Carmelo Bene: una biografia
Dr. Giuliana Proietti
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Chi era Carmelo Bene? Il più grande attore del novecento, un genio assoluto, uno studioso, un ricercatore, un grande ingannatore, un istrione, un esibizionista, un trasgressivo, un pazzo ? Forse un po’ di tutto questo e dunque sicuramente un uomo non comune, dalla dirompente personalità.
Vittorio Gassman lo definiva: ‘un enorme bugiardo, con un fondo di totale sincerità’, dandogli atto dell’aver percorso nel teatro e nel cinema una strada tutta sua, non mediata da esperienze attribuibili a qualcun altro.
Nato a Campi Salentina, in provincia di Lecce, nel 1937, era figlio di un industriale del tabacco. Come scrisse egli stesso nel intervista-autobiografia Vita di Carmelo Bene (di Carmelo Bene e Giancarlo Dotto, Edizioni Bompiani):
“… In quegli anni venire al mondo e farla franca era come scampare ad Auschwitz. La gestante era una signora a rischio, destinata quasi sempre a perire. Lei o il bambino. Qualche volta entrambi. Tu, infelicemente, ce l’hai fatta. Uno dei pochi. E’ per questo che quelle annate eroiche si dicono “classi di ferro”, ma la guerra e il fronte non c’entrano. Il fatto di essere nati costituiva di per se un’impresa. Sopravvivere ai tumulti dell’utero, a questo natale bellico, allora funesto nel novanta per cento dei casi. Più che nato, sono stato abortito. Ecco, io mi considero a tutti gli effetti un aborto vivente”.
Carmelo era un bambino taciturno, cui fu impartita un’educazione molto rigida, compiuta presso un collegio di gesuiti, dove seguì studi classici.
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Nel 1957, ventenne, andò a Roma e si iscrisse all’Accademia di Arte drammatica, ma l’anno successivo si convinse che questi studi erano ‘inutili’ e li abbandonò per ragioni, a suo dire, ‘ideologiche’. In realtà sembra fu cacciato per semplice indisciplina, dopo aver litigato con Sergio Tofano e Wanda Capodaglio, che lo giudicarono ‘presuntuoso e cretino’.
Il debutto sulle scene avvenne nel 1959, come protagonista del “Caligola” di Albert Camus, diretto da Alberto Ruggiero, al Teatro delle Arti di Roma. Per chiedere i diritti allo scrittore francese, il giovanissimo Carmelo andò personalmente a Parigi, e li ottenne. Gli spettatori erano ancora pochi, ma alcuni critici illustri (tra cui Flaiano e Chiaromonte) lo notarono, battezzandolo ‘l’enfant terrible’ della cultura italiana.
Dopo questi primi successi sulle scene, Carmelo tornò a Campi Salentina con Giuliana Rossi, una ragazza di Firenze che desiderava sposare. L’unione fu subito contrastata, forse perché Giuliana faceva l’attrice ed aveva qualche anno più di lui.
La madre di Carmelo accusava la futura nuora di mirare unicamente all’inesistente patrimonio di Carmelo e della sua famiglia e di avere perfino drogato suo figlio. Il padre, che era amico del primario di una clinica per malattie mentali, pensò di risolvere la situazione facendo internare Carmelo per un paio di settimane, nella speranza di dissuaderlo dai suoi propositi matrimoniali, oltretutto civili e non religiosi.
Giuliana Rossi scappò, o forse fu cacciata, dal paesino del Salento, ma poi riuscì comunque a sposare il suo fidanzato a Palazzo Vecchio, a Firenze, nell’aprile del 1960: lui aveva 22 anni e lei 28. Da questa unione, durata fino al 1973, nacque un figlio, Alessandro, che fu allevato dai nonni di Firenze, il quale sfortunatamente a tre anni si ammalò di tumore e morì dopo un anno e mezzo.
Il bambino fu considerato dalla famiglia Bene ‘un figlio della colpa’ a causa del matrimonio solo civile dei genitori e lo stesso Carmelo si disinteressò di lui, andandolo a trovare a Firenze una sola volta.
Nella sua autobiografia, così Bene ricorda la prima moglie:
‘di sei anni più agée di me. Era troppo intelligente Giuliana. E anche molto puttana a letto. Lussuriosa”.
(Nel febbraio 2005, a 71 anni, Giuliana Rossi è morta, facendo appena in tempo a consegnare all’editore un libro, dal titolo : ‘I miei anni con Carmelo Bene’ nel quale l’attore venne descritto in termini molto sprezzanti).
Nel `61, Bene tornò ad esibirsi a Roma, a Trastevere, in una ex falegnameria. Qui fondò il suo «Laboratorio», 26 posti a sedere, un’anticipazione delle «cantine» che andranno poi tanto di moda negli anni settanta. A vederlo in scena venivano Pasolini, Moravia, la Morante, Flaiano, Visconti, la Magnani, la Vitti… Ma presto arrivò anche il successo di pubblico, anche se per molti ‘non iniziati’ l’arte di Carmelo rimase del tutto incomprensibile.
Con ‘Il rosa e il nero’, una sorta di autobiografia estetica rappresentata nel `66 al Teatro delle Muse, la protagonista femminile era Maria Monti, la quale riceveva molti messaggi da parte di letterati e giornalisti che la corteggiavano.
Prima di cominciare lo spettacolo, una sera i due attori protagonisti lessero ad alta voce, in tono beffardo, questi riservatissimi messaggi, fra cui: «Ti aspetto domani sera al termine della recita diurna da Rosati, tuo Paolo Milano». La trovata lasciò allibiti tutti i presenti, compreso lo stesso Paolo Milano, un conosciutissimo intellettuale.
Secondo la leggenda, Paolo Milano avrebbe subito inoltre una minzione pubblica, da parte di Carmelo Bene, sul suo grembo, durante una rappresentazione di Salomè. In realtà pare che l’episodio sia da attribuire ad un attore argentino che aveva riconosciuto in platea l’ambasciatore del suo Paese. Poiché un tale comportamento era però perfettamente in stile con il personaggio Carmelo Bene, in molte biografie l’episodio viene raccontato così come avrebbe potuto essere, ma sembra non sia stato.
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L’anno successivo Bene divenne regista di se stesso con “ Majakovskij”, commentato da musiche di Bussotti. Da questo momento iniziò a compiere un’opera di manipolazione integrale dei “classici” che chiamò “variazioni”.
Tra esse: «Amleto», «Faust», «Don Chisciotte». Bene prendeva questi classici e li rivoltava, svuotandoli, ricomponendoli, parodiandoli, sbeffeggiandoli nel suo modo provocatorio.
Nel decennio successivo, Bene continuò a riprodurre in teatro le sue riletture, sempre molto aggressive ed irrispettose, al limite dell’oltraggio. Parliamo del “Pinocchio” di Collodi, dell’ “Amleto” di Shakespeare, di “Edoardo II” di Marlowe, di “Salomè” di Oscar Wilde (1964), di “Manon” di Prévost.
Ad esclusione di pochi critici, che lo ammiravano e lo sostenevano, come Ennio Flaiano, le reazioni del pubblico alle rappresentazioni erano perlopiù negative. Ma questo poco importava a Carmelo Bene che così commentava:
“Il problema è che l’io affiora, per quanto noi vogliamo schiacciarlo, comprimerlo. Ma finalmente, prima o poi, questa piccola volontà andrà smarrita. Come dico sempre: il grande teatro deve essere buio e deserto”.
L’attore si ispirava molto al teatro di Antonin Artaud, non a caso chiamato “Teatro della crudeltà”, in quanto profondamente anti-borghese, anti-narrativo, anti-introspettivo. Nacquero così “Il monaco” ed il più famoso “Nostra signora dei turchi”, un testo paradossale edito dalla casa editrice Sugar, poi adattato e messo in scena al teatro Beat ’62.
Cominciò in questo periodo anche il lungo sodalizio artistico-sentimentale con l’attrice Lydia Mancinelli, che prese il posto di Giuliana nella vita dell’attore.
Carmelo Bene, dopo aver partecipato come attore nel film di Pasolini “Edipo Re”, interpretando il personaggio di Creonte, debuttò come regista cinematografico con il film “Nostra signora dei Turchi”. Il film vinse il premio speciale della giuria a Venezia.
Seguirono altri lungometraggi, come “Capricci” (1969), “Don Giovanni” (1970), “Salomè” (1972), “Un Amleto in meno” (1973), con il quale si chiuse la non brillantissima esperienza cinematografica. “Otello” fu girato nel 1979 per la televisione, ma montato solo anni più tardi.
Nel 1972 uscì, da Feltrinelli, “L’occhio mancante” un libro rivolto polemicamente ai suoi critici. In teatro Bene portò “La cena delle beffe” da Sem Benelli (1974) insieme a Gigi Proietti, “Romeo e Giulietta” da Shakespeare (1976), “S.A.D.E.” (1977), spettacolo particolarmente trasgressivo per l’epoca in quanto ospitava in scena molte ragazze nude. Nelle riletture dei classici alla maniera di Carmelo Bene c’era veramente poco del testo originale, sostituito da effetti sonori da discoteca, luci, costumi e scene di grande ed elegantissimo effetto, citazioni letterarie, figuranti ed un solo, vero protagonista: lui.
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Bene regista teatrale era considerato un vero tiranno dai suoi attori, ma lo stesso accadeva nella sua vita privata, tanto che, in modo violento, si interruppe anche il sodalizio sentimentale e artistico avuto con la Mancinelli.
Nel 1979/80 vi fu la ‘svolta concertistica’, attraverso “Manfred”, il poema di Byron con orchestra dal vivo.Tutti grandi successi, di pubblico e critica.
Negli anni Ottanta Bene continuava ad esibire comportamenti schernitori nei confronti dei critici e di quelli che lui considerava dei cretini, incapaci di comprendere la sua arte.
Sempre più spesso litigava anche con la seconda moglie (l’ex Miss Italia Raffaella Baracchi, molto più giovane di lui, dalla quale ebbe una figlia, Salomè) finendo spesso sui giornali o al commissariato. Ma tutto gli veniva perdonato perché ormai era considerato un mito, un guru intellettuale.
Bene scagliava le sue invettive non solo contro i critici, ma anche contro il ministero dello spettacolo, ribattezzato ‘lo spettacolo del ministero’, colpevole di ignorare e di non remunerare il suo lavoro teatrale.
Nel 1981 dalla Torre degli Asinelli a Bologna, recitò una indimenticabile “Lectura Dantis”, poi “Pinocchio” (1981), “Adelchi” (1984), “Hommelette for Hamlet” (1987), “Lorenzaccio” (1989) e “L’Achilleide N. 1 e N. 2” (1989-1990).
Gli ultimi vent’anni della sua vita, Carmelo Bene li spese all’insegna della sperimentazione: in particolare, il suo lavoro sulla voce lo pose all’avanguardia della ricerca teatrale contemporanea.
Nel 1988 venne chiamato a dirigere la Biennale Teatro, ma i segni di stanchezza artistica e personale cominciavano oramai, pesantemente, a farsi sentire: la sua direzione venne giudicata costosa e inconcludente, un vero fallimento. Bene l’aveva concepita ‘a porte chiuse’, senza pubblico, perché non c’erano spettacoli: soltanto laboratori sul ‘Bafometto’ di Klossowski e su ‘Tamerlano il grande’ di Marlowe.
Oltre tutto, durante il periodo della sua Biennale, Bene cominciò ad avere i primi, seri problemi di salute: a Parigi, fu colto dal primo infarto, dopo il quale ricominciò tranquillamente a fumare due pacchetti di Gitanes al giorno. Tornato a Venezia Bene chiese più soldi: «Inutile, vano et stupidissimo lavorare seriamente settore Teatro Biennale Venezia. Stop. Stressante prodigarsi et a mie sole spese organizzative» scrisse al presidente Paolo Portoghesi, chiedendo cinque miliardi ed ottenendone due e mezzo.
Partirono poi le denunce da una parte e dall´altra ed arrivarono i sequestri e le udienze. Bene fu condannato a due anni con la condizionale. Gli attacchi cardiaci divennero più frequenti e per questo dovette farsi applicare quattro by-pass: ciò nonostante continuava a fumare e a bere whisky e Dom Perignon.
Molti lo ricorderanno, in questo periodo, come protagonista di talk show televisivi. Ricorda a questo proposito Maurizio Costanzo:
“Quello che faceva lui poteva sembrare antitelevisivo per eccellenza, ma in realtà non si è mai rifiutato di venire a parlare in tv e, pur essendo di difficile gestione, tutto quello che diceva era così affascinante da riempire lo schermo di per sé, senza aver bisogno di commenti”.
Dal 1990 al 1994 fu assente dalle scene, ‘disoccupandosi di sé’; nel 1995 uscì la sua opera “omnia” nella collana dei Classici Bompiani e nel 2000 fu pubblicato il poemetto “l mal de’ fiori”.
Dopo qualche giorno di coma, Carmelo Bene è morto il 16 marzo 2002, nella sua casa romana di Via Aventina, all’età di 64 anni. ‘Non può essere morto chi ha sempre dichiarato di non essere nato’ ha detto alla notizia della sua scomparsa Enrico Ghezzi, che con Carmelo Bene aveva firmato il volume “Discorso su due piedi (il calcio)”.
Nel suo testamento, l’attore ha lasciato erede del proprio lavoro artistico una fondazione, «L´immemoriale di Carmelo Bene», con sede a Otranto, il cui compito consisterà nel «perseguire la conservazione, divulgazione e promozione nazionale ed estera dell´opera totale di Carmelo Bene», con Segretario generale a vita Luisa Viglietti, sua ultima compagna.
Giuliana Proietti
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