Le differenze fra Freud e Jung

Le differenze fra Freud e Jung

LE DIFFERENZE FRA FREUD E JUNG

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Sigmund Freud e Carl Gustav Jung hanno profondamente influenzato la psicologia moderna, soprattutto per quanto riguarda lo studio dell’inconscio e della psicoanalisi. Nonostante un iniziale rapporto di stima e collaborazione, i loro approcci alla mente umana finirono per divergere in modo significativo. Di queste differenze parleremo approfonditamente in questo articolo.

Chi ha fondato la psicoanalisi?

La psicoanalisi è stata fondata da Freud, che ha gettato le basi per una nuova comprensione delle dinamiche psicologiche. Senza il suo contributo, probabilmente non ci sarebbe stato Jung e, forse,  non esisterebbe oggi la terapia psicologica che chiamiamo psicoterapia. 

Erano simili come persone Freud e Jung?

No. I due erano anzi molto diversi per età, cultura, religione, interessi e visione del mondo. In particolare, Freud era scettico verso la religione, mentre Jung attribuiva grande importanza agli aspetti spirituali della psiche. E’ dunque evidente che tra i due ci fossero interpretazioni completamente diverse della realtà e della psicologia umana, che non mancarono di emergere, non appena Jung si sentì più sicuro di muoversi in autonomia.

Ci fu un periodo di collaborazione?

Sì. Dal 1906 iniziarono a lavorare insieme. Freud definì Jung il suo “figlio maggiore adottivo” e Jung descrisse Freud come una persona intelligente e stimolante.

Perché Freud cercava un “figlio adottivo”?

Freud desiderava garantire un futuro alla psicoanalisi. Vedeva in Jung, giovane e non ebreo, una possibilità per far accettare le sue teorie anche fuori dal contesto ebraico. Lo si deduce da una lettera del 1908 indirizzata a Karl Abraham:

“[…] è solo grazie alla sua apparizione sulla scena che la psicoanalisi non corre più il pericolo di diventare un affare nazionale ebraico”.

Jung rappresentava una nuova opportunità per la psicoanalisi: fu dunque drammatico, per Freud, scoprire che Jung, lo psicoanalista più caro alla sua causa, fosse in realtà impegnato in una sua ricerca personale, spirituale, mistica e occulta, che nulla aveva a che fare con il complesso edipico e le teorie sessuali della psicoanalisi.

Quando iniziarono i contrasti?

Nel 1911, quando Jung comunicò la sua intenzione di dedicarsi agli studi sul pensiero magico e spirituale. Freud, ateo e razionalista, temeva che ciò danneggiasse la credibilità scientifica della psicoanalisi.

Le divergenze religiose e filosofiche

Freud collocava la psicoanalisi in una cornice scientifica e materialista. Anche se appartenente alla comunità ebraica, Freud era ateo e vedeva la religione in modo critico, considerandola una sorta di illusione o una forma di nevrosi collettiva. Per lui, la religione rappresentava una risposta infantile al bisogno di protezione e una difesa contro l’angoscia esistenziale.

Jung era invece profondamente religioso e interessato al mondo dell’occulto. Studiava non solo la religione cristiana, ma anche le religioni indiane e il buddismo ed in esse trovava elementi per spiegare la psicologia umana, al di là delle (per lui) imbarazzanti spiegazioni di Freud, basate sulla sessualità e sul desiderio infantile di incesto. Jung era convinto che l’esperienza religiosa potesse favorire il processo di individuazione e aiutare l’individuo a dare un senso più profondo alla propria esistenza.

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Principali divergenze teoriche

– La teoria della libido

Freud definiva la libido come energia sessuale. Secondo lui, gran parte dei comportamenti umani nasce dalla gestione delle pulsioni sessuali e dai conflitti legati a esse.

Jung propose una visione più ampia della libido, considerandola come un’energia psichica generale, non limitata alla sessualità. Per Jung, la libido poteva esprimersi anche in forme creative, spirituali o intellettuali.

Secondo Jung, Freud aveva interpretato correttamente alcuni aspetti della psiche, ma facendo eccessivo riferimento alla sua biografia personale e alla sua cultura familiare.

Dice infatti Jung:

“Ciò che Freud ci dice sugli istinti sessuali dell’adulto e del fanciullo, sul conflitto che ne consegue con il “principio della realtà”, sull’incesto e su cose simili, può essere preso come la più giusta espressione della sua psicologia personale. Egli ha dato forma adeguata a quanto ha osservato in se stesso”.

– La concezione dell’inconscio

Freud credeva che l’inconscio fosse l’epicentro dei pensieri repressi, dei ricordi traumatici e delle pulsioni, sessuali e aggressive. Lo vedeva come un deposito di tutti i desideri sessuali nascosti, che danno origine alle nevrosi, o a ciò che oggi chiameremmo malattia mentale. Affermò che la mente umana si incentra su tre strutture: l’Es, l’Io e il Super-Io. L’Es forma le pulsioni inconsce (principalmente sessuali) e non è vincolato da vincoli morali, ma cerca solo di soddisfare il piacere; l’Io è costituito dalle percezioni, dalla memoria e dai pensieri coscienti, che permettono di affrontare efficacemente la realtà. Il Super-Io cerca di mediare le pulsioni dell’Es attraverso comportamenti socialmente accettabili.

Jung vedeva l’inconscio non come la sede dei conflitti sessuali rimossi, come per Freud, ma in una dimensione più ampia, legata a simboli e miti universali. Anche lui divise la psiche umana in tre parti: Io, inconscio personale e inconscio collettivo. L’Io è la coscienza, l’inconscio personale include i ricordi personali (sia quelli rievocati che quelli repressi) e l’inconscio collettivo, che contiene le nostre esperienze come specie o le conoscenze innate (ad esempio, l’amore a prima vista). La visione di Jung sulla psiche umana trasse ispirazione dai suoi studi della filosofia e delle religioni orientali, come il buddismo e l’induismo.

– I sogni

Secondo Freud, i sogni rappresentano la realizzazione mascherata di desideri inconsci, spesso di natura sessuale o aggressiva. L’interpretazione dei sogni serve, nella psicoanalisi, a portare alla luce questi desideri rimossi. Freud credeva anche che i sogni fossero in grado di accedere a pensieri repressi o ansiogeni (principalmente desideri sessualmente repressi) che non possono essere affrontati direttamente, per paura di ansia e imbarazzo. Pertanto, i meccanismi di difesa permettono a un desiderio o a un pensiero di insinuarsi nei sogni in una forma simbolica mascherata: ad esempio, chi sogna un grosso serpente, secondo Freud, starebbe sognando un pene. Era compito dell’analista interpretare questi sogni alla luce del loro vero significato.

Secondo Jung i sogni sono messaggi dell’inconscio rivolti alla propria coscienza. Nei sogni si manifestano archetipi e simboli che aiutano la persona a comprendere meglio se stessa e il proprio percorso di crescita interiore. Anche lui credeva che l’analisi dei sogni permettesse di aprire una finestra sulla mente inconscia, ma non credeva che il contenuto di tutti i sogni fosse necessariamente di natura sessuale o che avessero sempre un significato mascherato. Piuttosto, la descrizione dei sogni da parte di Jung si concentrava maggiormente sull’immaginario simbolico, un immaginario che poteva esprimere contenuti personali, così come collettivi o universali. Questo contenuto universale o collettivo veniva manifestato attraverso ciò che Jung chiamava “Archetipi”.

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– L’obiettivo della terapia

Per Freud, il fine della psicoanalisi era rendere conscio l’inconscio e aiutare il paziente a superare i conflitti interiori, spesso legati alle esperienze infantili.

Jung aveva una visione più evolutiva della terapia: il suo obiettivo era facilitare il processo di individuazione, cioè l’integrazione delle diverse parti della psiche per raggiungere una maggiore completezza e autenticità personale.

– Lo sviluppo della personalità

Freud poneva l’accento sulle esperienze della prima infanzia e sui conflitti irrisolti di quel periodo, considerandoli determinanti per la formazione della personalità adulta.

Jung, invece, riteneva che lo sviluppo della personalità fosse un processo continuo, che si estende lungo tutto l’arco della vita. Secondo lui, la seconda metà della vita era un momento cruciale per la realizzazione del Sé e per la crescita spirituale.

Dr. Giuliana Proietti

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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James Joyce: una delle figure letterarie più significative

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L’infanzia e il trauma della caduta sociale

Joyce trascorse i primi anni in un contesto relativamente agiato, frequentando scuole di prestigio come il Clongowes Wood College, considerato l’Eton d’Irlanda. Tuttavia, il progressivo declino finanziario della famiglia costrinse i Joyce a continui spostamenti in abitazioni sempre più modeste. Quando la famiglia si impoverì ulteriormente, James, grazie agli ottimi voti, poté essere accolto gratuitamente presso il Belvedere College (1893-1897), un collegio gesuita.

Entrò allo University College di Dublino (UCD), che all’epoca era gestito da padri gesuiti. Lì studiò lingue e dedicò le sue energie ad attività extracurriculari , leggendo molto – in particolare libri non raccomandati dai gesuiti – e prendendo parte attiva alla Società Letteraria e Storica del college. Ammirando profondamente Henrik Ibsen , imparò il dano-norvegese per leggere l’originale e pubblicò un articolo, “Ibsen’s New Drama”, una recensione dell’opera Quando noi morti ci svegliamo , sulla London Fortnightly Review nel 1900, poco dopo il suo diciottesimo compleanno. Questo precoce successo convinse Joyce nella sua decisione di diventare scrittore e convinse la sua famiglia, i suoi amici e i suoi insegnanti che tale decisione fosse giustificata

L’instabilità finanziaria della famiglia lasciò comunque nel giovane James una precoce consapevolezza dell’impermanenza delle sicurezze materiali e sociali, contribuendo alla formazione di una sensibilità critica verso la società irlandese e verso la sua ipocrisia religiosa e morale.

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Prima giovinezza

Il 31 ottobre 1902 Joyce conseguì il diploma e decise di andare a studiare medicina a Parigi. In realtà smise presto di frequentare le lezioni e cominciò a scrivere per alcuni giornali, fra cui il Daily Express.

Quando la madre si ammalò gravemente di cancro, nel 1904, James tornò a Dublino. Dopo poco sua madre morì e la situazione finanziaria della famiglia, già molto grave, peggiorò ulteriormente.

Il rapporto con la religione e il senso di colpa

Uno degli aspetti psicologici più rilevanti della sua formazione fu il conflitto con il cattolicesimo. L’educazione ricevuta nei collegi gesuiti, con il suo carico di colpa, paura e rigidezza morale, lasciò una traccia duratura. Joyce sviluppò un atteggiamento ambivalente: da un lato il rifiuto razionale e artistico di ogni dogma, dall’altro una radicata interiorizzazione di un senso di peccato e di colpa. Questo conflitto attraversa molte delle sue opere, trasformandosi in una continua interrogazione su identità, responsabilità e libertà individuale.

Nora, la fuga dall’Irlanda e il bisogno di distacco

Il 10 giugno 1904 Joyce incontrò Nora Barnacle, una cameriera che rimarrà insieme con lui per tutta la vita.

Il loro primo appuntamento è il 18 giugno 1904, giorno in cui si svolge la sua principale opera, l’Ulisse. La coppia James-Nora era contraria al matrimonio, ma all’epoca vivere insieme nella propria città sarebbe stato impossibile, per cui decisero di lasciare l’Irlanda ed andare a vivere a Pola e a Trieste, dove James trovò un posto precario come insegnante di inglese presso la Berlitz School of Languages.

Questa partenza da Dublino non fu solo geografica, ma anche psicologica: un distacco necessario per elaborare il proprio rapporto con la patria, la famiglia e la religione. L’esilio volontario fu anche una strategia di sopravvivenza emotiva e creativa. Solo nella distanza riuscì a scrivere con lucidità e profondità della sua città natale, diventata nei suoi testi uno scenario simbolico e psichico.

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La complessità delle relazioni affettive

Joyce era un uomo dal carattere anticonformista e ribelle, come si può capire leggendo i suoi romanzi, a cominciare dal saggio autobiografico “Ritratto dell’artista da giovane”, un romanzo di formazione in cui possiamo leggere tutta l’ansia conoscitiva dell’autore verso il problema dell’esistenza umana. Il protagonista, Stephen Dedalus è un anticonformista, ribelle al dogmatismo sociale.

Nel 1905 lo raggiunse a Trieste il fratello Stanislaus, con il quale però nacquero presto dei dissidi perché il fratello non apprezzava le frivolezze di James nello spendere i soldi e la sua abitudine di bere. A Trieste nacquero anche i figli di James, Giorgio e Lucia, che crebbero parlando il dialetto triestino. In questo periodo Joyce si innamorò di Anny Schleimer, la figlia di un banchiere austriaco, mentre Roberto Prezioso, editore del quotidiano Il Piccolo della Sera, corteggiava Nora. Nonostante queste distrazioni, la coppia rimase unita.

Il legame con Nora fu caratterizzato da una profonda dipendenza affettiva. Nonostante Joyce fosse spesso immerso nella scrittura e nel proprio mondo intellettuale, Nora rimase per lui una figura di stabilità e concretezza. La loro relazione, a tratti difficile, fu anche segnata da una sessualità vissuta in modo passionale e trasgressivo per l’epoca, come testimoniano alcune lettere intime che Joyce le scrisse. La loro unione, sebbene mai ufficializzata con un matrimonio religioso, fu uno dei pochi punti fermi nella vita caotica dello scrittore.

La salute mentale e fisica

Nel 1907 Joyce pubblicò Chamber Music (Musica da Camera) una raccolta di liriche con vocali aperte e ripetizioni che si prestano ad essere musicate, come poi è in effetti successo. (Peraltro Joyce aveva una bella voce da tenore ed amava l’opera ed il bel canto). In questi anni iniziarono per Joyce dei gravi problemi alla vista (irite, infiammazione dell’iride e dei corpi ciliari). Oltre ai problemi di cuore, agli incubi, alle fobie e all’irite, Joyce contrasse una forma di febbre reumatica che lo debilitò per molti mesi, riducendolo inizialmente quasi alla paralisi. A questi problemi si aggiunsero forti preoccupazioni per la salute mentale della figlia Lucia, che manifestò sintomi psicotici negli anni ’30. Il dolore per la malattia di Lucia fu per Joyce una ferita profonda e mai risolta, che alcuni studiosi ritengono abbia influenzato la scrittura complessa e onirica di Finnegans Wake.

A Trieste Joyce conobbe anche Italo Svevo, allora un oscuro impiegato che si dilettava nella scrittura e che fu per Joyce un prototipo di Leopold Bloom, tanto che molti dettagli sull’ebraismo inclusi nell’Ulisse gli furono riferiti proprio da Svevo. Oltre che con l’insegnamento, Joyce si guadagnava da vivere facendo il rappresentante di stoffa irlandese, il giornalista e il conferenziere.

Nell’agosto del 1908 i Joyce persero il terzo figlio, in seguito ad un aborto. Nello stesso periodo Joyce prese lezioni di canto al Conservatorio di Musica di Trieste e l’anno successivo prese parte all’opera I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner.

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Cambiamenti di vita

Nel 1909 tornò a Dublino, dove aprì un cinema, il Volta, che dopo un iniziale successo si trasformò in un fallimento: questo lo convinse a tornare a Trieste con la sorella Eileen.

Nel 1912 tornò in Irlanda, per cercare di convincere Maunsel & Co a pubblicare Dubliners, ma senza successo. Questa fu l’ultima volta che Joyce mise piede nella sua Irlanda. Nell’aprile dello stesso anno si recò a Padova per sostenere gli esami di abilitazione all’insegnamento nelle scuole italiane, ma nonostante il buon esito, il suo titolo non fu mai riconosciuto in Italia.

Conobbe a questo punto della sua vita il poeta Ezra Pound grazie al quale pubblicò a puntate Ritratto dell’artista da giovane sulla rivista The Egoist. Ispirato al suo precedente manoscritto Stephen Hero, il libro segue la vita del protagonista Stephen Dedalus, dalla giovinezza alla maturità, ai suoi anni di educazione presso l’University College di Dublino. Stephen prende la religione in modo molto serio, ma poi rifiuta il cattolicesimo sostenendo di voler essere se stesso, attraverso il silenzio, l’esilio e l’astuzia.

Nel 1914 uscirono in volume i racconti di Gente di Dublino. Joyce iniziò poi a lavorare all’ Ulisse e ad Esuli, l’unico pezzo teatrale dell’autore, che vedrà la luce nel 1918. Il 1914 è l’anno dunque della svolta, dei primi successi, ma è anche l’inizio della prima guerra mondiale.

La famiglia Joyce si trasferì in Svizzera, a Zurigo, dove James iniziò a scrivere i primi capitoli di Ulisse (il libro fu pubblicato dapprima in Francia, mentre in Inghilterra e in America la censura al libro fu tolta solamente nel 1933). Terminata la guerra, i Joyce tornarono a Triste, ma trovarono cambiata la loro città d’adozione. Ezra Pound li invitò dunque a Parigi, dove dovevano rimanere una settimana ed invece rimasero venti anni. Qui Joyce strinse amicizia con Wyndham Lewis, T.S.Eliot e la libraia/editrice Sylvia Beech.

La scrittura come spazio psichico

Dal punto di vista psicologico, la scrittura di Joyce è un viaggio continuo dentro la coscienza. La sua tecnica del flusso di coscienza non è solo una scelta stilistica, ma un vero e proprio metodo per esplorare la mente umana nella sua caoticità, nelle sue ossessioni e nei suoi desideri nascosti. In opere come Ulisse, i personaggi vivono in un tempo interiore, fatto di ricordi, fantasie, paure e associazioni libere, in un intreccio continuo tra passato e presente, tra reale e immaginario.

Nel 1921 Joyce terminò la stesura di Ulisse, che venne pubblicato dall’editore Sylvia Beach il 2 febbraio 1922, giorno del quarantesimo compleanno dell’autore. Nel libro vi è la descrizione della vita e dei pensieri del protagonista, lungo l’arco di una intera giornata. Il romanzo si compone di diciotto capitoli, ognuno dei quali si svolge nell’arco temporale di un’ora, dalle otto di mattina alle due di notte; ogni capitolo rimanda a precise sezioni del poema di Omero, ed è scritto in uno stile diverso in ogni capitolo, con moltissimi riferimenti letterari e culturali. I protagonisti principali sono Leopold Bloom, la moglie Molly, e Stephen Dedalus, già protagonista del Portrait of the Artist as a Young Man. Essi sono le moderne controparti di Telemaco, Ulisse e Penelope. Le cameriere sono le sirene. Dublino viene descritta nei minimi particolari; l’autore non manca inoltre di soffermarsi sullo squallore e sulla monotonia della vita nella capitale irlandese. Lo stile è molto originale, in particolare per le azioni, che spesso accadono unicamente nella mente dei personaggi e per la tecnica dei flussi di coscienza e dei flashback.

L’anno successivo Joyce iniziò la stesura di Work in progress, che occupò i sedici anni successivi ed uscì nel 1939 col titolo Finnegans Wake. In questo romanzo, La veglia di Finnegan, lo sperimentalismo strutturale e verbale già utilizzato nell’Ulisse si accentua ancora di più, con numerose allusioni al mito e alla storia, oltre che alla storia personale dell’autore, con una mescolanza di più lingue. Vengono inoltre creati, per combinazione o incastro, dei vocaboli del tutto nuovi, che determinano un intricato sovrapporsi di significati e di possibili interpretazioni. Ai molti lettori che ritennero il libro “incomprensibile” Joyce chiese di “dedicare la loro intera vita alla lettura dei suoi libri”. Quando lo scrittore americano Max Eastman gli chiese perché aveva scritto un libro in uno stile così difficile da capire la risposta fu: “To keep the critics busy for three hundred years.”

Ulisse e La veglia di Finnegan sono stati considerati dei romanzi psicoanalitici, grazie alla minuziosa esplorazione dei vari stati di coscienza dei personaggi, per l’utilizzo dei sogni e del simbolismo associato al sogno, oltre che per l’uso del linguaggio, simile alla libera associazione psicanalitica. Del resto Joyce è uno scrittore che opera in piena epoca freudiana: conosce la psicoanalisi dapprima a Trieste, che allora faceva ancora parte dell’Impero austro-ungarico, e poi la approfondisce a Zurigo, dove lavorava Carl Gustav Jung. Joyce aveva dunque letto Freud e Jung e tale conoscenza psicoanalitica venne utilizzata nella profonda esplorazione dell’inconscio dei suoi personaggi.

Nel 1927 uscì la raccolta Poesie da un soldo.

Gravi problemi di salute

L’anno successivo Joyce si sottopose ad un’operazione agli occhi. Dal 1917 al 1930 Joyce ebbe diversi interventi agli occhi ed in molti periodi della sua vita restò totalmente cieco.

Nel 1931, dopo la morte del padre, per ragioni testamentarie, sposò Nora. A quel tempo Joyce aveva conosciuto un giovane fresco di studi, Samuel Beckett, che si era letteralmente innamorato del lavoro di Joyce e che per questo decise di assisterlo e di aiutarlo nel suo lavoro. La figlia di Joyce, Lucia, si innamorò perdutamente di questo collaboratore del padre ma, non ricambiata, cominciò a mostrare i primi segni di follia.

Nel 1934 prima pubblicazione in USA dell’Ulisse. In questo periodo Joyce si recò spesso in Svizzera per vedere la figlia Lucia, la quale morì in un ospedale psichiatrico di Northampton, in Inghilterra, nel 1982).

Morte

Dopo l’uscita di Finnegans Wake, sia per le dure critiche al romanzo che per l’invasione nazista di Parigi, la depressione di cui già soffriva Joyce si accentuò. Alla fine del 1940 si trasferì a Zurigo, dove l’11 gennaio 1941 venne operato per un’ulcera duodenale. Il giorno successivo entrò in coma e morì alle due di mattina del 13 gennaio 1941. Il suo corpo venne cremato e le sue ceneri si trovano nel cimitero di Fluntern, nei pressi del giardino zoologico di Zurigo, come quelle di Nora e di suo figlio Giorgio.

Cosa ci rimane di lui

James Joyce (1882-1941) è considerato una delle figure più influenti della letteratura del XX secolo e uno dei massimi esponenti del modernismo letterario. La sua opera si caratterizza per un profondo sperimentalismo linguistico e narrativo, per l’esplorazione della psicologia dei personaggi attraverso il flusso di coscienza e per una rappresentazione innovativa della realtà quotidiana.

Joyce ha rivoluzionato il concetto di romanzo tradizionale, trasformandolo in un viaggio nella mente umana, in cui tempo, memoria, percezioni sensoriali e linguaggio si intrecciano in modo non lineare. La sua scrittura unisce elementi autobiografici, riferimenti mitologici, giochi di parole, neologismi e un costante dialogo con la cultura classica e moderna.

Tra le sue opere più importanti si ricordano Dublinesi (1914), Ritratto dell’artista da giovane (1916), Ulisse (1922) e Finnegans Wake (1939).

Dal punto di vista psicologico, Joyce può essere definito come uno scrittore dell’interiorità e della frammentazione dell’io, capace di restituire sulla pagina letteraria le contraddizioni, le ossessioni e le ambivalenze della coscienza umana.

Dr. Giuliana Proietti

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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Antoine de Saint-Exupery: una biografia

Antoine de Saint-Exupery: una biografia

Antoine de Saint-Exupery: una biografia


Voici mon secret. Il est très simple : on ne voit bien qu’avec le coeur.
L’essentiel est invisible pour les yeux.
de Saint Exupery

Questa è la storia di un ‘eroe romantico’ vissuto avventurosamente e così scomparso praticamente nel nulla a soli 44 anni, dopo aver scritto però un piccolo capolavoro letterario: il Piccolo Principe, tradotto in 150 lingue. La sua vita fu segnata dall’amore per il volo, dalla riflessione esistenziale e da un profondo senso di umanità: conosciamola meglio.

Infanzia e formazione

Antoine Marie Jean-Baptiste Roger de Saint-Exupéry nacque il 29 giugno 1900 a Lione, in Francia, in una famiglia aristocratica, anche se ormai impoverita. Rimase orfano del padre Jean a soli quattro anni e crebbe con la madre, Marie de Fonscolombe, una pittrice di talento, con la quale mantenne un legame molto stretto.

La sua infanzia a Le Mans, nella grande dimora di Saint Maurice de Rémens, una villa in stile neoclassico, con al centro un parco di abeti e tigli, fu segnata da una fervida immaginazione, dall’interesse per la scrittura e dal sogno del volo, alimentato da un primo volo in aeroplano all’età di dodici anni.

Studiò dai Gesuiti e dai Padri Mariani, in esclusivi collegi in Francia ed in Svizzera. Non fu un ottimo studente e dopo essere stato escluso da un esame di selezione per entrare all’Università, si iscrisse all’accademia di Belle Arti per studiare architettura, ma non si laureò.

Nel 1921 infatti, partì per il servizio militare e venne mandato a Strasburgo, per essere formato come pilota. Il 9 Luglio di quell’anno fece il suo primo volo solitario a bordo di un Sopwith F-CTEE. Ottenne la licenza di pilota nel 1922, poi tornò a Parigi.

Qui fece diversi lavori, fra cui il contabile ed il venditore di auto; fu un periodo infelice, anche a causa dell’amore per Louise de Vilmorin, i cui familiari non vedevano questa unione di buon occhio.

Carriera da aviatore

Negli anni ’20 e ’30, Saint-Exupéry lavorò come pilota per l’Aéropostale, una compagnia di posta aerea che collegava la Francia con l’Africa e il Sud America. Fu durante questi anni che maturò le esperienze che avrebbero ispirato molte delle sue opere letterarie.

Nel 1928 divenne Direttore dello scalo di Cap Juby, nel Sahara del Marocco meridionale. La sua casa era una capanna di legno ed il suo letto un materassino appoggiato in terra. ‘Non ho mai amato la mia casa più di quando vivevo nel deserto’ ricordava. In questo totale isolamento Saint-Exupéry imparò infatti ad amare il deserto, che guardava con gli occhi del poeta. Non a caso, è proprio nel deserto che fu ambientato il Piccolo Principe (1943).

Tra le missioni più difficili e avventurose svolte in questo periodo, partecipò all’apertura di nuove rotte nel deserto del Sahara e sorvolò regioni allora inospitali, spesso rischiando la vita.

Nel 1929 pubblicò La Posta del Sud, un romanzo in cui celebrava il coraggio dei primissimi piloti d’aviazione, che volavano oltre i limiti della propria sicurezza, per portare la posta lottando contro il tempo con i rivali d’allora, il treno e le navi a vapore. Lo stesso anno, divenuto Direttore dell’Aeropostal Argentina, a Buenos Aires, lavorò per creare la pista aerea che doveva congiungere l’Argentina alla Patagonia.

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Autori: Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Terapie Individuali e di Coppia

Saint-Exupéry trasportava i suoi carichi di posta aerea fra le Ande e questa esperienza gli fornì l’ispirazione per il secondo romanzo, Volo di Notte, che divenne un best seller internazionale, vinse il Premio Femina e fu portato sullo schermo nel 1933, con Clark Gable e Lionel Barrymore.

Matrimonio

Nel 1931 si sposò con Consuelo Gómez Carillo, una vedova che frequentava ambienti letterari e scrittori, fra i quali Gabriele D’Annunzio. ‘Non era come gli altri’ – scrisse poi Consuelo del marito nel libro autobiografico Mémoires de la rose – ‘era come un bambino o un angelo caduto dal cielo’. Ma il loro matrimonio fu comunque tempestoso. Consuelo era molto gelosa, avendone peraltro buoni motivi, e non tollerava di essere lasciata a casa da sola.

Cominciò in questo periodo, per il pilota-scrittore l’esperienza come collaudatore di aerei, che gli procurò numerosi incidenti.

Nel 1935 tentò un raid aereo da Parigi a Saigon con l’amico navigatore André Prévot, ma l’aereo precipitò nel deserto libico: entrambi sopravvissero miracolosamente dopo giorni di cammino, episodio che riecheggia ne Il Piccolo Principe.

Accanto a questa carriera da pilota dell’aria, Saint-Exe (come lo chiamano in Francia), cominciò ad esercitare la professione di giornalista, collaborando con Paris Soir per qualche reportages sulla guerra civile in Spagna e sui fatti di Mosca del 1936.

Nel 1937, mentre guidava un Caudron Simun sui cieli del Guatemala, ebbe un altro incidente aereo e si ferì gravemente.

Incoraggiato dall’amico André Gide, Saint-Exupéry scrisse, durante la convalescenza, alcuni racconti poi riuniti in un libro, Terra degli uomini, che vinse, nel 1938, il Prix du Roman de l’Académie française. Antoine de Saint Exupéry divenne un autore molto conosciuto, anche negli Stati Uniti.

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La guerra e la politica

Dopo la caduta della Francia, durante la seconda guerra mondiale, Saint-Exupéry si arruolò con il grado di comandante e compì diverse missioni, anche se non veniva considerato abile al volo, a causa dei tanti malanni conseguenti agli incidenti aerei. Gli fu comunque assegnata la Croce di Guerra. Andò poi a vivere con la sorella nella zona liberata della Francia e da qui fuggì negli Stati Uniti. A New York pubblicò Volo ad Arras, che descrive i suoi voli sulle linee nemiche. Questo libro non fu pubblicato in Francia, per ordine del governo tedesco.

Senza partecipare attivamente alla vita politica, Antoine de Saint Exupéry affermò le sue convinzioni profondamente antifasciste e antinaziste. Fu però criticato dai suoi connazionali, per non aver supportato il governo De Gaulle in esilio a Londra.

Il Piccolo Principe

Nel 1943 uscì il Piccolo Principe, una favola per bambini che piace moltissimo anche, come dice l’autore, “ ai grandi che sono stati bambini una volta e poi se ne sono dimenticati” . E’ il libro più venduto del mondo, dopo la Bibbia ed il Capitale di Karl Marx, oltre ad essere il libro francese più tradotto al mondo.

Dietro l’apparente semplicità della narrazione, il racconto affronta temi profondi come la solitudine, l’amicizia, l’amore e il senso della vita. Il personaggio del pilota naufragato nel deserto richiama chiaramente la biografia di Saint-Exupéry.

E’ la storia di un pilota che ha avuto un incidente aereo e che per questo si trova nel deserto. Lì incontra un ragazzo, che è un principe proveniente da un altro pianeta. Il principe racconta all’aviatore le sue avventure sulla terra e della sua preziosa rosa, rimasta sul suo pianeta. Quando si accorge che le rose sono comuni sulla terra, rimane deluso, ma una volpe del deserto lo convince ad amare la sua rara e preziosa rosa, trovando così il senso della sua vita ed il motivo per tornare a casa. (In questa rara rosa molti pensano di vedere la figura di Consuelo, la moglie, dalla quale si era separato da cinque anni).

Ultimi anni

Tornò poi ad arruolarsi nell’aviazione francese in Nord Africa. E qui si venne a sapere che il pilota aveva la pericolosa abitudine di scrivere durante il volo. Dopo un atterraggio d’emergenza i superiori decisero che Saint-Exe era troppo vecchio per continuare a volare e lo misero a riposo per un po’… Non durò a lungo, il pilota scrittore voleva tornare a guidare i suoi aerei.

La scomparsa

Nel 1944 l’aviatore-scrittore tornò in Europa per unirsi agli Alleati. Il 31 luglio 1944, decollò da una base in Corsica per una missione di ricognizione sopra la Francia occupata e non fece mai ritorno. 

Forse il suo aereo è stato abbattuto in volo da un aereo tedesco, forse si è suicidato, forse è sopravvissuto chissà dove, cambiando identità… Tutte le ipotesi sembrarono possibili, visto che era letteralmente sparito nel nulla.

Solo nel 1998 furono ritrovati dei rottami al largo di Marsiglia, identificati nel 2003 come appartenenti al suo velivolo.

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Il ritrovamento dei rottami

Nel 1998 un pescatore trovò un braccialetto in mare, 150 km ad ovest di Marsiglia: c’erano impressi i nomi di Saint-Exupéry e di Consuelo Gomez Castello; nel Maggio 2000 fu ritrovato il suo aereo, un Lockheed Lightning P-38. Difficile ormai sperare che fosse sopravvissuto.

Di lui c’è rimasto il manoscritto La Cittadelle ed alcuni appunti, che furono pubblicati postumi nel 1948.

Questo ultimo libro riflette un maggiore coinvolgimento politico dell’Autore e la nascita di alcuni ideali, ma soprattutto ci dà una spiegazione della sua vita ed anche della sua morte quando dice: ‘libertà e costrizione sono due aspetti della stessa necessità, che è quella di essere sé stessi e nessun altro’…

Cosa ci rimane di lui

Antoine de Saint-Exupéry è oggi ricordato come una delle figure più affascinanti del Novecento. La sua scrittura unisce poesia, filosofia e testimonianza di vita. Il Piccolo Principe, in particolare, è divenuto un simbolo universale di purezza, amore e saggezza infantile.

Nel 1993, in suo onore, l’aeroporto di Lione è stato ribattezzato Aéroport Lyon-Saint-Exupéry. Le sue parole continuano a ispirare lettori di ogni età con il loro messaggio di speranza e umanità.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Alfred Kinsey biografia

Alfred Kinsey: una biografia

Alfred Kinsey: una biografia


Alfred Kinsey è stato un biologo, sessuologo e professore universitario statunitense, noto soprattutto per aver rivoluzionato lo studio della sessualità umana nel XX secolo. Considerato una figura pionieristica della sessuologia moderna, ha affrontato apertamente tematiche considerate fino ad allora tabù, contribuendo in modo decisivo a scardinare il moralismo e a promuovere un approccio scientifico e sistematico allo studio dei comportamenti sessuali. Conosciamolo meglio.

Formazione e primi studi

Alfred Charles Kinsey nacque a Hoboken, New Jersey, il 23 giugno 1894 da Alfred Seguine Kinsey e Sarah Anne Kinsey. Nel 1904, la famiglia Kinsey (composta anche da due fratelli minori), si trasferì nella città di South Orange, sempre nel New Jersey. La madre era una donna molto devota ed il padre un pastore metodista (che occasionalmente predicava la domenica), particolarmente sessuofobo.

L’infanzia di Alfred non fu molto felice: malattie e diagnosi errate su problemi cardiaci tennero il bambino lontano dallo sport e dai giochi; amava però la natura e per questo entrò nei Boy Scouts, dove rimase anche da adulto, come consulente.  Il padre voleva che Alfred studiasse ingegneria a Stevens e così il ragazzo fece per due anni ma senza piacere, né interesse. Il giovane Kinsey infatti era appassionato di biologia, che studiava addirittura di nascosto ed il suo eroe era Charles Darwin. Questa sua passione gli consentì di ottenere una borsa di studio al Bowdoin College, Maine, in biologia e psicologia (1916), il che provocò la rottura con il padre. Seguì poi una laurea in tassonomia ad Harvard (1919, magna cum laude).

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Dalla biologia alla sessuologia

Fu chiamato dalla Indiana University nel 1920 per coprire la carica di Assistant Professor della cattedra di zoologia, dove si fece una solida reputazione accademica attraverso la ricerca sulle vespe delle galle (insetti piccolissimi dal nome latino Hymenoptera Cynipidae),e attraverso i suoi libri di biologia per la scuola superiore.

La sua specialità era la tassonomia, cioè la classificazione delle specie e lo studio delle variazioni individuali. Nell’Indiana conobbe Clara Brachen McMillen, brillante studentessa di chimica, che poi sposerà nel 1921. Avevano in comune l’amore per la musica e la campagna. Inizialmente ebbero qualche difficoltà sessuale, ma poi misero al mondo quattro figli, anche se il maggiore morì di diabete prima di compiere i quattro anni.

Nel 1930 Kinsey era considerato il massimo esperto mondiale nello studio delle vespe delle galle ed un affermato genetista.

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A partire dagli anni ’30 cominciò a ricevere sempre più domande da parte degli studenti riguardo alla sessualità, a cui il mondo accademico e medico rispondeva in modo vago o moralistico.

Nel 1938 la vita di Kinsey, che aveva allora 44 anni, cambiò radicalmente. Accadde infatti che l’associazione studentesca femminile si fece promotrice della proposta di inserire presso l’Università dell’Indiana, un Corso sul matrimonio chiamato ‘Marriage and Family’.

Kinsey fu invitato a coordinare questo Corso, che fu sempre affollatissimo, e da lì iniziò il suo interesse per lo studio dei rapporti sessuali, cominciato dalla raccolta di storie ed esperienze raccontategli dai suoi stessi studenti. Cominciò così una lunga ricerca sull’attività sessuale che lo portò ad esplorare circa 18.000 casi.

Nel 1940 Kinsey fu messo di fronte ad una scelta: i suoi studi sulla sessualità umana infatti, non erano graditi alla società americana, soprattutto alla frangia più puritana, per cui o sceglieva di dedicarsi esclusivamente ai Corsi di preparazione al matrimonio, o sceglieva di tornare alla sua ricerca biologica. Scelse la ricerca sulla sessualità.

Nel 1941 il lavoro pionieristico di Kinsey aveva trovato anche cospicui finanziamenti, grazie ad Alan Gregg del National Research Council (facente capo alla Fondazione Rockefeller). Con questi fondi fu possibile assumere altri ricercatori: il primo, nel 1941, fu Clyde Martin (si è molto insinuato sull’omosessualità, mai apertamente dichiarata, di Kinsey e sulle attenzioni particolari da lui avute verso il giovane Martin), cui seguì, nel 1943, Wardell Pomeroy.

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Nel 1947 fondò il Kinsey Institute for Research in Sex, Gender, and Reproduction, che divenne un centro di riferimento internazionale per lo studio scientifico della sessualità.

L’Institute for Sex Research era un’associazione no profit affiliata all’Università dell’Indiana ed in quello stesso anno al gruppo di ricerca si aggiunse anche Paul Gebhard. Con i primi due ricercatori (Martin era laureato in economia e si occupava di gestire le prime analisi statistiche del team; Pomeroy era uno psicologo), Alfred Kinsey scrisse il primo libro, quello sul comportamento sessuale maschile, dal titolo originario Sexual Behavior in the Human Male, meglio conosciuto come ‘Il rapporto Kinsey’.

Risultato: 200.000 copie vendute nei primi mesi, con traduzioni in otto lingue. Kinsey divenne così una persona conosciuta ovunque come “colui che entrava nel letto degli americani”.

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I rapporti Kinsey

Tra il 1948 e il 1953 pubblicò:

  • Sexual Behavior in the Human Male (1948)

  • Sexual Behavior in the Human Female (1953)

Conosciuti come i Rapporti Kinsey, questi studi si basavano su migliaia di interviste condotte con uomini e donne di diversa età, origine sociale e orientamento sessuale. I risultati rivelarono una varietà molto più ampia di comportamenti sessuali rispetto a quanto fino ad allora ritenuto “normale”, includendo la masturbazione, l’omosessualità, i rapporti prematrimoniali ed extramatrimoniali. Facile immaginare come, nell’America puritana degli anni quaranta, tutto questo provocò un grande scandalo.

All’uscita del libro sul comportamento sessuale della donna, nel 1953,  l’America, stava entrando nella Guerra Fredda e l’accoglienza fu piuttosto tiepida. I rubinetti dei suoi finanziatori si asciugarono e, per continuare le ricerche, Kinsey accettò di intervenire in conferenze sulla sessualità in Europa e nel resto del mondo. Non chiedeva retribuzioni, ma la possibilità di raccogliere altri dati attraverso questionari; soprattutto era interessato ad avere i dati completi di piccole comunità.

Kinsey introdusse anche la famosa Scala Kinsey, una classificazione continua dell’orientamento sessuale su un continuum da 0 (esclusivamente eterosessuale) a 6 (esclusivamente omosessuale), sottolineando la fluidità del comportamento sessuale umano.


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Controversie e impatto culturale

I rapporti Kinsey furono al centro di accese polemiche. Se da un lato furono accolti con entusiasmo da chi vedeva in Kinsey un liberatore dai dogmi morali, dall’altro furono duramente criticati da gruppi religiosi, politici conservatori e alcuni ambienti accademici. Gli fu contestato il metodo di raccolta dei dati, l’inclusione di comportamenti devianti (secondo la morale del tempo) e una presunta promozione dell’immoralità.

Kinsey fu accusato di fare pornografia nel modo più subdolo possibile, per aggirare le norme condivise sul buon costume, chiamando queste produzioni oscene ‘scienza’. In particolare erano messe sotto accusa le sue ‘ricerche fisiche’ in cui le persone compivano atti sessuali, che venivano osservati, analizzati e registrati a livello statistico in tutti i loro particolari.


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Doctor Sex

Oltre tutto, si diceva, Kinsey era un omosessuale, un pervertito.  James Jones, un suo collaboratore, scrisse che Kinsey anche tendenze sadomasochiste ed esibizionistiche. A detta di Jones, Kinsey aveva ‘una metodologia ed un modo di raccogliere casi che garantiva all’autore di trovare esattamente ciò che voleva trovare’.

Kinsey veniva accusato di essere preda delle sue compulsioni sessuali nel fare ricerca, poiché spesso partecipava direttamente alle riprese (nudo dal collo in giù) e filmava addirittura sua moglie mentre si masturbava (si dice contro il volere di lei).

Kinsey, si diceva, era ossessionato dai comportamenti omosessuali e per questo passava ore ed ore ad osservare documenti pornografici e rapporti sessuali, girati nelle zone malfamate di Chicago e New York, nei carceri e nelle case di appuntamento. Che tipo di idee poteva farsi, con questi esempi, sulla sessualità degli americani ? Questo dicono ancora di lui i suoi detrattori.

L’accusa più infamante però fu quella di favoreggiamento della pedofilia, nel campo degli studi sulla ‘sessualità infantile’. Sono in molti a ritenere che Kinsey non fece nulla per prevenire certi abusi e che anzi li incoraggiò, per poterli documentare.

I giornalisti cominciarono a chiamarlo ‘Doctor Sex’ e la U. S. Customs cominciò una battaglia legale contro il gruppo guidato da Kinsey, per cui il sessuologo fu costretto a comprare materiale di studio relativo alla sessualità all’estero.

L’avvocato Harriet Pilpel insieme ad altri due legali difese l’istituto, che alla fine vinse la causa, nel 1957, presso la Federal District Court.

Morte 

Kinsey continuò le sue ricerche fino alla morte, avvenuta il 25 agosto 1956 per complicazioni cardiache e polmonari.

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Influenza sulla società

I suoi allievi continuarono a portare avanti la ricerca fino al 1963, pubblicando altri tre volumi sull’argomento, fra cui Male and Female, tradotto in molte lingue. Nonostante le controversie, la sua eredità scientifica è stata ampiamente rivalutata nel tempo perché il lavoro di Kinsey ha rappresentato una svolta culturale e scientifica, aprendo la strada alla psicologia della sessualità, alla terapia sessuale e alla riflessione pubblica sull’identità di genere, l’orientamento e il comportamento sessuale. Kinsey è oggi riconosciuto come uno dei fondatori della moderna sessuologia e una figura di riferimento per i movimenti per i diritti sessuali e l’educazione sessuale basata sulla scienza.

E’ probabile, tuttavia, che gli studi di Kinsey non furono tutti interamente dettati da curiosità ‘scientifiche’: forse i suoi metodi di lavoro furono discutibili, il suo senso morale quanto meno poco rispettoso delle tradizioni e della morale pubblica, ma non si può dimenticare che egli fu comunque il padre della rivoluzione sessuale americana e di quel movimento libertario che portò a riconsiderare la sessualità femminile e la stessa posizione della donna nella società, l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole e la nascita stessa della scienza sessuologica.

Il Kinsey Institute, oggi

Nel 1984 l’Istituto dell’Università dell’Indiana fondato da Kinsey divenne il ‘Kinsey Institute for Research in Sex, Gender, and Reproduction’. 

Il Kinsey Institute continua ancora oggi le sue ricerche nell’ambito della sessualità, del genere e delle relazioni. 

Curiosità

Nel Novembre 2004 è uscito un film, Kinsey, sulla vita del pioniere del sesso, con l’attore Liam Neeson, diretto da Bill Condo, un attivista gay.

Dr. Giuliana Proietti

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L'Effetto Lucifero: intervista a Philip Zimbardo

L’Effetto Lucifero: intervista a Philip Zimbardo

L’Effetto Lucifero: intervista a Philip Zimbardo

Le interviste

 

Philip Zimbardo è uno psicologo statunitense noto soprattutto per il suo famoso esperimento della prigione, noto come “Stanford Prison Experiment”, che sollevò importanti questioni sull’etica della ricerca psicologica. È anche autore di diversi libri di successo che esplorano temi come la psicologia dell’essere umano e il potere delle situazioni nell’influenzare il comportamento. Ecco un’intervista esclusiva per psicolinea.

WLG Lei è stato probabilmente il primo psicologo a dare importanza alla timidezza e a decidere di studiarla. Perché ha aperto la ‘Shyness Clinic’? E’ soddisfatto dei risultati raggiunti dalla ricerca in questo campo?

PhZ Credo di essere stato il primo ricercatore a studiare la timidezza negli adulti. Il mio interesse in questo argomento deriva dall’esperimento della prigione di Stanford (Stanford Prison Experiment, SPE). Dopo anni di ricerca sono cominciati i trattamenti per adulti e adolescenti timidi, allo scopo di mettere in pratica quanto avevamo appreso. (Vedi sezione del mio nuovo libro su questo argomento (1)

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WLG Si può dire che la timidezza non sia ‘patologica’, ma che rappresenta solo una riduzione delle abilità sociali e della fiducia in sé stessi ?

PhZ La timidezza varia enormemente da un ‘varietà infantile’ di lieve apprensione e riservatezza, a una discreta paura di incontrare gli altri, fino all’estrema, paralizzante paura e all’isolamento sociale.

In questi casi estremi essa diventa una patologia seria, che produce forte disagio alle persone, ma anche dei livelli medi di timidezza possono limitare molte opportunità sociali, influire sul proprio stile di vita, portare la persona timida a vivere una vita meno soddisfacente e perfino a guadagnare di meno di altri che non sono timidi.

I bambini timidi sono presi in giro a scuola, oppure sono vittime di bullismo, il che può portare ad un rendimento scolastico insoddisfacente.

WLG Tornando alla timidezza, il suo collega Bernardo Carducci ha parlato recentemente della sua teoria della ‘timidezza cinica’, una forma estrema di timidezza che riguarda soprattutto i maschi e che può portare a comportamenti violenti, come si sono visti nella scuola della Virginia. Lei cosa ne pensa?

PhZ Quando degli studenti timidi vengono presi in giro, sono vittime di bullismo o rifiutati in altri modi, essi costruiscono un risentimento e una rabbia nei confronti degli altri e contro il sistema scolastico che permette questi comportamenti. Negli Stati Uniti, questi soggetti hanno facile accesso alle armi; le armi cambiano i rapporti di forza, trasformando gli studenti timidi in persone pericolose, capaci di vendicarsi. Questa è la mia opinione sulla ‘timidezza cinica’ di Carducci.

Ho raccolto dei dati qualche anno fa che mostravano come la maggior parte degli uomini che si trasformavano ‘improvvisamente’ in assassini, che commettevano omicidi senza neanche aver avuto delle reazioni violente, erano molto timidi. Avevano anche un’immagine femminilizzata o androgina. Inoltre, essi sono ipercontrollati nei loro impulsi.

Una intervista sulla Timidezza

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WLG Ci può spiegare come ha elaborato la sua nuova teoria dell’Effetto Lucifero che trasforma persone normali in persone malvagie ?

PhZ Il mio nuovo libro mi ha dato l’opportunità di mettere in relazione il male, come io avevo avuto modo di osservarlo e che avevo contribuito a creare nello studio della Stanford Prison, con gli altri mali presenti nel mondo, come il genocidio, la tortura, gli abusi sui prigionieri della prigione di Abu Graib da parte dei soldati americani, ed il male nelle aziende dove la brama trasforma delle persone intelligenti ed ambiziose, come accaduto alla Enron ed altri disastri.

La mia opinione è che molte di queste azioni malvagie vengano perpetrate da persone assolutamente normali da tutti i punti di vista, non portate al male o con problemi patologici. Credo che dovremmo prestare maggiore attenzione al potere di alcune forze che dipendono dalle situazioni sociali e alle forze del sistema che crea queste situazioni, quando vogliamo comprendere le cause del male e sviluppare mezzi per combatterlo e prevenirlo. E’ più frequente che sia un cattivo contesto a corrompere delle persone rette piuttosto che delle mele marce inserite in un ambiente sano. Credo che avremmo bisogno di un cambiamento di paradigma dal modello medico prevalente che si focalizza sull’individuo da curare, per adottare un modello di salute pubblica.

Questo tipo di modello cerca di trovare il virus che fa ammalare la società e poi vaccina la popolazione contro i suoi cattivi effetti. Il male è un virus che si trova in molte società: la mafia ne è un esempio. Non è abbastanza focalizzare l’attenzione solo su chi compie il male, ma anche sulle condizioni del sistema che supporta e mantiene l’abitudine al male. Intendo dire anche i valori legati alla cultura, alla legalità, alla politica, alla storia, che legittimano le persone che si comportano in modo malvagio.

Clinica della Timidezza
Dal 2002 parole che curano, orientano e fanno pensare.

WLG Secondo la sua teoria, un normale individuo può anche, in alcune particolari condizioni, agire bene e diventare un eroe…

PhZ Se le persone comuni possono essere colpevoli della banalità del male, possono anche erigersi a rappresentare il meglio della natura umana, nella banalità dell’eroismo. Credo che la migliore difesa o antidoto al male sociale sia promuovere l’immaginario eroico nel maggior numero di persone possibile. Gli eroi sono in genere delle persone normali, eroi della vita quotidiana, i quali in particolari situazioni si coinvolgono in azioni straordinarie.

Essi agiscono mentre gli altri restano passivi. Si interessano di più degli altri, sono socio-centrici piuttosto che interessati al proprio egocentrico benessere. Sto iniziando una ricerca sperimentale progettata per studiare quale è il momento decisivo perché una persona decida di compiere un atto eroico, come disobbedire ad una autorità ingiusta. Il mio collaboratore dell’Università di Palermo, Piero Bocchiaro ed io abbiamo da poco completato la prima serie di esperimenti per cercare di comprendere quali fattori sociali e di personalità caratterizzano le persone che si sono comportate in modo eroico.

Nell’ultimo capitolo dell’Effetto Lucifero, presento una nuova tassonomia di 12 differenti tipi di eroi con esempi tratti da varie culture. Naturalmente, l’eroismo è culturalmente e storicamente definito. Quando il mio libro sarà tradotto in italiano, verso la primavera del 2008, spero di ricevere dei riscontri dai lettori italiani circa la natura di quelli che essi definiscono eroi.

Walter La Gatta



(1) La timidezza come prigione auto-imposta

Quale altra prigione è così oscura come il proprio cuore!
Quale carceriere è così inesorabile come il proprio sé?
Nathaniel Hawthorne

Nella prigione allestita negli scantinati, i prigionieri hanno rinunciato alle loro libertà basilari in seguito al controllo coercitivo delle guardie. Tuttavia, a parte il laboratorio, anche nella vita reale molte persone volontariamente rinunciano alla propria libertà di parola, di azione e di associazione anche senza che vi siano delle pressioni esterne che impongano di farlo.

Ciò dipende dall’interiorizzazione che esse hanno fatto di questi carcerieri così esigenti, che sono diventati parte del proprio sé; le guardie che limitano le opportunità verso la spontaneità, la libertà, la gioia di vivere. Paradossalmente, queste stesse persone hanno interiorizzato anche l’immagine del prigioniero passivo che, seppure in modo riluttante, si mostra acquiescente nei confronti di queste restrizioni che si è auto-imposto in tutte le proprie azioni. Ogni azione che richiama l’attenzione degli altri spaventa queste persone che temono di sentirsi potenzialmente umiliate, di provare sentimenti di vergogna, di essere rifiutate dagli altri, per cui tutto questo va evitato.

In risposta al carceriere interno, la persona si fa prigioniera e si tira indietro dalla vita, nascondendosi dentro una corazza, scegliendo la sicurezza della silenziosa prigione della timidezza. Elaborando questa metafora, a partire dall’esperimento della Stanford University, ho pensato alla timidezza come una fobia sociale che rompe i legami dei rapporti interpersonali facendo degli altri una minaccia, anziché un’opportunità. L’anno successivo al termine del nostro studio sulla SPE, ho iniziato un progetto di ricerca più impegnativo, il Progetto Timidezza della Stanford University per investigare le cause, le componenti, le conseguenze della timidezza negli adulti e negli adolescenti.

Il nostro fu il primo studio sistematico della timidezza nell’adulto; quando ne sapemmo abbastanza, andammo avanti per sviluppare un programma di trattamento della timidezza in un’unica Shyness Clinic (1977). La Clinica, che è stata sempre in attività in tutti questi anni a Palo Alto, è diretta dalla Dr.ssa Lynne Henderson, ed ora è parte della facoltà di psicologia presso la Pacific Graduate School.

Il mio maggiore successo nel trattamento e nella prevenzione della timidezza è stato quello di sviluppare degli strumenti per aiutare le persone timide a liberarsi delle loro silenziose, auto-imposte prigioni. Ho fatto questo in parte scrivendo libri divulgativi per il grande pubblico su come trattare la timidezza negli adulti e nei bambini (2). Queste attività sono state un modo per riparare gli imprigionamenti cui avevo sottoposto i partecipanti all’esperimento presso la Stanford University ( SPE).

(Traduzione dall’inglese di Walter La Gatta, tutti i diritti riservati)

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(2) Shyness research: Zimbardo, P G. (1986). The Stanford shyness project. In W. H. Jones, J. M. Cheek, & S. R. Briggs (Eds.), Shyness: Perspectives on research and treatment (pp. 17-25). New York: Plenum Press.

Zimbardo, P. G. (1977). Shyness: What it is, what to do about it. Reading, MA: Addison-Wesley,

Zimbardo, P. G., & Radl, S. (1986). The Shy Child. New York: McGraw Hill. Traduzione italiana: “Il bambino timido” (Erickson, 2000), di Philip Zimbardo e Shirley Radl

Chi è Philip Zimbardo?

Philip Zimbardo, Professore Emerito della Università di Stanford (nato il 23 Marzo del 1933) è conosciuto per il suo esperimento della prigione di Stanford (Stanford Prison Experiment, SPE) e come autore di libri di psicologia che hanno introdotto alla materia della psicologia uno sterminato numero di studenti.

Nel 2002, Zimbardo fu eletto Presidente della American Psychological Association. Sotto la sua direzione l’organizzazione sviluppò il sito PsychologyMatters.org, un compendio della ricerca psicologica che può essere utilizzato per le sue applicazioni pratiche, nella vita quotidiana. Nello stesso anno apparì come commentatore nel reality inglese The Human Zoo, dove i partecipanti venivano osservati mentre interagivano in un ambiente controllato.

Nel 2004, Zimbardo ha testimoniato presso la corte marziale in difesa del sergente Ivan “Chip” Frederick, una guardia della prigione di Abu Graib, sostenendo che la pena relativa a Frederick doveva essere ridotta a causa delle pressioni ambientali subite dal militare, con le aggravanti di un addestramento e di una supervisione molto limitati.. A Frederick è stata inflitta una pena di 8 anni. Zimbardo utilizzando l’ esperienza maturata con il caso Frederick ha scritto un nuovo libro, The Lucifer Effect: Understanding How Good People Turn Evil,(non ancora pubblicato in Italia).

Links

www.PrisonExp.org

www.Shyness.com

Su questo sito, altri articoli del Prof. Zimbardo.

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