L'intelligenza: che cos'è?

L’intelligenza: che cos’è?

L’intelligenza: cos’è?

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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L’intelligenza è la capacità di comprendere, apprendere, ragionare e risolvere problemi. Si manifesta in forme diverse, da quella logico-matematica a quella emotiva, e si adatta ai contesti e alle sfide della vita quotidiana. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa si intende per “intelligenza”?

Dal punto di vista etimologico sembra che la parola derivi dal sostantivo latino intelligentĭa, a sua volta proveniente dal verbo intelligĕre, “capire”. Il vocabolo intelligĕre deriva dalla contrazione del verbo legĕre, “leggere”, con l’avverbio intŭs, “dentro”; chi aveva intelligentĭa era dunque qualcuno che sapeva “leggere-dentro”, ovvero “leggere oltre la superficie”, comprendere ogni aspetto, anche quelli non apparenti.

Secondo altre interpretazioni, intelligĕre sarebbe una contrazione di legĕre con la preposizione ĭnter, “tra”; in tal caso il termine avrebbe indicato una capacità di “leggere tra le righe” o di stabilire delle correlazioni tra elementi.

Quanto alla definizione di intelligenza, non se ne è ancora trovata una perfettamente esaustiva, che permetta di spiegare la complessità dell’argomento. Non si tratta infatti di una abilità unitaria, qualcosa che si possiede o non si possiede, oppure un fenomeno che viene considerato da tutti allo stesso modo.

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Come viene definita l’intelligenza?

Vi è una grande varietà di definizioni sull’ intelligenza: tutte giuste a loro modo, ma dove ciascuna mette in evidenza qualcosa di specifico. Per fare un esempio, citiamone alcune:

  • è l’abilità di pensare astrattamente” Terman;
  • è la capacità di acquisire capacità” Woordrow;
  • è il potere di dare buone risposte dal punto di vista della verità o dei fatti” Thorndike
  • è la capacità di pensare, ragionare e capire invece di fare le cose automaticamente o per istinto” Collins.
  • è la capacità di comprendere e pensare alle cose e di acquisire e usare la conoscenza” MacMilian.
  • è il complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e adattarsi all’ambiente“. Treccani
  • “è la capacità generale di adattare il proprio pensiero e condotta di fronte a condizioni e situazioni nuove”  Stern
  • “è la misura della capacità di un agente di raggiungere obiettivi in una varietà ampia di ambienti”Legg e Hutter
  • è  intelletto, ingegno; prontezza e vivacità di mente; abilità e perizia nel fare qualcosa” Sabatini Coletti.

Da quanto tempo si cerca di comprendere la natura dell’intelligenza umana?

Sin dai tempi dell’antica Grecia con Socrate, Platone e Aristotele.

Socrate non lasciò nulla di scritto, tutto ciò che sappiamo di lui è grazie agli scritti di Aristofane, Senofonte, Platone e Aristotele. Platone, discepolo di Socrate, era entusiasta della grandezza del maestro, il quale divenne nella maggior parte dei suoi dialoghi giovanili, detti anche socratici, il protagonista. Platone racconta che Socrate procedeva interrogando una o più persone su un determinato concetto, come il coraggio o la giustizia, esponendo alla fine le contraddizioni presenti nei loro assunti iniziali e provocando così una ristrutturazione del concetto stesso, alla luce delle riflessioni svolte. Secondo Socrate l’intelligenza è fondamentale, perché rende liberi, mentre l’ignoranza rende schiavi.

Platone sosteneva che la ragione può portare ben oltre i confini del buon senso e dell’esperienza quotidiana, fino ad arrivare al mondo delle idee (l’Iperuranio è quella zona, al di là del cielo, dove risiedono le idee). Una vita piena di piaceri, ma priva di pensiero non è, per Platone una vita buona, degna di un uomo, soprattutto perché è solo grazie all’intelligenza che si può distinguere il piacere dal non piacere.

Aristotele sosteneva che gli esseri umani avessero una capacità unica di ragionare, e quindi il supremo bene e la felicità consistono nel condurre una vita di contemplazione razionale. Partendo da quanto afferma Aristotele nel Libro X dell’Etica Nicomachea, in cui si dice che “l’uomo più di ogni altra cosa è ragione, e la vita della ragione è la più autosufficiente, la più piacevole, la più felice, la migliore e la più divina di tutte“.Nei secoli successivi, la ragione divenne una proprietà divina, trovata nell’uomo in quanto fatto a immagine di Dio.

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La persona intelligente deve questa sua qualità alla genetica o all’esperienza di vita?

In passato vi sono state molte polemiche sull’origine dell’intelligenza: essa è dovuta all’ereditarietà o all’ambiente? I genetisti sostenevano che essa fosse determinata in larghissima parte dal corredo genetico ed in misura minima dall’ambiente e dalle esperienze vissute; gli ambientalisti erano invece di parere esattamente opposto.

Per questa ragione l’intelligenza è stata differenziata anche in “Intelligenza A” e “Intelligenza B“. Nella forma A si intende la potenzialità genetica dei singoli individui, quella ricevuta come corredo genetico dai genitori; nella forma B si intende quella che si riesce a sviluppare con l’esperienza e l’apprendimento.

Porre la questione in termini alternativi in realtà non ha molto senso, perché appare evidente che sono importanti sia i fattori genetici, sia i fattori ambientali, dal momento che insieme concorrono a formare un tratto molto complesso.

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Quali sono le più importanti teorie psicologiche sull’intelligenza?

Le acquisizioni sperimentali della psicologia sono procedute in 5 direzioni di studio: 

a) l’intelligenza si sviluppa sulla base di assimilazioni (associazionismo);
b) l’immagine è un’imitazione interiorizzata che presuppone un elemento attivo, di livello superiore alla percezione (scuola di 
Würzburg);
c) l’intelligenza procede per operazioni che dirigono le immagini e i concetti (Claparède, C.E. Spearman);
d) la conoscenza è strutturazione (Gestalt);
e) la percezione è anteriore all’immagine e quest’ultima non può aver luogo prima dell’apparizione del linguaggio, che è la prima forma di pensiero simbolico (Piaget)

L’intelligenza può essere misurata?

I primi a farlo furono Binet e T. Simon (1905), autori della prima scala metrica di valutazione dell’intelligenza. In seguito,  W. Stern introdusse il concetto del quoziente intellettuale (rapporto fra età mentale ed età cronologica). Da allora le tecniche diagnostiche si sono andate precisando con nuovi strumenti di misurazione e con metodologie statistico-matematiche di valutazione.

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In cosa consiste la teoria delle intelligenze multiple?

Lo psicologo statunitense Howard Gardner, ha distinto 9 manifestazioni fondamentali dell’intelligenza, derivanti da strutture differenti del cervello e indipendenti l’una dall’altra. Ci sono persone che brillano in una particolare area e che sono carenti in un’altra. I nove macro-gruppi intellettivi sono i seguenti:

  1. Linguistico
  2. Logico-Matematico
  3. Spaziale
  4. Corporeo-Cinestesico
  5. Musicale
  6. Intrapersonale
  7. Interpersonale
  8. Naturalistico
  9. Esistenziale

Sebbene queste capacità intellettive siano più o meno innate negli individui, esse non sono statiche e possono essere sviluppate mediante l’esercizio, potendo anche “decadere” col tempo. Gardner ha sostenuto che classificare tutte le manifestazioni dell’intelligenza umana sarebbe un compito troppo complesso, dal momento che ogni macro-gruppo contiene vari sottotipi.

Cosa è l’intelligenza emotiva?

L’intelligenza emotiva è un aspetto dell’intelligenza legato alla capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie ed altrui emozioni. L’intelligenza emotiva si distingue in tre rami principali:

  • Valutazione ed espressione delle emozioni
  • Regolazione delle emozioni
  • Utilizzo delle emozioni

allo scopo di raggiungere una crescita personale.

Il tema dell’intelligenza emotiva è stato divulgato nel 1995 da Daniel Goleman nel libro “Emotional Intelligence” tradotto in italiano nel 1997 “Intelligenza emotiva che cos’è perché può renderci felici”. Grazie a questo libro anche in Italia il tema dell’intelligenza emotiva ha iniziato ad essere utilizzato e studiato, sia in ambito psicologic,22 sia in ambito aziendale.

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C’è correlazione fra intelligenza e scolarità?

Sicuramente c’è una forte correlazione fra intelligenza e scolarità e questo è dovuto sia al fatto che, in genere, gli individui più intelligenti frequentano la scuola più a lungo, sia al fatto che frequentare la scuola più a lungo rende più intelligenti.

Quanto c’entra la “razza”?

Per lunghi anni si è ritenuto che l’uomo bianco fosse l’individuo più intelligente di tutti gli altri. Per questa ragione vi sono stati ampi dibattiti volti a cercare di comprendere se valesse la pena dare istruzione a soggetti che, per loro natura, non erano intelligenti, come i neri o le donne.

La ricerca ha tuttavia mostrato che sono le condizioni di vita a determinare il maggior livello intellettivo e non i fattori genetici.


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Gli anziani sono meno intelligenti dei giovani?

La concezione secondo la quale l’invecchiamento comporta necessariamente un impoverimento intellettivo è oggi ampiamente superata. Le abilità cognitive vengono infatti divise in due categorie: quelle particolarmente sensibili all’età (memoria associativa, agilità mentale, velocità di organizzazione) e quelle che addirittura migliorano nell’età matura (prove di vocabolario e di informazione) facendo raggiungere agli anziani punteggi perfino superiori a quelli dei giovani.

In ogni caso, quando si parla di anziani non si può generalizzare: vi sono differenze notevoli fra un individuo anziano e un altro, come fra certe abilità che migliorano nel tempo ed altre che invece mostrano un certo declino, a seconda dell’uso che se ne fa nella vita.

Ci sono poi le malattie: ad esempio, nella malattia di Alzheimer, la forma più comune di demenza, vi è un disturbo di molteplici funzioni corticali superiori tra cui memoria, pensiero, orientamento, comprensione, calcolo, capacità di apprendimento, linguaggio e giudizio.

L’intelligenza può migliorare o peggiorare, o rimane sempre uguale a se stessa?

Un tempo si pensava che l’intelligenza fosse soprattutto espressione di un potenziale ereditario: ci si attendeva che il livello di intelligenza di una persona restasse immutato per tutta la vita. Oggi le ricerche, sempre più approfondite sulla natura dell’intelligenza, hanno portato invece a concepirla come un fattore complesso e dinamico, che varia da persona a persona e che, nell’arco di vita dell’ individuo, può variare moltissimo da periodo a periodo.

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La donna è meno intelligente dell’uomo?

Quanto al livello di intelligenza, in passato la donna veniva considerata meno intelligente dell’uomo e si sosteneva questa tesi attraverso la dimostrazione che la donna, nei secoli, non aveva compiuto realizzazioni o scoperte scientifiche pari a quelle maschili.

Oggi, potendo valutare le cose con maggiore obiettività, è facile riconoscere che la considerazione è senz’altro giusta, ma che tale disparità fra i sessi non è imputabile alla carenza di intelligenza nella donna, quanto alle ragioni sociali e culturali, che hanno notevolmente influito, in senso negativo, sulla possibilità di sviluppo delle capacità intellettuali femminili.

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ospedalizzazione degli anziani

L’ospedalizzazione degli anziani e le funzioni cognitive

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L’invecchiamento della popolazione è una delle sfide più rilevanti per i sistemi sanitari moderni. Tra le molteplici criticità che emergono, l’ospedalizzazione ripetuta o prolungata delle persone anziane rappresenta un fattore di rischio spesso sottovalutato per il declino delle funzioni cognitive.

Declino cognitivo e ospedalizzazione: una correlazione documentata

Diversi studi internazionali mostrano come l’ospedalizzazione, specie se prolungata o associata a eventi critici (chirurgia, infezioni gravi, immobilizzazione), possa accelerare il declino delle funzioni cognitive negli anziani. In particolare, la letteratura indica che i pazienti ultra 70enni presentano un rischio significativamente maggiore di sviluppare deliri acuti (delirium) o un deterioramento cognitivo persistente in seguito a un ricovero ospedaliero.

Questi dati si aggravano ulteriormente in presenza di comorbidità, polifarmacoterapia e ridotta mobilità durante la degenza.

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Il ruolo del delirium

Uno dei principali fattori predittivi del deterioramento cognitivo post-ospedaliero è il “delirium”, uno stato acuto di confusione che si manifesta con disorientamento, fluttuazioni dell’attenzione e alterazioni della coscienza. Il delirium non è solo un sintomo passeggero, ma un indicatore prognostico negativo: studi longitudinali dimostrano che fino al 60% degli anziani che sperimentano un episodio di delirium in ospedale mostra un declino cognitivo anche a distanza di mesi dal ricovero (Inouye et al., 2006).

Meccanismi alla base del deterioramento cognitivo

Le ipotesi principali riguardano:

  • la disconnessione ambientale (luoghi non familiari, perdita dei riferimenti quotidiani);
  • la deprivazione sensoriale (soprattutto in assenza di occhiali o apparecchi acustici);
  • l’immobilità prolungata e la scarsa stimolazione cognitiva;
  • la frammentazione del sonno e lo stress fisiologico causato da patologie acute;
  • l’uso di farmaci psicotropi o sedativi.

Prevenzione e buone pratiche cliniche

Il fenomeno non è inevitabile. Numerosi protocolli ospedalieri mirano oggi a ridurre l’impatto del ricovero sulle funzioni cognitive. Tra le strategie più efficaci si segnalano:

  • la mobilizzazione precoce del/la paziente;
  • il coinvolgimento dei familiari per favorire l’orientamento;
  • la reintroduzione di oggetti familiari nella stanza (foto, orologi, radio);
  • l’uso prudente di farmaci ad azione sul sistema nervoso centrale;
  • l’intervento di figure professionali come psicologi, fisioterapisti e terapisti occupazionali per mantenere le funzioni cognitive e motorie.

Consigli pratici per caregiver e familiari

Chi si prende cura di una persona anziana ospedalizzata può svolgere un ruolo fondamentale nel preservarne le funzioni cognitive. Ecco alcune indicazioni utili:

  • Favorire la comunicazione: parlare spesso con la persona ricoverata, anche solo per pochi minuti al giorno, contribuisce a mantenerla orientata e a ridurre lo stress emotivo.
  • Portare oggetti familiari: fotografie, un libro amato o una coperta conosciuta aiutano a mantenere il senso di continuità con l’ambiente domestico.
  • Stimolare l’orientamento: ricordare gentilmente la data, il giorno della settimana, il nome dell’ospedale e lo scopo del ricovero può ridurre la confusione mentale
  • Incoraggiare il movimento: anche solo alzarsi dalla sedia o fare brevi camminate assistite, se possibile, aiuta a prevenire il declino motorio e cognitivo.
  • Monitorare i farmaci: se si notano segni di disorientamento o sonnolenza eccessiva, è importante parlarne con il/la medico/a per rivedere le terapie farmacologiche in atto.

Un ricovero può essere un’esperienza disorientante, ma con attenzione e supporto si può proteggerne anche la dimensione mentale e relazionale, salvaguardando la qualità della vita dell’anziano o dell’anziana anche dopo le dimissioni.

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Effetto Aha

Effetto Aha: trovare la soluzione del problema

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L’effetto aha è quell’illuminazione improvvisa che si verifica quando comprendiamo una soluzione o un concetto che fino a poco prima ci sfuggiva. Questo fenomeno, noto anche come insight, è stato studiato in psicologia cognitiva e neuroscienze per comprendere come il cervello riorganizzi le informazioni e trovi risposte innovative. Cerchiamo di saperne di più.

Che cos’è l’Effetto Aha?

L’effetto aha è l’esperienza soggettiva di un’improvvisa comprensione, spesso accompagnata da una sensazione di piacere e soddisfazione. È quel momento in cui tutto sembra andare al suo posto, dopo un periodo di incertezza o confusione. Questo processo è molto diverso dalla risoluzione di problemi analitici, dove la soluzione emerge attraverso un ragionamento passo dopo passo.

L’effetto aha può manifestarsi in diversi contesti:

  • Nella risoluzione di problemi: quando finalmente capiamo come risolvere un enigma o un quesito complesso.
  • Nel linguaggio e nella comunicazione: quando il significato di una battuta o di un doppio senso ci diventa improvvisamente chiaro.
  • Nella creatività: quando una nuova idea emerge spontaneamente nella nostra mente.

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Quali sono i meccanismi cognitivi dietro l’insight?

Le ricerche neuroscientifiche suggeriscono che il cervello lavora in due modi principali per risolvere problemi:

  • Processi analitici: coinvolgono un ragionamento logico e sistematico.
  • Processi intuitivi: basati su connessioni inconsce e riorganizzazione delle informazioni.

L’effetto aha è legato al secondo tipo di processo. Studi di neuroimaging hanno mostrato che, prima di un momento di insight, si verifica un aumento dell’attività nelle aree del cervello associate alla creatività e alla ristrutturazione cognitiva, in particolare la corteccia temporale anteriore destra. Inoltre, l’elettroencefalografia (EEG) ha rivelato un picco di onde gamma subito prima del momento aha, suggerendo un’attivazione improvvisa di reti neurali.

Quali sono le principali caratteristiche dell’effetto Aha?

La letteratura scientifica elenca quattro caratteristiche principali di questa esperienza:

  • Subitaneità: L’esperienza è sorprendente ed immediata;
  • Facilità: rispetto agli ostacoli incontrati in precedenza, i rimedi della soluzione appaiono semplici e facili;
  • Effetto positivo: visto che si è trovata la soluzione, l’esperienza viene considerata positiva;
  •  Sensazione di essere nel giusto: la soluzione viene considerata efficace ancor prima che venga messa in pratica.

Il rilascio di dopamina nel cervello rafforza il valore della scoperta, aumentando la probabilità che il nuovo apprendimento venga consolidato nella memoria.

Alcuni studi hanno anche dimostrato che uno stato emotivo positivo facilita il verificarsi di insight. Ad esempio, essere rilassati e in uno stato mentale aperto può favorire la creazione di connessioni inaspettate tra le informazioni.

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Quali condizioni aumentano la probabilità che si verifichi un effetto Aha?

Nonostante l’effetto aha sembri spontaneo, alcune condizioni ne aumentano la probabilità:

  • Periodo di incubazione: dopo aver lavorato a un problema, prendersi una pausa permette al cervello di riorganizzare le informazioni inconsciamente.
  • Stato di rilassamento: attività come camminare, meditare o fare la doccia sono spesso associate a momenti di insight.
  • Ampia conoscenza pregressa: più informazioni si hanno a disposizione, più è probabile che il cervello trovi connessioni innovative.

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Sebbene la fenomenologia dell’insight sia ben conosciuta, nessuna teoria precedente aveva combinato le quattro caratteristiche. Gli autori si sono ispirati a recenti ricerche sull’argomento, come ad esempio uno studio che ha scoperto che l’immediatezza di un’esperienza dà la sensazione della sua correttezza e la sensazione di piacevolezza nel trovare una soluzione che appare vera sin dall’inizio e che arriva come una sorpresa, dopo tanti ragionamenti.

L’insight è dunque un’esperienza che si fa durante o successivamente ai tentativi di problem solving: la soluzione viene in mente con facilità e all’improvviso, fornendo una sensazione di piacere, oltre che la convinzione che la soluzione sia corretta ed efficace. L’effetto “Aha”, insomma.

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Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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Il simbolo: origine esempi e significati

Il simbolo: origine esempi e significati

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Cosa è un simbolo?

Un simbolo è un segno, un marchio o una parola che rappresenta un’idea, un oggetto o una relazione.

Perché il simbolo è essenziale nella comunicazione?

Perché consente agli individui di esprimere idee complesse attraverso rappresentazioni semplici. Ad esempio, un ottagono rosso indica universalmente “STOP”, mentre una rosa rossa spesso simboleggia amore.

Da cosa deriva la parola “simbolo”?

Il termine “simbolo” ha le sue radici nella parola greca antica σύμβολον (súmbolon), che significa “un segno da cui si deduce qualcosa.” Questo deriva dal verbo “symballein”, che significa “mettere insieme” o “confrontare,” riflettendo l’idea di connessione intrinseca nei simboli.

Nell’antica Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello, una moneta o qualsiasi oggetto e di darne una metà ad un amico o ad un ospite. Queste metà, conservate dall’una e dall’altra parte, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti dei due amici di riconoscersi. Questo segno di riconoscimento si chiamava ‘simbolo’.

Il simbolo, dunque, evocando la sua parte corrispondente, rinvia ad una determinata realtà che non è decisa dalla convenzione, ma dalla ricomposizione di un intero.

Nel simbolo dunque c’è un richiamo all’origine, dove resta nascosta e gelosamente custodita la verità originaria o la fonte da cui si dischiudono nuovi sensi e nuovi significati.

Le forme latine “symbolus” e “symbolum” avevano significati simili.

Durante il periodo rinascimentale, la parola si è evoluta per significare qualcosa che evoca idee astratte attraverso la sua forma o natura. 

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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In quali ambiti vengono usati i simboli?

I simboli vengono usati in vari ambiti:

Comunicazione: Sono fondamentali per tutte le forme di comunicazione, consentendo agli individui di esprimere idee che trascendono i significati letterali. Ad esempio, i numeri rappresentano quantità, mentre le lettere simboleggiano suoni.

Arte e Letteratura: Nelle arti, i simboli fungono da elementi concreti che rappresentano concetti astratti. Ad esempio, in letteratura, le azioni di un personaggio possono simboleggiare temi più ampi come la libertà o l’oppressione.

Rappresentazioni Culturali: I simboli spesso incarnano valori culturali e identità. Ad esempio, le bandiere nazionali simboleggiano il patriottismo e l’unità tra i cittadini.

Interpretazione Psicologica: In psicologia, i simboli possono rappresentare desideri e conflitti inconsci. Ad esempio, i sogni spesso contengono simboli che riflettono pensieri o emozioni represse.

Quale materia studia il significato dei simboli?

E’ la semiotica, che esplora come il significato venga costruito e compreso attraverso le varie rappresentazioni simboliche.

Quali sono i simboli più comuni usati nella nostra vita?

Ecco alcuni dei simboli più comuni nella nostra vita quotidiana:

  • Simboli Matematici: come + (più) e – (meno), che rappresentano operazioni.
  • Simboli Culturali: la colomba è ampiamente riconosciuta come simbolo di pace.
  • Simboli Letterari: in letteratura, la rosa può simboleggiare amore o bellezza.
  • Simboli stradali: il semaforo indica il traffico e le regole di precedenza (rosso per fermarsi, verde per andare).
  • Simboli di sicurezza:  il triangolo giallo indica un avviso o un pericolo potenziale.
  • Simboli nei Servizi Pubblici: icone stilizzate che indicano i servizi igienici per uomini e donne.
  • Simboli informatici: le icone delle applicazioni rappresentano diverse funzioni nei dispositivi elettronici (ad esempio, il simbolo della posta elettronica per l’email).
 

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Una intervista sui rapporti familiari

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Il caso Uri Geller la CIA ed i poteri della mente

Il caso Uri Geller, la CIA ed i poteri della mente

Il caso Uri Geller, la CIA ed i poteri della mente


Articolo datato

È di questi giorni la notizia che la Cia ha reso pubblici milioni di pagine e documenti, ormai declassificati, relativi agli anni settanta, in cui si pensava di utilizzare persone con poteri eccezionali della mente a scopo di spionaggio.

(I documenti erano già pubblici da qualche anno, ma potevano essere consultati esclusivamente attraverso i computer siti presso i National Archives del Maryland. Oggi invece le notizie sugli studi dell’Intelligence americana possono essere acquisite tramite un semplice click sul sito della Cia).

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Fra le persone studiate dalla Cia vi è Uri Geller, classe 1946, israeliano. Geller in quel periodo divenne una celebrità come sensitivo, esperto di telecinesi, rabdomanzia e telepatia, ma soprattutto in quanto capace di piegare i cucchiai con la sola forza del pensiero. Geller è ancora vivente, ha un sito Internet e, come si legge sul suo sito, si vanta di aver previsto, con successo, la vittoria di Donald Trump.

Come racconta nella sua biografia, Geller sarebbe venuto a conoscenza dei suoi poteri insoliti quando aveva cinque anni. Un giorno, durante un pasto, il cucchiaio gli si raggomitolò sulla mano e si ruppe, anche se lui, così sosteneva, non aveva applicato alcuna pressione fisica su di esso. I suoi genitori, racconta Geller, rimasero piuttosto scioccati dell’insolito fenomeno e la madre, Margaret Freud, pensò che il figlio doveva aver ereditato questi poteri dal suo avo Sigmund Freud, cui si diceva imparentata.

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Ciò nonostante, Geller cominciò a mostrare questo esperimento dei cucchiai solo a partire dal 1969, nei night club e alla tv israeliana. La sua notorietà si diffuse rapidamente in tutto il mondo, grazie alla partecipazione ad alcuni talk in Inghilterra, come esperto di telepatia e psicocinesi.

Naturalmente non tutti ci credevano, molti erano scettici sui poteri di questo “spoonbender”, ma va detto che perfino la Cia, l’agenzia per la sicurezza statunitense, lo prese all’epoca molto sul serio. Nei documenti recentemente resi pubblici (a seguito di una causa legale di due anni contro la Cia promossa dall’organizzazione no-profit MuckRock, che lotta per la libertà di informazione) si possono leggere i risultati di una settimana di esperimenti condotti su Geller nel 1973, durante i quali furono testate le sue abilità di telepatia e chiaroveggenza.

La Cia era interessata allora a esplorare la possibilità di liberare il potenziale del cervello umano e sfruttare i poteri mentali straordinari, attraverso la ricerca di “guerrieri psichici”, capaci di “vedere a distanza”. Il relativo programma di studio e reclutamento su persone che avessero poteri psichici particolari e percezione extrasensoriale si chiamava “Stargate“.

All’inizio degli anni settanta, fonti di intelligence degli Stati Uniti ritenevano che l’Unione Sovietica stesse spendendo 60 milioni di rubli l’anno per la ricerca “psicotronica” (termine coniato nel 1967 per definire la nuova branca che studiava la parapsicologia in termini scientifici, utilizzando la riproducibilità degli esperimenti, ecc.) e che questa stava dando fruttuosi risultati. La Cia rispose con un nuovo programma, lo Scanate (“scan by coordinate”) nello stesso anno.

Nel 1972 la Cia voleva saperne di più sul programma di “visualizzazione a distanza” per cui iniziò la sua ricerca presso lo Stanford Research Institute (SRI) a Menlo Park, California, a opera di due parapsicologi, Russell Targ e Harold Puthoff. In particolare, essi si concentrarono su Uri Geller.

Gli esperimenti su Geller furono condotti tra il 4 agosto e l’11 ago 1973. È possibile leggere di questi esperimenti sul sito di Uri Geller, come descritti dai due ricercatori: per esempio, in un esperimento una persona entrava nel laboratorio sperimentale e collocava un oggetto in una lattina scelta a caso fra dieci lattine di alluminio.

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In seguito gli sperimentatori entravano nella stanza insieme a Geller (né gli sperimentatori né Geller sapevano dove fosse l’oggetto da ricercare). In un caso, l’oggetto era un cuscinetto a sfere in acciaio da 4 pollici. Geller non poteva toccare le lattine o il tavolo. Il protocollo sperimentale prescriveva che lo sperimentatore dovesse rimuovere le lattine una alla volta in risposta alle istruzioni di Geller. Rimasero solo due lattine sulla sinistra, e Geller indicò esattamente la lattina che conteneva l’oggetto. L’esperimento fu ripetuto più volte, utilizzando oggetti diversi, Geller fu inoltre in grado di entrare nella stanza, guardare le lattine allineate sul tavolo, e mostrare quella che conteneva l’oggetto.

In un altro esperimento veniva messa dell’acqua a temperatura ambiente in una delle dieci lattine. Solo una persona sapeva quale fosse la lattina, ma poi le lattine venivano spostate da un’altra persona, in modo che solo uno dei ricercatori presenti nella stanza potesse conoscere la posizione esatta della lattina contenente acqua. Geller entrò nella stanza e individuò il barattolo che conteneva l’acqua.

Gli esperimenti continuarono nel tempo: una volta un ricercatore fece un disegno sulla costa orientale degli Stati Uniti e si chiese a Geller di riprodurlo, mentre era nella costa occidentale. Il disegno era di due montagne con un sole in alto a destra. Geller, nella sua stanza isolata, sulla costa opposta degli Usa. disegnò due archi con un cerchio in alto a destra.

Geller sbagliò numerose volte, ma i suoi risultati furono considerati validi, in quanto il sensitivo aveva “dimostrato la sua abilità percettiva paranormale in maniera convincente e inequivocabile.” L’effetto Geller – di piegare i metalli – non è chiaramente causato da frodi,” scrisse il ricercatore John G. Fuller alla Cia, in una nota dai primi anni settanta. L’unica cosa che sembra infastidisse molto il giovane Uri era l’essere osservato da persone diverse dai ricercatori con cui solitamente lavorava.

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Dati i risultati apparentemente soddisfacenti di questi esperimenti, il Dipartimento della Difesa americano chiese a Ray Hyman, professore di psicologia presso l’Università dell’Oregon, di andare a controllare quanto stesse accadendo presso lo Sri con Uri Geller. Il rapporto di Hyman al governo fu che Geller era una “completa frode”.

In particolare Hyman si era incuriosito su un particolare: si diceva che Geller avesse preso un anello di uno dei ricercatori, lo avesse posto sul tavolo e, senza toccarlo, l’anello si era rotto a metà e aveva formato una S. Hyman scoprì che nessuno dei ricercatori aveva effettivamente assistito a questo evento, ma ne aveva sentito parlare da altri (che non potevano essere rintracciati).

Entrò allora in campo un altro personaggio, il prestigiatore James Randi, il quale replicò tutti gli esperimenti di Geller, mostrando che si trattava solo di numeri di illusionismo. I contro-esperimenti di Randi furono ripresi anche da Piero Angela in uno storico programma del 1977, molto critico sulla parapsicologia, “Viaggio nel mondo del paranormale”. Come afferma lo psicologo e collaboratore di Piero Angela Massimo Polidoro, del Cicap, Randi “decise di contribuire a smontare il caso visto il preoccupante seguito semi-religioso che Geller stava rapidamente raccogliendo intorno a sé”.

Quando fu chiesto a Hyman di spiegare perché le persone credevano in Geller quando un prestigiatore poteva fare le stesse cose, senza avere poteri paranormali, Hyman rispose: “È una truffa, ma non si può incolpare le persone perché gli credono. Geller è il prodotto di una splendida campagna di pubbliche relazioni. Quello che il pubblico conosce è solo un lato della storia. È stato sorpreso a barare molte volte, ma la gente ancora ci crede”.

I ricercatori parapsicologi Targ e Puthoff persero naturalmente il loro contratto con il governo ed insieme a Geller organizzarono un tour alla ricerca di finanziamenti privati ​​per un ulteriore lavoro di ricerca sul sensitivo israeliano.

Geller ha sostenuto poi che le rivelazioni sui suoi contatti con la Cia rappresentano solo la “punta dell’iceberg” di ciò che gli fu effettivamente chiesto di fare dalla agenzia di Intelligence americana, e dai servizi segreti israeliani, il Mossad, come per esempio la possibilità di innescare una bomba nucleare con la forza del pensiero.

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Il sensitivo israeliano ha raccontato inoltre di essere stato utilizzato per spiare l’ambasciata russa in Messico: doveva cancellare, con i poteri della mente i floppy disk portati dagli agenti russi oppure osservare un maiale fino a fargli fermare il cuore. La Cia sperava forse di trovare il modo per far fermare il cuore dell’odiato Andropov, il capo del Kgb. Questa storia ha poi ispirato il film con George Clooney, “L’uomo che fissa le capre”.

Nel 2013 un documentario della Bbc affermò che Geller aveva prestato a lungo servizio come agente segreto, usando i suoi poteri mentali, per la Cia e il Mossad e che la buffonata del cucchiaio e altre performance simili in TV come intrattenitore televisivo erano solo un ruolo di copertura per nascondere il suo vero lavoro.

I documenti della Cia sono consultabili qui. Quanto a Uri Geller, per giudicarlo senza pregiudizi, ci si potrebbe attenere al modo in cui egli stesso oggi si descrive:

“Non mi prendo sul serio. Sono un uomo di spettacolo, non si capisce? Oggi mi descrivo come un mistificatore. Ho prosperato sulle polemiche, gli scettici hanno involontariamente amplificato la mia carriera. Sono un maestro della pubblicità. Non ho mai usato addetti alle pubbliche relazioni. Non ho mai usato un agente o un manager e sono ancora qui, dopo 42 anni, perché ho saputo plasmare, modellare e torcere la polemica su di me.”

Forse, per la prima volta, Uri Geller ha usato i poteri della mente per dire la verità.

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