Sigmund Freud e la sua collezione di antichità

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La scrivania di Freud non era solo un piano di lavoro, ma un altare personale dove l’antico e il moderno si fondevano. Cerchiamo di saperne di più.

Qual era l’oggetto più caro a Sigmund Freud al momento della sua fuga da Vienna nel 1938?

Tra i molti beni che Freud riuscì a portare con sé mentre lasciava la Vienna occupata dai nazisti, spiccava un oggetto in particolare: una copia romana in bronzo del II secolo della dea Atena. Freud la considerava un talismano personale. Atena, dea della ragione, della guerra e dell’artigianato, troneggiava al centro della sua scrivania ed era il suo sguardo fisso mentre scriveva le sue teorie sull’inconscio.

Perché Freud collezionava antichità?

Freud era affascinato dall’antichità per ragioni sia personali che professionali. Iniziò a collezionare nel 1896, anno in cui perse il padre, aprì il suo primo studio e diede avvio alla propria autoanalisi. La passione per l’archeologia lo accompagnò tutta la vita e trovò una corrispondenza diretta nel suo lavoro clinico: come disse al celebre paziente noto come “l’Uomo dei Lupi”, lo psicoanalista, come l’archeologo, deve scavare a fondo nella psiche per raggiungere i tesori più nascosti.

Quanto era grande la collezione di Freud?

Al momento della sua morte, Freud possedeva oltre 2.000 oggetti antichi provenienti da Egitto, Grecia, Roma, India, Cina ed Etruria. Una collezione straordinaria, raccolta in gran parte grazie alle sue esplorazioni nei mercati antiquari viennesi e con il sostegno di figure come la principessa Maria Bonaparte.

Come erano disposti gli oggetti nello studio di Freud?

Lo studio era un affascinante miscuglio di epoche e culture, ma organizzato con cura. Mentre le pareti erano ricoperte di opere d’arte e simboli mitologici, gli armadi seguivano una logica più sistematica: statue di Eros su una mensola, oggetti funerari egizi su un’altra, e vasi greci lekythoi insieme. L’eccezione era la scrivania, dove convivevano oggetti estetici e pratici, antichi e moderni: penne accanto a dee egizie, scatole di sigari vicino a divinità cinesi.

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Quali oggetti avevano un significato personale per Freud?

Tra i più intimi c’era una statuetta in marmo del dio egizio Thoth, che Freud accarezzava ogni mattina. Thoth, dio della scrittura e inventore dei geroglifici, simboleggiava per Freud la possibilità di decifrare l’inconscio come un testo nascosto. Anche le figure bifronti, come Giano o i contenitori con volti opposti, affascinavano Freud e riflettevano la sua teoria del dualismo tra pulsioni di vita e di morte (Eros e Thanatos).

Che relazione c’era tra la collezione e la teoria psicoanalitica?

Moltissima. Freud paragonava esplicitamente il lavoro dell’analista a quello dell’archeologo: entrambi rimuovono strati per svelare ciò che è nascosto. La sua collezione, con simboli provenienti da culture diverse e carichi di significati mitologici e inconsci, fungeva da stimolo visivo e metaforico per la sua riflessione teorica. 

Lo studio di Freud è ancora visitabile oggi?

Sì. Il Freud Museum di Londra conserva lo studio esattamente come Freud lo lasciò nel 1939, dopo la sua morte. Ogni oggetto è rimasto al suo posto, come se Freud potesse rientrare da un momento all’altro e riprendere il suo lavoro. La scrivania, con Atena al centro, continua a raccontare silenziosamente il dialogo tra mente, storia e sogno.

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James Joyce: una delle figure letterarie più significative

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L’infanzia e il trauma della caduta sociale

Joyce trascorse i primi anni in un contesto relativamente agiato, frequentando scuole di prestigio come il Clongowes Wood College, considerato l’Eton d’Irlanda. Tuttavia, il progressivo declino finanziario della famiglia costrinse i Joyce a continui spostamenti in abitazioni sempre più modeste. Quando la famiglia si impoverì ulteriormente, James, grazie agli ottimi voti, poté essere accolto gratuitamente presso il Belvedere College (1893-1897), un collegio gesuita.

Entrò allo University College di Dublino (UCD), che all’epoca era gestito da padri gesuiti. Lì studiò lingue e dedicò le sue energie ad attività extracurriculari , leggendo molto – in particolare libri non raccomandati dai gesuiti – e prendendo parte attiva alla Società Letteraria e Storica del college. Ammirando profondamente Henrik Ibsen , imparò il dano-norvegese per leggere l’originale e pubblicò un articolo, “Ibsen’s New Drama”, una recensione dell’opera Quando noi morti ci svegliamo , sulla London Fortnightly Review nel 1900, poco dopo il suo diciottesimo compleanno. Questo precoce successo convinse Joyce nella sua decisione di diventare scrittore e convinse la sua famiglia, i suoi amici e i suoi insegnanti che tale decisione fosse giustificata

L’instabilità finanziaria della famiglia lasciò comunque nel giovane James una precoce consapevolezza dell’impermanenza delle sicurezze materiali e sociali, contribuendo alla formazione di una sensibilità critica verso la società irlandese e verso la sua ipocrisia religiosa e morale.

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Prima giovinezza

Il 31 ottobre 1902 Joyce conseguì il diploma e decise di andare a studiare medicina a Parigi. In realtà smise presto di frequentare le lezioni e cominciò a scrivere per alcuni giornali, fra cui il Daily Express.

Quando la madre si ammalò gravemente di cancro, nel 1904, James tornò a Dublino. Dopo poco sua madre morì e la situazione finanziaria della famiglia, già molto grave, peggiorò ulteriormente.

Il rapporto con la religione e il senso di colpa

Uno degli aspetti psicologici più rilevanti della sua formazione fu il conflitto con il cattolicesimo. L’educazione ricevuta nei collegi gesuiti, con il suo carico di colpa, paura e rigidezza morale, lasciò una traccia duratura. Joyce sviluppò un atteggiamento ambivalente: da un lato il rifiuto razionale e artistico di ogni dogma, dall’altro una radicata interiorizzazione di un senso di peccato e di colpa. Questo conflitto attraversa molte delle sue opere, trasformandosi in una continua interrogazione su identità, responsabilità e libertà individuale.

Nora, la fuga dall’Irlanda e il bisogno di distacco

Il 10 giugno 1904 Joyce incontrò Nora Barnacle, una cameriera che rimarrà insieme con lui per tutta la vita.

Il loro primo appuntamento è il 18 giugno 1904, giorno in cui si svolge la sua principale opera, l’Ulisse. La coppia James-Nora era contraria al matrimonio, ma all’epoca vivere insieme nella propria città sarebbe stato impossibile, per cui decisero di lasciare l’Irlanda ed andare a vivere a Pola e a Trieste, dove James trovò un posto precario come insegnante di inglese presso la Berlitz School of Languages.

Questa partenza da Dublino non fu solo geografica, ma anche psicologica: un distacco necessario per elaborare il proprio rapporto con la patria, la famiglia e la religione. L’esilio volontario fu anche una strategia di sopravvivenza emotiva e creativa. Solo nella distanza riuscì a scrivere con lucidità e profondità della sua città natale, diventata nei suoi testi uno scenario simbolico e psichico.

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La complessità delle relazioni affettive

Joyce era un uomo dal carattere anticonformista e ribelle, come si può capire leggendo i suoi romanzi, a cominciare dal saggio autobiografico “Ritratto dell’artista da giovane”, un romanzo di formazione in cui possiamo leggere tutta l’ansia conoscitiva dell’autore verso il problema dell’esistenza umana. Il protagonista, Stephen Dedalus è un anticonformista, ribelle al dogmatismo sociale.

Nel 1905 lo raggiunse a Trieste il fratello Stanislaus, con il quale però nacquero presto dei dissidi perché il fratello non apprezzava le frivolezze di James nello spendere i soldi e la sua abitudine di bere. A Trieste nacquero anche i figli di James, Giorgio e Lucia, che crebbero parlando il dialetto triestino. In questo periodo Joyce si innamorò di Anny Schleimer, la figlia di un banchiere austriaco, mentre Roberto Prezioso, editore del quotidiano Il Piccolo della Sera, corteggiava Nora. Nonostante queste distrazioni, la coppia rimase unita.

Il legame con Nora fu caratterizzato da una profonda dipendenza affettiva. Nonostante Joyce fosse spesso immerso nella scrittura e nel proprio mondo intellettuale, Nora rimase per lui una figura di stabilità e concretezza. La loro relazione, a tratti difficile, fu anche segnata da una sessualità vissuta in modo passionale e trasgressivo per l’epoca, come testimoniano alcune lettere intime che Joyce le scrisse. La loro unione, sebbene mai ufficializzata con un matrimonio religioso, fu uno dei pochi punti fermi nella vita caotica dello scrittore.

La salute mentale e fisica

Nel 1907 Joyce pubblicò Chamber Music (Musica da Camera) una raccolta di liriche con vocali aperte e ripetizioni che si prestano ad essere musicate, come poi è in effetti successo. (Peraltro Joyce aveva una bella voce da tenore ed amava l’opera ed il bel canto). In questi anni iniziarono per Joyce dei gravi problemi alla vista (irite, infiammazione dell’iride e dei corpi ciliari). Oltre ai problemi di cuore, agli incubi, alle fobie e all’irite, Joyce contrasse una forma di febbre reumatica che lo debilitò per molti mesi, riducendolo inizialmente quasi alla paralisi. A questi problemi si aggiunsero forti preoccupazioni per la salute mentale della figlia Lucia, che manifestò sintomi psicotici negli anni ’30. Il dolore per la malattia di Lucia fu per Joyce una ferita profonda e mai risolta, che alcuni studiosi ritengono abbia influenzato la scrittura complessa e onirica di Finnegans Wake.

A Trieste Joyce conobbe anche Italo Svevo, allora un oscuro impiegato che si dilettava nella scrittura e che fu per Joyce un prototipo di Leopold Bloom, tanto che molti dettagli sull’ebraismo inclusi nell’Ulisse gli furono riferiti proprio da Svevo. Oltre che con l’insegnamento, Joyce si guadagnava da vivere facendo il rappresentante di stoffa irlandese, il giornalista e il conferenziere.

Nell’agosto del 1908 i Joyce persero il terzo figlio, in seguito ad un aborto. Nello stesso periodo Joyce prese lezioni di canto al Conservatorio di Musica di Trieste e l’anno successivo prese parte all’opera I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner.

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Cambiamenti di vita

Nel 1909 tornò a Dublino, dove aprì un cinema, il Volta, che dopo un iniziale successo si trasformò in un fallimento: questo lo convinse a tornare a Trieste con la sorella Eileen.

Nel 1912 tornò in Irlanda, per cercare di convincere Maunsel & Co a pubblicare Dubliners, ma senza successo. Questa fu l’ultima volta che Joyce mise piede nella sua Irlanda. Nell’aprile dello stesso anno si recò a Padova per sostenere gli esami di abilitazione all’insegnamento nelle scuole italiane, ma nonostante il buon esito, il suo titolo non fu mai riconosciuto in Italia.

Conobbe a questo punto della sua vita il poeta Ezra Pound grazie al quale pubblicò a puntate Ritratto dell’artista da giovane sulla rivista The Egoist. Ispirato al suo precedente manoscritto Stephen Hero, il libro segue la vita del protagonista Stephen Dedalus, dalla giovinezza alla maturità, ai suoi anni di educazione presso l’University College di Dublino. Stephen prende la religione in modo molto serio, ma poi rifiuta il cattolicesimo sostenendo di voler essere se stesso, attraverso il silenzio, l’esilio e l’astuzia.

Nel 1914 uscirono in volume i racconti di Gente di Dublino. Joyce iniziò poi a lavorare all’ Ulisse e ad Esuli, l’unico pezzo teatrale dell’autore, che vedrà la luce nel 1918. Il 1914 è l’anno dunque della svolta, dei primi successi, ma è anche l’inizio della prima guerra mondiale.

La famiglia Joyce si trasferì in Svizzera, a Zurigo, dove James iniziò a scrivere i primi capitoli di Ulisse (il libro fu pubblicato dapprima in Francia, mentre in Inghilterra e in America la censura al libro fu tolta solamente nel 1933). Terminata la guerra, i Joyce tornarono a Triste, ma trovarono cambiata la loro città d’adozione. Ezra Pound li invitò dunque a Parigi, dove dovevano rimanere una settimana ed invece rimasero venti anni. Qui Joyce strinse amicizia con Wyndham Lewis, T.S.Eliot e la libraia/editrice Sylvia Beech.

La scrittura come spazio psichico

Dal punto di vista psicologico, la scrittura di Joyce è un viaggio continuo dentro la coscienza. La sua tecnica del flusso di coscienza non è solo una scelta stilistica, ma un vero e proprio metodo per esplorare la mente umana nella sua caoticità, nelle sue ossessioni e nei suoi desideri nascosti. In opere come Ulisse, i personaggi vivono in un tempo interiore, fatto di ricordi, fantasie, paure e associazioni libere, in un intreccio continuo tra passato e presente, tra reale e immaginario.

Nel 1921 Joyce terminò la stesura di Ulisse, che venne pubblicato dall’editore Sylvia Beach il 2 febbraio 1922, giorno del quarantesimo compleanno dell’autore. Nel libro vi è la descrizione della vita e dei pensieri del protagonista, lungo l’arco di una intera giornata. Il romanzo si compone di diciotto capitoli, ognuno dei quali si svolge nell’arco temporale di un’ora, dalle otto di mattina alle due di notte; ogni capitolo rimanda a precise sezioni del poema di Omero, ed è scritto in uno stile diverso in ogni capitolo, con moltissimi riferimenti letterari e culturali. I protagonisti principali sono Leopold Bloom, la moglie Molly, e Stephen Dedalus, già protagonista del Portrait of the Artist as a Young Man. Essi sono le moderne controparti di Telemaco, Ulisse e Penelope. Le cameriere sono le sirene. Dublino viene descritta nei minimi particolari; l’autore non manca inoltre di soffermarsi sullo squallore e sulla monotonia della vita nella capitale irlandese. Lo stile è molto originale, in particolare per le azioni, che spesso accadono unicamente nella mente dei personaggi e per la tecnica dei flussi di coscienza e dei flashback.

L’anno successivo Joyce iniziò la stesura di Work in progress, che occupò i sedici anni successivi ed uscì nel 1939 col titolo Finnegans Wake. In questo romanzo, La veglia di Finnegan, lo sperimentalismo strutturale e verbale già utilizzato nell’Ulisse si accentua ancora di più, con numerose allusioni al mito e alla storia, oltre che alla storia personale dell’autore, con una mescolanza di più lingue. Vengono inoltre creati, per combinazione o incastro, dei vocaboli del tutto nuovi, che determinano un intricato sovrapporsi di significati e di possibili interpretazioni. Ai molti lettori che ritennero il libro “incomprensibile” Joyce chiese di “dedicare la loro intera vita alla lettura dei suoi libri”. Quando lo scrittore americano Max Eastman gli chiese perché aveva scritto un libro in uno stile così difficile da capire la risposta fu: “To keep the critics busy for three hundred years.”

Ulisse e La veglia di Finnegan sono stati considerati dei romanzi psicoanalitici, grazie alla minuziosa esplorazione dei vari stati di coscienza dei personaggi, per l’utilizzo dei sogni e del simbolismo associato al sogno, oltre che per l’uso del linguaggio, simile alla libera associazione psicanalitica. Del resto Joyce è uno scrittore che opera in piena epoca freudiana: conosce la psicoanalisi dapprima a Trieste, che allora faceva ancora parte dell’Impero austro-ungarico, e poi la approfondisce a Zurigo, dove lavorava Carl Gustav Jung. Joyce aveva dunque letto Freud e Jung e tale conoscenza psicoanalitica venne utilizzata nella profonda esplorazione dell’inconscio dei suoi personaggi.

Nel 1927 uscì la raccolta Poesie da un soldo.

Gravi problemi di salute

L’anno successivo Joyce si sottopose ad un’operazione agli occhi. Dal 1917 al 1930 Joyce ebbe diversi interventi agli occhi ed in molti periodi della sua vita restò totalmente cieco.

Nel 1931, dopo la morte del padre, per ragioni testamentarie, sposò Nora. A quel tempo Joyce aveva conosciuto un giovane fresco di studi, Samuel Beckett, che si era letteralmente innamorato del lavoro di Joyce e che per questo decise di assisterlo e di aiutarlo nel suo lavoro. La figlia di Joyce, Lucia, si innamorò perdutamente di questo collaboratore del padre ma, non ricambiata, cominciò a mostrare i primi segni di follia.

Nel 1934 prima pubblicazione in USA dell’Ulisse. In questo periodo Joyce si recò spesso in Svizzera per vedere la figlia Lucia, la quale morì in un ospedale psichiatrico di Northampton, in Inghilterra, nel 1982).

Morte

Dopo l’uscita di Finnegans Wake, sia per le dure critiche al romanzo che per l’invasione nazista di Parigi, la depressione di cui già soffriva Joyce si accentuò. Alla fine del 1940 si trasferì a Zurigo, dove l’11 gennaio 1941 venne operato per un’ulcera duodenale. Il giorno successivo entrò in coma e morì alle due di mattina del 13 gennaio 1941. Il suo corpo venne cremato e le sue ceneri si trovano nel cimitero di Fluntern, nei pressi del giardino zoologico di Zurigo, come quelle di Nora e di suo figlio Giorgio.

Cosa ci rimane di lui

James Joyce (1882-1941) è considerato una delle figure più influenti della letteratura del XX secolo e uno dei massimi esponenti del modernismo letterario. La sua opera si caratterizza per un profondo sperimentalismo linguistico e narrativo, per l’esplorazione della psicologia dei personaggi attraverso il flusso di coscienza e per una rappresentazione innovativa della realtà quotidiana.

Joyce ha rivoluzionato il concetto di romanzo tradizionale, trasformandolo in un viaggio nella mente umana, in cui tempo, memoria, percezioni sensoriali e linguaggio si intrecciano in modo non lineare. La sua scrittura unisce elementi autobiografici, riferimenti mitologici, giochi di parole, neologismi e un costante dialogo con la cultura classica e moderna.

Tra le sue opere più importanti si ricordano Dublinesi (1914), Ritratto dell’artista da giovane (1916), Ulisse (1922) e Finnegans Wake (1939).

Dal punto di vista psicologico, Joyce può essere definito come uno scrittore dell’interiorità e della frammentazione dell’io, capace di restituire sulla pagina letteraria le contraddizioni, le ossessioni e le ambivalenze della coscienza umana.

Dr. Giuliana Proietti

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Antoine de Saint-Exupery: una biografia

Antoine de Saint-Exupery: una biografia

Antoine de Saint-Exupery: una biografia


Voici mon secret. Il est très simple : on ne voit bien qu’avec le coeur.
L’essentiel est invisible pour les yeux.
de Saint Exupery

Questa è la storia di un ‘eroe romantico’ vissuto avventurosamente e così scomparso praticamente nel nulla a soli 44 anni, dopo aver scritto però un piccolo capolavoro letterario: il Piccolo Principe, tradotto in 150 lingue. La sua vita fu segnata dall’amore per il volo, dalla riflessione esistenziale e da un profondo senso di umanità: conosciamola meglio.

Infanzia e formazione

Antoine Marie Jean-Baptiste Roger de Saint-Exupéry nacque il 29 giugno 1900 a Lione, in Francia, in una famiglia aristocratica, anche se ormai impoverita. Rimase orfano del padre Jean a soli quattro anni e crebbe con la madre, Marie de Fonscolombe, una pittrice di talento, con la quale mantenne un legame molto stretto.

La sua infanzia a Le Mans, nella grande dimora di Saint Maurice de Rémens, una villa in stile neoclassico, con al centro un parco di abeti e tigli, fu segnata da una fervida immaginazione, dall’interesse per la scrittura e dal sogno del volo, alimentato da un primo volo in aeroplano all’età di dodici anni.

Studiò dai Gesuiti e dai Padri Mariani, in esclusivi collegi in Francia ed in Svizzera. Non fu un ottimo studente e dopo essere stato escluso da un esame di selezione per entrare all’Università, si iscrisse all’accademia di Belle Arti per studiare architettura, ma non si laureò.

Nel 1921 infatti, partì per il servizio militare e venne mandato a Strasburgo, per essere formato come pilota. Il 9 Luglio di quell’anno fece il suo primo volo solitario a bordo di un Sopwith F-CTEE. Ottenne la licenza di pilota nel 1922, poi tornò a Parigi.

Qui fece diversi lavori, fra cui il contabile ed il venditore di auto; fu un periodo infelice, anche a causa dell’amore per Louise de Vilmorin, i cui familiari non vedevano questa unione di buon occhio.

Carriera da aviatore

Negli anni ’20 e ’30, Saint-Exupéry lavorò come pilota per l’Aéropostale, una compagnia di posta aerea che collegava la Francia con l’Africa e il Sud America. Fu durante questi anni che maturò le esperienze che avrebbero ispirato molte delle sue opere letterarie.

Nel 1928 divenne Direttore dello scalo di Cap Juby, nel Sahara del Marocco meridionale. La sua casa era una capanna di legno ed il suo letto un materassino appoggiato in terra. ‘Non ho mai amato la mia casa più di quando vivevo nel deserto’ ricordava. In questo totale isolamento Saint-Exupéry imparò infatti ad amare il deserto, che guardava con gli occhi del poeta. Non a caso, è proprio nel deserto che fu ambientato il Piccolo Principe (1943).

Tra le missioni più difficili e avventurose svolte in questo periodo, partecipò all’apertura di nuove rotte nel deserto del Sahara e sorvolò regioni allora inospitali, spesso rischiando la vita.

Nel 1929 pubblicò La Posta del Sud, un romanzo in cui celebrava il coraggio dei primissimi piloti d’aviazione, che volavano oltre i limiti della propria sicurezza, per portare la posta lottando contro il tempo con i rivali d’allora, il treno e le navi a vapore. Lo stesso anno, divenuto Direttore dell’Aeropostal Argentina, a Buenos Aires, lavorò per creare la pista aerea che doveva congiungere l’Argentina alla Patagonia.

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Saint-Exupéry trasportava i suoi carichi di posta aerea fra le Ande e questa esperienza gli fornì l’ispirazione per il secondo romanzo, Volo di Notte, che divenne un best seller internazionale, vinse il Premio Femina e fu portato sullo schermo nel 1933, con Clark Gable e Lionel Barrymore.

Matrimonio

Nel 1931 si sposò con Consuelo Gómez Carillo, una vedova che frequentava ambienti letterari e scrittori, fra i quali Gabriele D’Annunzio. ‘Non era come gli altri’ – scrisse poi Consuelo del marito nel libro autobiografico Mémoires de la rose – ‘era come un bambino o un angelo caduto dal cielo’. Ma il loro matrimonio fu comunque tempestoso. Consuelo era molto gelosa, avendone peraltro buoni motivi, e non tollerava di essere lasciata a casa da sola.

Cominciò in questo periodo, per il pilota-scrittore l’esperienza come collaudatore di aerei, che gli procurò numerosi incidenti.

Nel 1935 tentò un raid aereo da Parigi a Saigon con l’amico navigatore André Prévot, ma l’aereo precipitò nel deserto libico: entrambi sopravvissero miracolosamente dopo giorni di cammino, episodio che riecheggia ne Il Piccolo Principe.

Accanto a questa carriera da pilota dell’aria, Saint-Exe (come lo chiamano in Francia), cominciò ad esercitare la professione di giornalista, collaborando con Paris Soir per qualche reportages sulla guerra civile in Spagna e sui fatti di Mosca del 1936.

Nel 1937, mentre guidava un Caudron Simun sui cieli del Guatemala, ebbe un altro incidente aereo e si ferì gravemente.

Incoraggiato dall’amico André Gide, Saint-Exupéry scrisse, durante la convalescenza, alcuni racconti poi riuniti in un libro, Terra degli uomini, che vinse, nel 1938, il Prix du Roman de l’Académie française. Antoine de Saint Exupéry divenne un autore molto conosciuto, anche negli Stati Uniti.

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La guerra e la politica

Dopo la caduta della Francia, durante la seconda guerra mondiale, Saint-Exupéry si arruolò con il grado di comandante e compì diverse missioni, anche se non veniva considerato abile al volo, a causa dei tanti malanni conseguenti agli incidenti aerei. Gli fu comunque assegnata la Croce di Guerra. Andò poi a vivere con la sorella nella zona liberata della Francia e da qui fuggì negli Stati Uniti. A New York pubblicò Volo ad Arras, che descrive i suoi voli sulle linee nemiche. Questo libro non fu pubblicato in Francia, per ordine del governo tedesco.

Senza partecipare attivamente alla vita politica, Antoine de Saint Exupéry affermò le sue convinzioni profondamente antifasciste e antinaziste. Fu però criticato dai suoi connazionali, per non aver supportato il governo De Gaulle in esilio a Londra.

Il Piccolo Principe

Nel 1943 uscì il Piccolo Principe, una favola per bambini che piace moltissimo anche, come dice l’autore, “ ai grandi che sono stati bambini una volta e poi se ne sono dimenticati” . E’ il libro più venduto del mondo, dopo la Bibbia ed il Capitale di Karl Marx, oltre ad essere il libro francese più tradotto al mondo.

Dietro l’apparente semplicità della narrazione, il racconto affronta temi profondi come la solitudine, l’amicizia, l’amore e il senso della vita. Il personaggio del pilota naufragato nel deserto richiama chiaramente la biografia di Saint-Exupéry.

E’ la storia di un pilota che ha avuto un incidente aereo e che per questo si trova nel deserto. Lì incontra un ragazzo, che è un principe proveniente da un altro pianeta. Il principe racconta all’aviatore le sue avventure sulla terra e della sua preziosa rosa, rimasta sul suo pianeta. Quando si accorge che le rose sono comuni sulla terra, rimane deluso, ma una volpe del deserto lo convince ad amare la sua rara e preziosa rosa, trovando così il senso della sua vita ed il motivo per tornare a casa. (In questa rara rosa molti pensano di vedere la figura di Consuelo, la moglie, dalla quale si era separato da cinque anni).

Ultimi anni

Tornò poi ad arruolarsi nell’aviazione francese in Nord Africa. E qui si venne a sapere che il pilota aveva la pericolosa abitudine di scrivere durante il volo. Dopo un atterraggio d’emergenza i superiori decisero che Saint-Exe era troppo vecchio per continuare a volare e lo misero a riposo per un po’… Non durò a lungo, il pilota scrittore voleva tornare a guidare i suoi aerei.

La scomparsa

Nel 1944 l’aviatore-scrittore tornò in Europa per unirsi agli Alleati. Il 31 luglio 1944, decollò da una base in Corsica per una missione di ricognizione sopra la Francia occupata e non fece mai ritorno. 

Forse il suo aereo è stato abbattuto in volo da un aereo tedesco, forse si è suicidato, forse è sopravvissuto chissà dove, cambiando identità… Tutte le ipotesi sembrarono possibili, visto che era letteralmente sparito nel nulla.

Solo nel 1998 furono ritrovati dei rottami al largo di Marsiglia, identificati nel 2003 come appartenenti al suo velivolo.

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Il ritrovamento dei rottami

Nel 1998 un pescatore trovò un braccialetto in mare, 150 km ad ovest di Marsiglia: c’erano impressi i nomi di Saint-Exupéry e di Consuelo Gomez Castello; nel Maggio 2000 fu ritrovato il suo aereo, un Lockheed Lightning P-38. Difficile ormai sperare che fosse sopravvissuto.

Di lui c’è rimasto il manoscritto La Cittadelle ed alcuni appunti, che furono pubblicati postumi nel 1948.

Questo ultimo libro riflette un maggiore coinvolgimento politico dell’Autore e la nascita di alcuni ideali, ma soprattutto ci dà una spiegazione della sua vita ed anche della sua morte quando dice: ‘libertà e costrizione sono due aspetti della stessa necessità, che è quella di essere sé stessi e nessun altro’…

Cosa ci rimane di lui

Antoine de Saint-Exupéry è oggi ricordato come una delle figure più affascinanti del Novecento. La sua scrittura unisce poesia, filosofia e testimonianza di vita. Il Piccolo Principe, in particolare, è divenuto un simbolo universale di purezza, amore e saggezza infantile.

Nel 1993, in suo onore, l’aeroporto di Lione è stato ribattezzato Aéroport Lyon-Saint-Exupéry. Le sue parole continuano a ispirare lettori di ogni età con il loro messaggio di speranza e umanità.

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L'amante di Lady Chatterley: la passione

L’amante di Lady Chatterley: la passione

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L’amante di Lady Chatterley è un libro di David Herbert Lawrence, considerato uno dei suoi capolavori. Il libro venne scritto in Toscana, fra il 1925 e il 1928, in lingua inglese, ma fu pubblicato nella lingua originale solamente nel 1960, per la Penguin Book.

Ora che l’oscenità in pubblico è praticamente diventata un luogo comune, è difficile rievocare le atmosfere di allora, cioè quelle di una società che riteneva di vietare libri come “L’amante di Lady Chatterley”, per non consentire che l’opera fosse veicolo di “depravazione e corruzione” dei lettori.

Anche se sono passati solo sessant’anni dalla Gran Bretagna del processo al libro di Lawrence, quel mondo del 1960 potrebbe oggi sembrare una storia di secoli fa, di una società in cui gli uomini portavano ancora abiti grigi pesanti e le donne, salvo eccezioni, non lavoravano e non conoscevano il piacere sessuale.

La storia

L’amante di Lady Chatterley racconta la storia di una relazione tra la giovane, sposata e aristocratica Lady Chatterley con il suo guardacaccia, di classe operaia, Oliver Mellors. Nel libro vi sono descrizioni esplicite di rapporti sessuali e un riferimento al sesso anale, che all’epoca era illegale.

Figlia di Sir Malcolm Reid e sorella di Hilda, Constance (“Connie” nel libro) è una donna intellettuale, socialmente progressista e molto passionale, della media borghesia scozzese. In giovane età viene mandata assieme alla sorella a fare il Gran Tour nelle città più importanti d’Europa (Parigi, Firenze, Roma, L’Aia e Berlino), per motivi di istruzione.

A quindici anni si trasferisce per un lungo periodo a Dresda, per studiare (soprattutto musica). In Germania si innamora di un giovane che le fa fare le sue prime esperienze sessuali, ma che poi muore in guerra. Ritornata in Inghilterra la protagonista si trasferisce nella casa materna a Kensington.

In questo periodo conosce Clifford Chatterley, un uomo dell’aristocrazia molto intelligente, anche se paraplegico, che poi sposerà e grazie al quale diventerà Lady. Nel corso del romanzo, Connie matura sia sessualmente che come donna; col tempo arriverà a disprezzare il marito e ad allontanarsi da lui.

Dapprima inizierà una relazione con l’incostante irlandese Michaelis, poi con Oliver Mellors, il guardiacaccia della tenuta di suo marito, Wragby Hall.

Mentre cerca  di divorziare dal marito e in attesa di un figlio dal suo amato Mellors, Lady Chatterley si allontana sempre di più dalle convenzioni sociali del suo mondo,  rivendicando il diritto al proprio piacere e ad iniziare, insieme all’uomo che follemente ama, una nuova vita, all’insegna della tenerezza, dalla sensualità e dall’appagamento sessuale.

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La censura e il processo

Il libro sfidò i valori dell’establishment e, sebbene fosse stato pubblicato in altre lingue, rimase inedito nel Regno Unito per 30 anni dopo la morte di Lawrence, avvenuta nel 1930, poiché gli editori temevano di essere censurati e di subire sanzioni.

Nel 1959, Roy Jenkins aveva curato l’introduzione di una nuova legge in Gran Bretagna, la Obscene Publications Act, che lasciava aperta una scappatoia a questi libri considerati troppo osé: quella del merito letterario, attraverso il quale le opere avrebbero potuto sfuggire ai divieti imposti dalla censura.

Nel maggio del 1960, la Penguin pensò di sfruttare proprio questa legge, pubblicando 200.000 copie in brossura del libro di Lawrence, a prezzi popolari.

Il libro subì un processo in Gran Bretagna, che si concluse con l’assoluzione della Penguin Books che aveva avuto il coraggio di pubblicarlo: per questa ragione il libro è considerato un importante tassello della storia letteraria e sociale britannica. Il verdetto, infatti, fu un’importante vittoria per la libertà di espressione e aprì le porte a una stampa molto più libera, in cui il sesso non era più un tabù, nell’arte e nell’intrattenimento.

L’accusa si mostrò in difficoltà fin dall’inizio. Anche se era stata redatta una lunga lista di potenziali testimoni, che avrebbero dovuto condannare il libro di Lawrence come “osceno”. Nessuno di loro, al dunque, accettò di testimoniare. A un certo punto si rivolsero ad un critico letterario americano, che una volta aveva condannato il libro come “un’opera triste, con alcuni tratti di umorismo non intenzionale”, ma anche lui alla fine cambiò parere.

La difesa, guidata da Gerald Gardner, si affidò alla testimonianza di 35 professori di letteratura, autori, giornalisti, editori, critici letterari, pedagogisti e quattro uomini di chiesa anglicani, ciascuno dei quali dichiarò che il libro aveva un merito letterario sufficiente per meritare la pubblicazione, per il bene pubblico. Tra i testimoni vi erano EM Forster, Cecil Day-Lewis, Rebecca West e Richard Hoggart. Perfino il vescovo di Woolwich, John Robinson, prototipo del pastore anglicano illuminato, disse alla corte che Lawrence mostrava il sesso come “un atto di santa comunione ” e rispose positivamente quando gli fu chiesto se, a suo parere, si trattava di un libro che “i cristiani avrebbero potuto leggere “.

Le autorità, non convinte, decisero di giudicare se vi fosse effettivamente dell’oscenità nel libro attraverso una prova empirica, condotta su nove uomini e tre donne, che dovevano leggere il libro in un’aula di tribunale, in un tempo dato di 6 giorni, senza il permesso di portare il libro con sé, fuori da quei locali protetti. Solo se questi giurati avessero dichiarato la non-oscenità del libro, la Penguin sarebbe stata assolta e sarebbe stato dichiarato nullo l’Obscene Publications Act.

La maggior parte dei resoconti del processo del 1960 ce lo presentano come una farsa, che nascondeva in realtà uno scontro sociale molto più duro, quello tra una vecchia istituzione repressiva da un lato, e le forze più illuminate e progressiste, dall’altro. Quasi tutti i giornali del Regno Unito convennero sul fatto che quel processo appariva una gran perdita di tempo: il Daily Telegraph scrisse che la polizia avrebbe dovuto occuparsi di ben altro che delle pagine scritte da DH Lawrence.

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Il 2 novembre 1960 la giuria assolse la Penguin Books da tutte le accuse. Quasi immediatamente, il libro divenne un best-seller. In 15 minuti, la libreria Foyles di Londra aveva venduto 300 copie e  ricevuto ordinazioni per ulteriori 3.000 copie. Hatchards finì tutti i volumi in 40 minuti; Selfridges vendette 250 copie in meno di mezz’ora.

Eppure, anche se il mondo intellettuale aveva accettato l’opera, le classi più popolari si sentirono tradite da questa decisione. A Edimburgo, le copie furono bruciate nelle strade, nel Galles meridionale, donne bibliotecarie chiesero il permesso di essere esentate dall’avere a che fare con quest’opera, nel Surrey, una donna angosciata scrisse al ministro degli Interni, spiegando che la figlia adolescente era in collegio e lei era terrorizzata che alcune ragazze esterne avrebbero potuto introdurre nel college questo libro perverso.

Per la Gran Bretagna la fine del divieto alla pubblicazione di Lady Chatterley fu un momento estremamente simbolico, poiché rappresentava la fine di un’epoca in cui lo Stato teneva sotto controllo sia la morale privata che il comportamento pubblico dei cittadini. Altre accuse di oscenità seguirono nei successivi due decenni, ma tutte ebbero lo stesso risultato: un trionfo per la liberalizzazione, una sconfitta per la censura.

Lo scrittore Philip Larkin scrisse che la rivoluzione sessuale in Gran Bretagna poteva essere datata fra il verdetto di Lady Chatterley e il primo LP dei Beatles. In realtà non fu così: la società britannica restò straordinariamente casta e conservatrice fino ai primi anni settanta, quando milioni di donne iniziarono a prendere la pillola e gli adolescenti a perdere velocemente la loro verginità. Vennero poi le conquiste sociali relative al divorzio, all’omosessualità e all’aborto, vecchi tabù che ormai sono diventati elementi familiari del nostro paesaggio sociale.

In Italia e in Europa

La prima edizione del libro fu pubblicata in Italia (a Firenze, nel giugno 1928). Ciò, anzitutto per evitare problemi di censura e poi perché in quel periodo Lawrence, per curarsi la tubercolosi, era venuto a vivere in Italia. Nel periodo in cui scrisse la sua opera più celebre era a Villa Mirenda, sopra Scandicci (FI), dove dimorò dal maggio 1926 al giugno 1928.

Lawrence disegnò la copertina del libro (una fenice che si innalza in volo da un nido in fiamme), che fu stampato in 1000 copie,  numerate e firmate una ad una. Il libro si ispirava ad una relazione della moglie con un Tenente (il suo futuro terzo marito).

Nel 1927 così Lawrence scrisse all’amica Dorothy Brett: «Ho finito il mio romanzo. Mi piace. Ma è così indecente – secondo gli stupidi canoni convenzionali che nessuno lo pubblicherà mai. Ed io non intendo assolutamente tagliarlo».

Un amico di Lawrence, Giuseppe Orioli, che aveva una libreria antiquaria in Lungarno Corsini  indirizzò lo scrittore da uno stampatore che non si sarebbe fatto problemi e che gli avrebbe consentito di produrre una “edizione privata” dell’opera: la Tipografia Giuntina.

I Giunti erano stampatori storici di Firenze, operativi già dal XV secolo, quando importarono la stampa a caratteri mobili in Italia insieme al veneziano Aldo Manuzio. Negli anni Venti il proprietario della tipografia era l’editore Leo Samuel Olshki.

Racconta lo stesso Lawrence, in A Propos of Lady Chatterley’s Lover, di come lo stampatore, avvertito che il contenuto del romanzo avrebbe potuto portare a problemi con la censura, commentò, con tipico accento fiorentino : «Oh! Ma se son cose che noi si fanno tutti i giorni!». Evidentemente, la priorità per i censori italiani era in quell’epoca più mirata ai contenuti politici.

Tuttavia quando Mondadori volle pubblicare, nel 1946, la prima traduzione integrale del romanzo in lingua italiana, vi fu un’interrogazione parlamentare. Il libro era stato pubblicato  in Germania nel 1930 e in Francia nel 1932.

La prima traduzione in italiano fu opera di Manlio Lo Vecchio Musti, il quale cercò di evitare la resa letterale di termini più volte utilizzati da Lawrence, quali to fuckfottere, che in italiano fu costantemente resa con il verbo baciare, con effetti persino involontariamente comici, dove arrivò a tradurre «fuck’s only what you do, animals fuck» con «baciar è quello che si fa, gli animali si baciano».Altri termini sessualmente crudi, quali cock e cunt, relativi agli organi genitali maschili e femminili, vennero tradotti rispettivamente con coda e musa. Altri errori derivarono dalla cattiva traduzione dall’edizione francese, cui il traduttore italiano si ispirò.

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Film

Del libro vi sono state diverse versioni cinematografiche, di cui le più importanti sono quella del 1955, di Marc Allégret e la versione francese del 2006, vincitrice di 5 Caesars (Oscar francesi) di Pascale Ferran.

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Sigmund Freud aveva un ottimo livello di istruzione e leggeva moltissimo. Aveva una fornitissima libreria in casa e una incolmabile curiosità intellettuale, che lo portò a leggere non solo di scienza, ma anche molta letteratura, che influenzò profondamente il suo lavoro e contribuì alla sua visione della psiche umana.

Durante gli anni del liceo, Freud, studente molto brillante, scoprì le tragedie di Sofocle, in particolare l’ Edipo-Re che, come sappiamo, avrebbe avuto un futuro di tutto rispetto nella teoria psicoanalitica.

“Sono sempre stato orgoglioso”, scrisse Freud, “del ricco sedimento depositato nella mia memoria dallo studio della lingua greca (Sofocle, Omero)”.

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Quando, nel 1906, fu invitato alla compilazione di un questionario su quelli che considerava “dieci buoni libri”, iniziò chiedendosi quali opere della letteratura mondiale potessero essere considerate le più belle… Nessuna esitazione: scelse ancora quelle di Omero e Sofocle, cui seguivano Goethe e Shakespeare.

Nel discorso pronunciato nel 1930, quando fu insignito del Premio Goethe, affermò di essere un grande estimatore di Goethe: in particolare apprezzava il Faust, e la Ifigenia in Tauride, opere nelle quali aveva scoperto molti concetti, confermati poi dalla psicoanalisi.

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Oltre a Goethe, i classici tedeschi amati da Freud sono Schiller (da cui trae il concetto per cui “la fame e l’amore forniscono la ragione del funzionamento del mondo”, suo primo punto di appoggio per la costruzione della teoria psicoanalitica), insieme al poeta Heinrich Heine.

Secondo Freud, Shakespeare ci introduce “in un mondo di spiriti, demoni e fantasmi”. Di questo autore apprezzava in particolare l’Amleto e il Macbeth, trovando in questi drammi una ricca analisi dei conflitti psicologici umani, dei desideri nascosti e delle dinamiche familiari complesse.

Ma tra i gusti letterari di Freud vi erano anche i romanzieri del XIX secolo: Dostoevskij, che “non è molto lontano da Shakespeare” e fra le sue opere, “il più grande romanzo mai scritto”: I fratelli Karamazov, che affronta lo stesso tema di parricidio edipico di Sofocle e presenta, secondo Freud, nell’episodio del Grande Inquisitore, le più belle pagine mai scritte.

Freud non disdegnava neanche il romanzo francese. Lesse Zola – Fécondità e il Dr. Pascal, e Balzac, il cui La pelle di zigrino sarà la sua ultima lettura.

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Un altro autore ammirato da Freud era Miguel de Cervantes: considerava il “Don Chisciotte” una profonda analisi della follia umana e della lotta tra realtà e immaginazione.

In Edgar Allan Poe Freud ammirava la rappresentazione brillante delle ansie, delle ossessioni e delle paure più profonde dell’animo umano.

I sapori ed i riferimenti letterari di Freud, come si vede, sono molto classici. Se lui leggeva e apprezzava  Thomas Mann, Stefan Zweig o Arthur Schnitzler, gran parte della letteratura tedesca del Novecento non sembrava interessarlo, come nel caso di autori come Rilke, Kafka, Musil o Döblin.

Probabilmente ciò che affascinava Freud non era tanto la forma letteraria, quanto i contenuti di questi libri. Per quanto riguarda la creazione, letteraria o artistica in generale, Freud la riteneva analoga ad un sogno ad occhi aperti, una porta di accesso alla conoscenza dell’inconscio, ove Freud ricercava la conferma della sua teorie.

Per questo, anche le opere mediocri a volte potevano apparirgli ricche di contenuti, così come opere della grande letteratura.

Ad esempio la Gradiva di Jensen, descritta da Freud come “una piccola storia di per sé di nessun valore, di nessun interesse letterario”, gli permise di mettere in evidenza che anche i sogni nati dalla finzione poetica possono autorizzare ugualmente interpretazioni reali e che agiscono, nella produzione del poeta, con gli stessi meccanismi che l’inconscio utilizza nel lavoro onirico.

Fonti principali:
L’Express
Freud Museum
Pubmed

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Immagine: La pelle di zigrino di Balzac, ultimo libro letto da Freud

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