Don Lorenzo Milani: uno dei sacerdoti più discussi

Don Lorenzo Milani: uno dei sacerdoti più discussi


Don Lorenzo Milani è senz’altro uno dei sacerdoti più discussi e significativi del dopoguerra.

Nacque a Firenze nel 1923, figlio di Albano e Alice Weiss, quest’ultima di origine israelita, famiglia dell’alta borghesia intellettuale fiorentina. Il nonno Luigi era un notissimo archeologo, il padre un professore universitario. La grande crisi economica impediva di vivere di sola rendita e così il Signor Albano nel 1930 si trasferì con la famiglia a Milano dove Lorenzo studiò fino al conseguimento della maturità classica.

Non fu mai uno studente modello anche perché già non condivideva gli insegnamenti che riceveva nella scuola pubblica fascista. Dirà successivamente in una lettera:”Ci presentavano l’impero come una gloria della patria. I nostri maestri si erano dimenticati di dirci che gli Etiopici erano migliori di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.”

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Il 29 giugno 1933 i coniugi Milani, che erano sposati solo civilmente, si sposarono in chiesa per difendersi dalle leggi razziali e dalla persecuzione contro gli ebrei. Nel 1941 Lorenzo cominciò a studiare pittura presso l’Accademia di Brera ma nel 1942, a causa dei bombardamenti, la famiglia dovette ritornare a Firenze, nella villa di Montespertoli. Malgrado qualche malattia l’avesse fatto penare, era un bel ragazzo simpatico e cortese, dall’aria del giovane di famiglia benestante. Un giorno mentre dipingeva vicino a Piazza Pitti si mise a mangiare un panino e subito una donna lo apostrofò: “Non si viene a mangiare il pane bianco nelle strade dei poveri.” Questo episodio raccontato da lui stesso lo segnerà profondamente e di lì a breve gli farà abbandonare le mollezze e il tipo di linguaggio acquisito in famiglia.

L’interesse per l’arte e l’architettura portarono il giovane prima a scoprire le chiese e poi la liturgia cattolica ed il Vangelo. L’8 novembre 1943 entrava nel seminario maggiore di Firenze e il 13 luglio 1947 veniva ordinato sacerdote malgrado la famiglia non avesse approvato la scelta di vita del figlio e non partecipò alla cerimonia di tonsura, cioè all’atto di ingresso alla vita ecclesiastica.

Il giovane fu mandato come cappellano a San Donato di Cadenzano, dove fondò subito una scuola serale per i figli dei contadini e degli operai. Cominciò lì a scrivere il suo primo libro provocatorio, “Esperienze Pastorali”che finì nel maggio del 1958 a Sant’Andrea di Barbiana, dove nel frattempo era stato trasferito anche a motivo del clamore suscitato dall’opera. Il libro infatti fu ritenuto inopportuno dal Sant’Uffizio e ne fu vietata la ristampa.


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Nel dicembre del 1960 don Milani ebbe i primi sintomi del tumore che sette anni dopo lo avrebbe portato alla tomba. Intanto però la scuola di Barbiana diventava uno degli esperimenti più arditi della pedagogia contemporanea, attirando sul suo fondatore i consensi e i dissensi di tutta l’opinione pubblica italiana e straniera.

Nel 1965 don Milani scrisse una lettera aperta ad un gruppo di cappellani militari in congedo che, in un comunicato, avevano definito l’obiezione di coscienza “estranea al comandamento cristiano dell’amore e espressione di viltà”. La lettera, pubblicata da “Rinascita”, suscitò una reazione veemente e il nostro fu bollato come “il prete rosso” e, incriminato per apologia di reato, venne rinviato a giudizio.

Il 15 febbraio 1966 il processo, cui l’imputato non aveva potuto essere presente per l’aggravarsi del male, si concluse con l’assoluzione. Egli aveva inviato ai giudici una autodifesa scritta in equipe con tutti i ragazzi della scuola. Ma il 28 ottobre 1968 su ricorso del pubblico ministero, la Corte d’appello, modificando la prima sentenza, condannava lo scritto. Don Milani era già morto, il 26 luglio 1967. Pochi mesi prima era uscita la “Lettera a una professoressa”, scritta insieme ai ragazzi della scuola: un libro-denuncia delle insufficienze della scuola che verrà tradotta in tedesco, spagnolo, inglese e perfino giapponese, vendendo in tutto il mondo.

Era la vigilia del ’68 che non capirà mai fino in fondo il priore di Barbiana.

Pur restando fermo all’essenza della dottrina cristiana nelle sue formulazioni più elementari, don Milani le ha rese attuali, stimolanti con la sua coerenza e la sua sofferenza. Inviso a gran parte della gerarchia ecclesiastica, relegato al confino in una parrocchia di poche decine di anime, la sua obbedienza non è venuta mai meno ed è stata pari alla sua libertà. Ha aderito al dogma cristiano col cuore di un fanciullo e lo ha reso credibile ai piccoli e ai grandi con la semplicità, la trasparenza.

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Proprio lui, che si era contraddistinto per una certa asprezza di modi, lasciò un dolcissimo testamento a due ragazzi della scuola, Francuccio e Michele, e a Eda Pelegatti, la perpetua che l’aveva curato e seguito in tutta la sua vita di sacerdote:

“Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non ho punti debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso l’Eda invece ho solo debiti e nessun credito. Traetene le conseguenze sia sul piano affettivo che su quello economico. Un abbraccio affettuoso, vostro Lorenzo.

Cari altri, non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo non è un documento importante, è solo un regolamento di conti di casa (le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino ad annoiarvi).

Un abbraccio affettuoso, vostro Lorenzo.

Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio. Ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto. Un abbraccio, vostro Lorenzo”.

Prima di morire ha scritto: “Ho 45 anni e sono parroco di 42 anime”. Non ha mai creduto all’amore universale ma piuttosto all’amore per poche decine di anime di creature alle quali ha consacrato giorno per giorno tutta la propria vita, era un …minimalista. Anche la scoperta di Dio, per lui, non può essere fatta che attraverso la dedizione a poche creature. A un insegnante scrive: “Quando avrai perso la testa come l’ho persa io, dietro a poche decine di creature, troverai Dio come un premio… Ti troverai credente senza nemmeno accorgertene”.

Lanfranco Bruzzesi

Imm. Wikimedia

 

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