FREUD, IL PICCOLO HANS E L’ANALISI INFANTILE GUARDA I VIDEO DI FREUDIANA SUL NOSTRO CANALE YOUTUBE
Il caso del piccolo Hans rappresenta uno dei contributi più noti e discussi di Sigmund Freud allo studio della psicoanalisi infantile. Pubblicato nel 1909 con il titolo originale “Analisi della fobia di un bambino di cinque anni”, questo lavoro illustra alcuni dei concetti fondamentali della teoria freudiana dello sviluppo psicosessuale e introduce alcune delle prime riflessioni sulla psicoterapia con i bambini.
La terapia, infatti, non si svolse secondo i canoni della psicoanalisi classica in setting individuale, ma costituì un primo esempio di psicoanalisi indiretta o terapia mediata dai genitori, un approccio che avrebbe influenzato molte delle pratiche successive nella psicoterapia dell’età evolutiva.
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Dr. Giuliana Proietti
Contesto e modalità dell’analisi
Il caso di Hans fu il secondo grande studio clinico pubblicato da Freud dopo Gli studi sull’isteria e dopo il celebre caso di Dora (1901). Ciò che rende questo caso ancor più singolare è il fatto che Freud vide il bambino solo una volta: l’intera analisi venne condotta tramite il padre di Hans, Max Graf, un musicologo viennese vicino agli ambienti psicoanalitici. Freud stesso sottolinea questo aspetto nella sua introduzione al caso, lodando il ruolo centrale svolto dal padre:
“Secondo me, nessun altro sarebbe riuscito a far fare al bambino simili ammissioni. Le conoscenze particolari grazie alle quali il padre è stato in grado d’interpretare le osservazioni del figlio cinquenne, erano indispensabili e senza di esse le difficoltà tecniche che la psicoanalisi di un bambino così piccolo presenta, sarebbero state insormontabili. È solo perché l’autorità del padre e di medico si fondevano in una persona, e perché in essa si combinavano l’interesse affettivo e quello scientifico, che è stato possibile in questo caso particolare applicare il metodo ad uno scopo cui esso di solito non si presta.”
Freud riconosce inoltre esplicitamente di essere intervenuto solo marginalmente:
“È vero che ho tracciato le linee generali del trattamento e che in una singola occasione sono intervenuto personalmente in un colloquio col bambino, ma il trattamento stesso è stato eseguito dal padre del piccolo paziente; a lui va tutta la mia riconoscenza per avermi consegnato i suoi appunti affinché fossero pubblicati.”
Chi era il piccolo Hans?
Dietro lo pseudonimo scelto da Freud si nascondeva Herbert Graf, figlio di Max Graf. La documentazione del caso avvenne attraverso un metodo peculiare: il padre di Hans, fortemente interessato alla psicoanalisi, raccoglieva osservazioni quotidiane sul figlio, gli poneva domande suggerite da Freud e trasmetteva allo psicoanalista viennese dettagliate relazioni scritte.
La fobia dei cavalli
Il sintomo principale di Hans era una fobia intensa e invalidante verso i cavalli. Il bambino temeva che i cavalli potessero morderlo o cadergli addosso. La paura si manifestò intorno ai cinque anni, subito dopo un episodio particolarmente impressionante: Hans aveva assistito a un incidente in cui un cavallo, trascinando un carro pesante, era crollato in strada.
Da quel momento, il piccolo iniziò a evitare ogni contatto con i cavalli, mostrando particolare paura per quelli che portavano carichi pesanti o che indossavano i paraocchi. Lo spaventavano anche i modi aggressivi con cui i carrettieri spronavano gli animali, urlando “arrì”. La paura si estese fino al punto che Hans rifiutava di uscire di casa.
Secondo Freud, questa fobia era espressione di conflitti inconsci legati alla fase fallica dello sviluppo psicosessuale e, più nello specifico, al complesso di Edipo. Il bambino nutriva desideri affettivi e sessuali verso la madre e, parallelamente, viveva sentimenti di rivalità e timore nei confronti del padre.
Altri sintomi e dinamiche familiari
Nelle lettere indirizzate a Freud, il padre di Hans descrive ulteriori preoccupazioni riguardanti il comportamento del figlio, in particolare il forte interesse per i genitali. Per dissuadere il bambino dal toccarsi continuamente, la madre lo aveva minacciato che sarebbe stato chiamato un dottore per tagliargli il “faipipì”, termine usato dal bambino per indicare il pene.
La nascita della sorellina Hanna segnò un momento importante nell’elaborazione psicologica di Hans. Notando l’assenza del pene nella sorella, il bambino sviluppò l’idea che l’organo sessuale fosse legato all’età e che col tempo sarebbe cresciuto anche per lei.
La conflittualità tra i genitori ebbe un ruolo significativo: il padre tendeva a incolpare la madre per le difficoltà psicologiche del bambino. Proprio in questo periodo Hans fu trasferito in una stanza separata, evento che segnò l’inizio della sua analisi tramite la mediazione paterna.
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La terapia mediata dal padre
Un elemento distintivo del caso fu proprio il ruolo attivo del padre, che sotto la guida di Freud instaurò un dialogo costante con il figlio, annotando sogni, fantasie e paure. Questo lavoro di osservazione e rielaborazione consentì a Freud di ricostruire il conflitto psichico sottostante ai sintomi.
Analizzando i sogni e le fantasie del bambino, Freud individuò un senso di inferiorità nei confronti del padre e la paura che la madre preferisse il marito al figlio per via delle dimensioni dell’organo sessuale, lo stesso motivo per cui Hans, inconsciamente, era terrorizzato dai cavalli.
Attraverso una progressiva chiarificazione del significato simbolico della sua fobia, il bambino arrivò a comprendere le ragioni inconsce della propria angoscia, fino a una sostanziale remissione dei sintomi. Come scrisse Freud, l’angoscia si ridusse “a un residuo” e i progressi ottenuti apparvero “innegabili”.
L’esito e le riflessioni successive
Freud considerò il caso un successo: Hans, secondo le parole dello psicoanalista, superò senza particolari difficoltà la pubertà, senza sviluppare ulteriori disturbi o inibizioni significative, neanche di fronte al divorzio dei genitori.
Tuttavia, anni dopo, ormai adulto, Herbert Graf rilesse la pubblicazione del suo caso clinico e dichiarò di non riconoscersi affatto in quel bambino descritto da Freud. Trovava l’intero resoconto estraneo e sconosciuto.
Anche di fronte a questa distanza soggettiva, Freud non mancò di elaborare una spiegazione teorica: la rimozione e la trasformazione dei ricordi sarebbero stati una naturale conseguenza della risoluzione del conflitto edipico e della maturazione psichica avvenuta nel frattempo.
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L’interpretazione del caso di Hans
Freud vide in Hans un piccolo Edipo, cioè un soggetto che avrebbe voluto togliere di mezzo il padre, per essere solo con la madre e dormire con lei. Nel cavallo che morde, così come nel cavallo che cade, che tanto lo impressionavano, il bambino vedeva, secondo Freud, la figura paterna, dalla quale temeva una punizione, per aver nutrito pensieri cattivi nei suoi confronti.
Freud così racconta l’unica seduta avuta col bambino:
Quel pomeriggio padre e figlio erano venuti a consultarmi nel mio studio. Conoscevo già il bricconcello, tutto sicuro di sé ma tanto simpatico che mi faceva sempre piacere vederlo. Non so se si ricordasse di me, ad ogni modo si comportò in modo impeccabile, come un ragionevolissimo membro del consorzio umano. La visita fu breve. Il padre cominciò col dire che, nonostante tutte le spiegazioni, la paura dei cavalli non era diminuita. Dovemmo anche convenire che tra i cavalli, di cui aveva paura, e i moti palesi di tenerezza verso la madre, non c’erano molte relazioni. Ciò che sapevamo non era certo in grado di spiegare i particolari che appresi soltanto allora: che lo infastidiva soprattutto ciò che i cavalli hanno davanti agli occhi e il nero intorno alla loro bocca.
Ma mentre guardavo i due seduti davanti a me e ascoltavo la descrizione dei cavalli che incutevano paura, mi venne improvvisamente in mente un altro pezzo della soluzione, tale, come capii, da sfuggire proprio al padre. Chiesi a Hans in tono scherzoso se i suoi cavalli portassero gli occhiali, e il piccino disse di no; poi se il suo papà portasse gli occhiali, e anche questa volta egli negò, nonostante fosse evidente il contrario; gli chiesi ancora se con il nero intorno alla “bocca” non intendesse dire i baffi, e infine gli rivelai che egli aveva paura del suo papà, e proprio perché lui, Hans, voleva tanto bene alla mamma. Credeva che perciò il babbo fosse arrabbiato con lui, ma non era vero, il babbo gli voleva bene lo stesso e lui gli poteva confessare tutto senza paura. Già tanto tempo prima che lui venisse al mondo, io già sapevo che sarebbe nato un piccolo Hans che avrebbe voluto così bene alla sua mamma da aver paura, per questo, del babbo, e tutto questo l’avevo raccontato al suo papà.
“Come puoi credere che io sia arrabbiato con te? “ m’interruppe il padre,” t’ho mai sgridato o picchiato”?
“Oh si” lo corresse Hans, “ mi hai picchiato”.
“ Non è vero; ma quando“?
“ Questa mattina” rispose il bambino, e il padre si ricordò che al mattino Hans gli si era gettato all’improvviso con la testa contro la pancia e che, quasi automaticamente, egli aveva risposto con uno scappellotto.
Fatto singolare, il padre non aveva messo in riferimento questo particolare col contesto della nevrosi; ora però si rese conto ch’esso costituiva un’espressione della disposizione ostile del piccino verso di lui e fors’anche del bisogno di ricevere una punizione per questo.
Ritornando a casa Hans chiese al padre: “ Com’è che il professore sapeva già tutto prima? Forse parla col buon Dio “? Sarei straordinariamente fiero di questo riconoscimento per bocca di un bambino, se non l’avessi provocato io stesso con la mia scherzosa vanteria.
Dopo quella visita ricevetti quasi ogni giorno ragguagli sulle variazioni dello stato del piccolo paziente. Non ci si poteva aspettare che, grazie alla mia spiegazione, egli si liberasse di colpo delle sue angosce; si vide però che ora gli era offerta la possibilità di portare avanti le sue produzioni inconsce e dipanare la sua fobia. Da quel momento in poi Hans attuò un programma che potei preannunciare al genitore.
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Il padre cominciò dunque a porre al figlio le domande suggerite da Freud, annotandole in un diario.
Eccone alcuni stralci:
– Il 2 aprile si nota il primo reale miglioramento . Finora non era mai stato possibile convincerlo a trattenersi per un po’ di tempo fuori del portone, e quando si avvicinava un cavallo rientrava a precipizio in casa, spaventatissimo; oggi invece è rimasto davanti al portone un’ora, anche quando passava qualche carrozza, il che avviene piuttosto spesso davanti a casa nostra. Qualche volta, vedendo da lontano una carrozza, faceva per correr dentro, ma poi tornava indietro subito, come se ci avesse ripensato. Ad ogni modo, l’angoscia sembra ridotta a un residuo e i progressi avvenuti dopo la spiegazione sono innegabili.
– La sera dice: “Adesso che arriviamo fino davanti al portone, possiamo anche andare al Parco municipale”.
– La mattina del 3 aprile viene a letto da me, mentre negli ultimi giorni non era mai venuto e anzi sembrava fiero di questa sua riservatezza. Gli chiedo: “ Perché oggi sei venuto”?
– Hans: “Quando non ho più paura non vengo più”.
– Io: “ Allora tu vieni da me perché hai paura”?
– Hans: “Quando non sto con te, ho paura; quando non sto a letto con te, ho paura, ecco. Quando non avrò più paura, non vengo più”.
-Io: “Allora tu mi vuoi bene, e la mattina presto a letto hai paura, e perciò vieni da me”?
– Hans: “ Si. Perché mi hai detto che io voglio bene alla mamma e che è per questo che ho paura, mentre invece io voglio bene a te” ?
Il piccolo è qui straordinariamente esplicito. Egli fa capire che in lui l’amore per il padre è in conflitto con l’ostilità verso il padre, rivale nei confronti della madre, al quale egli fa il rimprovero di non avergli fatto rilevare questo gioco di forze opposte che doveva trovar sfogo nell’angoscia. Il padre non comprende ancora completamente suo figlio perché, durante questo colloquio, non fa che convincersi della sua ostilità verso di lui, quell’ostilità ch’io gli avevo fatto rilevare nell’ultima visita. Ciò che segue serve in realtà a dimostrare più i progressi del padre che quelli del figlio; tuttavia lo riferirò senza cambiare nulla.
– Purtroppo non comprendo subito il senso di questa obiezione. Poiché Hans ama la mamma, vuole evidentemente che io non ci sia più, in modo da mettersi al posto del padre. Questo desiderio ostile represso si tramuta in angoscia per la sorte del padre, sicché egli viene la mattina da me per vedere se ci sono ancora. Questa spiegazione non mi viene purtroppo in mente lì per lì, e gli dico:
– “ Quando tu sei solo, è che hai paura per me e allora mi vieni a trovare”.
– Hans: “ Quando tu sei via, io ho paura che non torni più a casa”.
– Io: “Forse ti ho minacciato qualche volta di non tornare più?
– Hans: “ Tu no, ma mamma sì. La mamma mi ha detto che non ritornava più a casa – (probabilmente aveva fatto i capricci e la mamma l’aveva minacciato di andarsene).
– Io: “Questo l’ha detto perché tu eri cattivo”.
– Hans: “Sì”.
– Io: “ Tu perciò hai paura che io me ne vada via perché sei stato cattivo, e allora vieni da me”.
– Appena fatta colazione mi alzo da tavola e Hans dice: “ Papà, perché trotti subito via” ? Noto che ha detto ‘trotti’ invece di ‘corri’ e gli rispondo: “ Ah, ecco! tu hai paura che il cavallo trotti via”. Hans ride.
Autori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Spiegazione teorica
Freud spiegò che l’angoscia di Hans aveva due componenti: la paura del padre e la paura per il padre. La prima proveniva dall’ostilità verso il padre, la seconda dal conflitto tra tenerezza, esagerata per reazione, e ostilità.
Quanto alle fobie, Freud concluse che fobie come quelle sviluppate del piccolo Hans sono assai comuni nei bambini, ma che spesso esse vengono represse da una eccessiva severità educativa.
Le nevrosi degli adulti si riallacciano dunque spesso ad angosce infantili e di fatto ne sono la continuazione, dimostrando così la continuità di un lavorio psichico che va avanti per tutta la vita del soggetto, indipendentemente dalla persistenza del primo sintomo.
Per Hans, aggiunse Freud, l’aver prodotto la fobia fu, tutto sommato, una cosa salutare, poiché essa da una parte era servita a richiamare l’attenzione dei genitori sulle difficoltà del bambino, dall’altra aveva fatto accorrere il padre in suo aiuto…
Il trattamento della nevrosi infantile di Hans, la possibilità di aver trattato il suo complesso edipico sin dall’età giovanile, togliendogli dunque “quel germe di complessi rimossi che influisce sulla vita futura, attraverso una deformazione del carattere o la disposizione ad una successiva nevrosi” poteva, secondo Freud, aver privilegiato lo sviluppo di Hans rispetto ad altri bambini. Scrisse infatti in proposito: “Questo è il parere cui sono incline, ma non so quanti altri condivideranno tale giudizio e non so neppure se l’esperienza mi darà ragione”.
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta
Le conseguenze dell’analisi
Freud era convinto che questa analisi infantile avrebbe favorito lo sviluppo psicosessuale del bambino e non pensava minimamente che avrebbe potuto provocare alcun danno.
Scrive infatti Freud:
“Le uniche conseguenze dell’analisi sono che Hans guarisce, che non ha più paura dei cavalli e che assume una specie di tono cameratesco con il padre, come questi ci riferisce divertito”.
Fosse stato per lo psicoanalista, lui avrebbe esplicitato al bambino molto di più di quello che gli era stato detto:
“Se la cosa fosse dipesa soltanto da me avrei osato dare al bambino anche una spiegazione che i genitori ritennero di ricusargli. Avrei confermato i suoi presentimenti istintivi rivelandogli l’esistenza della vagina e del coito, e in tal modo avrei ulteriormente ridotto i suoi residui insoluti e messo fine al suo torrente di domande. Sono convinto che non ne avrebbero sofferto né il suo amore per la mamma né la sua natura di bimbo e che avrebbe compreso egli stesso che, per occuparsi di queste importanti, anzi imponenti questioni, avrebbe dovuto attendere in pace che si fosse adempiuto il suo desiderio di diventare grande. Ma l’esperimento pedagogico non fu condotto così a fondo”.
Dove avrebbe dovuto spingersi l’educazione dei bambini, alla luce delle teorie psicoanalitiche?
Freud si dà questa risposta:
“È ancora difficile rispondere con sicurezza. Finora, essa si è posta per compito soltanto il dominio, o meglio la repressione delle pulsioni. I risultati sono stati tutt’altro che soddisfacenti e dove si è avuto qualche successo, questo ha riguardato soltanto un esiguo numero di privilegiati sfuggiti alla pretesa della repressione pulsionale. D’altra parte nessuno si è domandato per quali vie e in virtù di quali sacrifici si raggiunga la repressione delle pulsioni imbarazzanti.
Se per contro noi sostituiamo a questo compito un altro, quello di rendere l’individuo atto alla civiltà e utile membro del consorzio umano, senza chiedergli di sacrificare la propria attività più di quanto non sia strettamente necessario, ecco che allora i chiarimenti datici dalla psicoanalisi sull’origine dei complessi patogeni e sul nucleo di ciascheduna nevrosi meriteranno giustamente di essere considerati dall’educatore una guida di inestimabile valore per la condotta da tenere nei confronti del bambino.
Quali conclusioni pratiche se ne possano trarre, fino a che punto l’esperienza possa giustificare l’applicazione di tali conclusioni nel nostro sistema sociale, lascio ad altri di decidere e di giudicare”.
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ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE
In conclusione
Freud vede in questo caso solo una riconferma delle sue teorie, la prova che effettivamente alcuni disturbi nascono nell’infanzia, come aveva teorizzato, ascoltando gli adulti che parlavano della loro infanzia:
Quest’analisi, non m’ha rivelato, in senso stretto, nulla di nuovo, nulla che non avessi già appreso (spesso in modo meno chiaro e meno immediato) durante la cura di altri pazienti in età matura.
Ma, poiché le nevrosi di questi altri malati potevano sempre esser ricondotte a quegli stessi complessi infantili che abbiamo scoperto dietro la fobia di Hans, sono tentato di annettere a questa nevrosi infantile l’importanza di un modello e di un tipo, opinando che la molteplicità dei fenomeni nevrotici di rimozione e l’abbondanza del materiale patogeno non impediscano la loro derivazione da pochissimi processi riguardanti gli stessi complessi rappresentativi”.
Hans diventa grande
La storia del piccolo Hans ha una sorpresa finale: Hans che diventa grande e che va a leggere il caso che lo riguarda (senza riconoscersi negli scritti di Freud) e poi va a trovare lo psicoanalista, il quale annota in un poscritto del 1922:
Qualche mese fa – primavera del 1922 – mi si presentò un giovanotto dichiarando di essere il “piccolo Hans”, sulla cui fobia infantile avevo pubblicato un rapporto nel 1909. Fui molto lieto di rivederlo, poiché circa due anni dopo la conclusione dell’analisi l’avevo perso di vista e per oltre un decennio non avevo saputo più nulla di lui. La pubblicazione di quella prima analisi di un bambino aveva suscitato molto rumore e ancor maggiore indignazione; tutte le sventure erano state profetate al povero ragazzo, violato nella sua innocenza e vittima di una psicoanalisi in sì tenera età.
Ma nessuna di queste profezie si era verificata. Hans adesso era un prestante giovane di diciannove anni. Mi disse che stava perfettamente bene e che non soffriva di disturbi o inibizioni di alcun genere.
Non soltanto aveva attraversato indenne la pubertà, ma aveva sopportato senza conseguenze una delle più dure prove della sua vita emotiva: i genitori avevano divorziato passando ambedue a nuove nozze.
Perciò egli viveva solo, pur mantenendo buone relazioni con tutt’e due i genitori: gli rincresceva soltanto che, scioltasi la famiglia fosse rimasto separato dalla giovane sorella che gli era molto cara.
Particolarmente notevole mi apparve una delle cose che mi disse il piccolo Hans, e di cui non tenterò neppure di dare una spiegazione. Dichiarò che, quando aveva letto il suo caso clinico, tutto gli era parso estraneo, non si riconosceva, non si ricordava di nulla, solo leggendo del viaggio a Gmunden gli era balenata l’idea, quasi un barlume di ricordo, di poter essere stato lui.
Come si spiegò Freud questo mancato riconoscimento del giovane Herbert nel caso del piccolo Hans?
Questa è la risposta di Freud:
L’analisi dunque, lungi dall’aver preservato gli avvenimenti dall’amnesia, vi era essa stessa soggiaciuta. Succede talvolta in modo simile nel sonno a chi ha familiarità con la psicoanalisi: costui è destato da un sogno, decide di analizzarlo senza indugio, si riaddormenta soddisfatto del risultato, e il giorno dopo sogno e analisi sono dimenticati.
Critiche e limiti del caso
Il caso del piccolo Hans ha suscitato, nel corso dei decenni, molte critiche. Alcuni studiosi hanno sottolineato i limiti metodologici della raccolta dei dati, condizionata dalla forte influenza delle teorie freudiane già accettate dal padre di Hans. Altri hanno messo in discussione la validità delle interpretazioni simboliche fornite da Freud, ritenendole troppo legate al modello edipico e poco aperte ad altre possibili spiegazioni (ad esempio fattori ambientali, esperienze traumatiche dirette, o modelli di apprendimento).
Inoltre, va sottolineato che Freud non lavorò mai direttamente con il bambino in modo continuativo, il che solleva interrogativi sull’effettiva accuratezza diagnostica.
Il contributo alla storia della psicoanalisi
Nonostante le critiche, il caso del piccolo Hans rimane una pietra miliare nella storia della psicoanalisi. È stato uno dei primi tentativi sistematici di applicare i concetti della teoria psicoanalitica alla psicopatologia infantile. Ha aperto la strada allo sviluppo della psicoterapia con i bambini e ha contribuito alla comprensione delle dinamiche inconsce nel periodo evolutivo.
La lettura del caso offre ancora oggi spunti di riflessione su come i bambini esprimano il disagio psicologico attraverso sintomi simbolici, e su come il contesto familiare possa diventare sia fonte di conflitto sia risorsa terapeutica.
Fonti:
S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni, Opere, Boringhieri
Ernest Jones Vita e opere di Freud, 2 gli anni della maturità 1901-1919
Dr. Giuliana Proietti
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Wikimedia

Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.
- Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
- Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.
Per appuntamenti:
347 0375949 (anche whatsapp)
mail: g.proietti@psicolinea.it
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