Pericle (495 a.C. circa – 429 a.C.) il cui nome in greco significa “circondato dalla gloria” è senz’altro ricordato come uno dei migliori statisti della Grecia antica, colui che dette il nome ad un’intera epoca. Pericle riuscì a realizzare una forma compiuta di democrazia (la stessa parola demokratìa comparve per la prima volta in età periclea) sull’idea che l’Assemblea di tutti i cittadini ateniesi, l’Ecclesìa, avesse il diritto di prendere ogni decisione, senza imposizioni o limiti imposti da altri organi. Pericle riteneva la democrazia la forma più evoluta di governo, l’unica in grado di salvaguardare la libertà individuale e l’indipendenza dello stato.
Nacque da due genitori illustri, nel 495 (o 494) a.C.: suo padre Santippo aveva conseguito una importante vittoria sui Persiani a Micale nel 479 A.C., mentre sua madre, Agariste, era la nipote del grande riformatore ateniese Clistene. Pericle ricevette un’educazione molto raffinata, da tutti i migliori maestri del tempo, ma fra tutti i suoi insegnanti, quello più riverito, i cui insegnamenti ebbero la più grande influenza sull’allievo, fu senz’altro il filosofo Anassagora.
Secondo Plutarco, Pericle veniva rappresentato nelle statue e nelle altre raffigurazioni, con un elmo in testa, dal momento che aveva una malformazione che rendeva prominente e asimmetrica la sua testa.
Pericle era famoso per la singolare dignità dei suoi modi, il tuonare “olimpico” della sua eloquenza, la sua sagacia, la probità e il profondo patriottismo. Plutarco definisce la sua oratoria come elevata, immune da parole volgari e comune loquacità. Aveva l’espressione del volto inflessibile al riso, era mite nel portamento, vestito in modo sobrio, con un tono di voce rassicurante. C’è un episodio che meglio descrive la personalità dello statista ateniese: una volta una persona dall’aspetto e dal comportamento poco raccomandabili per tutto il giorno parlò male di Pericle nell’agorà, ma l’interessato non reagì, nemmeno quando anche la sera quest’uomo lo seguiva continuando ad inveire contro di lui. Quando arrivò a casa, poiché era già buio, ordinò ad un suo servitore di prendere un lume e accompagnare quell’uomo a casa sua. Questa proverbiale calma sembra fosse un prodotto degli insegnamenti filosofici di Anassagora.
Non tutti ne parlavano bene: il poeta Ione ad esempio sosteneva che Pericle fosse una persona arrogante, orgogliosa, altezzosa e superba, piena di disprezzo per gli altri (ma poteva essere un giudizio di parte, essendo Ione un sostenitore di Cimone, del quale infatti lodava la modestia, il carattere dolce e l’affabilità).
Sul piano sentimentale, Pericle si legò ad una etèra (oggi si direbbe una escort), Aspasia, una donna la cui raffinatezza culturale e libertà di costumi si poneva su un piano differente rispetto alla normale condizione delle altre. Le etère venivano ammesse nei simposi maschili, dove suonavano, danzavano, recitavano poesie. La versatilità, l’intelligenza e la capacità comunicativa di Aspasia attirarono subito le attenzioni di Pericle, per la quale abbandonò moglie e figli. Ciò che era ritenuto sconveniente non era che il capo dello Stato avesse una concubina, ma che non l’avesse rinchiusa in un gineceo, invece di farla partecipare ai banchetti o mostrarla come un esempio di eleganza e di raffinatezza. Ad Aspasia fu intentato addirittura un processo, di cui non si conoscono gli esiti. Si sa però che l’etèra rimase accanto allo statista fino alla morte di lui, per poi far ritorno nella nativa Mileto.
Pericle da giovane non si occupò di pubblici affari: aveva un carattere introverso e dette il meglio di sé come valente militare, nella prima guerra del Peloponneso (459-445 a.C.).
Dopo la morte di Aristide, la caduta di Tucidide e l’impegno all’estero di Cimone, Pericle sentì il bisogno di dedicarsi alla vita pubblica, dedicandosi in particolare alla guida del partito dei democratici (che si contrapponeva a quello degli aristocratici). Secondo Plutarco non lo fece per naturale propensione (dal momento che, a suo dire, nel suo intimo non era affatto un democratico), ma per calcolo politico: temendo di essere considerato un tiranno, e vedendo che Cimone era soprattutto apprezzato dagli aristocratici e dalle persone più influenti, Pericle cercò di conquistare la benevolenza della moltitudine, procurandosi così sicurezza per sé e forza contro il rivale.
Lo stile personale di Pericle era incline alla massima sobrietà: in città frequentava solamente le zone dell’agorà e del tribunale, trascurava inviti a pranzo e feste. Riteneva infatti che le grandi feste avessero il sopravvento su ogni dignità, e che fosse difficile, nella familiarità, mantenere serietà e reputazione. Per questo la sua presenza in pubblico era sempre molto misurata.
I poeti drammatici di allora e i commediografi, gli affibbiarono il soprannome di Olimpio per l’eloquenza, visto che lui “tuonava” e “fulminava” quando parlava in pubblico, e “portava nella lingua una folgore terribile”. Di Pericle purtroppo non ci è rimasto nulla di scritto, ad eccezione dei suoi decreti.
Il rivale di Pericle, Cimone, era un militare di successo ed era molto più ricco di Pericle. Cimone faceva l’elemosina ai poveri, li invitava a mangiare a casa sua, regalava loro vestiti e i frutti dei suoi terreni. Per competere con Cimone dunque, Pericle cominciò a fare uso di fondi pubblici per organizzare giochi e divertimenti e inoltre introdusse una paga giornaliera per i cittadini che, designati a sorte, sedevano in tribunale. Con le sue riforme, gli Ateniesi si trasformarono da gente sobria che si manteneva con il proprio lavoro, a gente “dissoluta e spendacciona”, per dirla con Plutarco.
Nel 465 A.C., attraverso l’opera del suo seguace, Efialte, si servì del consenso popolare per battersi contro l’assemblea dell’Aeropago (un concilio cittadino controllato dall’aristocrazia ateniese), riuscendo ad infliggere un grande colpo all’oligarchia, attraverso un decreto che privò l’Areopago dei suoi poteri politici più importanti. Poco dopo Pericle ottenne un altro trionfo con l’ostracismo di Cimone, definito amico di Sparta e nemico del popolo (“pur non essendo inferiore a nessuno per ricchezza e per stirpe, avendo riportato bellissime vittorie sui barbari e avendo avvicinato la città a molte ricchezze e spoglie”, come commenta Plutarco).
In quella che sarà detta “l’età di Pericle”, dal 450 al 430 a.C. circa, Atene si arricchì di edifici prestigiosi, che sarebbero durati nei secoli. Non è qui necessario fare un resoconto dettagliato di tutto ciò che fece Pericle per rendere la sua città natale la più gloriosa del mondo antico: architettura e scultura sotto il suo patrocinio raggiunsero la perfezione, soprattutto con la costruzione del Partenone, dei Propilei, dell’Odeon ed innumerevoli altri edifici pubblici e sacri. Tutta la popolazione dell’Attica, e non solo, fu coinvolta nei lavori: artigiani, capomastri, scultori, scalpellini, tornitori, fonditori, carrettieri, taglialegna, fabbri e così via. Non mancarono naturalmente i lavori per gli artisti: la musica e il teatro, durante il suo governo, furono prosperi e fiorenti, così come l’industria ed il commercio. Nello stesso periodo fiorirono le arti, le lettere, le scienze: filosofia, tragedia, commedia e storiografia raggiunsero in quel periodo delle vette in gran parte insuperate, che sono tutt’ora il fondamento della cultura occidentale.
L’ostracismo stabiliva per legge un esilio di dieci anni, ma quando Pericle si rese conto che la città rimpiangeva Cimone, non si fece scrupolo a richiamarlo generosamente in Patria. Nel 454 A.C., o poco dopo, Pericle propose dunque il richiamo in Patria di Cimone, e circa nello stesso tempo avviò negoziati con gli altri stati ellenici per formare una grande Confederazione ellenica, il cui scopo sarebbe stato quello di porre fine alle guerre civili – per fare della Grecia una nazione potente, adatta a fronteggiare le sfide provenienti da altri Paesi. L’idea era nobile e sagace: se fosse stata messa in pratica la popolazione Macedone, ancora semi-barbarica, non avrebbe potuto minacciare la più civile Grecia, e anche Roma, in un periodo successivo, avrebbe forse dovuto definire i suoi confini sull’Adriatico, invece che sull’Eufrate.
Gli aristocratici spartani però erano del tutto incapaci di apprezzare tale patriottismo, o di comprendere la sua necessità politica. Non a caso, quando nel 445 A.C. scoppiò un’insurrezione nei territori sotto l’influenza di Atene (Megara, Eubea, ecc), essi si allearono di nuovo con gli insorti.
Gli aristocratici ateniesi, vedendo che ormai Pericle era molto apprezzato dai cittadini, gli contrapposero Tucidide figlio di Melesia, un uomo di cultura, parente di Cimone, ma rispetto a quest’ultimo più portato all’oratoria e alla politica. Nel 444 A.C. Tucidide attaccò l’assemblea popolare, accusandola di sperpero del denaro pubblico in edifici, feste e divertimenti e cercò di ostracizzare Pericle. Il leader dei democratici rispose proponendo di rimborsare alla città tutte le spese compiute con i suoi soldi, a condizione che Atene gli avesse reso delle iscrizioni e delle dediche. Il suo atteggiamento fu accolto con applausi, e Tucidide subì una sconfitta inattesa. Nel 442 a.C., il popolo ateniese ostracizzò Tucidide e Pericle rimase il sovrano incontrastato della scena politica ateniese.
I nemici di Pericle cambiarono dunque strategia: piuttosto che attaccare direttamente lo statista, cominciarono ad attaccare le persone a lui più prossime, intentando processi al filosofo Anassagora (empietà), alla concubina Aspasia (mezzaneria) e all’architetto Fidia (appropriazione di soldi pubblici).
Dopo l’ostracizzazione di Tucidide, Pericle fu rieletto annualmente generale, l’unica carica che abbia mai realmente occupato. Nel 431 a.C. scoppiò nuovamente la guerra tra Atene e Sparta. Gli scontri del primo anno volsero a favore degli ateniesi, ma poi ad Atene scoppiò una terribile pestilenza, che falcidiò la popolazione. Pericle morì di peste nell’autunno del 429 a.C.
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