Il venticinque per cento delle diagnosi di depressione sarebbero errate, secondo uno studio pubblicato questo mese negli Archivi di psichiatria generale. Ciò è dovuto al fatto che ancora si confonde la reazione umana, del tutto normale, di tristezza, che segue un evento doloroso, con la depressione vera e propria. Si ottiene una diagnosi di depressione ad esempio se si manifestano almeno cinque sintomi depressivi (tristezza, fatica, insonnia, pensieri suicidari ecc.) per almeno due mesi dopo il decesso di una persona cara. Ma due mesi non sono il tempo minimo, normale, del lutto? Questo si chiedono gli psichiatri. Il DSM, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, ovvero la Bibbia degli psichiatri, non concede che due settimane per riprendersi da una rottura sentimentale, dalla perdita di un lavoro o da un disastro finanziario. Essere tristi per più di due settimane, in questi casi, comporta una diagnosi di depressione. A rimettere in discussione queste diagnosi è stato il Professor Michael B. First, della Università Columbia di New York, che è tra l’altro uno dei « padri» del DSM. Si stima al momento che un americano su sei si ammali di depressione almeno una volta nel corso della sua vita. Questa statistica potrebbe essere ridotta del 25% in seguito a questo studio, che ha rivisto i casi di 8000 persone diagnosticate, un po’ troppo frettolosamente, come depresse.
I Ricercatori hanno scoperto che coloro che avevano vissuto degli avvenimenti stressanti avevano riportato diversi sintomi di tipo depressivo per un periodo di tempo prolungato, ma che solo pochi di loro avevano dei sintomi realmente gravi, da far pensare alla depressione vera e propria.
I francesi lo chiamano « rétablissement » , gli anglofoni “recovery”: di fatto, i ricercatori hanno scoperto che il 60% degli ex pazienti schizofrenici degli ospedali psichiatrici del Vermont e del Maine si sono sufficientemente ristabiliti per condurre una vita “normale”. Essi lavorano, non hanno più sintomi patologici o comportamenti bizzarri ed alcuni di loro non seguono più neanche una terapia farmacologica. Non si direbbero più neanche pazienti psichiatrici. Il Vermont ha un tasso di riabilitazione superiore al 50%, perché hanno un modo diverso di gestire la malattia mentale. Dopo gli anni ’50 del secolo scorso, i malati hanno seguito dei programmi di riabilitazione e di integrazione sociale, mentre nel Maine si puntava soprattutto sulla riduzione dei sintomi. A seguito di cinque studi longitudinali si è giunti a questa conclusione: « Anche dei gravi problemi di salute mentale possono essere superati», secondo Charles Rice.L’organizzazione AGIR, che ha la sua sede nella sagrestia della Chiesa del quartiere di Saint-Roch, esiste da 21 anni e raggruppa 35 comunità del Quebec, che svolgono attività diverse, ma tutte centrate sulla salute mentale.
Fonte: Cyberpresse
Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona
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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
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