Le tasse il welfare e la felicità dei cittadini

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Una nuova ricerca suggerisce che le persone che pagano più tasse sono più felici. Almeno questo è quello che, secondo un nuovo studio, accade in terra di Germania. Lo studio, condotto da sei economisti dell’Università di Bonn, presenta un’indagine empirica su come la fiscalità possa influire sul benessere delle persone.

I ricercatori hanno analizzato 26 anni di dati, raccolti in Germania, in cui è stato chiesto a circa 25.000 persone se e quanto si sentivano soddisfatte della propria vita. Dopo gli aggiustamenti statistici riguardo alle variabili reddito, età, istruzione ed altre ancora, capaci di influire sul livello di benessere individuale, essi hanno potuto scoprire un dato veramente inaspettato: chi paga più tasse è più felice.

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I ricercatori hanno spiegato che non sono emerse delle ragioni specifiche che possano giustificare un tale atteggiamento ma, naturalmente, si possono fare delle ipotesi. Ad esempio, dicono i ricercatori, potrebbe dipendere dal fatto che i cittadini tedeschi si rendono conto che essi possono godere di servizi e beni pubblici solo grazie alle tasse. Non a caso, sembra che le famiglie tedesche che frequentano regolarmente eventi culturali e concerti, che in Germania vengono largamente finanziati con fondi pubblici, risultino molto più felici delle famiglie “inattive”.

Un altro fattore da tenere in considerazione è che i contribuenti tedeschi comprendono l’importanza della redistribuzione, dell’altruismo, della necessità di una “moralità fiscale” e dell’ “obbligo morale di pagare le tasse, per cui chi non lo fa si sente in colpa” come ha dichiarato in un’intervista Siegloch Sebastian, uno degli autori dello studio.

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In Italia la situazione è completamente diversa: anche senza dati empirici a supporto, credo non sia difficile sostenere che nel nostro Paese i sensi di colpa li provi soprattutto il cittadino che paga le tasse fino all’ultimo centesimo. Il senso di colpa potrebbe venire, in questo caso dalla sensazione di essere troppo ingenuo e forse anche un po’ fesso, in un mondo che ormai, a quanto riportano le cronache, sembrerebbe popolato più da ladri che da eroi.

Difficile dunque essere felici in queste condizioni. Non a caso, un altro studio appena pubblicato, un sondaggio Gallup condotto su gruppi di mille persone residenti in 148 nazioni del mondo, riporta che il livello di felicità percepita nel nostro Paese sia all’ultimo posto nella classifica di tutti gli Stati occidentali maggiormente sviluppati: siamo infatti al novantesimo posto, preceduti dal Kyrgyzstan e seguiti dal Mozambico. Solo il 65% degli italiani ha risposto in maniera positiva a tutte le domande della Gallup, che erano: ti sentivi ben riposato ieri? Sei stato trattato con rispetto nell’intera giornata? Hai sorriso o riso molto? Hai imparato o fatto qualcosa di interessante? Hai provato sentimenti positivi? Ti sei divertito?

Le persone più felici del mondo, sempre secondo il sondaggio Gallup, vivono in America Latina, una zona del mondo in cui sistema fiscale, diritti umani e welfare non sono certo esemplari… Eppure, i Paesi più felici sono risultati essere Panama e Paraguay, (85% di risposte positive da parte degli abitanti), seguiti da El Salvador, Venezuela, Trinidad e Tobago, Thailandia, Guatemala, Filippine, Ecuador e Costa Rica. Il primo Paese occidentale ad alti livelli di felicità è il Canada, all’undicesimo posto (80% di risposte positive).

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In Europa la nazione più soddisfatta è… No, non è la Germania, come si potrebbe pensare facendo riferimento al primo studio, ma è l’Olanda (80% di risposte positive), mentre gli Stati Uniti sono solo trentatreesimi (76% di risposte positive).

Questi dati sembrerebbero inspiegabili, se si ragiona in termini di ricchezza e di welfare. In psicologia, per spiegare cosa è realmente importante per il benessere personale, si ricorre in genere alla piramide dei bisogni di Maslow, che mette al primo posto il soddisfacimento dei bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.), seguito da quelli di sicurezza e protezione, di appartenenza (affetto, identificazione), di stima sociale (prestigio, successo), fino ad arrivare ai bisogni di autorealizzazione, cioè il riuscire ad essere veramente ciò che si desidera (chi ama la musica fa il musicista, chi ama scrivere fa il poeta o lo scrittore, ecc.). I popoli del Centro America, di tutti questi bisogni, è raro che riescano a raggiungere a malapena il secondo livello della scala.

Probabilmente dunque ci sono popoli più facilmente portati all’ottimismo e alla felicità, grazie a fattori sociali e culturali che sono differenti dai nostri. Anche il clima, del resto, sembra entrarci poco: altrimenti come si spiegherebbe che nel Burundi o in Estonia siano più felici di noi?

Oppure potremmo ipotizzare che sono felici i popoli che hanno meno soldi, perché sono poveri, come i popoli del Centro America (che hanno evidentemente uno stile di vita semplice, capace di soddisfare i bisogni più elementari, senza desiderare di soddisfare tutti i potenziali bisogni dell’essere umano), oppure come i tedeschi, che sono ricchi, ma che sono felici quando si privano dei loro soldi, pagando molte tasse, per favorire il bene comune.

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Volendo prendere questi due popoli come modelli, credo che ben difficilmente noi italiani potremmo inseguire l’esempio tedesco, che richiede ai ricchi di pagare di più, per ragioni quali l’etica o l’altruismo sociale: alle nostre latitudini questi discorsi non interessano e non sembrano proprio funzionare.

Pensando positivo, dunque, l’unica “speranza” che sembra rimanerci è quella di precipitare ancora un po’, nello spread e nel PIL, fino a raggiungere gli standard di vita del Centro America… Chissà che questo nuovo stile di vita non ci faccia, finalmente, riscoprire la felicità.

Dr. Giuliana Proietti

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Immagine:
Pixabay

Pubblicato anche sull’Huffington Post

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