Adolescenti e autolesionismo

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L’autolesionismo non suicidario (NSSI – Non-Suicidal Self-Injury) è un fenomeno preoccupante e in crescita tra i giovani e le giovani adolescenti. Nonostante l’assenza di intento suicidario, tali comportamenti rappresentano un forte segnale di sofferenza psicologica e meritano attenzione clinica e sociale. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa si intende per autolesionismo?

Si tratta di atti intenzionali volti a causare danno fisico a sé stessi, come tagli, bruciature o colpi, senza l’intento di togliersi la vita. L’atto più comune con cui si presenta l’autolesionismo è il taglio superficiale alla pelle, ma esso comprende anche il bruciarsi, infliggersi graffi, colpire una o più parti del corpo (es. sbattere la testa contro il muro), mordersi, tirarsi i capelli, oppure ingerire sostanze tossiche o oggetti.

Come è classificata questa patologia nel DSM-5?

E’ classificata sotto la voce “autolesionismo non suicidario” o NSSI. Nel DSM viene chiarito che si tratta di un “nuovo” disturbo,  che necessita ulteriori studi. E’ considerato un sintomo del disturbo borderline di personalità,  caratterizzato da instabilità emotiva, relazioni instabili e sentimenti cronici di vuoto.

 

Adolescenza

Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta

Quali sono i dati che abbiamo sul fenomeno?

Secondo i dati più recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e degli studi condotti in Europa e in Italia (come quelli pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità), circa il 17-18% degli adolescenti riferisce di essersi inflitto almeno una volta un danno fisico volontario. La prevalenza è maggiore nelle ragazze rispetto ai ragazzi, soprattutto tra i 13 e i 17 anni.

Queste pratiche sono assai meno frequenti fra gli adulti (si stima il 5%). Per quanto riguarda i bambini si stima una percentuale di 1,3% nella fascia di età che va da 5 a 10 anni.

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Perché ci si fa del male?

Le motivazioni che portano a compiere atti autolesivi sono si varia natura. Tra le principali funzioni dell’autolesionismo, la letteratura individua: 

  1. Regolazione emotiva: il dolore fisico diventa un modo per gestire emozioni travolgenti come rabbia, tristezza, ansia o senso di vuoto. Quando una persona si sente travolta da emozioni negative, trova il modo di placare queste sensazioni attraverso questi atti, che hanno l’effetto, paradossale, di riportare un po’ di serenità. 
  2. Espressione del dolore: per chi ha difficoltà a verbalizzare ciò che prova, il corpo può diventare un linguaggio alternativo.
  3. Punizione di sé: in presenza di bassa autostima o sentimenti di odio verso se stessi, ci si infligge danno come forma di espiazione o punizione. Il dolore fisico provato è un sollievo rispetto al dolore emotivo.
  4. Richiesta d’aiuto: sebbene non esplicitamente suicidario, l’autolesionismo può essere un grido silenzioso rivolto agli altri, in cerca di comprensione o intervento.

Dr. Walter La Gatta

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Quali sono i fattori di rischio?

Diversi fattori possono aumentare la vulnerabilità all’autolesionismo, come storie di traumi infantili o abusi,  disturbi dell’umore, come depressione o disturbi d’ansia, oppure disturbi della condotta alimentare, difficoltà relazionali e isolamento sociale, bullismo e cyberbullismo.

I social hanno un ruolo in tutto questo?

Si, il ruolo dei social media può essere ambivalente: se da un lato fornisce spazi di condivisione e supporto, dall’altro può esporre a contenuti che normalizzano o addirittura incentivano comportamenti autolesivi.

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Come riconoscere i segnali?

Molte persone che praticano autolesionismo cercano di nasconderlo. Tuttavia, alcuni segnali possono allertare genitori, insegnanti o persone adulte di riferimento. Fare bene attenzione a: Presenza di tagli, bruciature o lividi, spesso in zone poco visibili (braccia, cosce, addome

  • Uso frequente di abiti coprenti anche con il caldo
  • Tendenza all’isolamento o cambiamenti improvvisi nell’umore
  • Oggetti insoliti in camera o nello zaino (lame, accendini, vetri)
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Come parlarne con i ragazzi che si autolesionano?

Questo tipo di dialogo richiede delicatezza, empatia e assenza di giudizio. Frasi come: “Lo fai solo per attirare l’attenzione” o “Non hai motivo di stare male” non solo sono inutili, ma rischiano di peggiorare la situazione.

E’ essenziale che genitori e insegnanti non rispondano con shock, orrore, rabbia o giudizi negativi quando si accorgono di questi comportamenti.

I ragazzi spesso riferiscono di provare vergogna dopo essersi fatti del male intenzionalmente, il che li porta a nascondere le ferite sotto vestiti e gioielli. Molti potrebbero non partecipare ad attività che potrebbero rivelare le loro ferite, come il nuoto o altri sport.

Accompagnare il/la giovane verso una figura professionale qualificata, come uno/a psicologo/a o psicoterapeuta, collaborare con scuola, famiglia e servizi sanitari in un’ottica di rete.

 

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Quale è il trattamento migliore per l’autolesionismo?

Il trattamento migliore è senz’altro la psicoterapia, che si è mostrata capace di ridurre o eliminare del tutto gli atti di autolesionismo. La terapia cognitivo-comportamentale o la terapia familiare sono sembrate le più indicate per la cura degli adolescenti. In alcuni casi possono essere utili anche i farmaci.

L’autolesionismo può portare al suicidio?

Si, questo comportamento ne è un forte predittore. Nel 2013 sul Journal of Adolescent Health, Whitlock, Muehlenkamp e colleghi seguirono 1.466 studenti di 5 college americani per 3 anni. Studenti autolesionisti che all’inizio non mostravano desiderio di morte avevano maggiori probabilità di tentare il suicidio negli anni successivi.

Che consigli si possono dare ai giovani che vogliono smettere?

Una tecnica efficace è quella di creare un ritardo tra l’impulso all’autolesionismo e l’atto di autolesionismo. Anche rimuovere gli oggetti usati per l’autolesionismo può aiutare in questa direzione.

Distrarsi: cucinare, fare esercizio fisico, giocare alla playstation, leggere, disegnare, sono un’altra strategia altamente raccomandata per prevenire ulteriori lesioni.

Alcuni raccomandano le cosiddette ” attività sostitutive ” per l’autolesionismo, come tenere in mano del ghiaccio o tirare un elastico stretto al polso. Si è però osservato che questi rimedi provengono in fondo dalla stessa mentalità autodistruttiva e dunque non rappresentano un passo in avanti.

Come si capisce, l’autolesionismo nei giovani non è un “capriccio adolescenziale”, ma un comportamento che segnala sofferenza. Guardarlo in faccia senza paura, accoglierlo senza giudizio e intervenire con competenza sono azioni imprescindibili per trasformare il dolore in parole, e le ferite in cura.

Dr. Walter La Gatta


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Immagine: Pexel

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Da Dr. Walter La Gatta

Dr. Walter La Gatta Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise. Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche) Il Dr. Walter La Gatta si occupa di: Psicoterapie individuali e di coppia Terapie Sessuali Tecniche di Rilassamento e Ipnosi Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali. Per appuntamenti telefonare direttamente al: 348 – 331 4908 (anche whatsapp) email: w.lagatta@psicolinea.it Visita la pagina Facebook e il profilo Twitter Visita anche www.walterlagatta.it

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