dall’ospedale in caso d’improvvise complicanze o di poter sbagliare posture, medicazioni, assunzione di farmaci, ecc..

In altre parole, la dimissione rapida, prevista nel ricovero diurno, può favorire la resistenza del paziente ad accettare tale modalità terapeutica poiché, pur valutando gli aspetti positivi di un trattamento in Day Surgery, è facile che si sviluppi una sensazione d’abbandono.

Oltre agli aspetti psicologici, per valutare con ponderazione la portata del regime di ospedalizzazione diurno, vanno tenuti presenti gli aspetti ambientali e strutturali. Esistono, infatti, delle incombenze che sono direttamente a carico del paziente e del suo contesto familiare ed altre che fanno capo all’organizzazione del sistema dei ricoveri diurni.

Le prime consistono essenzialmente nelle disponibilità del paziente, che deve assicurare di poter utilizzare un auto, di possedere un telefono in casa (preferibilmente fisso, per evitare problemi di campo di recezione o di batterie scariche) e di avere un accompagnatore che poi lo assista anche in casa. La figura dell’accompagnatore è, infatti, essenziale nella Day Surgery e nella One Day Surgery e non è possibile accedere a regimi diurni di ricovero senza di essa. L’accompagnatore, oltre ad accompagnare materialmente il paziente, riceve istruzioni sulle cure da prestare, i farmaci da somministrare e gli eventuale sintomi da comunicare ai medici della struttura ospedaliera. L’accompagnatore, poi, svolge il compito di raccordo con il Medico di Medicina Generale (intermediario qualificato) cui deve consegnare la documentazione affidatagli all’atto della dimissione, con le indicazioni riportanti il tipo di intervento eseguito e le terapie da seguire.

Le seconde, ovvero le incombenze post-dimissioni a carico della struttura ospedaliera, si concretano nella garanzia di un follow-up organizzato con i medici del territorio e nella possibilità di ricevere segnalazioni dai pazienti, offrendo consultazioni telefoniche esaurienti e tempestive.

In conclusione, per un’ottimizzazione della terapia chirurgica in regime diurno, sono elementi essenziali: un’informazione chiara e completa sulle modalità dell’intervento e del post-intervento domiciliare, da fornire al paziente ed ai familiari (accompagnatore); un’interazione garantita tra paziente, Medico di Medicina Generale e ospedale; e – ove possibile – nei casi indicati, una valutazione psico-sociale preventiva (aspettative, paure, resistenze, impedimenti pratici, deficit ambientali e familiari, ecc.) atta a garantire il più possibile una compliance alla terapia.

La Day Surgery e la One Day Surgery non devono, dunque, rappresentare solo procedure atte a ridurre i costi della Sanità Pubblica, ma altresì a garantire al paziente un’efficace terapia ed una controllata convalescenza, vissute senza paure, in tutta tranquillità e con una percezione progressiva di salute.

Dr. Franco Avenia

[1] Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero (Dati SDO 2014), a cura dell’Ufficio VI della D.G. programmazione sanitaria del Ministero della salute.

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catarsi e metodo catartico

La catarsi ed il metodo catartico

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Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Il metodo catartico ha segnato un momento fondativo nella storia della psicoterapia, evidenziando l’importanza delle emozioni represse e della loro espressione. Sebbene oggi non venga più utilizzato come tecnica autonoma, la catarsi continua a essere riconosciuta come un *momento potenzialmente trasformativo*, da integrare responsabilmente all’interno di percorsi terapeutici più articolati e personalizzati.

Cosa è la “catarsi”?

La “catarsi”, dal greco “katharsis” (purificazione), significa ‘purificazione’: è un termine che veniva utilizzato per indicare la cerimonia di purificazione presente in diverse concezioni religiose ed in rituali magici. In ambito psicologico, la catarsi è intesa come un processo di liberazione emotiva che consente all’individuo di esprimere e rielaborare esperienze traumatiche o intense, spesso represse.

Il termine veniva usato in ambito medico?

Si. In ambito medico, Ippocrate e Galeno usarono il termine in riferimento alla purificazione fisica, ad esempio attraverso l’eliminazione di fluidi corporei. La catarsi poteva consistere nella liberazione dell’individuo da una contaminazione o ‘miasma’, visibile o invisibile, che danneggiava o corrompeva la natura della persona (es. sangue o colpa).

Ad esempio, nel V secolo a.C. nella medicina d’Ippocrate, si definiva  “catarsi” l’evacuazione di escrementi o di elementi ritenuti dannosi per la salute. Questa purificazione poteva essere ottenuta o con metodi naturali o con farmaci catartici. Anche le mestruazioni o la potatura di un albero potevano rappresentare una catarsi. La catarsi veniva allora distinta in ‘naturale’ o ‘artificiale’ (es. indotta da emetici e purganti).

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Anche i filosofi hanno utilizzato questo concetto?

Si. La catarsi era già presente nelle credenze orfiche e, nella forma descritta da Empedocle, era un mezzo di purificazione che faceva uscire l’uomo dalle nascite nel ciclo delle reincarnazioni, per rimetterlo nelle dimore degli Dei, liberato dagli ‘umani dolori’.

Per Socrate la catarsi era  il risultato del dialogo: lo stringente susseguirsi di brevi domande e risposte portava alla purificazione, alla liberazione dai mali interiori, quali la cattiveria e l’ignoranza.

Platone utilizzava questo termine per indicare le vie per la liberazione dell’anima dalle passioni più materiali, per aprirsi alla prospettiva della phronesis (saggezza).

In Aristotele, assieme all’uso medico del termine, compare ne La Poetica, il celebre tema della catarsi tragica e, nella Politica, quello della catarsi musicale.

La catarsi tragica è la purificazione dell’anima dello spettatore.   La tragedia, infatti, è solo un’imitazione drammatica di fatti gravi e luttuosi, per cui la paura e la pietà che lo spettatore prova di fronte alla messa in scena di un dramma non sono le stesse che proverebbe nella realtà: l’imitazione tragica trasforma la pena reale in piacere, purificando il simile col simile. C’è poi la musica, che porta alla catarsi attraverso la meditazione.

Nell’età romantica, il significato estetico della purificazione dell’arte ritorna con Goethe, Schiller e Schopenhauer: l’arte è una via di liberazione dalla volontà irrazionale e dalla ‘cieca pulsione’ che la percorre.

Questo significato si è evoluto nel tempo fino a essere trasposto anche in ambito psicologico.

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Quali sono i meccanismi psicologici della catarsi?

La catarsi psicologica può essere descritta come un processo in tre fasi:

  1. Rievocazione: l’individuo recupera un ricordo traumatico o fortemente emotivo, spesso precedentemente rimosso o represso.
  2. Espressione: l’emozione associata viene vissuta e verbalizzata, spesso con intensità. 
  3. Elaborazione: si riorganizza cognitivamente l’esperienza, con un senso di sollievo, comprensione e diminuzione del peso psichico. 

In cosa consiste il metodo catartico di Breuer e Freud?

Il termine “catarsi” è stato ripreso da Sigmund Freud e Joseph Breuer nel 1895, negli Studi sull’isteria,  per indicare la liberazione di emozioni in pazienti ansiosi, grazie al recupero di particolari pensieri o ricordi biografici.

Essi chiamarono il procedimento da loro utilizzato “metodo catartico”. Freud e Breuer partirono dal presupposto che i sintomi isterici nascevano per il fatto che a un processo psichico gravato di intenso affetto veniva in qualche modo impedito di defluire (abreazione) sulla via normale che conduce alla coscienza e alla motilità, cosicché l’affetto, per così dire ‘incapsulato’, prendeva una strada sbagliata e trovava un deflusso nell’innervazione somatica (‘conversione’).

Con questo metodo, il paziente veniva indotto a rievocare verbalmente, o talora a rivivere, eventi traumatici: ciò permetteva l’abreazione degli effetti patogeni ad esso associati.

Nel celebre caso clinico di Anna O. (Bertha Pappenheim), Breuer notò che i sintomi isterici della paziente si alleviavano quando, sotto ipnosi, la ragazza riusciva a “rivivere” e “verbalizzare” eventi traumatici precedenti, spesso accompagnati da un’intensa risposta emotiva. La paziente definì questo processo come una “cura delle parole” (talking cure), ponendo le basi per ciò che sarebbe divenuto il trattamento psicoanalitico.

Freud riprese e approfondì il metodo, inizialmente utilizzandolo per favorire la rievocazione di contenuti rimossi e l’espressione di emozioni represse. 


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Freud continuò sempre a usare questo metodo?

No, quando Freud rinunciò all’ipnosi, cercò di indurre i ricordi mediante la pressione della sua mano sulla fronte del paziente. Il metodo fu poi sostituito con le ‘libere associazioni’ (1903).

Freud si rese infatti conto che i sintomi non erano determinati soltanto da eventi traumatici, ma rappresentavano il risultato di un conflitto fra diverse forze psichiche.

Per questo, la terapia non doveva risolversi in qualche seduta, con il ricordo di un episodio, ma doveva mirare al superamento delle resistenze che mantenevano i conflitti rimossi e ne impedivano l’affiorare.

La catarsi cessò pertanto di essere la principale finalità terapeutica in quanto non eliminava le resistenze, ma le eludeva, producendo risultati solo transitori, mentre:

‘quando il materiale rimosso è stato ricondotto all’attività psichica cosciente, il che presuppone il superamento di considerevoli resistenze, allora il conflitto psichico (…) che il malato voleva evitare, può trovare, sotto la direzione del medico, un esito migliore di quello offerto dalla rimozione’
(Freud, Cinque Conferenze sulla Psicoanalisi, 1909).

Oggi si usa ancora il metodo catartico?

Nonostante il suo valore storico, il metodo catartico in forma pura è stato abbandonato a favore di approcci più strutturati. Il rischio principale risiede nella “ri-traumatizzazione” del paziente, se il rivivere emotivo non è accompagnato da contenimento terapeutico e rielaborazione simbolica. Tuttavia, la catarsi rimane un elemento implicito in molte terapie contemporanee, anche se non più come fine, ma come possibile mezzo verso il cambiamento.

Dr. Walter La Gatta

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Quali pratiche terapeutiche incorporano il metodo catartico?

Ad esempio le “Terapie espressive” (arte terapia, psicodramma, danza terapia): l’azione creativa favorisce il contatto con vissuti profondi e la loro espressione simbolica, o le “Terapie corporee” (come la bioenergetica): lavorano sul rilascio di tensioni somatiche ed emozionali, o la Terapia focalizzata sulle emozioni (Emotion-Focused Therapy), che promuove il riconoscimento e la trasformazione delle emozioni primarie attraverso esperienze intense e simbolicamente significative. Attraverso queste ‘catarsi da attività’, la persona può entrare in contatto con gli aspetti più profondi della sua realtà psicologica ed esistenziale.

In questi approcci, tuttavia, l’esperienza catartica non è mai isolata, ma sempre inserita in un contesto relazionale e riflessivo, che ne consente l’integrazione. Oggi si ritiene infatti (Greenberg, L. S. 2002) che la catarsi possa in qualche modo aprire la porta, ma è la comprensione, l’accettazione e la ristrutturazione cognitiva ciò che consolida il cambiamento.

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Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Fonte Principale
Galimberti, Dizionario di Psicologia

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La terapia psicodinamica

La terapia psicodinamica: saperne di più

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Che cos’è la psicoterapia psicodinamica individuale?

È una terapia basata sulla parola che aiuta a identificare, esplorare e affrontare le difficoltà emotive e i disturbi psicologici, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e migliorare la capacità di compiere scelte più efficaci.

Su cosa si concentra la psicoterapia psicodinamica?

Si concentra sulle influenze psicologiche che condizionano comportamenti, emozioni e relazioni, e sul modo in cui queste possono essere collegate a esperienze passate, anche non consapevoli.

Come vengono interpretati i problemi emotivi nella psicoterapia psicodinamica?

I problemi sono visti come il risultato di legami tra esperienze passate e presenti e dei sentimenti intensi, spesso inconsci, ad essi associati.

Qual è l’obiettivo principale della psicoterapia psicodinamica?

L’obiettivo è aumentare la consapevolezza dei sentimenti profondi e inconsci, per poterli comprendere e integrarli in modo più adattivo nella vita quotidiana.

Dr. Walter La Gatta

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In che modo il passato può influenzare il presente secondo questo approccio?

Esperienze infantili dolorose, come una perdita o un trauma, possono influenzare il modo in cui si reagisce a eventi simili nel presente, anche se non se ne è pienamente consapevoli.

Perché è importante riconoscere i propri schemi emotivi e relazionali?

Riconoscerli permette di migliorare l’immagine di sé e il modo in cui ci si relaziona agli altri, favorendo una maggiore comprensione e libertà personale.

Per quali motivi si può intraprendere una psicoterapia psicodinamica?

La terapia può essere utile in presenza di depressione, ansia, difficoltà relazionali, bassa autostima, comportamenti autodistruttivi o esperienze traumatiche.

Cosa offre questo tipo di psicoterapia rispetto ad altri interventi?

Offre la possibilità di comprendere in profondità le cause psicologiche alla base del malessere, piuttosto che concentrarsi solo sulla gestione dei sintomi.

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Quali caratteristiche richiede questo percorso terapeutico?

Richiede impegno, costanza e la disponibilità ad affrontare aspetti di sé dolorosi o difficili da accettare.

Come si svolgono le sedute?

Le sedute non seguono uno schema prestabilito. Si viene invitati a parlare liberamente di ciò che viene in mente, anche se sembra irrilevante.

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Che ruolo ha il terapeuta durante gli incontri?

Il terapeuta assume un ruolo riflessivo e di supporto: ascolta, chiarisce e talvolta propone interpretazioni, ma non dà consigli o soluzioni dirette.

Su quali temi si lavora nel percorso terapeutico?

Si esplorano emozioni, pensieri e comportamenti attuali, cercando di comprenderne le radici nel passato, analizzando schemi ricorrenti e blocchi emotivi.

Cosa succede se emergono emozioni forti nei confronti del terapeuta?

Si viene incoraggiati a parlarne apertamente, in quanto questi sentimenti possono offrire informazioni importanti su relazioni e dinamiche affettive profonde.

È normale provare disagio durante questo tipo di terapia?

Sì. Affrontare ricordi e emozioni dolorose può suscitare reazioni intense, ma è parte integrante del processo terapeutico.

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Cosa ci si può aspettare dopo le sedute?

È possibile provare forti emozioni o disagio. È importante condividere queste esperienze con il/la terapeuta per integrarle nel lavoro terapeutico.

Come si conclude una psicoterapia psicodinamica?

La conclusione è pianificata con attenzione. Riflettere sul termine del percorso e sulle emozioni che comporta è parte essenziale del processo terapeutico.

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Ansia e depressione negli studenti di medicina: uno studio

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Rispetto alla media della popolazione, i medici e gli studenti di medicina soffrono con significativa maggiore frequenza di depressione e disturbi d’ansia causati da stress [Busch MA, Maske UE, Ryl L, Schlack R, Hapke U, 2013]. In uno studio americano su studenti di medicina nei semestri preclinici (n = 530), si è visto che il 40,8% degli studenti mostra un aumento di ansia e di  sintomi depressivi (a livello elevato) già a partire dal quarto semestre. Nel 16,9% degli studenti analizzati questo sintomo ha mostrato una gravità clinicamente rilevante [Burger PH, Tektas OY, Paulsen F, Scholz M, 2014].

Una intervista sui rapporti familiari

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Il confronto tra studenti di medicina, all’inizio del primo semestre e prima del primo esame di stato dopo soli due anni di studio (4 ° semestre) ha mostrato un drammatico aumento dei sintomi di burnout cognitivi ed emotivi e una perdita di qualità della vita così come del “senso di coerenza” (chiarezza mentale, coerenza, capacità di gestione delle emozioni) [Scholz M, Neumann C, Steinmann C, Hammer CM, Schröder A, Eßel N, Paulsen F, Burger PH, 2015].

Questo fenomeno è stato osservato non solo negli Stati Uniti, ma anche in altre indagini internazionali [Jurkat HB, Richter L, Cramer M, Vetter A, Bedau S, Leweke F, Milch W, 2011; Dahlin ME, Runeson B, 2007]. In una recente review, anche Ishak et al. hanno osservato che almeno la metà degli studenti di medicina sperimentano il burnout nel loro periodo di studi all’università [2013].

Un progressivo deterioramento di questi sintomi e disturbi psicologici è stato riscontrato anche in Svizzera, dove tra gli studenti degli ultimi anni di medicina e i giovani medici in formazione, circa il 30% ha mostrato depressione manifesta e circa il 15% disturbi d’ansia [Buddeberg-Fischer B, Stamm M, Buddeberg C, Klaghofer R, 2009; Arigoni F, Bovier PA, Sappino AP, 2010]. Si è tuttavia osservato che gli studenti di medicina che conoscono le strategie per la gestione dell’ansia affrontano queste difficoltà con maggiore successo [Park CL, Adler NE, 2003].

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Il rischio di burnout è maggiore quanto maggiore è l’avanzamento negli studi [Voltmer E, Rosta J, Aasland OG, Spahn C, 2010] e continua ad aumentare nella fase di tirocinio. Per tutte le ragioni menzionate, le tecniche di gestione dello stress dovrebbero essere considerate parte integrante delle strategie di formazione medica [Jurkat H, Vetter A., Raskin K , 2007] anche perché è stata chiaramente dimostrata l’efficacia, nella popolazione in generale e fra gli studenti di medicina in particolare, delle tecniche di rilassamento per contrastare stress, ansia e depressione.

Varie tecniche di rilassamento, fra cui anche la meditazione mindfulness, sono state utilizzate con successo su studenti di medicina e si è osservata una significativa riduzione di ansia e percezione dello stress. Gli effetti positivi peraltro sembrano rimanere a lungo, anche dopo la fine dell’intervento [Warnecke E, Quinn S, Ogden K, Towle N, Nelson MR, 2011]. Anche l’auto-ipnosi, come ulteriore tecnica di rilassamento, ha ridotto il senso di disagio tra gli studenti di medicina e promosso effetti positivi [Whitehouse WG, Dinges DF, Orne EC, Keller SE, Bates BL, Bauer NK, Morahan P, Haupt BA, Carlin MM, Bloom PB, Zaugg L, Orne MT, 1996].

Osservazioni condotte su studenti di altre facoltà hanno rivelato un impatto positivo del rilassamento muscolare progressivo su ansia e qualità della vita su coloro che praticano la tecnica [Dehghan-Nayeri N, Adib-Hajbaghery M, 2011]. Si può dunque affermare che le tecniche di rilassamento e di gestione dello stress forniscono una riduzione soddisfacente del notevole stress mentale incontrato durante la formazione in medicina e diminuiscono i rischi di burnout, depersonalizzazione, ansia e stress tra gli studenti di medicina [Voltmer E, Rosta J, Aasland OG, Spahn C, 2010], [Prinz P, Hertrich K, Hirschfelder U, de Zwaan M, 2012].

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Non si può dunque che unirsi alla sacrosanta osservazione di Warnecke et al., i quali postulano in un loro articolo del 2011 la necessità, per la sicurezza di medici e pazienti, che gli studenti di medicina siano aiutati a sviluppare strategie di intervento per contrastare i fattori negativi che incontrano nella fase iniziale della loro formazione.

Essi scrivono: “In un corso universitario di medicina in cui gli studenti apprendono a gestire la salute degli altri, è imperativo fornire loro metodi  efficaci per gestire anche il proprio stress.” [Warnecke E, Quinn S, Ogden K, Towle N, Nelson MR, 2011].

Dr. Walter La Gatta



Fonte:
Wild, K., Scholz, M., Ropohl, A., Bräuer, L., Paulsen, F., & Burger, P. H. M. (2014). Strategies against Burnout and Anxiety in Medical Education – Implementation and Evaluation of a New Course on Relaxation Techniques (Relacs) for Medical Students. PLoS ONE, 9(12), e114967. http://doi.org/10.1371/journal.pone.0114967

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depressione e malattie

Depressione e malattie croniche

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Numerosi studi hanno evidenziato una stretta correlazione tra la presenza di patologie croniche e lo sviluppo di sintomi depressivi. Cerchiamo allora di comprendere meglio il legame tra depressione e malattie croniche, i meccanismi psicobiologici sottostanti, le implicazioni cliniche e gli approcci terapeutici integrati.

Cosa comportano le malattie croniche?

Le malattie croniche, come il diabete, le patologie cardiovascolari, le malattie respiratorie e l’artrite reumatoide, comportano un carico costante per la persona, sia dal punto di vista fisico che psicologico. La presenza prolungata di sintomi, le limitazioni funzionali e i cambiamenti nello stile di vita rappresentano fattori di vulnerabilità psicologica, aumentando significativamente il rischio di sviluppare disturbi dell’umore, in particolare la depressione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione è due volte più frequente nei soggetti affetti da patologie croniche rispetto alla popolazione generale (WHO, 2021).

Cosa indicano le ricerche epidemiologiche?

Le ricerche epidemiologiche indicano che circa il 20–30% delle persone con malattie croniche presenta sintomi depressivi clinicamente rilevanti (Moussavi et al., 2007). In particolare, l’incidenza della depressione è elevata nei pazienti con diabete di tipo 2 (Anderson et al., 2001), insufficienza cardiaca (Rutledge et al., 2006) e broncopneumopatia cronica ostruttiva (Yohannes & Alexopoulos, 2014). La comorbilità peggiora la prognosi, riduce l’aderenza terapeutica e aumenta il rischio di mortalità.

Possiamo dire che l’interazione tra depressione e malattie croniche è bidirezionale e multifattoriale?

Si. Da un lato, la diagnosi di una malattia cronica può generare stress, ansia e sentimenti di impotenza, facilitando l’insorgenza della depressione. Dall’altro lato, i meccanismi biologici della depressione, come l’attivazione cronica dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA), l’infiammazione sistemica e la disregolazione neuroendocrina, possono influire negativamente sul decorso delle patologie croniche. Ad esempio, livelli elevati di citochine proinfiammatorie come l’IL-6 e il TNF-α sono stati associati sia alla depressione che a peggiori esiti nei pazienti cronici (Dantzer et al., 2008).

A cosa è associata la depressione in un paziente con patologia cronica ?

Possiamo osservare:

  • peggiore qualità della vita;
  • aumento del consumo di risorse sanitarie;
  • ridotta aderenza alle cure;
  • maggiore rischio di ospedalizzazione e mortalità.

Esistono approcci terapeutici integrati?

Si. Gli interventi più efficaci sono quelli multidisciplinari. La terapia cognitivo-comportamentale ha dimostrato efficacia nel trattamento della depressione nei pazienti cronici, migliorando anche l’autogestione della malattia di base (Katon et al., 2010). L’integrazione tra supporto psicologico e trattamento farmacologico è spesso raccomandata. Inoltre, programmi di “collaborative care” che coinvolgono medici di base, psichiatri e psicologi clinici si sono rivelati efficaci nel migliorare gli esiti clinici e psicologici.

La terapia cognitiva potrebbe essere dannosa per la depressione?

Assolutamente no: la terapia cognitiva di Aaron Beck è stata sviluppata proprio come trattamento di elezione per la depressione. Quando i suoi esperimenti non riuscivano a convalidare le concettualizzazioni psicoanalitiche della depressione, Beck cercava metodi alternativi per studiare la malattia psichica.

Così facendo, partì dall’osservazione che le persone depresse hanno una visione negativa del sé, degli altri, del mondo e del futuro. Piuttosto che un sentimento di rabbia che si rivolge verso l’interno, la depressione vista da Beck è caratterizzata da sentimenti di perdita esterna, che potrebbero derivare anche da una disposizione interna, capace di rendere più sensibile un individuo alle situazioni che sta vivendo.

Cosa si intende per perdita?

Per perdita si intende ad esempio la perdita della salute, della indipendenza, del lavoro, dei soldi, della famiglia, del partner, di una persona cara, della sicurezza di sé, ecc.

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Cosa comporta la perdita?

La perdita comporta:

  • Visione negativa del Sé
    Sentire la perdita come un fatto personale, criticarsi in modo inappropriato, ritenersi inadeguati, non amati, senza valore, falliti.

  •  Visione negativa del mondo
    Si pensa alla perdita come a un fatto pervasivo (capace di diffondersi anche in altri campi). Gli altri vengono visti come persone che non si interessano, o sono incapaci di prestare aiuto. Il mondo appare ingiusto, freddo, distaccato, pieno di cattiveria.

  •  Visione negativa del futuro
    Il sentimento di perdita appare permanente. Il futuro sembra privo di piacere e di gratificazioni, dal momento che le circostanze del presente sembrano incapaci di modificarsi e pertanto si ha la sensazione che non ci si sentirà mai meglio. Il futuro viene visto senza speranza, come un destino che non può essere modificato.

A cosa può essere paragonata la depressione?

La depressione può essere paragonata ad un istinto di ibernazione, dal momento che porta le persone a non sperare in un possibile miglioramento della loro vita, per cui ogni tentativo è uno spreco di tempo e di fatica. La motivazione a fare, l’interesse, il livello di energia diminuiscono e le persone tendono a rallentare, a fermarsi, a ritirarsi nel proprio mondo interiore.

Una presa in carico integrata e centrata sulla persona, che includa il riconoscimento e il trattamento precoce della sofferenza psicologica, è essenziale per migliorare non solo la salute mentale, ma anche gli esiti complessivi della malattia cronica.

Una Conferenza sulla Paura

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Le persone depresse hanno, di fatto, un’aspettativa di vita minore?

Si, ma non perché la depressione porti alla morte (a parte i casi di suicidio), ma perché porta a non avere più cura di sé, a non curarsi, a non preoccuparsi più della prevenzione. Questo atteggiamento può portare all’insorgere di nuove malattie. Altre volte la depressione è invece causata da una malattia cronica in corso.

Gli individui depressi che affrontano la malattia cronica possono essere preoccupati per le loro vulnerabilità, tanto da perdere di vista altri aspetti positivi della loro vita.

Cosa si può fare per aiutarsi e aiutare a combattere la depressione?

La chiave è concentrarsi sulle capacità residue della persona, piuttosto che sui punti di debolezza.

E’ importante impostare degli obiettivi per riaccendere la speranza, avere una visione per il futuro (nuovi interessi, nuove frequentazioni, nuovi divertimenti, nuovi lavori, nuove occupazioni, ecc.), sondando i terreni degli interessi personali che possono essere messi in atto.

La persona depressa va spinta verso nuove attività?

La depressione produce pensieri negativi che interferiscono con la motivazione ad impegnarsi in questi obiettivi, per cui è importante che la persona depressa venga incoraggiata, anche se non eccessivamente spinta (per non ottenere effetti contrari), verso nuove attività. E’ inoltre importante fare in modo che il depresso non trascuri la sua salute e non si isoli.

Quali strumenti possono aiutare i sanitari a diagnosticare la depressione?

E’ essenziale che essi adottino strategie di screening precoce e integrato, utilizzando strumenti validati come il PHQ-9 o l’HADS nelle visite di controllo per le malattie croniche.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Fonte principale:
DEPRESSION AND CHRONIC ILLNESS, Istituto Beck

Immagine:
Pexels

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