Istinto materno e calo del desiderio sessuale dopo il parto

Dopo il parto c’è un calo del desiderio nella coppia?

La nascita di un figlio cambia la relazione di coppia: nel nuovo ruolo di genitori infatti può capitare che uno o entrambi i membri della coppia abbiano difficoltà a ritrovare la vecchia intesa, così come le certezze acquisite durante la convivenza sulla personalità del partner. La nascita del primo figlio è infatti, in tutte le coppie, un momento intenso di trambusto e di cambiamento, che spesso mette seriamente alla prova anche la vita sessuale.

Ci sono degli stereotipi o dei falsi miti legati alla sessualità post partum?

Si. Fino a non molto tempo fa, la donna che aveva da poco partorito non doveva toccare l’acqua o svolgere lavori domestici per almeno quaranta giorni. Anche i rapporti sessuali in questo lungo periodo di quarantena erano considerati un tabù. Si trattava ovviamente di falsi miti, nati in epoca medioevale, quando la giovane mamma veniva considerata “impura” a causa delle perdite di sangue post-partum, o anche perché si temeva che l’attività sessuale potesse sciupare il suo latte, o che vi fosse un maggior rischio di contrarre infezioni.

Oggi sappiamo che tutte queste credenze popolari non hanno fondamento e le coppie sono potenzialmente libere di ricominciare ad avere rapporti in qualsiasi momento: in realtà, per diversi motivi i rapporti sessuali non riprendono subito ed anzi è molto frequente che la coppia incontri delle difficoltà sotto l’aspetto sessuale.

Dal punto di vista evoluzionistico si è tentato di spiegare questo momento particolare della vita della donna come un periodo necessario a garantire la sopravvivenza della prole: la donna infatti, perdendo interesse per altri stimoli presenti nell’ambiente, riuscirebbe a dedicarsi interamente e completamente al bambino, permettendogli così di crescere e diventare autonomo.

Questo dipende da cause organiche?

In questo processo vi sono, naturalmente, anche delle cause organiche: il calo degli estrogeni comporta una perdita di lubrificazione nella vagina e una minore congestione dei vasi sanguigni; l’aumento della concentrazione di prolattina (ormone che raggiunge il picco massimo ad una settimana dal parto e che permette la lattazione) può essere responsabile di alcune variazioni dell’umore (es. calo del desiderio, stanchezza e facilità al pianto).

Ci sono anche motivazioni psicologiche?

Si. Sorprendentemente le motivazioni psicologiche per il calo di desiderio riguardano sia l’uomo che la donna.

La donna, dopo il parto, può sentirsi meno dotata di capacità seduttive ed erotiche, come già sperimentato durante la gravidanza. Per molte donne gravide infatti non è facile accettare di vedere il proprio corpo modificarsi rispetto ai canoni di bellezza comunemente accettati. Il senso di perdita provato per queste modifiche del corpo durante la gravidanza può produrre dei cambiamenti sulla psiche della donna, anche diverse settimane dopo il parto, con perdita dell’autostima, sensi di sconforto e sentimenti di inadeguatezza.

I padri come vivono questo momento?

Una volta la nascita di un bambino faceva concentrare tutte le attenzioni sulla madre, mentre i padri avevano un ruolo marginale, sia durante l’attesa, sia dopo la nascita del figlio. Oggi tutto questo è cambiato: da quando negli anni settanta del secolo scorso i padri sono stati ammessi ai corsi di preparazione al parto e possono essere presenti al momento della nascita, essi vivono più intensamente l’esperienza della nuova genitorialità e possono più facilmente elaborare, insieme alla mamma, la rinuncia ad un rapporto esclusivo a due, come era prima che nascesse il figlio, e un nuovo modo di gestire il tempo della coppia.

Numerosi studi sugli “uomini in attesa” hanno inoltre evidenziato diverse manifestazioni sintomatiche, reattive allo stato di gravidanza della moglie: ansia, insonnia, depressione, cui gli uomini possono reagire con il ricorso all’alcol, tuffandosi nel lavoro, registrando un calo del desiderio sessuale, o viceversa, con una intensa pratica extraconiugale. Dal punto di vista clinico si ritiene che le difficoltà a cui un uomo va incontro con la gravidanza della partner e con la successiva nascita di un figlio possano essere dei “precipitanti” di disturbi psichici pre-esistenti, in modo analogo a quanto accade nella donna con il disturbo di depressione post-partum.

Cosa è il mito della “buona madre”?

Una delle componenti frequentemente associate al mito della “buona madre”, completamente dedicata ai figli, che si sacrifica e che conosce in modo naturale (senza averlo appreso) il modo migliore di allevare e educare i bambini, è il possesso dell’istinto materno.

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Cosa sono gli istinti?

L’istinto, volendolo definire con William James, è “la facoltà di agire in modo tale da produrre determinati obiettivi, senza preveggenza dei fini, e senza istruzione precedente riguardo alla prestazione” (James, 1890). Si tratta dunque di una tendenza innata a comportarsi in un certo modo, senza aver avuto una precedente istruzione o formazione.

Cosa si intende per “istinto materno”?

E’ una sorta di qualità innata, capace di creare le condizioni migliori per allevare un bambino, ovvero la naturale tendenza di una madre a comportarsi, o a reagire, nel modo più appropriato per difendere i figli. Stando a queste definizioni, l’istinto materno potrebbe essere anche la causa principale della perdita di interesse per la sessualità da parte della madre.

Esiste davvero l’istinto materno?

Sebbene il termine “istinto materno” sia ampiamente accettato nel linguaggio corrente, non ne esiste ancora una definizione scientifica comunemente accettata. Una delle più significative ricerche ed elaborazioni sull’esistenza dell’istinto materno deriva da due decenni di ricerca antropologica da parte dell’antropologa e primatologa americana Sara Blaffer Hrdy.  Secondo questa scienziata, l’uso della dizione “istinto materno”, usato nel linguaggio popolare e riferito all’amore incondizionato della mamma verso i figli, è inappropriato, specialmente se si considerano i tanti bambini trascurati, abbandonati, abusati o addirittura uccisi dalle madri  (Hrdy, 2001). La Hrdy sostiene che le donne non siano capaci di essere madri “in modo naturale”:  la maternità non è istintiva, ma dipende da diverse condizioni ambientali e individuali che influenzano la donna.

Perché le femministe si sono impegnate a demistificare quelle che loro ritengono essere “ideologie sulla maternità”?

Perché ritengono che nei ruoli genitoriali o, più specificamente, nel percepire i doveri  materni come biologicamente condizionati, vi sia la radice della disuguaglianza di genere. Se l’istinto materno è tale da rendere la donna  biologicamente costretta al ruolo della madre, senza potersi permettere altre scelte o altri interessi, compreso quello sessuale, la donna non potrà mai raggiungere la parità dei sessi.  In realtà, fa notare l’antropologa, anche gli uomini sono ugualmente capaci e attrezzati per prendersi cura dei bambini e dunque anche le mamme dovrebbero imparare a condividere maggiormente il loro ruolo materno con i loro compagni, senza perdere di vista che, oltre che mamme, esse restano persone che vivono e lavorano nella società, oltre che compagne di vita.

Dott.ssa Giuliana Proietti

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Pexels

 

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