Come posso aiutare la mia amica? – Consulenza on Line

Ho conosciuto da qualche mese una mia coetanea con cui ho stretto un forte legame di amicizia. Parlando con lei ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa che la facesse soffrire molto ed infatti, dopo qualche tempo, mi ha confidato di essere stata adottata a 12 anni. Dalla nascita al momento dell’adozione è vissuta in istituto con la madre che andava a trovarla con fequenza settimanale. In occasione della sua prima comunione ha passato 4 giorni nella casa materna e in quell’occasione ha subito molestie sessuali da parte della madre e di un fratello di poco più grande di lei. Sarebbe stata coinvolta infatti in un rapporto a 4 (madre fratello ed un partner) e molestata (ha quanto ho potuto capire però non si è arrivati allo stupro). Vieve ancora oggi un forte senso di colpa (perchè non ho reagito?) ma è riuscita ad elaborare almeno il concetto che se è stata rifiutata dalla madre non è per sua colpa. Oggi è sposata, ha due figlie adolescenti ed è riuscita a parlare con me di queste cose in modo abbastanza chiaro anche se credo di essere l’unica persona a conoscenza del fatto. Purtroppo però sta dimostrando verso di me un’autentica passione (anche fisica) cosa che la fa molto soffrire e che, naturalemente, mette in difficoltà anche me. Vorrei aiutarla anche se credo che sia necessario che lei parli con una persona professionalmente qualificata. Mi rendo conto però che per lei questa strada è difficile ed ha bisogno di arrivare alla consapevolezza che un aiuto è necessario, per gradi. Nel frattempo come posso aiutarla? Avendo vissuto due affidi prima dell’adozione, ha il terrore di essere abbandonata nè io posso pensare di lasciarla sola proprio ora che ha più necessità di una persona amica capace di ascoltarla.

Gentilissima,

Credo che la sua amica abbia bisogno di confidarsi con un terapeuta e non con un’amica. Il/La terapeuta è una persona estranea, neutrale, professionale, alla quale si può raccontare tutta la propria vita, nella certezza di essere compresi, di essere aiutati e, non ultimo, di poter contare sul rispetto del segreto professionale. Il/la terapeuta non è una persona verso la quale si dovrebbe provare “un’autentica passione – anche fisica”, e neanche un semplice rapporto di amicizia. Il racconto dei propri traumi, dei sensi di colpa, dei sentimenti e dei vissuti più difficili e scabrosi non dovrebbe essere fatto a persone con le quali si condividono le proprie giornate ed il tempo libero: non solo infatti l’aiuto non sarebbe qualificato, ma il soggetto interessato potrebbe, in seguito a queste confessioni, entrare in un labirinto di specchi, che riflette e ripropone, anche involontariamente, scene della propria vita, senza permettere di trovare vie d’uscita. In un rapporto professionale invece, terminata la terapia, si può ‘archiviare’ questa esperienza, dimenticare il/la terapeuta e continuare a fare la propria vita, sentendosi una persona ‘normale’ fra altre persone ‘normali’.

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Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona

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