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La depatologizzazione della omosessualità nell’ICD

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Cosa è l’ICD?

L’ICD è la classificazione internazionale delle malattie, delle condizioni di salute e dei problemi sanitari correlati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Viene utilizzato per assegnare la morbilità e la mortalità umana a categorie specifiche. L’ICD non va confuso con Il DSM (Manuale Diagnostico e Statistico degli Psichiatri), che è una pubblicazione a cura dell’APA (Associazione Psichiatrica Americana), dove sono elencate tutte le malattie mentali. Qui di seguito riportiamo la storia della categoria diagnostica “omosessualità”, nell’ICD.

L’omosessualità nell’ICD

L’omosessualità è entrata per la prima volta nell’ICD, nella sua sesta versione (ICD-6). Era la prima volta che vi era nell’ICD una classificazione dei disturbi mentali. Prima dell’ICD-6 e della fondazione dell’OMS, l’ICD era esclusivamente una classificazione delle cause di mortalità (la prima versione era chiamata The International List of Causes of Death). Dall’ ICD-6 (approvato nel 1948), poi nell’ICD-7 (approvato nel 1955), nell’ICD-8 (approvato nel 1965) e nell’ICD-9 (approvato nel 1975), l’omosessualità è sempre stata inclusa nel Capitolo V sui disturbi mentali e anche come parte di una categoria generale per le “Deviazioni sessuali”.

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Da ICD-6 a ICD-9: Categorie specificamente correlate al funzionamento sessuale

 

ICD-6 (1948) e ICD-7 (1955)

ICD-8 (1965)

ICD-9 (1975)

Nome del capitolo Capitolo V. Disturbi mentali, psiconevrotici e di personalità

Capitolo V. Disturbi mentali

Capitolo V. Disturbi mentali

Descrizione e codici Disturbi del carattere, del comportamento e dell’intelligenza (codici 320–326) Nevrosi, disturbi della personalità e altri disturbi mentali non psicotici (codici 300–309) Disturbi nevrotici, disturbi della personalità e altri disturbi mentali non psicotici (codici 300–316)
Nome e codice del gruppo Personalità patologica
(codice 320)
Deviazione sessuale
(codice 302)
Disturbi e deviazioni sessuali (codice 302)
Nomi di categoria, codici e condizioni incluse

320.6 Deviazione sessuale

Comprende: esibizionismo, feticismo, omosessualità, sessualità patologica, sadismo, deviazione sessuale

302.0 Omosessualità
Include: lesbismo, sodomia302.1 Feticismo

302.2 Pedofilia

302.3 Travestitismo

302.4 Esibizionismo

302.8 Altre deviazioni sessuali
Include: erotomania, masochismo, narcisismo, necrofilia, ninfomania, sadismo, voyeurismo

302.9 Deviazione sessuale non specificata
Include: sessualità patologica NAS, deviazione sessuale NAS (NB I disturbi sessuali NAS sono disturbi del funzionamento sessuale che non rientrano in nessuna categoria specifica).

302.0 Omosessualità
Include: lesbismo302.1 Bestialità

302.2 Pedofilia

302.3 Travestitismo

302.4 Esibizionismo

302.5 Transessualismo

302.6 Disturbi di identità psicosessuale
Include: disturbo del ruolo di genere

302.7 Frigidità e impotenza
Include: dispareunia psicogena

302.8 Altra deviazione o disturbo sessuale
Include: feticismo, masochismo, sadismo

302.9 Deviazione o disturbo sessuale non specificato

Come si vede, nel glossario dell’ICD-9, le “deviazioni sessuali” sono state descritte come inclinazioni o comportamenti sessuali anormali, diretti principalmente verso persone non del sesso opposto, o verso atti sessuali non normalmente associati al coito, o verso il coito eseguito in circostanze anomale.

Il 17 maggio del 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) cancellò l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. Fu un momento storico, che portò, nel 2004 a scegliere il 17 maggio come data per l’istituzione della Giornata internazionale contro l’omobitransfobia (International Day Against Homophobia, Biphobia and Transphobia – IDAHOBIT)

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La seconda era della classificazione dell’omosessualità nell’ICD

Nell’ICD-10 dell’OMS (pubblicato nel 1992) è stato tuttavia osservato un atteggiamento ambivalente  Infatti, nonostante venga specificato che  “il solo orientamento sessuale non è da considerarsi un disturbo “,  almeno tre codici ICD-10 (inclusi nel blocco “Disturbi psicologici e comportamentali associati allo sviluppo e all’orientamento sessuale”, sotto la voce ” Disturbi della personalità e del comportamento degli adulti”), in particolare F66.0 (“Disturbo della maturazione sessuale”), F66.1 (“Orientamento sessuale egodistonico”) e F66.2 (“Disturbo delle relazioni sessuali”), potrebbero essere applicati all’orientamento omosessuale, o bisessuale.

Il disturbo della maturazione sessuale è stato definito come un disturbo mentale applicato a un individuo che soffre di “ incertezza sulla propria identità di genere o orientamento sessuale, che causa ansia o depressione. Più comunemente ciò si verifica negli adolescenti che non sono certi di essere omosessuali, eterosessuali o bisessuali nell’orientamento o in individui che dopo un periodo di orientamento sessuale apparentemente stabile, spesso all’interno di una relazione di lunga data, scoprono che il loro orientamento sessuale sta cambiando. ”

L’orientamento sessuale egodistonico si riferisce a un individuo la cui “ identità di genere o preferenza sessuale non è in dubbio, ma l’individuo desidera che sia diverso a causa di disturbi psicologici e comportamentali associati e può cercare un trattamento per cambiarlo”.

Il “Disturbo della relazione sessuale” è una categoria per coloro la cui “ anomalia dell’identità di genere o delle preferenze sessuali è responsabile delle difficoltà nel formare o mantenere una relazione con un partner sessuale ”.

Anche se l’eterosessualità è elencata come solamente uno dei possibili orientamenti sessuali, le persone eterosessuali non sembrano destinatarie previste di queste diagnosi. E’  evidente che il discorso è rivolto a coloro che mostrano un orientamento sessuale omosessuale e che per questo possono provare un’angoscia correlata.

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Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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E’ bene ricordare che non ci sono prove che l’orientamento sessuale tra persone dello stesso sesso sia di per sé causa di angoscia (cioè, un disturbo della maturazione sessuale o un’omosessualità “ego-distonica”); sembra piuttosto che il disagio sia una conseguenza del rifiuto sociale e della discriminazione causata dallo stigma legato all’orientamento sessuale.

Il 18 giugno 2018, l’OMS ha pubblicato la sua nuova classificazione internazionale delle malattie, l’ ICD-11 depennando la “incongruenza di genere “ dalla classificazione dei disturbi psichiatrici.

La voce è restata nel documento ICD-11, ma in un altro capitolo di nuova istituzione, relativo alla salute sessuale. A questo importante pronunciamento,  hanno certamente contribuito le pressioni che da anni arrivavano dalle associazioni e dalle community LGBT di tutto il mondo

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Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Fonti:

Drescher J. Out of DSM: Depathologizing Homosexuality. Behav Sci (Basel). 2015 Dec 4;5(4):565-75. doi: 10.3390/bs5040565. PMID: 26690228; PMCID: PMC4695779.

Robles R., Real T., Reed G. Depatologizzare l’orientamento sessuale e le identità transgender nelle classificazioni psichiatriche // Consortium Psychiatricum. – 2021. – Vol. 2. – N. 2. – P. 45-53. doi: 10.17816/CP61

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Cocaina: cosa è, come funziona

Cocaina: cosa è, come funziona

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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La cocaina è una sostanza stupefacente. Agisce come stimolante del sistema nervoso centrale, è vasocostrittore ed anestetico, con l’effetto di aumentare i livelli di vigilanza, di attenzione  e di energia. Si estrae dalle foglie della pianta di coca, originaria del Sud America (principalmente la si coltiva in Perù, in Colombia e in Bolivia). Il principio attivo è la Cocacina cloridrato (HCL, il sale cloridrato della cocaina). E’ considerata una droga illegale in gran parte del mondo.

Come si presenta

Come droga di strada, essa si presenta come una polvere fine, bianca e cristallina: per questo la cocaina viene anche chiamata “neve”,  “flake”, “nose Candy”, “white lady” ed altro. 

Sostanze aggiunte

Gli spacciatori spesso la mescolano con amido di mais, talco o farina per aumentare i profitti. Possono anche miscelarla con altri farmaci, come l’anfetamina o oppiacei sintetici, come il fentanil.
L’aggiunta di oppioidi sintetici alla cocaina la rende particolarmente rischiosa, dal momento che le persone che la usano possono non rendersi conto della presenza di questo pericoloso additivo. Un numero crescente di decessi per overdose tra i consumatori di questa sostanza potrebbe essere correlato a questa manomissione.

 

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Storia dell’uso della sostanza

La cocaina è uno degli stimolanti più antichi, potenti e pericolosi di origine naturale. Tremila anni prima della nascita di Cristo, gli antichi Incas nelle Ande masticavano foglie di coca per accelerare il respiro, cosa che permetteva loro di adattarsi meglio alla vita in alta montagna.

I nativi peruviani masticavano foglie di coca durante le cerimonie religiose. Questa abitudine fu infranta quando i soldati spagnoli invasero il Perù, nel 1532. Gli spagnoli rifornirono i lavoratori forzati indigeni, impiegati nelle miniere d’argento, di foglie di coca, perché questo faceva si che essi fossero più facili da controllare e da sfruttare.

La cocaina fu isolata per la prima volta nel 1859 dal chimico tedesco Albert Niemann, ma divenne una sostanza conosciuta dalla comunità medica solo a partire dal 1880.

Il primo a studiare la sostanza fu il neurologo, poi psicoanalista,  Sigmund Freud, che usò la droga su se stesso e la diffuse fra parenti, amici e pazienti, come rimedio contro la depressione e l’impotenza sessuale.

Nel 1884 Freud pubblicò un articolo intitolato “Über Coca” (Sulla Coca) nel quale parlava dei “benefici” della cocaina, definendola una sostanza “magica”.

Freud scrisse che “per gli esseri umani la dose tossica è molto alta, e sembra non esserci una dose letale.” Contrariamente a questa convinzione, uno dei pazienti di Freud morì a causa di un elevato uso della sostanza.

Nel 1886, la popolarità della droga ebbe un ulteriore impulso quando John Pemberton incluse le foglie di coca come ingrediente nella sua nuova bevanda analcolica, Coca-Cola. Gli effetti euforici ed energizzanti sul consumatore contribuirono a far decollare la popolarità della Coca-Cola all’inizio del secolo.

Dal 1850 ai primi anni del 1900, personaggi molto conosciuti promossero gli effetti “miracolosi” dei tonici e degli elisir a base degli estratti di coca: fra essi l’inventore Thomas Edison e l’attrice Sarah Bernhardt. La droga divenne popolare nell’industria del cinema muto e i messaggi pro-cocaina provenienti da Hollywood in quel periodo influenzarono milioni di persone.

L’uso di cocaina nella società aumentò e i pericoli della droga divennero gradualmente più evidenti. La pressione pubblica costrinse la società della Coca-Cola a rimuovere la sostanza dalla bibita nel 1903.

Nel 1905, la cocaina era molto diffusa e, nel giro di cinque anni, gli ospedali e la letteratura medica cominciarono a segnalare casi di danni nasali derivanti dall’uso di questa droga.

Nel 1912, il governo degli Stati Uniti contò 5000 morti per cocaina in un anno e nel 1922 la droga fu ufficialmente bandita.

Negli anni ’70  la droga fu riscoperta da persone del mondo dello spettacolo e uomini d’affari, che potevano attraverso di essa fare il pieno di “energia” e “restare in piedi” nonostante la stanchezza e lo stress.

Alla fine degli anni ’70, i trafficanti di droga colombiani iniziarono a creare una rete elaborata per il contrabbando di cocaina per cui, alla fine degli anni ’80, la cocaina non era più considerata la droga preferita dai ricchi, ma una droga molto diffusa in tutte le fasce della popolazione.

All’inizio degli anni ’90, i cartelli della droga colombiani producevano ed esportavano da 500 a 800 tonnellate di cocaina all’anno, spedendo la loro merce non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Asia. I grandi cartelli sono stati parzialmente smantellati a metà degli anni ’90, ma questo ha contribuito a creare gruppi più piccoli, con più di 300 organizzazioni attive di contrabbando di droga in Colombia.

A partire dal 2008, la cocaina è diventata la seconda droga illegale più trafficata al mondo, dopo la cannabis.

Come si consuma

La maggior parte dei consumatori di cocaina annusa (“sniffa“) la polvere bianca con il naso. Alcuni la strofinano sulle gengive o la ingoiano dopo averla dissolta in acqua. Altri la iniettano in vena con un ago. Altri ancora si iniettano una combinazione di cocaina ed eroina, chiamata Speedball. Si possono anche inalarne i vapori, generalmente attraverso una cannuccia, scaldando la cocaina depositata su un foglio di alluminio. Un altro tipo di assunzione è per ingestione di un mix fatto di cocaina, acqua e bicarbonato di sodio.

In che modo la cocaina influisce sul cervello

Tutto ruota intorno ai circuiti di ricompensa del cervello, che controllano le sensazioni di piacere. La cocaina aumenta i livelli della dopamina causando l’accumulo di grandi quantità di questo neurotrasmettitore tra due cellule nervose, con l’effetto di fermare la loro normale comunicazione.

Questo flusso di dopamina nel circuito di ricompensa del cervello provoca intense sensazioni di energia e prontezza, fisica e psicologica, e rafforza fortemente i comportamenti di assunzione di droga, in quanto il circuito di ricompensa alla fine si adatta all’eccesso di dopamina causato dalla droga, e diventa meno sensibile ad esso. Di conseguenza, le persone finiscono per assumerne dosi sempre più elevate e frequenti nel tentativo di sentirsi allo stesso livello di performance e ottenere sollievo.

Gli effetti a breve termine

  • euforia ed energia;
  • prontezza mentale;
  • ipersensibilità alla vista, al suono e al tatto;
  • irritabilità;
  • paranoia: sfiducia estrema e irragionevole verso gli altri

Grandi quantità di cocaina possono portare a comportamenti bizzarri, imprevedibili e violenti.

Comparsa degli effetti

Gli effetti della cocaina in genere compaiono quasi immediatamente e scompaiono in pochi minuti, massimo un’ora. Gli effetti e la loro durata dipendono comunque dal metodo di utilizzo: la cocaina iniettata, ad esempio, ha un effetto immediato ma meno duraturo rispetto allo sniffare (che raggiunge il suo picco dopo 15 – 30 minuti). Fumarla può dare effetti dopo 5-10 minuti. La dose letale è di circa 1-1,2 grammi.

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Quali sono gli altri effetti sulla salute del consumo di cocaina?

  • vasi sanguigni ristretti;
  • pupille dilatate;
  • nausea;
  • aumento della temperatura corporea e della pressione sanguigna;
  • battito cardiaco veloce o irregolare;
  • tremori e contrazioni muscolari;
  • irrequietezza

Effetti a lungo termine

Gli effetti sulla salute a lungo termine della cocaina dipendono dal metodo di utilizzo e portano a:

sniffare – perdita dell’odorato, epistassi, naso che cola e problemi con la deglutizione;
fumare –  tosse, asma, problemi respiratori e più alto rischio di infezioni come la polmonite;
via orale – grave decadimento intestinale da riduzione del flusso sanguigno;
via endovena – più alto rischio di contrarre l’HIV, l’epatite C e altre malattie trasmesse per via ematica, infezioni della pelle o dei tessuti molli, nonché cicatrici o collasso delle vene.
La cocaina inoltre pregiudica le capacità di giudizio, per cui può portare a comportamenti sessuali a rischio con partner infetti e a una riduzione della libido, con riduzione della performance sessuale: disfunzione erettile nell’uomo ed anorgasmia nella donna.

Altri effetti a lungo termine del consumo di cocaina includono l’essere malnutriti, perché la cocaina diminuisce l’appetito e disturbi del movimento, come la malattia di Parkinson, che possono verificarsi dopo molti anni di utilizzo. Inoltre, le persone che ne fanno uso segnalano irritabilità e irrequietezza oltre che gravi paranoie,
in cui si perde il contatto con la realtà e si hanno allucinazioni uditive, udendo rumori che non sono reali.

Esiste la overdose da cocaina?

Sì, l’ overdose da cocaina è possibile. Il sovradosaggio può essere intenzionale o non intenzionale. La morte per sovradosaggio può verificarsi al primo utilizzo di cocaina o inaspettatamente, in seguito. Inoltre, molte persone che usano la cocaina bevono anche alcol allo stesso tempo, il che è particolarmente rischioso e può portare a overdose. Altri mescolano la cocaina con l’eroina, un’altra combinazione pericolosa e letale.
Alcune delle conseguenze più frequenti e gravi sulla salute sono: ritmo cardiaco irregolare, attacchi di cuore, convulsioni e ictus. Altri sintomi di overdose da cocaina comprendono difficoltà respiratorie, ipertensione, temperatura corporea elevata, allucinazioni e agitazione estrema o ansia.

Un sovradosaggio di cocaina è più difficile da trattare. I segni fisici includono:

  • Aumento della sudorazione, della temperatura corporea o della frequenza cardiaca
  • Problemi respiratori
  • Dolori al petto
  • Nausea o vomito
  • Confusione, convulsioni, tremori

Effetti psicologici della overdose:

  • Ansia
  • Panico
  • Paranoia
  • Allucinazioni
  • Deliri

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Dipendenza

La cocaina crea dipendenza. Infatti, più si usa la cocaina, più il cervello si adatta ad essa e si ha bisogno di una dose più elevata per avere gli stessi effetti. Questo può portare a una pericolosa dipendenza o a una overdose.

Dosi più forti e più frequenti possono anche causare cambiamenti a lungo termine nella chimica del cervello. Il corpo e la mente iniziano a fare affidamento sulla droga e ciò può rendere più difficile pensare, dormire e ricordare.

Sintomi di astinenza:

  • Depressione
  • Ansia
  • Fatica
  • Difficoltà di concentrazione
  • Aumento della fame
  • Bisogno della droga
  • Incubi
  • Brividi, dolore nervoso, dolori muscolari

Trattamento

La parte più importante di qualsiasi piano di trattamento è che si deve rinunciare immediatamente alla sostanza.

La terapia cognitivo comportamentale può essere utilizzata per il trattamento della dipendenza da cocaina, sia per gestire la contingenza, sia per creare incentivi motivazionali, fornendo ricompense di altro genere a pazienti che rimangono senza la sostanza.

Molto importanti sono le comunità terapeutiche, cioè residenze protette in cui le persone in recupero dai disturbi dell’uso di sostanze si aiutano a vicenda a comprendere e a modificare i loro comportamenti, in programmi divisi in varie fasi.

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Le disfunzioni sessuali e il DSM-5

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Introduzione al DSM-5

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), altresì conosciuto come la “Bibbia degli Psichiatri” è un manuale in costante evoluzione, a partire dal 1952, quando uscì la prima edizione, che constava di 60 categorie diagnostiche. I criteri utilizzati nel DSM per le disfunzioni sessuali riflettono il pensiero psichiatrico prevalente nel momento della sua pubblicazione: da qui il bisogno frequente di aggiornare il manuale che si è verificato nel corso degli anni e che, almeno in teoria, riflette i progressi nella comprensione dei disturbi sessuali. (In teoria, perché molti critici sostengono che alcune patologie inserite nei vari DSM sono del tutto arbitrarie e inventate a tavolino, su indicazione delle case farmaceutiche).

Nella prima edizione del DSM, nel 1952, impotenza e frigidità venivano ad esempio indicate come ” disturbi psicofisiologici autonomi e viscerali “. Allo stesso modo, le categorie diagnostiche per la sessualità femminile descritte nel DSM IV del 1994 si basavano sul modello di risposta sessuale umana proposta da Masters e Johnson e ulteriormente sviluppato dalla Kaplan.

Nuove ricerche hanno ora messo in discussione la validità di tale modello: sia la rigorosa distinzione tra le diverse fasi di eccitazione, sia il modello lineare della risposta sessuale si ritiene non spieghino in modo adeguato il comportamento sessuale, in particolare quello femminile. Queste considerazioni hanno a loro volta portato a diversi cambiamenti nei criteri diagnostici che indicano le disfunzioni sessuali.

Il DSM-5, pubblicato nel maggio del 2013, tiene conto delle considerazioni di cui sopra, apportando modifiche nel capitolo delle disfunzioni sessuali, nel tentativo di correggere, ampliare e chiarire le diverse diagnosi e i rispettivi criteri.

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Criteri applicabili a tutte le diagnosi

Quanto ai tempi, le disfunzioni sessuali presenti nel DSM-5 richiedono ora una durata minima di 6 mesi e una frequenza del 75% -100%, cioè devono verificarsi la maggior parte delle volte, se non tutte. (Queste innovazioni tentano di correggere ciò che è stato visto come un difetto nei criteri diagnostici delle disfunzioni sessuali del DSM-IV, rispetto ad altri disturbi che avevano i requisiti della durata). Il disturbo deve inoltre provocare un “significativo stress” (questa dizione sostituisce la precedente che faceva riferimento alle “difficoltà interpersonali”), con disturbi psicosomatici correlati. Se il disturbo non provoca problemi alla persona che lo manifesta, non può essere fatta la diagnosi di disfunzione sessuale.

E’ stato inserito un nuovo criterio di esclusione: il disturbo non deve essere spiegato come un “disturbo psichico non a carattere sessuale”, oppure come la conseguenza di una relazione di coppia particolarmente stressante (ad esempio quando uno dei due partner è violento) e non vi devono essere ulteriori condizioni particolarmente stressanti. Se la disfunzione sessuale dipende dunque da un disturbo psichico diverso dalle problematiche tipicamente sessuali non può essere fatta la diagnosi, così come, ad esempio, non si può parlare di “disfunzione erettile” se si hanno rapporti con una persona con la quale si vive un rapporto altamente conflittuale.

E’ stata inserita inoltre una scala che misura la gravità del disturbo: lieve, moderato o severo.

E’ stata soppressa la dizione “dovuto a fattori psicologici o ad una combinazione di fattori”, dal momento che l’APA ha giudicato questa differenziazione come una falsa dicotomia, fra disturbi psicologici e organici, che sono spesso entrambi presenti.

E’ stato introdotto un nuovo gruppo di criteri chiamati “fattori associati”, suddiviso in 5 categorie: 1) fattori relativi al partner (problemi sessuali del partner, stato di salute del partner), 2) fattori relativi alla relazione (scarsa comunicazione, disaccordi circa il desiderio di avere rapporti, 3) fattori di vulnerabilità individuale (abusi sessuali subiti, scarsa considerazione della propria immagine), altri disturbi psichici (ansia, depressione), presenza di fattori stressanti (perdita del lavoro, lutto), 4) fattori culturali o religiosi (inibizioni dovute a proibizioni dell’attività sessuale o del piacere sessuale), 5) fattori medici rilevanti relativi a prognosi e trattamenti per altre malattie.


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Disfunzioni sessuali maschili e femminili

La classificazione dei disturbi sessuali è stata semplificata: ora ci sono solo tre disfunzioni sessuali per la donna e 4 per gli uomini (contro le cinque e sei, rispettivamente, del DSM-IV).

Per le donne sono: 1) disturbo dell’interesse e dell’eccitazione (che comprende i precedenti disturbi del desiderio e disturbi dell’eccitazione), 2) disturbo da dolore/penetrazione genitopelvico (che comprende i precedenti dispareunia e vaginismo) e 3) disturbo dell’orgasmo femminile, che è rimasto invariato.

Per gli uomini: 1) disturbo da desiderio sessuale ipoattivo, nuovamente introdotto per gli uomini (nel DSM-III-R era chiamato “inibizione del desiderio sessuale” e nel DMS-IV era stato suddiviso in “desiderio sessuale ipoattivo” e “disturbo da avversione sessuale”; questo ultimo è stato cancellato dal DSM-5) 2) disturbo da eiaculazione ritardata (ex disturbo dell’orgasmo maschile), 3) disturbo erettile (che ha perso, giustamente, l’aggettivo “maschile”) e 4) disturbo dell’eiaculazione precoce, che è rimasto invariato. La dispareunia maschile o il dolore sessuale maschile sono scomparsi dal manuale.

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Disfunzioni individuali

I criteri “A” specifici per la diagnosi sono stati modificati ed è stata introdotta, come per altri disturbi mentali, una lista di sintomi, di cui il paziente deve presentarne almeno tre per poter soddisfare la diagnosi.

Ad esempio, per il nuovo disturbo dell’interesse e dell’eccitazione sessuale femminile, i criteri sono: interesse sessuale assente o ridotto, assenza di pensieri o fantasie erotiche (come nel vecchio disturbo da desiderio sessuale ipoattivo), cui si aggiungono: attività assenti o ridotte in quattro aspetti della vita sessuale: inizio dell’attività sessuale o risposta al tentativo del partner di iniziarla, assenza di eccitazione e piacere sessuale, assenza di risposta agli stimoli sessuali, assenza di sensazioni, genitali o non genitali, durante l’attività sessuale. Per soddisfare la diagnosi di disturbo dell’interesse e dell’eccitazione sessuale femminile è necessaria la presenza di almeno tre di questi criteri.

Il disturbo dell’orgasmo femminile, presente anche nella scorsa edizione del manuale, deve presentarsi il 75-100% delle volte e deve essere caratterizzato dall’assenza o dal ritardo nel raggiungere l’orgasmo, così come dalla sua stabile rarità.

Il disturbo da penetrazione genito-pelvica deve riguardare almeno uno di questi sintomi: difficoltà nella penetrazione vaginale, marcato dolore vulvovaginale durante la penetrazione o i tentativi di penetrazione, paura o ansia prima, durante o dopo la penetrazione, tensione muscolare durante i tentativi di penetrazione.

Le richieste per il disturbo maschile da desiderio sessuale ipoattivo sono le stesse indicate genericamente nel Dsm-IV.

I criteri per il disturbo erettile sono simili a quelli della scorsa edizione, se non per il necessario sintomo della perdita della rigidità e della presenza del sintomo il 75-100% delle volte.

I criteri dell’eiaculazione precoce o ritardata rimangono invariati, se non per l’aggiunta che l’eiaculazione precoce è tale se avviene entro un minuto dalla penetrazione in vagina. Per l’eiaculazione precoce in rapporti diversi da quelli vaginali non viene indicato un criterio relativo al tempo.

I criteri del 75-100% delle volte e dei 6 mesi non vengono applicati alla disfunzione sessuale dovuta all’uso di farmaci e sostanze.

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Cancellazioni

Sono stati cancellati dal DSM-5 la disfunzione sessuale dovuta a condizioni mediche generali e il disturbo da avversione sessuale (perché di scarsa evidenza scientifica. Inoltre, è stato osservato che l’avversione sessuale condivide una serie di analogie con le fobie e altri disturbi d’ansia e, pertanto, non poteva appartenere al capitolo delle disfunzioni sessuali).

Considerazioni

Anche se molti dei cambiamenti sono quasi impercettibili, altri sono invece piuttosto rilevanti: probabilmente, uno dei più importanti riguarda la fusione dei disturbi sessuali femminili del desiderio e dell’eccitazione, accorpati nella diagnosi di ” disturbo sessuale femminile dell’interesse sessuale e dell’eccitazione “. Molte ricerche hanno infatti suggerito che la separazione fra disturbo del desiderio e disturbo dell’eccitazione fosse del tutto artificiale. E’ stata infatti dimostrata un’elevata comorbilità nei disturbi del desiderio e dell’eccitazione, sia negli uomini, sia nelle donne. La risposta degli specialisti a questi cambiamenti non è stata sempre positiva: alcuni autori affermano infatti che i nuovi criteri escludono un numero eccessivamente elevato di casi.  Inoltre, è stato osservato che la maggior parte delle donne con disturbi dell’eccitazione sessuale non soddisfano nessuna delle proposte dei criteri “A” per il nuovo disturbo dell’interesse sessale e dell’eccitazione e dunque saranno escluse dalla diagnosi.

Un altro cambiamento importante è quello della fusione delle diagnosi di dispareunia e vaginismo in un’unica voce, denominata disturbo da dolore e  penetrazione genito-pelvica. Tale decisione si è basata sul fatto che i due disturbi non riescono a differenziarsi in modo affidabile, per due motivi principali. In primo luogo, la formulazione della diagnosi di vaginismo come “spasmo muscolare vaginale” non è stata suffragata da sufficienti prove empiriche. In secondo luogo, la paura del dolore o la paura della penetrazione sono comuni nelle descrizioni cliniche del vaginismo. (La Kaplan ne parla come «evitamento fobico», mentre Carvalho et al.,ritengono che le diagnosi di vaginismo e dispareunia siano molto spesso sovrapposte). Una conseguenza dell’accorpamento delle due diagnosi è la cancellazione della dispareunia maschile, oltre tutto perché la si è ritenuta estremamente rara.

Il DSM-5 prende in considerazione anche i fattori collaterali che possono influire sulla disfunzione sessuale, come ad esempio le difficoltà relazionali, i fattori di vulnerabilità psicologica individuale (ad esempio storie di abuso, problemi di autostima, di scarsa accettazione di sé, ecc.), così come la comorbilità con altre sintomatologie, quali la depressione, l’ansia e l’alessitimia (cioè l’incapacità di elaborare le emozioni), oltre ai fattori culturali e religiosi.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Fonte:

DSM-5 Changes in Diagnostic Criteria of Sexual Dysfunctions, Reproductive System  and Sexual Disorders

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Wikimedia

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Scienza e sacrifici animali

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La sperimentazione animale è da decenni uno dei temi più controversi nel dibattito tra scienza, etica e opinione pubblica. Da un lato, l’utilizzo di animali nella ricerca biomedica ha contribuito a importanti scoperte, dallo sviluppo dei vaccini alla comprensione delle malattie neurodegenerative. Dall’altro, si sollevano interrogativi profondi sulla sofferenza inflitta, sul valore della vita animale e sulla necessità di metodi alternativi. Cerchiamo di saperne di più.

Perché si usano ancora gli animali nella ricerca scientifica?

Gli animali vengono utilizzati nella ricerca scientifica per studiare i meccanismi biologici, testare l’efficacia e la sicurezza di nuovi farmaci, comprendere l’evoluzione di malattie complesse o valutare gli effetti di sostanze chimiche. I modelli animali – in particolare roditori come topi e ratti – sono scelti per la loro somiglianza genetica con l’essere umano, la riproducibilità dei risultati e la possibilità di controllare l’ambiente sperimentale.

Senza questi modelli, molti progressi in medicina – come i trapianti, le terapie contro il cancro o i vaccini per poliomielite e COVID-19 – non sarebbero stati possibili.

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È giusto sacrificare animali per curare gli esseri umani?

Non esiste una risposta univoca. Alcuni sostengono che il fine – salvare vite umane – giustifichi il mezzo. Altri sottolineano che infliggere sofferenza a esseri senzienti, anche a scopo medico, richiede profonde riflessioni morali, soprattutto se si mette in discussione l’idea che la vita umana abbia sempre più valore di quella animale (Shanks & Green, 2004).

Chi decide quando è “accettabile” infliggere sofferenza? E qual è la linea tra necessità e abuso?

Per rispondere a questi dilemmi, negli anni sono state introdotte norme sempre più stringenti. La Direttiva 2010/63/UE dell’Unione Europea, ad esempio, stabilisce che gli animali possono essere utilizzati solo se non esistono metodi alternativi validi, e impone che la sofferenza sia ridotta al minimo, favorendo anestesia, analgesia e cure post-sperimentali.

Cosa cambia se la sperimentazione riguarda cosmetici o prodotti voluttuari?

In questi casi l’uso degli animali è ritenuto da molti ancora meno giustificabile: è etico provocare dolore per motivi di bellezza o lusso? La sensibilità pubblica e le normative in molti Paesi hanno già vietato i test cosmetici su animali.

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Esistono regole per ridurre la sofferenza animale nella ricerca?

Sì. Charles Hume già nel 1954 propose i principi delle 3R:
– Replacement (sostituzione),
– Reduction (riduzione)
– Refinement (miglioramento).

Da allora sono nate istituzioni internazionali che promuovono metodi alternativi, come il NC3R e l’ECVAM.

Quanti animali vengono usati oggi nella ricerca?

Si stima che ogni anno vengano impiegati circa 115 milioni di animali a livello globale. I roditori (topi e ratti) rappresentano il 95% del totale, mentre i primati meno dello 0,5% (Taylor et al., 2008).

Gli animali sono sempre un buon modello per l’essere umano?
Non sempre. Secondo Aysha Akhtar (2015), molti esperimenti animali non sono predittivi per l’uomo. Diversi studi e meta-analisi mostrano limiti significativi nella trasposizione dei risultati dall’animale all’essere umano.

La tecnologia offre alternative alla sperimentazione animale?

Negli ultimi anni sono emerse tecnologie promettenti che potrebbero ridurre – e in alcuni casi eliminare – la necessità di test sugli animali:

  • Modelli in vitro: cellule umane coltivate in laboratorio, spesso combinate in organoidi tridimensionali che simulano il funzionamento di organi reali.
  • Modelli computazionali (in silico): simulazioni digitali di processi biologici e farmacologici.
  • Microchip e organ-on-a-chip: dispositivi che mimano la fisiologia umana su scala microscopica.
  • Metodi basati su intelligenza artificiale: per prevedere la tossicità o l’efficacia di farmaci.

Tuttavia, per ora, nessuna alternativa è ancora in grado di replicare completamente la complessità di un organismo vivente. (Ekins et al., 2007).

Queste tecniche non comportano sofferenza animale?

Alcune, purtroppo, sì. Ad esempio, molte colture cellulari usano siero fetale di vitello (FCS), ottenuto in modo traumatico da feti bovini. Tuttavia, oggi si stanno sviluppando metodi di coltura alternativi privi di FCS.

Esistono metodi non invasivi direttamente sull’essere umano?

Sì. Tecniche come la risonanza magnetica (MRI), la tomografia a emissione di positroni (PET) e il microdosaggio permettono di studiare il corpo umano in modo sicuro e senza danni significativi (Wilding & Bell, 2005).


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I tessuti umani possono essere utilizzati per la ricerca?

Sì. Tessuti ottenuti da autopsie, biopsie, trapianti o interventi chirurgici sono risorse preziose per studiare malattie e testare farmaci. Sono già stati creati modelli di pelle e occhi umani per sostituire test animali dolorosi.

Cosa si prevede per il futuro?

La direzione è chiara: la scienza si sta muovendo verso una riduzione dell’impiego di animali, sia per motivi etici che per motivi scientifici. Sempre più studi mostrano che i modelli animali non sempre predicono con accuratezza ciò che accade nell’essere umano, e che i metodi alternativi potrebbero fornire risposte più affidabili in alcune aree.

Tuttavia, nel breve termine, la sperimentazione animale continua ad avere un ruolo centrale in molti ambiti della ricerca biomedica. Il compito delle istituzioni scientifiche è allora duplice: garantire la massima trasparenza, e investire in tecnologie che riducano la dipendenza da modelli animali.

Fonte principale:

Reduction of Animal Sacrifice in Biomedical Science & Research through Alternative Design of Animal Experiments, lJagdish Rai, Kuldeep Kaushik, Saudi Pharmaceutical Journal Volume 26, Issue 6, September 2018, Pages 896-902

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Adolescenza e problemi adolescenziali: come e quando intervenire

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Adolescenza deriva dal latino “adolescere”, ovvero “crescere”. È una fase di transizione tra infanzia ed età adulta, caratterizzata da profondi cambiamenti fisici, cognitivi, emotivi e relazionali. L’adolescente non solo assiste al cambiamento del suo corpo, ma si trova a rimettere in discussione tutte le competenze e le conoscenze acquisite, il rapporto con se stesso e con gli altri, sperimenta nuovi piaceri, conosce nuovi doveri e responsabilità, deve imparare a gestire nuove emozioni. Tutti questi cambiamenti producono una crisi esistenziale, in cui gli adolescenti possono non sentirsi compresi o sentirsi rifiutati, dagli adulti e dai coetanei. Cerchiamo di saperne di più.

Quali sono i principali cambiamenti durante l’adolescenza?

Durante l’adolescenza si verificano trasformazioni ormonali, crescita fisica (altezza, peso, caratteri sessuali secondari), sviluppo cerebrale (sistema limbico e corteccia prefrontale), e cambiamenti emotivi e sociali.

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In che modo l’adolescente cambia psicologicamente?

L’adolescente comincia a fare riflessioni su di sé, sull’identità personale e sull’identità sessuale. Cresce la necessità di autonomia, ma anche la vulnerabilità alle opinioni dei coetanei. Le emozioni diventano più intense e difficili da gestire.

Quando inizia e finisce l’adolescenza?

Secondo l’OMS, va dai 10 ai 19 anni, ma molti studi includono anche i giovani fino a 24-25 anni, data la durata degli studi e l’ingresso posticipato nel mondo adulto.

Qual è il ruolo delle culture nello sviluppo adolescenziale?

Nelle culture meno sviluppate, l’adolescenza può essere breve. Nei paesi industrializzati, invece, è spesso più lunga per via della maggiore complessità nella transizione all’età adulta. Infatti, oggi i giovani trascorrono un maggior numero di anni nella scuola e nella formazione professionale, per cui il momento dell’ingresso nel mondo del lavoro o della costruzione di una propria famiglia sono stati post-posti rispetto a quanto avveniva nel passato.

Quali sono le problematiche moderne per gli adolescenti?

Tra le problematiche più attuali troviamo: l’uso dei social media, il cyberbullismo, l’identità digitale, la pressione scolastica, il cambiamento climatico, l’inclusività e le questioni di genere.

Che cos’è il disagio adolescenziale?

È un malessere che può manifestarsi con sintomi come aggressività, ritiro sociale, calo del rendimento scolastico, disturbi alimentari, dubbi sull’identità sessuale e ansia.

Dr. Walter La Gatta

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Quali sono i comportamenti a rischio in adolescenza?

Uso di sostanze, vandalismo, guida pericolosa, sessualità non protetta, autolesionismo. Molti adolescenti sperimentano senza mettere a rischio la salute, ma alcuni necessitano supporto specifico.

Come cambia la salute in adolescenza?

Oltre ai cambiamenti ormonali e fisici, possono emergere patologie specifiche: disturbi alimentari, depressione, diabete di tipo 1, sindrome dell’ovaio policistico, problematiche autoimmuni.

Che ruolo hanno i genitori durante l’adolescenza?

I genitori devono imparare a stare accanto senza invadere, offrendo ascolto, comprensione e limiti adeguati. Una comunicazione empatica è fondamentale per sostenere il benessere dell’adolescente.

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Come riconoscere un adolescente in difficoltà?

Segnali comuni sono: isolamento, rabbia eccessiva, calo del rendimento scolastico, cambiamenti nel comportamento alimentare, forte conflittualità con i genitori, tristezza persistente, auto-svalutazione. In particolare:

  • disagio rispetto al proprio corpo (non mi piaccio, sono brutto/a, ecc.);
  • conflittualità con i genitori (non mi capiscono, mi trattano come se fossi un bambino, invadono i miei spazi, mi controllano, ecc.);
  • disfunzioni nel comportamento alimentare (abuso o rifiuto del cibo, vomito, scelta di alimenti poco salutari per seguire le mode, ecc.);
  • diminuzione del rendimento scolastico (non sono capace, non sono intelligente, la scuola non mi interessa, ecc.);
  • problemi con l’altro sesso (non mi vuole, mi ha lasciato, ecc.);
  • isolamento rispetto al gruppo dei pari (non desidero uscire di casa, mi sono tutti antipatici, non mi accettano, mi prendono in giro, ecc.):
  • dubbi su identità e orientamento sessuale (temo di essere gay, mi piacciono sia i maschi che le femmine, ecc.);
  • ansia, rabbia e aggressività (quando sono in difficoltà divento aggressivo, non so contenere le emozioni).

Quali sono i maggiori desideri di un adolescente?

Gli adolescenti desiderano un maggiore senso di indipendenza e responsabilità. Essi aspirano a sentirsi autonomi nelle loro decisioni, emozioni e azioni: per questa ragione desiderano disimpegnarsi presto dal controllo dei genitori. Il contesto sociale e culturale influisce in modo importante sugli adolescenti in questo loro desiderio di autonomia e per questo cambia da cultura a cultura.

Come supportare un adolescente?

Ascolto attivo, presenza non giudicante, consulto con uno/a psicologo/a se emergono segnali di disagio profondo. Le figure educative devono collaborare (famiglia, scuola, sanitari).


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Qual è la posizione dell’OMS sugli adolescenti?

L’OMS sottolinea l’importanza di riconoscere l’adolescenza come una fase unica, non omogenea, con vulnerabilità specifiche. Raccomanda interventi su misura, rispettosi dei tempi e dei contesti di sviluppo. Ne citiamo alcuni.

Gli adolescenti:

  • Hanno bisogno di un’esplicita attenzione. Essi non sono semplicemente bambini grandi o piccoli adulti. Occorre tenere conto che durante questo periodo si svolgono processi di sviluppo unici;
  • Hanno caratteristiche specifiche che devono essere prese in considerazione nelle politiche, nei programmi e nelle strategie per quanto riguarda la promozione della salute, la prevenzione, il trattamento e la cura;
  • Non sono tutti uguali. Durante l’adolescenza i componenti dello sviluppo fisico e psicosociale si svolgono a diverse velocità e durata, anche se la sequenza è universale. Occorre tener conto dell’eterogeneità degli adolescenti, ivi comprese le diverse fasi di sviluppo;
  • Alcuni sono particolarmente vulnerabili. Gli ambienti in cui alcuni adolescenti vivono, apprendono e crescono possono minare il loro sviluppo fisico, psicosociale e emotivo (ad esempio, quando gli adolescenti non hanno la guida e il sostegno dei genitori, affrontano la carenza di cibo, o sono circondati da violenza, sfruttamento e abuso. Le politiche sociali e i programmi hanno bisogno di affrontare in modo specifico ed esplicito questi particolari adolescenti per proteggerli, rispettarli e affermare i loro diritti, al massimo livello di salute raggiungibile;
  • Gli sforzi di prevenzione devono intervenire direttamente sui fattori che influenzano negativamente lo sviluppo e/o lo stato di salute;
  • Lo sviluppo sano ha implicazioni sulla salute dell’individuo, anche per i futuri periodi della vita. L’adolescenza offre dunque l’opportunità per recuperare, sia fisicamente che mentalmente, i ragazzi che hanno subito un deficit di sviluppo nel primo decennio della vita. Nei ragazzi che non hanno avuto problemi nell’infanzia, gli interventi sanitari devono rappresentare un impulso positivo per le transizioni all’età adulta e alla salute, per tutta la vita;
  • Capire che gli adolescenti sono più motivati ​​dalla ricompensa rispetto alla punizione dovrebbe essere utile per mettere in discussione gli approcci correttivi al comportamento deviante durante l’adolescenza;
  • I messaggi di educazione alla salute devono inoltre nascere dalla consapevolezza che gli adolescenti sono più concentrati sul presente che sul futuro;
  • I ragazzi devono essere aiutati a capire i processi che si svolgono durante l’adolescenza. Se gli adolescenti sono supportati durante questo periodo di rapido sviluppo, essi possono sfruttare le opportunità ed evitare le minacce tipiche di questo periodo di esperienze e di prime esperienze;
  • Per fornire il sostegno necessario, gli adulti della loro vita, inclusi genitori, insegnanti, educatori, ecc., hanno bisogno di comprendere i cambiamenti che avvengono durante gli anni dell’adolescenza.

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Perché parlare di adolescenza oggi è così importante?

Perché oggi gli adolescenti sono immersi in cambiamenti rapidi (digitale, sociale, climatico) ch

Adolescenza

Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta
e richiedono nuove forme di supporto psicologico, educativo e sociale per prevenire disagio e promuovere benessere.

Dr. Walter La Gatta<



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Foto di cottonbro studio

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