L’intelligenza: cos’è?

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Cosa si intende per “intelligenza”?

Dal punto di vista etimologico sembra che la parola derivi dal sostantivo latino intelligentĭa, a sua volta proveniente dal verbo intelligĕre, “capire”. Il vocabolo intelligĕre deriva dalla contrazione del verbo legĕre, “leggere”, con l’avverbio intŭs, “dentro”; chi aveva intelligentĭa era dunque qualcuno che sapeva “leggere-dentro”, ovvero “leggere oltre la superficie”, comprendere ogni aspetto, anche quelli non apparenti.

Secondo altre interpretazioni, intelligĕre sarebbe una contrazione di legĕre con la preposizione ĭnter, “tra”; in tal caso il termine avrebbe indicato una capacità di “leggere tra le righe” o di stabilire delle correlazioni tra elementi.

Quanto alla definizione di intelligenza, non se ne è ancora trovata una perfettamente esaustiva, che permetta di spiegare la complessità dell’argomento. Non si tratta infatti di una abilità unitaria, qualcosa che si possiede o non si possiede, oppure un fenomeno che viene considerato da tutti allo stesso modo.

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Come viene definita l’intelligenza?

Vi è una grande varietà di definizioni sull’ intelligenza: tutte giuste a loro modo, ma dove ciascuna mette in evidenza qualcosa di specifico. Per fare un esempio, citiamone alcune:

  • è l’abilità di pensare astrattamente” Terman;
  • è la capacità di acquisire capacità” Woordrow;
  • è il potere di dare buone risposte dal punto di vista della verità o dei fatti” Thorndike
  • è la capacità di pensare, ragionare e capire invece di fare le cose automaticamente o per istinto” Collins.
  • è la capacità di comprendere e pensare alle cose e di acquisire e usare la conoscenza” MacMilian.
  • è il complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e adattarsi all’ambiente“. Treccani
  • “è la capacità generale di adattare il proprio pensiero e condotta di fronte a condizioni e situazioni nuove”  Stern
  • “è la misura della capacità di un agente di raggiungere obiettivi in una varietà ampia di ambienti”Legg e Hutter
  • è  intelletto, ingegno; prontezza e vivacità di mente; abilità e perizia nel fare qualcosa” Sabatini Coletti.

Da quanto tempo si cerca di comprendere la natura dell’intelligenza umana?

Sin dai tempi dell’antica Grecia con Socrate, Platone e Aristotele.

Socrate non lasciò nulla di scritto, tutto ciò che sappiamo di lui è grazie agli scritti di Aristofane, Senofonte, Platone e Aristotele. Platone, discepolo di Socrate, era entusiasta della grandezza del maestro, il quale divenne nella maggior parte dei suoi dialoghi giovanili, detti anche socratici, il protagonista. Platone racconta che Socrate procedeva interrogando una o più persone su un determinato concetto, come il coraggio o la giustizia, esponendo alla fine le contraddizioni presenti nei loro assunti iniziali e provocando così una ristrutturazione del concetto stesso, alla luce delle riflessioni svolte. Secondo Socrate l’intelligenza è fondamentale, perché rende liberi, mentre l’ignoranza rende schiavi.

Platone sosteneva che la ragione può portare ben oltre i confini del buon senso e dell’esperienza quotidiana, fino ad arrivare al mondo delle idee (l’Iperuranio è quella zona, al di là del cielo, dove risiedono le idee). Una vita piena di piaceri, ma priva di pensiero non è, per Platone una vita buona, degna di un uomo, soprattutto perché è solo grazie all’intelligenza che si può distinguere il piacere dal non piacere.

Aristotele sosteneva che gli esseri umani avessero una capacità unica di ragionare, e quindi il supremo bene e la felicità consistono nel condurre una vita di contemplazione razionale. Partendo da quanto afferma Aristotele nel Libro X dell’Etica Nicomachea, in cui si dice che “l’uomo più di ogni altra cosa è ragione, e la vita della ragione è la più autosufficiente, la più piacevole, la più felice, la migliore e la più divina di tutte“.Nei secoli successivi, la ragione divenne una proprietà divina, trovata nell’uomo in quanto fatto a immagine di Dio.

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La persona intelligente deve questa sua qualità alla genetica o all’esperienza di vita?

In passato vi sono state molte polemiche sull’origine dell’intelligenza: essa è dovuta all’ereditarietà o all’ambiente? I genetisti sostenevano che essa fosse determinata in larghissima parte dal corredo genetico ed in misura minima dall’ambiente e dalle esperienze vissute; gli ambientalisti erano invece di parere esattamente opposto.

Per questa ragione l’intelligenza è stata differenziata anche in “Intelligenza A” e “Intelligenza B“. Nella forma A si intende la potenzialità genetica dei singoli individui, quella ricevuta come corredo genetico dai genitori; nella forma B si intende quella che si riesce a sviluppare con l’esperienza e l’apprendimento.

Porre la questione in termini alternativi in realtà non ha molto senso, perché appare evidente che sono importanti sia i fattori genetici, sia i fattori ambientali, dal momento che insieme concorrono a formare un tratto molto complesso.

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Quali sono le più importanti teorie psicologiche sull’intelligenza?

Le acquisizioni sperimentali della psicologia sono procedute in 5 direzioni di studio: 

a) l’ntelligenza si sviluppa sulla base di assimilazioni (associazionismo);
b) l’immagine è un’imitazione interiorizzata che presuppone un elemento attivo, di livello superiore alla percezione (scuola di 
Würzburg);
c) l’intelligenza procede per operazioni che dirigono le immagini e i concetti (Claparède, C.E. Spearman);
d) la conoscenza è strutturazione (Gestalt);
e) la percezione è anteriore all’immagine e quest’ultima non può aver luogo prima dell’apparizione del linguaggio, che è la prima forma di pensiero simbolico (Piaget)

L’intelligenza può essere misurata?

I primi a farlo furono Binet e T. Simon (1905), autori della prima scala metrica di valutazione dell’intelligenza. In seguito,  W. Stern introdusse il concetto del quoziente intellettuale (rapporto fra età mentale ed età cronologica). Da allora le tecniche diagnostiche si sono andate precisando con nuovi strumenti di misurazione e con metodologie statistico-matematiche di valutazione.

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In cosa consiste la teoria delle intelligenze multiple?

Lo psicologo statunitense Howard Gardner, ha distinto 9 manifestazioni fondamentali dell’intelligenza, derivanti da strutture differenti del cervello e indipendenti l’una dall’altra. Ci sono persone che brillano in una particolare area e che sono carenti in un’altra. I nove macro-gruppi intellettivi sono i seguenti:

  1. Linguistico
  2. Logico-Matematico
  3. Spaziale
  4. Corporeo-Cinestesico
  5. Musicale
  6. Intrapersonale
  7. Interpersonale
  8. Naturalistico
  9. Esistenziale

Sebbene queste capacità intellettive siano più o meno innate negli individui, esse non sono statiche e possono essere sviluppate mediante l’esercizio, potendo anche “decadere” col tempo. Gardner ha sostenuto che classificare tutte le manifestazioni dell’intelligenza umana sarebbe un compito troppo complesso, dal momento che ogni macro-gruppo contiene vari sottotipi.

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Cosa è l’intelligenza emotiva?

L’intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. L’intelligenza emotiva si distingue in tre rami principali:

  • Valutazione ed espressione delle emozioni
  • Regolazione delle emozioni
  • Utilizzo delle emozioni

allo scopo di raggiungere una crescita personale.

Il tema dell’intelligenza emotiva è stato divulgato nel 1995 da Daniel Goleman nel libro “Emotional Intelligence” tradotto in italiano nel 1997 “Intelligenza emotiva che cos’è perché può renderci felici”. Grazie a questo libro anche in Italia il tema dell’intelligenza emotiva ha iniziato ad essere utilizzato e studiato, sia in ambito psicologic,22 sia in ambito aziendale.

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C’è correlazione fra intelligenza e scolarità?

Sicuramente c’è una forte correlazione fra intelligenza e scolarità e questo è dovuto sia al fatto che, in genere, gli individui più intelligenti frequentano la scuola più a lungo, sia al fatto che frequentare la scuola più a lungo rende più intelligenti.

Quanto c’entra la “razza”?

Per lunghi anni si è ritenuto che l’uomo bianco fosse l’individuo più intelligente di tutti gli altri. Per questa ragione vi sono stati ampi dibattiti volti a cercare di comprendere se valesse la pena dare istruzione a soggetti che, per loro natura, non erano intelligenti, come i neri o le donne.

La ricerca ha tuttavia mostrato che sono le condizioni di vita a determinare il maggior livello intellettivo e non i fattori genetici.

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Gli anziani sono meno intelligenti dei giovani?

La concezione secondo la quale l’invecchiamento comporta necessariamente un impoverimento intellettivo è oggi ampiamente superata. Le abilità cognitive vengono infatti divise in due categorie: quelle particolarmente sensibili all’età (memoria associativa, agilità mentale, velocità di organizzazione) e quelle che addirittura migliorano nell’età matura (prove di vocabolario e di informazione) facendo raggiungere agli anziani punteggi perfino superiori a quelli dei giovani.

In ogni caso, quando si parla di anziani non si può generalizzare: vi sono differenze notevoli fra un individuo anziano e un altro, come fra certe abilità che migliorano nel tempo ed altre che invece mostrano un certo declino, a seconda dell’uso che se ne fa nella vita.

Ci sono poi le malattie: ad esempio, nella malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza, vi è un disturbo di molteplici funzioni corticali superiori tra cui memoria, pensiero, orientamento, comprensione, calcolo, capacità di apprendimento, linguaggio e giudizio.

L’intelligenza può migliorare o peggiorare, o rimane sempre uguale a se stessa?

Un tempo si pensava che l’intelligenza fosse soprattutto espressione di un potenziale ereditario: ci si attendeva che il livello di intelligenza di una persona restasse immutato per tutta la vita. Oggi le ricerche, sempre più approfondite sulla natura dell’intelligenza, hanno portato invece a concepirla come un fattore complesso e dinamico, che varia da persona a persona e che, nell’arco di vita dell’ individuo, può variare moltissimo da periodo a periodo.

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La donna è meno intelligente dell’uomo?

Quanto al livello di intelligenza, in passato la donna veniva considerata meno intelligente dell’uomo e si sosteneva questa tesi attraverso la dimostrazione che la donna, nei secoli, non aveva compiuto realizzazioni o scoperte scientifiche pari a quelle maschili.

Oggi, potendo valutare le cose con maggiore obiettività, è facile riconoscere che la considerazione è senz’altro giusta, ma che tale disparità fra i sessi non è imputabile alla carenza di intelligenza nella donna, quanto alle ragioni sociali e culturali, che hanno notevolmente influito, in senso negativo, sulla possibilità di sviluppo delle capacità intellettuali femminili.

Dr. Walter La Gatta

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