Andy Warhol, il più americano fra gli artisti

Andy Warhol nacque nel 1928 a Pittsburgh. Il padre Andrei Warhola, di origine cecoslovacca, era emigrato negli Stati Uniti prima della grande guerra insieme con la moglie.

L’infanzia di Andy non è certo delle più felici. I tempi sono quelli della “Grande Depressione” e non è facile vivere nei sobborghi operai della città; inoltre quando ha quattordici anni il padre muore di peritonite tubercolare lasciando la famiglia in condizioni ancora più disagiate tanto che la madre è costretta a sbarcare il lunario confezionando fiori di carta.

Andy, in cui possiamo già scorgere una certa predisposizione per il disegno, si iscrive ad un corso di arte e poi all’università di Pittsburgh e per mantenersi agli studi dà lezioni di disegno e lavora durante l’estate presso un grande magazzino fino a che non vince un premio e gli viene chiesto di lavorare come Art Editor nei giornali studenteschi. Conseguito il diploma, nel 1949 si trasferisce a New York e da principio divide gli appartamenti con altra gente, ma riesce a trovare il modo di collaborare con diverse riviste tra le quali “Glamour”e “Vogue”, dimostrando di muoversi bene nel mondo snob dell’editoria.

Nel 1952 tiene la sua prima mostra personale: 15 disegni ispirati agli scritti di Truman Capote, di cui rimarrà a lungo amico. E’ in questi anni che mette a punto la tecnica della “bottled line”che eserciterà un forte influsso sul linguaggio della grafica pubblicitaria: il procedimento consiste nel tracciare un disegno su un foglio poco permeabile applicandolo poi, quando è ancora umido, su una serie di altri fogli che diventano a loro volta degli originali. Ormai il successo è alle porte e quando finalmente può permettersi una casa propria, sua madre arriva inaspettatamente in città e si stabilisce nello stesso alloggio dicendo di voler prendersi cura di lui.

Nel 1963 Andy raccoglie intorno a sé numerosi giovani artisti costituendo una specie di comune cui dà il nome di “Factory”: produce films underground e diventa una sorta di vate per gruppi musicali come i Velvet Underground di Lou Reed e John Cale.

Nel 1969 fonda la rivista “Interview” dedicata al mondo del cinema e così ora sono i divi di Hollywood ad andare da lui per ritrovarsi nelle copertine dei giornali, non ha più bisogno di vederli nelle fotografie collezionate da piccolo: Farrah Fawcett, Liza Minnelli, Jodie Foster, Jack Nicholson, Liz Taylor etc., sono suoi frequentatori abituali.

Tra la fine degli anni sessanta sino alla morte l’opera grafica e la pittura acquisiscono per Warhol un ruolo sempre più importante: eseguirà fra i 50 e i 100 ritratti all’anno di personaggi famosissimi e non (Marylin Monroe, Mao Tse Tung, Liza Mannelli, Mick Jagger dei Rolling Stones) e stampe che propongono immagini di sconcertante quotidianità, dalle bottigliette della Coca Cola alla lattina di minestra Campbell.

Ormai accolto nel Gotha della cultura e dell’arte, nel corso degli anni ottanta il nostro vede esporre le sue opere nei musei più importanti e così comincia a viaggiare per il mondo intero. L’ultima sua meta sarà l’Europa: Parigi e Milano, tra il 18 e il 24 gennaio 1987, quando presenta la serie dedicata all’ultima cena di Leonardo da Vinci. Tornato negli States, il 17 febbraio viene colpito da una colica biliare; operato alla cistifellea al New York Hospital il 21 febbraio, muore il mattino successivo.

LA POP ART

Si discute molto sull’arte di Andy Warhol, la cosiddetta Pop-Art; ciò che possiamo dire con certezza, senza prendere una posizione a favore o contraria, è che essa prende spunto dal cinema, dai fumetti, dalla pubblicità senza alcuna volontà di scelta estetica, ma come pura e semplice registrazione delle immagini quotidiane. Non si può assolutamente condividere certa critica europea che in queste operazioni vuole vedere una presa di posizione contro il kitsch dilagante nella società consumistica. Di sicuro si può affermare che Warhol si è mosso sempre nella cultura newyorkese e va annoverato perciò, malgrado figlio di esule cecoslovacco, fra i maggiori rappresentanti della cultura americana e, paradossalmente. il più americano fra gli artisti.

DIARI DI ANDY WARHOL BY PAT HACKETT

Nell’autunno del 76 Andy e la sua assistente-segretaria, Pat Hackett, stabiliscono di parlarsi al telefono ogni mattina di giornata lavorativa: lo scopo iniziale è quello di trascrivere tutto ciò che l’artista fa durante il giorno; a poco a poco questa telefonata del mattino diviene qualcosa di più, una sorta di riflessione sulla vita, un vero e proprio diario che, pubblicato nel 1989, rappresenta una autobiografia di un uomo che è stato alla ribalta delle cronache d’arte e mondane negli anni settanta e ottanta e una testimonianza di ambienti e mode, di incontri con i divi più acclamati di Hollywood.

Questi diari ci svelano la ricca personalità di un uomo, fatta di intuizioni geniali ma anche di fobie, angosce, manie.

Interessante è il fatto, ad esempio, che, per fare un ritratto, scattava una sessantina di foto con la polaroid Big Shot e quando la produzione di questo modello cessò, Andy si mise d’accordo con la ditta per acquistare tutto lo stock rimanente. Era inoltre ossessionato dai controllori fiscali a tal punto che arrivava a tener conto delle chiamate di lavoro da 10 cents dai telefoni pubblici.

Un suo grande timore era di andare in rovina. Era poi terrorizzato dal cancro e dalla morte in generale: un mal di testa o un brufolo, come scrive P.H., era sempre un possibile tumore del cervello o della pelle.

Riportiamo ora alcuni passi tratti da questi diari:

Lunedì 8 dicembre 1980

“… E’ arrivato poi qualcuno che ha detto che avevano sparato a John Lennon e nessuno riusciva a crederci, così qualcuno ha telefonato al Daily News e loro hanno confermato. Era terribile, nessuno riusciva a parlare d’altro. Gli hanno sparato davanti a casa sua. Arrivato a casa , ho acceso la TV e hanno detto che è stato assassinato da un tale a cui aveva dato un autografo qualche ora prima quella sera stessa.

Martedì 9 dicembre 1980

“… Ho guardato le notizie su John ed è spaventoso. Voglio dire, l’altro giorno il ragazzo chiamato Michael, che mi scrive lettere da cinque anni, è semplicemente entrato-qualcuno aveva aperto con il citofono-e mi si è avvicinato, mi ha dato un’altra lettera e se ne è andato. Dove vive? In qualche ospizio?

Venerdì 14 febbraio 1987

“Una giornata veramente corta. Non è successo un granché. Sono andato a fare delle spese, delle commissioni, sono rientrato a casa, ho parlato al telefono… Sì, tutto qui. E’ stata una giornata corta”

… come quella di tanti di noi oggigiorno

Lanfranco Bruzzesi

Imm. Wikimedia

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